TAR Firenze, sez. III, sentenza 2012-08-27, n. 201201484

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. III, sentenza 2012-08-27, n. 201201484
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201201484
Data del deposito : 27 agosto 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02964/1996 REG.RIC.

N. 01484/2012 REG.PROV.COLL.

N. 02964/1996 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2964 del 1996, proposto da:
D'Abramo Giovanni Quale Procuratore Generale di Potito Doria, rappresentato e difeso dagli avv. D I, Giovanni D'Abramo, con domicilio eletto presso l’avv. D I in Firenze, via dei Rondinelli 2;

contro

Comune di Rosignano Marittimo, rappresentato e difeso dall'avv. C N, con domicilio eletto presso il medesimo in Firenze, via dell'Oriuolo N. 20;

per l'annullamento

della ordinanza n. 129 del 29 maggio 1996 con la quale il Sindaco del Comune di Rosignano Marittimo ha ingiunto alla ricorrente di porre in essere entro trenta giorni dalla notifica della ordinanza un assai complesso intervento di consolidamento di un terrapieno "volto alla eliminazione dello strato superficiale di materiale litoide con rimodellamento della parte altra del pendio, la realizzazione di una canalizzazione delle acque superficiali a monte dell'orlo della scarpata, con stesura di un geotessile sulla superficie che rimarrà denudata";
nonché di ogni altro atto comunque connesso, presupposto o conseguenziale ivi compresa la nota 11 marzo 1996 a firma dell'Assessore alla Tutela del Territorio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Rosignano Marittimo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2012 il Primo Referendario dott. A G e uditi per le parti i difensori V. Chierroni delegato da D. Iaria e F. Pandolfi delegata da C. Narese;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La ricorrente assume che il Comune di Rosignano Marittimo, circa trent’anni prima della proposizione del ricorso, realizzava sul lungomare un percorso pedonale (passeggiata) non curandosi del consolidamento di una superiore scarpata che di circa otto metri di altezza, che veniva in tal modo a crearsi tra il lungomare e la sua proprietà prospiciente e sulla quale insiste la sua abitazione.

Il Comune effettuava nel corso degli anni vari interventi tampone, a sua cura e spese, per arginare i fenomeni di cedimento franoso che di volta in volta si presentavano.

Inaspettatamente, con ordinanza n. 279/1995 il Sindaco ingiungeva al coniuge della ricorrente di presentare un progetto di consolidamento statico della scarpata.

Al che l’interessato presentava in data 22.12.1995 al Comune un complesso progetto contemplante la realizzazione di cinque vani ad uso commerciale ed anche la sistemazione del terrapieno aggettante sulla passeggiata.

A richiesta del Comune egli presentava anche, in data 13.2.1996, delle integrazioni tecniche e documentali e tuttavia la pratica edilizia subiva un arresto, venendo sospesa in attesa di ulteriori integrazioni progettuali con nota assessorile in data 11.3.1996.

Con successiva ordinanza contingibile ed urgente n. 129 del 29.5.1996 il Sindaco ingiungeva alla ricorrente di effettuare quegli interventi strutturali di consolidamento della scarpata che costituivano una parte del progetto edilizio di cui alla sua istanza del 22.12.1995 e, tecnicamente, anche il presupposto dell’intervento finalizzato alla realizzazione dei cinque vani a destinazione commerciale, oggetto dell’articolato progetto allegato alla citata istanza di concessione edilizia.

Con l’ordinanza n. 129/1996 il Comune ingiungeva, quindi all’istante, di realizzare la parte più onerosa del progetto.

2. Con il ricorso in epigrafe la ricorrente impugna la predetta ordinanza sindacale nonché la nota assessorile dell’11.3.1996, articolando sei motivi di gravame.

Si costituiva in giudizio il Comune intimato con memoria e coeva produzione documentale in data 5.11.1996.

Con Ordinanza cautelare n. 559/1996 la Sezione respingeva la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati sul presupposto della prevalenza dell’interesse pubblico a realizzare le opere di consolidamento statico del terrapieno.

Sull’appello cautelare il Consiglio di Stato con Ordinanza n. 360/1997 accoglieva la domanda interinale respinta dal T.A.R.

Entrambe le parti producevano memoria difensiva il 20.1.2012 e replica il 2.2.2012.

Alla pubblica Udienza del 24.5.2012 sulle conclusioni delle parti il ricorso è stato ritenuto in decisione.

DIRITTO

1.1. Deve preliminarmente essere vagliata l’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dalla difesa comunale nella memoria del 5.11.1996 e ulteriormente sviluppata nelle successive, sul rilievo che la ricorrente non ha impugnato l’ordinanza sindacale n. 279/1995, che ingiungeva al coniuge di effettuare il consolidamento statico della scarpata, prestandovi acquiescenza attraverso la presentazione dell’istanza di concessione edilizia del 22.12.1995.

1.2. L’eccezione non ha pregio. E’ vero che la prima non impugnata ordinanza imponeva la presentazione di un progetto di consolidamento statico del terrapieno delimitante la proprietà della ricorrente, ma è altrettanto vero che quest’ultima ha presentato la successiva istanza di concessione edilizia non al precipuo prevalente fine di ottemperare all’ordinanza comunale, peraltro non notificatale personalmente, bensì allo scopo di ottenere il permesso di realizzare cinque vani a destinazione commerciale, obiettivo cui era ovviamente funzionale la previa sistemazione geologica della scarpata, stante anche l’inerzia dell’amministrazione sul punto.

Ne consegue, da un lato, che il consolidamento della scarpata era uno soltanto ( ed oltretutto secondario) degli aspetti del progetto allegato all’istanza di concessione edilizia del 22.12.1995 e non il fine preponderante della stessa, talché possa dirsi che l’istanza di titolo edilizio è stata presentata proprio onde ottemperare all’ordinanza n. 279/1995 come invece sostiene la difesa comunale;
dall’altro, che l’oggetto della domanda di concessione edilizia era molto più esteso ed ampio poiché inclusivo anche dei cinque vani a destinazione commerciale, rispetto all’oggetto dell’ordinanza del 1995, limitato all’ordine di consolidamento del terrapieno.

Non può quindi neanche predicarsi un nesso di presupposizione – benché la difesa comunale non si soffermi su tale aspetto – tra l’ordinanza n. 279/1995 e la n. 129/1996 impugnata, atteso che quest’ultima rinveniva il suo presupposto non nella prima bensì nell’istanza di concessione edilizia del 22.12.1995, come emerge anche dai puntuali richiami nel corpo del provvedimento, al progetto allegato all’istanza di concessione edilizia presentata dalla ricorrente, originando dunque da una sequela procedimentale distinta, come sostiene la difesa della ricorrente nella memoria del 20.1.2012.

Per altro verso va anche debitamente rimarcato che la ricorrente, anche a voler ammettere che l’ordinanza n. 279/95 spiegasse effetti anche nei suoi confronti pur in assenza di personale notifica alla medesima, nessun interesse aveva ad impugnare il predetto provvedimento sindacale in quanto aveva presentato un’istanza di concessione edilizia con allegato un progetto il cui ampio contenuto era atto a superare i limitati confini dell’ordinanza, circoscritta al consolidamento del terrapieno.

2.1. Approdando allo scrutinio del merito del ricorso conviene esaminare il secondo e cruciale motivo, con cui la ricorrente rubrica violazione e falsa applicazione dell’art. 38, L. n. 142/1990 dolendosi di aver presentato all’Amministrazione comunale un progetto di complessiva sistemazione dell’area contemplante la realizzazione di alcuni fondi e contemporaneamente un incisivo intervento di consolidamento statico del versante, mentre l’Ente locale ha sospeso l’esame di detta domanda di concessione edilizia ed estrapolato da tale progetto la parte di esso preordinata al consolidamento del versante, traducendola nell’ordinanza contingibile ed urgente n. 129/1996, la quale risulterebbe dunque carente dei tre presupposti che la giurisprudenza ha elaborato ai fini della legittimità delle ordinanze in questione.

Primo fra tutti è per la ricorrente la necessità che alla situazione di pericolo non possa rimediarsi con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento, là dove nel caso di specie l’Amministrazione aveva a disposizione l’adozione dell’atto conclusivo del procedimento edilizio instaurato con la presentazione dell’istanza della Potito.

Difetterebbero, inoltre, anche i presupposti della transitorietà della misura, avendo il provvedimento impugnato impresso un assetto definitivo alla situazione di fatto e di diritto su cui è intervenuto e della urgente necessità di provvedere, stante la risalenza nel tempo della situazione di pericolo.

2.2. Le riassunte censure a parere del Collegio si prestano a positiva considerazione e vanno pertanto accolte.

E’ pacifico in fatto che l’impugnata ordinanza ha reso obbligatoria, estrapolandola, una parte del complessivo progetto presentato dalla signora Potito, odierna ricorrente, ingiungendo di porre in essere le opere di consolidamento statico del versante della scarpata delimitante la sua proprietà e costituente solo una parte dell’iniziativa edilizia che l’istante intendeva porre in essere.

In punto di diritto va rammentato che la giurisprudenza ha più volte chiarito che “il potere extra ordinem previsto dall’art. 50 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, per l’emissione di ordinanze contingibili ed urgenti presuppone, da un lato, una situazione di pericolo effettivo, da esternare con congrua motivazione, e, dall'altro, una situazione eccezionale e imprevedibile, cui non sia possibile far fronte con i mezzi previsti in via ordinaria dall'ordinamento (T.A.R. Veneto, Sez. III, 4 agosto 2009 n. 2274)

Non sfugge peraltro al Collegio che la giurisprudenza ha rimeditato e ridimensionato la tesi della necessaria imprevedibilità della situazione di pericolo, giungendo ad affermare l’irrilevanza del fatto che la situazione di pericolo preesista da tempo (T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. I, 14.12.2011, n. 2085;
Consiglio di Stato Sez. IV, 25.9.2006, n. 5639).

Purtuttavia si prospetta maggioritario l’orientamento secondo il quale indefettibile presupposto del legittimo potere di ordinanza è l’esistenza di una situazione di pericolo eccezionale ed imprevedibile ed incontrastato è poi l’indirizzo che predica la necessaria residualità del potere di ordinanza, ossia il dato normativo che alla situazione di pericolo o di emergenza non possa farsi fronte mediante l’esercizio di poteri e l’adozione degli strumenti ordinari e tipici previsti dall’ordinamento.

Si è infatti in tal senso precisato che “il potere di ordinanza del Sindaco in materia di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale, presuppone l'esistenza di una situazione eccezionale, che richiede un intervento immediato e urgente, non fronteggiabile attraverso l'utilizzo degli strumenti ordinari di cui può disporre normalmente l'autorità amministrativa”(T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. III, 31 luglio 2008, n. 3124). Ancor più incisivamente si è affermato che “presupposto dell’adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente “è l’esistenza di una situazione imprevedibile ed eccezionale (T.A.R. Lazio - Latina, 20 novembre 2006, n. 1732) la quale inoltre non possa essere fronteggiata con altri rimedi apprestati dall’ordinamento”(Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 marzo 2006, n. 1537;
T.A.R. Marche, 4 febbraio 2003 n. 26;
T.A.R. Emilia Romagna – Parma, 10.1.2003, n. 1, nonché, più di recente, T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. III, 11.4.2009, n. 711;
Consiglio di Stato, Sez. V, 16.2.2010, n. 868).

Orbene, nel caso all’esame della Sezione, in disparte ogni indagine in ordine alla sussistenza e giuridica rilevanza del presupposto dell’eccezionalità ed imprevedibilità del pericolo, va evidenziato come abbia fatto difetto anzitutto il delineato presupposto della residualità dello strumento adottato dall’Amministrazione.

Invero, per far fronte all’esigenza di consolidamento statico della scarpata il Comune aveva a disposizione l’adozione di uno strumento e di un provvedimento ordinario, quale quello conclusivo del procedimento avviato con la presentazione dell’istanza di concessione edilizia del 22.12.1995, previa la disamina della pratica nella sua integralità e la sua definizione.

Nel caso all’esame, invece, lo strumento adottato si profila impiegato in surroga dell’esercizio dell’ordinario potere di regolazione dell’attività edilizia, con puntuali ed evidenti richiami al progetto presentato dalla Potito, addirittura emergenti dal corpo del provvedimento impugnato.

Nella parte dispositiva dello stesso, si legge, infatti, che il sindaco ha ordinato espressamente di porre in essere “l’intervento così come proposto nella relazione geologica a firma del geol. Graziano Graziani allegata al progetto di consolidamento sopra citato”.

Era dunque ben presente all’amministrazione la circostanza fattuale e giuridica che alle necessità di consolidamento della scarpata poteva provvedersi in via ordinaria, ovverosia senza la necessità di porre mano all’adozione di un provvedimento contemplato dalla legge per fronteggiare evenienze eccezionali e ancorato a presupposti rigorosi, primo fra tutti quello, più sopra delineato, della residualità del mezzo e del presupposto potere esercitato.

Risulta conseguentemente assente nell’impugnata ordinanza il necessario presupposto della residualità del potere esercitato e per ciò solo la stessa si profila illegittima.

2.2. Parimenti carente è inoltre il requisito della provvisorietà degli effetti, atteso che l’intervento ingiunto alla ricorrente di provvedere ad una stabile e duratura sistemazione della scarpata è atto ad determinare uno stabile e definitivo assetto di interessi.

Sul punto segnala il Collegio come sia assolutamente prevalente in giurisprudenza l’orientamento che individua nella provvisorietà della misura e nella necessità che essa non produca uno stabile assetto di interessi, un altro degli indefettibili presupposti del potere del Sindaco di adottare ordinanze contingibili ed urgenti.

Anche il Consiglio di Stato, invero, superando un precedente di segno contrario (Consiglio di Stato, Sez. IV, 13.10.2003, n. 6168) ha precisato che “il potere esercitabile dal Sindaco ai sensi del’art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000 presuppone una situazione di pericolo (…) che non possa essere affrontata con nessun altro tipo di provvedimento, e tale da risolvere una situazione comunque temporanea”, concludendo che tra i limiti che circondano il potere di ordinanza contingibile ed urgente esiste “oltre il limite del rispetto dei principi generali dell’ordinamento, l’urgenza e la provvisorietà” oltre che “la natura residuale dei provvedimenti in questione” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 24.3.2006, n. 1537).

La giurisprudenza di prime cure assolutamente prevalente segue tale indirizzo, avendo affermato che “le ordinanze in questione, per definizione, presentano il carattere della provvisorietà, intesa nel duplice senso di imposizione di misure non definitive e di efficacia temporalmente limitata” (T.A.R. Veneto, Sez. III, 27.12.2007, n. 4107;
in tal senso anche T.A.R. Calabria – Catanzaro, Sez. II, 20.1.2009, n. 47).

Ribadendo il presupposto della provvisorietà della misura ingiunta si è più di recente concluso che “non si ammette che l’ordinanza in oggetto venga emanata per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti ovvero per regolare stabilmente una situazione od assetto di interessi permanente (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. V, 29.12.2010, n. 28169).

Segnala il Collegio che anche questo Tribunale ha da tempo predicato la necessità del presupposto della provvisorietà, in ossequio al quale le ordinanze contingibili ed urgenti non possono essere adottate per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti ovvero per regolare stabilmente una situazione od assetto di interessi permanente: T.A.R. Toscana, Sez. II, 15.3.2002, n. 494, sulle orme di Consiglio di Stato, Sez. VI, 9.2.2001, n. 580.

Alla luce di quanto finora osservato, dunque, il secondo motivo di gravame si prospetta fondato e va conseguentemente accolto.

3.1. Con il terzo mezzo la ricorrente rubrica eccesso di potere per incongruenza, illogicità ed irragionevolezza nonché violazione delle norme sulla sospensione delle pratiche edilizie, lamentando, secondo quattro profili di censura, che illegittimamente la nota assessorile dell’11.3.1996 impugnata unitamente all’ordinanza sindacale ha sospeso l’esame dell’istanza di titolo edilizio avanzata dalla ricorrente.

3.2. Preliminarmente peraltro il Collegio deve farsi carico dell’eccezione di tardività sollevata dal Comune sull’assunto che la predetta nota non è stata gravata nel termine decadenziale.

L’eccezione non merita condivisione. In primo luogo va debitamente rimarcato che la nota impugnata non reca l’indicazione del termine e dell’autorità cui presentare l’eventuale ricorso, in violazione del disposto di cui all’art. 3, comma 4 della L. n. 241/1990, violazione che seppur non incidente sulla legittimità dell’atto, “può incidere sul termine per impugnare l’atto, consentendo al giudice di ammettere la scusabilità dell’errore (Consiglio di Stato, Sez. V, 28.2.2011, n. 1260). In tal senso anche T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. III, 7.4.2011, n. 608 e T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, 1.12.2009, n. 12248.

Vero è che il riconoscimento dell’errore scusabile, in evenienze come quella di specie, non è automatico ma discende da una valutazione discrezionale del Giudice, che deve valorizzare anche altre circostanze che abbiano in concreto influito sull’esercizio del diritto di difesa in giudizio.

A tal fin il Collegio ritiene di dover dar peso anche alla circostanza, di non poco momento, che la nota assessorile in questione pur incidendo la sfera giuridica della ricorrente mercé la sospensione dell’esame della sua istanza, recava anche un contenuto interlocutorio, affermando che “si sospende la pratica in attesa che vengano rimesse tavole progettuali nelle quali siano eliminati i tamponamenti atti a costituire volumi chiusi”.

Pertanto, stante l’omessa indicazione del termine e dell’autorità cui ricorrere e il contenuto ambiguo e contestualmente interlocutorio della nota del’11.3.1996, il Collegio riconosce alla ricorrente l’errore scusabile, rimettendola nei termini di impugnazione.

3.3. Nel merito, con il motivo in disamina la ricorrente svolge quattro censure. Secondo la prima sarebbe illegittimo disporre, come fa la nota impugnata, l’accoglimento dell’istanza di titolo edilizio solo limitatamente ad una parte del suo oggetto, ovverosia relativamente alle opere di consolidamento statico del versante.

La cesura non ha prego poiché nessuna norma vieta all’Amministrazione comunale, a fronte di un’istanza di concessione edilizia di ampio oggetto e portata, di assentirne solo una parte, tanto più ove la stessa abbia, come nella fattispecie, un oggetto funzionalmente e contenutisticamente separabile e distinto rispetto alle altre parti.

3.4. Secondo altra più consistente censura, invece, sarebbe affetta da contraddittorietà la determinazione di non accogliere integralmente la domanda “pur ritenendo valida la proposta”.

Appare al riguardo evidente il lamentato profilo di contraddittorietà insito nella decisione di non accogliere l’istanza “pur ritenendo valida la proposta”.

Se una iniziativa è meritevole di essere giudicata valida, la conseguenza logica è l’accoglimento della domanda e non invece il rigetto.

La censura in scrutinio è pertanto fondata e va accolta.

3.5. Con la terza sub – cesura la ricorrente si duole che la nota gravata abbia violato le norme sulla sospensione delle pratiche edilizie, avendo sospeso l’esame dell’istanza sine die, fino ad una non precisata definizione del piano attuativo del Piano della costa. Il che si risolve per la ricorrente in una misura di salvaguardia non prevista dalla legge nel caso di specie.

3.6. La censura fondata.

Già da tempo la giurisprudenza ha precisato che la sospensione della funzione amministrativa può ammettersi solo ove una norma ad hoc la consenta e che, quanto alla sospensione delle istanze di concessione edilizia, la sospensione può essere legittimata solo a salvaguardia e tutela di contrastanti ed ostative disposizioni di uno strumento urbanistico previamente adottato.

Il Consiglio di Stato anni addietro ebbe infatti a precisare che ai sensi dell’articolo unico della L. n. 3.11.1952, n. 192 il potere di sospendere l’esame delle istanze di concessione edilizia “si concreta appunto nella sospensione dell’obbligo di provvedere nel periodo intercorrente tra l’adozione e l’approvazione del piano regolatore (Consiglio di Stato, Sez. V, 3112.1998, n. 1993)”.

Si è più di recente affermato, nell’ottica della tassatività delle misure di salvaguardia, che “un potere atipico di sospensione appare contrastante con i fondamentali principi di continuità della funzione amministrativa e non è previsto, tra l’altro, neanche dalle norme in materia edilizia (tranne le ipotesi delle misure di salvaguardia in pendenza dell’approvazione dei piani regolatori, di cui all’articolo unico, l. n. 1902 del 1952 e le ipotesi specifiche di cui all’art. 12, t.u. Edilizia . 380 del 2001);
ciò impedisce che possa farsi ricorso (…) ad un’attività sospensiva sine die della funzione amministrativa (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. II, 14.11.2006, n. 9486)”.

Orbene, nel caso all’esame la nota impugnata non fornisce alcun supporto normativo – fattuale a sostegno della disposta sospensione della pratica edilizia avviata con l’istanza della ricorrente, facendo un generico richiamo alla definizione del piano attuativo del Piano della Costa.

Ma, osserva il Collegio, anche ove fossero stati indicati gli estremi di adozione del predetto piano attuativo, la misura di salvaguardia non avrebbe potuto comunque essere applicata poiché l’articolo unico della L. n. 1902/1952, riprodotto all’art. 12 del D.P.R.

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