TAR Roma, sez. 2Q, sentenza breve 2018-12-05, n. 201811798

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza breve 2018-12-05, n. 201811798
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201811798
Data del deposito : 5 dicembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/12/2018

N. 11798/2018 REG.PROV.COLL.

N. 09871/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 9871 del 2018, proposto da
Soc. Progetto Uno A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati G V, L F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio G V in Roma, viale G. Mazzini, 11;

contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

C D C, Silvia D C non costituiti in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione cautelare,

- del Decreto Mibact n. 159 del 28.05.2018 (prot. n. 546698 del 4.6.2018), con cui è stato riconosciuto l'importante carattere artistico del complesso architettonico ex Cinema America, sito in Roma via Natale del Grande n. 6, ai sensi e per gli effetti degli artt. 20 e 23 l. n. 633/1941 (Diritto d'Autore).


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2018 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


La società ricorrente, proprietaria del complesso architettonico “ex Cinema America”, sito nel Comune di Roma, in via Natale del Grande n. 6, identificato in Catasto al Foglio n. 505 del Comune di Roma, part. 103 sub 6 e part.104 sub 6, impugna il provvedimento con cui, su istanza degli eredi del progettista - arch. Angelo di Castro – presentata ai sensi degli artt. 20 e 23 della legge 22 aprile 1941, n. 633 e s.m.i., l’edificio è stato riconosciuto “di importante carattere artistico”, per le ragioni illustrate nella relazione storico-artistica allegata, in quanto ritenuto “esempio di rilievo nel panorama dell'architettura italiana della seconda metà del Novecento per l'originalità della composizione spaziale e funzionale connessa con un'interpretazione all'avanguardia della tipologia della sala cinematografica”.

Nelle premesse del decreto impugnato viene riepilogato l’iter procedimentale sottolineando i seguenti passaggi.

Sulla legittimazione degli eredi a presentare la suddetta richiesta di “dichiarazione di importante carattere artistico di opera architettonica" erano state formulate riserve sia dall'Avvocatura generale dello Stato (nota prot. n. 89047 dell'8 marzo 2012) sia dalla Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l'Architettura e l'Arte Contemporanee (nota prot. n. 22601 del 16 settembre 2014).

Quest’ultima, a seguito di richiesta di riesame dei predetti istanti, con nota prot. n. 23990 del 30 settembre 2014 ha richiesto il parere dell'Ufficio Legislativo, che con nota prot. n. 25271 del 17 dicembre 2014, si è pronunciata nel senso che la "Direzione generale dovrà dunque analizzare oggettivamente la qualità architettonica dell'opera e valutare la fondatezza o meno del riconoscimento, e ciò a prescindere dal fatto che l'autore non sia più in vita";
specificando, inoltre, che "ancorché sia da escludere la facoltà prevista dal secondo comma dell'articolo 20 della legge 633 del 1941, che può trovare applicazione solo nel caso in cui l'autore sia ancora vivente e possa intervenire in prima persona, con le sue specifiche competenze e inclinazioni, nella progettazione e realizzazione delle opere di modifica dell'opera architettonica contemporanea, resta comunque esperibile, da parte degli eredi, la tutela del diritto morale d'autore di fronte al giudice civile, come previsto dall'articolo 168 e seguenti della legge n. 633 del 1941".

Con nota del 20.11.2017 l’Amministrazione precisava che “il riconoscimento dell'importante carattere artistico pronunciato dall'Amministrazione nell'interesse morale degli eredi dell'autore non legittima in alcun modo tali soggetti a opporsi o a contestare in sede amministrativa gli interventi successivi sull'opera, salva la loro legittimazione ad agire in sede civile in base al combinato disposto degli artt. 20, primo comma", 23 e 169 della legge sulla protezione del diritto d'autore.

Sulla base di tali premesse con nota prot. n. 36914 del 21 dicembre 2017 veniva avviato il procedimento per la “dichiarazione di importante carattere artistico di opera architettonica" ai sensi della legge n. 633/1941.

La Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma, dopo aver acquisito ulteriore integrazione documentale richiesta con nota prot. n. 3926 del 3 marzo 2015, esprimeva parere negativo in merito al riconoscimento dell'importante carattere artistico con nota prot. n. 243 del 6 marzo 2018 e procedeva a trasmettere le osservazioni pervenute da parte dei proprietari dell'edificio, ai sensi dell'art. 7 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i e le relative controdeduzioni alla Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l'Architettura e l'Arte Contemporanee con nota prot. n. 450 del 7 marzo 2018.

Sulla questione è stato consultato anche il Comitato tecnico-scientifico per l'Arte e l'Architettura contemporanee – in quanto cinema rientrante nelle sale cinematografiche di interesse storico di cui alla Direttiva del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo del 26 agosto 2014 – che nella seduta del 20 marzo 2018 ha espresso all'unanimità parere favorevole al riconoscimento dell'importante carattere artistico in quanto ha ritenuto che "l'edificio in questione sia espressione sia di innovazione che di originalità, al fine del riconoscimento dell'importante carattere artistico ai sensi della legge 22 aprile 1941, n. 633 sia per le caratteristiche architettoniche dell'opera e del suo inserimento urbano, sia per l'interpretazione all'avanguardia della tipologia della sala cinematografica" (nota prot. n. 868 del 30 marzo 2018).

La Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane con nota prot. n. 1025 del 20 aprile 2018 ha richiesto alla Soprintendenza se, alla luce della posizione espressa dal Comitato tecnico-scientifico per l'Arte e l'Architettura contemporanee, intendesse procedere ad un approfondimento delle proprie valutazioni;
detta nota è stata riscontrata dalla Soprintendenza con nota prot. n. 6278 del 3 maggio 2018 rappresentando “di non ritenere di procedere ad ulteriori approfondimenti".

Con il provvedimento impugnato la predetta Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane - ritenuto di “condividere le motivazioni a favore del riconoscimento del particolare carattere artistico espresse all'unanimità dai membri del Comitato tecnico-scientifico per l'Arte e l'Architettura Contemporanee” – ha accolto l'istanza presentata dagli eredi del progettista ed ha riconosciuto ai sensi e per gli effetti degli articoli 20 e 23 della Legge del 22 aprile 1941, n. 633 e s.m.i., l'importante carattere artistico del complesso architettonico dell’ex Cinema America.

Il provvedimento in parola è impugnato dalla società ricorrente in quanto è ritenuto affetto dai seguenti vizi: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 23 l. n. 633/1941, nonché dell’art. 15 R.D. n. 1369/1942. Eccesso di potere per carenza di presupposti. Difetto d’istruttoria.

La ricorrente sostiene che gli eredi del progettista non sono legittimati a chiedere al Ministero il riconoscimento dell’importante carattere artistico del complesso architettonico ex Cinema America, essendo tale facoltà riservata esclusivamente all’autore dell’opera, che è l’unico a potervi apportare le modifiche che si rendessero successivamente necessarie (a tal fine invoca i favorevoli precedenti, del giudice d’appello, Cons. Stato, Sez. VI, 26.07.2001 n. 4122 e 15.04.2008 n. 1749).

In particolare la società ricorrente sostiene che “il riconoscimento non costituisce un’autonoma prerogativa della P.A, esercitabile d’ufficio;
non ha infatti valenza pubblicistica bensì finalità esclusivamente privatistiche, a tutela cioè dell’interesse privato dell’autore (Tar Toscana, Sez. III, 15.3.2000 n. 454;
Tar Calabria-RC 8.3.2015 n. 668). E “non costituisce di per sé un provvedimento di tutela dell’opera architettonica, né tanto meno può configurarsi come sostitutivo della dichiarazione d’interesse culturale” (v. nota DG-AAP prot. n. 1471 del 21.5.2018)”.

2) In subordine, violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 23 l. n. 633/1941, nonché dell’art. 15 R.D. n. 1369/1942, con riferimento alla Circolare Mibact n. 5/2016.

La ricorrente afferma che, comunque, anche a ritenere gli eredi legittimati a presentare la suddetta istanza, nel caso in esame quella in contestazione non avrebbe dovuto essere presa in considerazione dal Ministero in quanto era inammissibile dato che risultava presentata da soggetto che “non aveva né la qualità né il titolo per presentarla” risultando “sottoscritta esclusivamente dall’Avv. Giangiacomo per espresso incarico dei Sigg.ri Carlo, Leone e Silvia D C ... eredi dell’architetto Angelo D C, senza alcuna procura speciale da parte degli eredi, né allegazione dei documenti d’identità;
anche la successiva integrazione del 2017 è stata presentata esclusivamente dall’Avv. Giangiacomo, senza procura e senza sottoscrizione da parte degli eredi con allegazione del solo documento d’identità del Sig. C D C”.

3) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, degli artt. 20 e 23 l. n. 633/1941, nonché dell’art. 15 R.D. n. 1369/1942. Violazione dell’art. 3 l. n. 241/1990 in relazione agli artt. 16 e 26 DPCM n. 171/2014. Eccesso di potere per carenza di presupposti. Difetto d’istruttoria.

La ricorrente lamenta che, dato il netto contrasto tra i pareri della SBAP e quello del Comitato Tecnico, la P.A. avrebbe dovuto motivare le ragioni per cui avrebbe privilegiato il giudizio espresso da quest’ultimo, che aveva ruolo “meramente consultivo”, dato che né il DPCM sull’organizzazione del Ministero, né la Circolare attribuiscono valore prevalente al Comitato.

Inoltre, sempre ad avviso della ricorrente, il provvedimento impugnato sarebbe inficiato da difetto di istruttoria in quanto il giudizio sul carattere artistico dell’immobile sarebbe stato formulato sulla base del progetto originario dell’Arch. D C, anziché sull’immobile effettivamente realizzato e dello stato attuale dell’immobile: al riguardo la ricorrente rappresenta che il progetto iniziale ha subito già in corso d’opera e successivamente alla realizzazione negli anni 50 importanti modifiche, relative a diversi elementi (piano galleria e cabina di proiezione, aperture esterne, copertura ed apertura del soffitto, forma di tipo rettangolare, per le quali era stata presentata istanza di sanatoria n. 221/1992).

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 10 bis l. n. 241/90. Violazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa.

Infine la ricorrente lamenta che l’Amministrazione non avrebbe adeguatamente considerato le osservazioni dalla stessa rappresentate in sede di partecipazione procedimentale e di non aver indicato, nella motivazione del provvedimento finale, le ragioni del loro mancato accoglimento.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata.

Alla camera di consiglio del 16.10.2018 la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 60 c.p.a. (previo rituale avviso ai procuratori delle parti presenti, che nulla hanno obiettato al riguardo).

Il ricorso è fondato nei sensi che seguono.

La controversia in esame ripropone, in parte, la questione del coordinamento delle previsioni degli artt. 20 e 23 della legge sul diritto d’autore, che pone il problema di stabilire la legittimazione degli eredi del progettista a richiedere l’accertamento del carattere di artisticità dell’opera architettonica del congiunto.

Su tale questione la giurisprudenza in materia s’è pronunciata, a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, n.4122 del 26 luglio 2001, chiarendo che:

“4.1.2. Dispone, in particolare, l'art. 20, L. 22 aprile 1941, n. 633:

"1. Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.

2. Tuttavia nelle opere dell'architettura l'autore non può opporsi alle modificazioni che si rendessero necessarie nel corso della realizzazione. Del pari non potrà opporsi a quelle altre modificazioni che si rendesse necessario apportare all'opera già realizzata. Però, se all'opera sia riconosciuto dalla competente autorità statale importante carattere artistico, spetteranno all'autore lo studio e l'attuazione di tali modificazioni".

Il successivo art. 23, L. n. 633 del 1941, dispone:

"Dopo la morte dell'autore il diritto previsto nell'art. 20 può essere fatto valere, senza limite di tempo, dal coniuge e dai figli, e, in loro mancanza, dai genitori e dagli altri ascendenti e dai discendenti diretti;
mancando gli ascendenti ed i discendenti, dai fratelli e dalle sorelle e dai loro discendenti.

L'azione, qualora finalità pubbliche lo esigano, può altresì essere esercitata dal Ministro per la cultura popolare sentita l'associazione sindacale competente".

Infine, l'art. 15, R.D. 18 maggio 1942, n. 1369, dettato con espresso riferimento al solo comma 2 dell'art. 20, come si evince dalla relativa rubrica stabilisce:

"L'importanza del carattere artistico, ai sensi e per gli effetti del secondo comma dell'art. 20 della legge, è riconosciuta con decreto del Ministro per la educazione nazionale.

Il Ministro procede all'accertamento su domanda dell'autore, entro il più breve termine possibile".

Dal quadro normativo in commento si evince che il diritto morale di autore si estrinseca, ai sensi dell'art. 20, co. 1, L. n. 633 del 1942, nel diritto dell'autore di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi alle modifiche dell'opera medesima che siano di pregiudizio al suo onore o reputazione.

Tale regola subisce un temperamento per le opere architettoniche;
dispone infatti il comma 2 del medesimo articolo 20, che l'autore delle opera di architettura non può opporsi alle modifiche che si rendano necessarie, durante o dopo la sua realizzazione. Tuttavia, ove all'opera sia riconosciuto importante carattere artistico, l'autore può pretendere di effettuare personalmente lo studio e l'attuazione delle modifiche.

Ai sensi del successivo art. 23, il diritto morale di autore si trasmette agli eredi.

4.1.3. La questione di diritto oggetto del presente giudizio attiene al coordinamento tra articolo 20 e articolo 23, L. n. 633 del 1941;
in particolare, occorre stabilire se il diritto morale che si trasmette agli eredi comprenda o meno anche le facoltà che l'art. 20, co. 2, attribuisce all'autore di opere architettoniche.

L'art. 23, nel disporre la trasmissibilità agli eredi, si riferisce genericamente al "diritto previsto nell'art. 20". Una interpretazione strettamente letterale delle norme potrebbe pertanto far pensare che si trasmetta agli eredi il diritto morale di autore così come descritto dall'art. 20, con tutte le sue estrinsecazioni e facoltà, ivi comprese quelle di cui al comma 2.

Tuttavia, una interpretazione logica e teleologica, induce a ritenere che non tutte le facoltà comprese nel diritto morale di autore possano trasmettersi agli eredi, bensì solo quelle che possano essere esercitate senza necessità dell'apporto personale e diretto dell'autore.

In particolare, possono trasmettersi agli eredi le facoltà di cui al comma 1 dell'art. 20, perché non necessitano di esercizio personale da parte dell'autore: tali il diritto di rivendicare la paternità dell'opera e il diritto di opporsi a modifiche lesive dell'onore e reputazione.

Per quanto riguarda le facoltà di cui al comma 2 dell'art. 20, spettanti all'autore di opera architettonica, le stesse vanno contemperate con le facoltà inerenti al diritto di proprietà, che spetta a persona terza rispetto all'autore. Pertanto, l'art. 20 co. 2 stabilisce che l'autore non può opporsi alle modifiche che si rendano necessarie durante o dopo l'esecuzione dell'opera, in funzione delle esigenze del proprietario o committente: in tal modo, viene data la prevalenza alle facoltà inerenti al diritto di proprietà rispetto a quelle inerenti al diritto morale di autore. Un temperamento è previsto, a favore del diritto di autore e a scapito del diritto di proprietà, quando all'opera sia riconosciuto importante carattere artistico, su richiesta dell'autore. In tal caso, spetta all'autore lo studio e l'attuazione delle modifiche. È evidente che nel disegno della norma il riconoscimento dell'importante carattere artistico dell'opera non è fine a sé stesso, ma strumentale allo studio e attuazione delle modifiche da parte dell'autore.

Ed è altresì chiaro che lo studio e l'attuazione delle modifiche sono facoltà strettamente personali, che possono essere esercitate solo dall'autore, e non dai suoi eredi, atteso che lo studio e l'attuazione delle modifiche implicano il possesso di cognizioni tecniche e di doti artistiche che intrinsecamente appartengono solo all'autore.

Ne consegue che nel diritto morale di autore che si trasmette agli eredi ai sensi dell'art. 23, L. n. 633 del 1941, non rientrano le facoltà strettamente personali di cui all'art. 20, co. 2, di chiedere il riconoscimento dell'importante carattere artistico dell'opera in funzione dello studio e attuazione delle modifiche all'opera medesima, facoltà esercitabili solo dall'autore dell'opera architettonica”.

Tanto è stato ribadito anche successivamente dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza 15 aprile 2008, n.1749 precisando che “la norma appena richiamata attribuisce all’autore dell’immobile il diritto (cosiddetto diritto morale d’autore) di intervenire qualora vengano progettati nuovi lavori sull’immobile, opera del suo ingegno, in modo da salvaguardare l’impostazione originaria. E’ evidente che il suddetto diritto può essere esercitato esclusivamente dal suo titolare, essendo egli solo in grado di valutare la compatibilità di nuovi lavori con il disegno artistico originale, eventualmente coordinandoli con quest’ultimo. La necessaria capacità creativa costituisce, infatti, qualità personale, che viene meno con il decesso dell’artista (in termini C. di S., VI, 26 luglio 2001, n. 4122);
ribadendo che il diritto morale d’autore non può essere imputato a soggetti diversi dai creatori dell’opera “nemmeno agli eredi i quali, quandanche fossero in proprio dotati di adeguate capacità professionali ed artistiche, esprimono necessariamente delle personalità distinte da quelle degli autori”.

Infine tale orientamento è stato ulteriormente ribadito da TAR Calabria- Reggio Calabria, con sentenza n. 668 del 08/07/2015, evidenziando che: “Il riconoscimento di importanza del carattere artistico dell'opera, da parte dell'autorità statale, di cui al secondo comma dell'art. 20 non ha, infatti, valenza pubblicistica: il procedimento - precisa l'art. 15 del citato Regolamento - si attiva espressamente a iniziativa di un soggetto privato, a tutela di un suo interesse (o diritto) privato: e non costituisce, quindi, conseguenza di una doverosa iniziativa propria dell'autorità stessa, come sempre avviene allorquando una pubblica autorità, investita per definizione di poteri autoritativi a tutela di un determinato pubblico interesse, intervenga - ovviamente d'ufficio - per evitare che determinati fatti possano arrecare pregiudizio al medesimo interesse.

Una volta chiarito che l'intervento della autorità pubblica nella fattispecie in esame non ha autonoma valenza pubblicistica, in quanto non esercitabile d'ufficio (come sempre avviene, si ripete, ove vi sia un interesse pubblico da tutelare, non essendo ipotizzabile che la P.A. per la tutela di un interesse pubblico debba attendere inerte una iniziativa di altri soggetti privati), bensì costituente mero - sia pur, ovviamente, autorevole - supporto a pretese di natura squisitamente privatistica quali sono quelle attinenti alla tutela del diritto d'autore, appare evidente la necessità di interpretare la norma che tale intervento prevede in termini di assoluto rigore, con la conseguenza che la medesima non può essere applicata a fattispecie diversa da quella espressamente contemplata.

Dal momento che sia l'art. 20 della legge che l'art. 15 del Regolamento, quest'ultimo espressamente, individuano nella persona del (solo) autore il soggetto privato legittimato a sollecitare l'intervento della P.A., non può ritenersi che quest'ultima possa legittimamente attivarsi su richiesta di altro soggetto, quand'anche rivesta la qualità di erede dell'autore stesso.

D'altra parte, in tal senso appare chiara la ratio legis, atteso che l'autore, e solo l'autore (in quanto soggetto al quale sia riconducibile la creazione dell'opera), può pretendere e ottenere, con l'ausilio della P.A. (una volta escluso che possa opporsi alle modifiche che si rendano necessarie all'opera da lui creata), di apportare di persona le modifiche stesse: in ciò venendosi ad integrare ed a realizzare (una volta riconosciuto dalla P.A. il particolare valore artistico dell'opera) un diritto personale - e, soprattutto, intrasmissibile - legato alla sua creatività di artista.

Chiara in tal senso è anche, del resto, la lettera della legge.

Innanzi tutto l'art. 23, comma 1, consente agli eredi di far valere, dopo la morte dell'autore, "il diritto" previsto dall'art. 20 (e che si tratti, soltanto, di quello di cui al primo comma dell'art. 20 risulta evidente ad una attenta lettura della norma, dato che il comma 2 dello stesso art. 23 identifica indissolubilmente tale diritto con la relativa azione, da esercitarsi ovviamente avanti all'A.G.O., a tutela, appunto, per quel che qui interessa, del diritto alla integrità dell'opera, a prescindere dal fatto che questa abbia o meno preventivamente ottenuto un formale riconoscimento di importanza artistica).

In altre parole, nell'ipotesi normativa, nessun diritto azionabile viene riconosciuto ex lege in forza del secondo comma dell'art. 20, ma soltanto la facoltà - dell'autore, e soltanto dell'autore - di chiedere alla P.A. competente un accertamento dal quale soltanto, ove riconosciuto, nasce il diritto (personale e intrasmissibile), al di fuori di ogni intervento giurisdizionale, bensì in via amministrativa, allo studio e realizzazione delle modificazioni da apportare all'opera (cfr., in termini, T.A.R. Toscana, sez. III, 15 marzo 2000 n. 454) ”.

Il Collegio concorda pienamente con la ricostruzione della disciplina operata dai precedenti richiamati, che hanno inequivocabilmente sancito “l’intrasmissibilità jure haereditario del diritto (morale) d'autore in esame”.

Nello specifico caso in esame il problema è sorto dal fatto che, nonostante tale ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, il Ministero, pur concordando sull’intrasferibilità mortis causa del diritto (morale) d’autore alla progettazione delle modifiche dell’opera architettonica, tuttavia ha ritenuto possibile che l’Amministrazione Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane potesse procedere d’ufficio al riconoscimento del “particolare carattere artistico” dell’edificio stesso. Con nota prot. n. 25271 del 17.12.2014 l’Ufficio Legislativo del Ministero si esprimeva in tale senso, osservando che “il riconoscimento del particolare carattere artistico ai sensi della legge n. 633/1941 e succ. mod., costituisce l’atto conclusivo di un procedimento d’ufficio, preordinato alla cura dell’interesse generale di tipo oggettivo alla tutela di opere dell’architettura contemporanea valutate di particolare interesse, e solo in via indiretta al riconoscimento di un beneficio o di un particolare diritto al suo autore e/o ai suoi eredi o aventi causa. In tale contesto, l’istanza del privato opera come una mera sollecitazione dell’esercizio di poteri ufficiosi di tutela, con la conseguenza che, una volta avviato In tale contesto l'istanza del privato opera come una meni sollecitazione dell'esercizio dei poteri officiosi di tutela, con la conseguenza che, una volta avviato il procedimento, sussiste l'obbligo dell'amministrazione competente Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane, ai sensi dell'articolo 2 della legge 241 del 1990 e s.m.i., di conclusione mediante l'adozione di un provvedimento espresso, indipendentemente dalla titolarità in capo al soggetto che ha presentato la sollecitazione di uno specifico diritto, proprio o di tipo ereditario, a rivendicare la particolare tutela o utilità derivanti dal provvedimento invocato.

Codesta Direzione generale dovrà dunque analizzare oggettivamente la qualità architettonica dell'opera e valutare la fondatezza o meno del riconoscimento, e ciò a prescindere dal fatto che l'autore non sia più in vita.

Né appare di ostacolo alla procedibilità dell'istruttoria ex articolo 20 della legge 633 del 1941 il fatto che sia stato avviato il procedimento per il riconoscimento dell'interesse culturale ai sensi dell'articolo IO del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 42 del 2004 e s.m.i..

Neppure può ipotizzarsi l'inutilità della speciale dichiarazione del particolare carattere artistico dell'opera architettonica nel caso (quale quello in esame) in cui l'architetto, autore dell'opera, non sia più in vita. Ed infatti, ancorché sia da escludere la facoltà prevista dal secondo compia dell'articolo 20 della legge 633 del 241,che può invero trovare applicazione solo nel caso in cui l'autore sia ancora vivente e possa intervenire in prima persona, con le sue specifiche competenze e inclinazioni, nella progettazione e realizzazione delle opere di modifica dell'opera di architettura contemporanea, resta comunque esperibile, da parte degli eredi, la tutela del diritto morale (l'autore di fronte al giudice civile, come previsto dall'articolo I M;
e seguenti (Iella legge n. 633 del 1941.

È proprio tale ricostruzione dell’istituto che ha determinato l’adozione del provvedimento impugnato che, nelle premesse motivazionali, indica proprio la nota in esame come base giuridica del potere esercitato.

Il Collegio non condivide l’interpretazione soprarichiamata in quanto con essa il procedimento in esame viene ad essere rimodellato in modo profondamente diverso da come esso è stato disciplinato dalla Legge del 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d’autore e dal relativo regolamento, approvato con Regio Decreto 18 maggio 1942, n. 1369, attribuendogli una diversa natura e funzione, ricostruendolo come procedimento avviato d’ufficio anziché a domanda di parte, “ribassando” l’istanza del privato interessato a “mera sollecitazione dell’esercizio di poteri ufficiosi di tutela” ed assegnando all’Amministrazione - Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane una prioritaria funzione pubblicistica di “cura dell’interesse generale di tipo oggettivo” alla tutela di opere dell’architettura contemporanea di particolare interesse, che non trova adeguato fondamento normativo almeno allo stato attuale della legislazione.

Com’è noto la normativa a tutela del diritto d’autore prevede unicamente in capo a tale soggetto, ed unicamente nel suo interesse, la facoltà di promuovere l’iniziativa per far valere una situazione giuridica soggettiva, di natura meramente privatistica, giuridicamente protetta dall’ordinamento, alla partecipazione alle modifiche dell’opera di architettura, richiedendo a tale fine il riconoscimento di quella “qualità artistica” che costituisce il presupposto previsto dall’art. 20 co. 2 della legge n. 633/1941 per beneficiare della riserva di tale attività progettuale per far valere lo ius excludendi in modo da evitare che alterazioni posticce della sua creazione deturpino l’opera e siano pregiudizievoli della sua personalità artistica (diritto personalissimo ed intrasmissibile agli eredi). Ovviamente si tratta di una libera scelta dell’artista, non certo di un obbligo, per cui l’autore può anche non esercitare tale facoltà ed abbandonare l’opera al suo destino, senza che ad esso possano sostituirsi i parenti oppure, d’ufficio, l’autorità pubblica. Un simile potere d’iniziativa d’ufficio dell’Amministrazione dei beni culturali non sarebbe esercitabile nemmeno dopo la morte dell’architetto, non trovando adeguato fondamento giuridico nell’art. 23 della legge n. 633/41, il quale, dopo aver previsto, al primo comma, la possibilità per gli eredi dell’autore di far valere (senza limite di tempo) il diritto previsto nell'art. 20, al secondo comma sancisce che “L'azione, qualora finalità pubbliche lo esigano, può altresì essere esercitata dal Ministro per la cultura popolare, sentita l'associazione sindacale competente”. Tale disposizione, infatti, consente all’Amministrazione di attivarsi autonomamente per far valere il solo diritto (morale) d’autore previsto in generale nell'art. 20 co. 1 , “qualora le finalità pubbliche lo esigano”. Però si tratta di un compito che non ha la stessa natura e funzione di quello esercitabile dalla stessa Amministrazione al fine di tutela e conservazione dei beni culturali (peraltro se avesse inteso disporre in tal senso il legislatore del 1941 avrebbe fatto riferimento alla legge sui beni culturali del 1939), ma solo quello connesso alla tutela del diritto (morale) d’autore “classico” previsto dal comma 1 dell'art. 20 della legge n. 633/1941 come “regola generale” valida per tutte le categorie di opere. Ciò consentirebbe di spiegare sia la collocazione della norma che prevede poteri ufficiosi dell’Amministrazione Pubblica nella legge sul diritto d’autore - anziché nella legge sui beni culturali – sia la previsione originaria dell’intervento in tale procedimento di enti estranei all’Amministrazione (“sentita l'associazione sindacale competente”) che non avrebbe alcuna ragione se la funzione fosse quella di proteggere l’opera in considerazione del suo “interesse culturale” (e che invece si spiegano se la funzione è quella dell’esempio classico di dirimere contrasti in merito alla paternità dell’opera, riferirla ad autore italiano anziché straniero).

Tali funzioni, però, non implicano un giudizio sul “valore” artistico dell’opera che, come si è detto, è necessario solo per la sua qualificazione come bene culturale con conseguente assoggettamento al regime di tutela previsto dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

A questo punto, per dissipare qualunque dubbio residuo, appare opportuno evidenziare la differenza tra il procedimento per il riconoscimento dell’importante carattere artistico ai sensi dell’art. 20 della Legge n. 633/41 rispetto al diverso procedimento di “accertamento” della sussistenza dell’interesse artistico particolarmente importante di un immobile come “bene culturale” ai sensi dell’art. 10 co. 3 ai fini della dichiarazione di cui all’art. 13 del d.lvo n. 42/2004.

Il riconoscimento del particolare “carattere” artistico, ai fini della legge n. 633/1941, dell’opera architettonica non comporta il suo assoggettamento al sistema di tutela previsto dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, almeno prima della scadenza del periodo indicato dall’art. 10 co. 5 dello stesso Codice, che esclude la possibilità di vincolare le opere di autore vivente o realizzate da meno di 70 anni. Tale previsione riproduce il limite già sancito dalla legge Rosadi e ribadito dall'art. 1 della Legge 1089 del 1939 e dall’art. 2 ultimo comma del Decreto legislativo n. 490 del 1999, è finalizzata ad assicurare libertà di espressione artistica, costituzionalmente garantita, dell’autore e, al tempo stesso, di non pregiudicare sul piano economico la circolazione delle opere.

Come si è detto, la Legge n. 633/41 non assicura una tutela dell’opera “in funzione oggettiva” – cioè diretta ad assicurare l’integrità delle opere in sé considerate per la loro intrinseca qualità (per cui si giustifica l’intervento dell’autorità, anche d’ufficio, in funzione di cura dell’interesse pubblico alla conservazione dell’opera della forma originaria) – bensì in “funzione soggettiva”, essendo finalizzata a tutelare il diritto (morale) dell’autore della stessa a preservarla da interventi di modifica da parte di altri soggetti che rischierebbero di alterarne lo stile espressivo personale e ad evitare l’attribuzione di opere “stravolte” da modifiche inappropriate (ragione per cui l’autore dell’opera è l’unico soggetto legittimato ad attivare la predetta tutela in quanto questa è costituita dal “diritto di partecipazione” alla progettazione delle modifiche ritenute necessarie dal proprietario). Il proprietario è l’unico titolare del potere di scelta relativo all’ an della modificazione dell’opera, essendo riservata al dominus la decisione se conservare o meno l’opera nello stato originale, e, ove eserciti tale facoltà, è tenuto a rivolgersi allo stesso autore. L’ordinamento giuridico non offre alcuna tutela “oggettiva” dell’edificio, non potendo alcuna autorità pubblica stabilire “ se” e “come” deve essere modificata l’opera, limitandosi la legge n. 633/1941 a individuare solo da “chi” ciò possa essere fatto, appunto riservando all’autore della stessa la progettazione delle modifiche necessarie, ove l’autore abbia richiesto ed ottenuto il riconoscimento della particolare qualità artistica dell’opera (che non può essere attribuito d’ufficio).

La qualificazione dell’opera come di particolare “carattere” artistico, ai fini della legge n. 633/1941, d’altronde, non attribuisce nemmeno all’autore stesso dell’opera alcun diritto alla conservazione della stessa, né prevede un simile obbligo in capo al proprietario, come chiarito dalla dottrina e dalla giurisprudenza in materia (vedi, in tal senso, Cass. 31 luglio 1951, n. 2273, nonché Cass. 31 maggio 1938, n. 1857, in un caso di distruzione di un busto-ritratto, nel senso che la distruzione dell'opera da parte del donatario o dell'acquirente non implica, di per sé, offesa ai diritti dell'autore, non essendo la distruzione dell'opera equiparare a quelle situazioni di deformazione, mutilazione, modificazione dell'opera che possa essere di pregiudizio all'onore e alla reputazione dell'autore).

Se, invece, il proprietario decidesse di conservare l’opera, questi potrà godere del contributo previsto dall’art. 37 del Codice dei Beni Culturali, di recente introdotto per scongiurare i rischi di degrado delle opere di architettura contemporanea (ancora) non soggette a vincolo di tutela: l’art. 11, co. 1, lett. e), include le opere di architettura contemporanea tra le “cose” assoggettare a “specifiche disposizioni di tutela” Codice dei Beni Culturali, cioè quelle da salvaguardare solo mediante alcune misure espressamente previste per la categoria di appartenenza dal medesimo Codice. Quindi l’opera non è comunque assoggettata all’intera disciplina vincolistica e di tutela prevista per le cose che costituiscono “bene culturale” ai sensi dell’art. 10 del Codice, a seguito della dichiarazione di cui all’art. 13 del Codice, ma solo a quelle espressamente previste.

Si tratta di un procedimento totalmente diverso da quello previsto della legge sul diritto d’autore, in quanto attribuisce ad un diverso soggetto (il proprietario dell’opera stessa) un diverso beneficio (contributo in conto interessi per intervento di conservazione dell’opera) per fini differenti (serve a sostenere il proprietario che intenda mantenere in buono stato l’opera, cioè è finalizzato alla sua conservazione, mentre nel caso del diritto d’autore le misure di protezione scattano al momento in cui questi decida, all’opposto, la trasformazione dell’opera) e, soprattutto, sulla base di diversi presupposti: non è sufficiente il mero riconoscimento dell’importante “carattere artistico” dell’opera, essendo richiesto, invece, il riconoscimento del particolare “valore artistico” dell’opera – quindi un livello di qualità artistica superiore – come evidenziato anche dai primi commentatori.

È evidente anche qui l’autonomia e l’eterogeneità del riconoscimento dell’importante carattere artistico dell’opera architettonica contemporanea prevista dalla legge sul diritto d’autore – nell’interesse (morale) esclusivo dell’autore che l’ha ideata – rispetto alla valutazione del “valore artistico” dell’opera architettonica che consiste in quel pluris necessario per giustificare la concessione di un beneficio economico (a carico del pubblico erario) a favore del privato proprietario che intenda eseguire volontariamente gli interventi necessari alla sua conservazione, dall’art. 37 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio nell’interesse (anche) pubblico alla salvaguardia di un’opera reputata di sufficiente pregio (eventualmente in prospettiva di sottoporla, in futuro, a vincolo di tutela come “bene culturale”).

Anche in questo caso l’unico soggetto legittimato a richiedere la verifica della qualità di particolare pregio artistico dell’opera è esclusivamente il proprietario interessato ad effettuare l’intervento (volontario) necessario per il suo mantenimento e che ne sostiene in modo quasi totale il costo (si tratta, infatti, di mero contributo in conto interessi, che si limita ad abbattere il “costo del denaro”, che comunque deve essere messo dallo stesso proprietario, per cui presuppone l’accensione di un mutuo con l’istituto di credito convenzionato, sicchè, nemmeno sotto tale profilo l’interessato può essere sostituito da altri soggetti). Non sono legittimati a fare tale richiesta né l’autore (o i suoi eredi), né la PA, che non può accordare d’ufficio tale contributo per il mantenimento dell’opera (né può ordinare d’ufficio quegli interventi di conservazione riservati alle sole opere dichiarate “beni culturali”).

Ciò non esclude, ovviamente, che l’Amministrazione possa decidere di tutelare la medesima opera, ove ne sussistano le condizioni, una volta morto l’autore o decorso il tempo previsto dall’art. 10 co. 5 dello stesso Codice, ove questa abbia caratteristiche artistiche di pregio tali da poterla ritenere una cosa immobile di “interesse artistico particolarmente importante” – come prescritto dall’art. 10 co. 3 lett. a) – e quindi essere sottoposta a tutela come “bene culturale” con il provvedimento di cui all’art. 13 del d.lvo n. 42/2004.

Quest’ultima costituisce una funzione del tutto autonoma, che la Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane può perseguire nell’esercizio del proprio potere/dovere di tutela dei “beni culturali”, come previsto dallo stesso art. 11 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, al comma 1 bis, introdotto dal d.lvo n. 62 del 26.3.2008 (quindi normativa successiva rispetto a quella cui si riferivano le sentenze del Consiglio di Stato soprarichiamate) che, appunto, evidenzia l’autonomia dei procedimenti in esame nel momento in cui stabilisce che “resta ferma l’applicabilità” delle disposizioni che prevedono la possibilità di dichiarare le cose come beni culturali ai sensi degli articoli 12 e 13 “qualora sussistano i presupposti e le condizioni stabiliti dall’art. 10” (quindi, ovviamente, decorso “il periodo di comporto” di 70 anni previsto dal comma 5).

Ed è solo a tal fine che la Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane può avviare, anche d’ufficio, il procedimento per la dichiarazione del particolare interesse dell’opera che la qualifica giuridicamente come “bene culturale” e conseguentemente la assoggetta a tutte le misura di tutela previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. In tale prospettiva all’istanza degli eredi può essere attribuito quel valore di “mero atto di segnalazione” volto a stimolare l’esercizio di funzioni propri cui fa riferimento la nota del 17.12.2014.

Si tratta di procedimenti diversi, con finalità diverse e basati su presupposti diversi.

Com’è noto, la valutazione dell’importante interesse artistico ai fini dell’apposizione del vincolo di tutela ai sensi della legge sui beni culturali viene effettuata, di prassi, facendo riferimento ai criteri individuati dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti nella seduta del 10 gennaio del 1974, presieduta dal Prof. G C A, e divulgati con circolare del Ministero della Pubblica Istruzione prot. 2718 del 13.5.1974 (confermata con CM 4261 del 17.7.1998) da ritenersi tuttora vigente (vedi, come chiarito nella stessa Relazione illustrativa al Codice e come riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza anche di questa Sezione, TAR Lazio, Sez. II quater, n. 2541 del 22.3.2011 e n. 2659 del 24.3.2011, nonchè da ultimo, T.A.R. Roma, sez. II quater, n. 9826/2018, n. 5318/2011, n. 4987/2008, sulla base della funzione di “filtro” dell’Ufficio Esportazione nel processo di individuazione dei beni culturali).

Si tratta di criteri di valutazione diversi rispetto a quelli previsti per il riconoscimento dell’importanza del carattere artistico ai sensi della legge n. 633/1941, come chiarito dalla Circolare Ministeriale n. 5 del 23 dicembre 2016, che invece specifica questi ultimi.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, si deve quindi ritenere fondato il primo motivo di ricorso, con cui si contesta, in radice, il potere esercitato dall’Amministrazione nell’effettuare d’ufficio la dichiarazione del particolare carattere artistico dell’opera ai sensi della legge n. 633/1941.

In conclusione, il ricorso, assorbiti gli altri motivi (proposti in via subordinata), va accolto con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

Sussistono giusti motivi, vista la novità delle questioni affrontate, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

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