TAR Pescara, sez. I, sentenza 2015-12-17, n. 201500488
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N. 00488/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00181/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 181 del 2015, proposto da:
A Sl, rappresentata e difesa dagli avv. C D T, M D T, con domicilio eletto presso C D T in Pescara, viale della Riviera n. 39;
contro
Sportello Unico per le attività produttive dell'Associazione dei comuni chietino-ortonese;
nei confronti di
Comune di Chieti, rappresentato e difeso dagli avv. P T, M M, con domicilio eletto presso Tar Pescara Segreteria in Pescara, Via Lo Feudo 1;
per l'annullamento
dei provvedimenti prott. nn. 1451 e 1458 del 02 luglio 2015 con i quali il responsabile unico del procedimento del S.U.A.P. dell'associazione dei Comuni Chietino-Ortonese ha diffidato la ricorrente dall'intraprendere i lavori relativi alla realizzazione dell'edificio denominato D2 con destinazione ristorativa e commerciale nonché dell'edificio A con destinazione sportiva e ricreativa e intimato la stessa a non proseguire con ulteriori azioni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Chieti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2015 il dott. A T e uditi per le parti i difensori l'avv. M D T in proprio e su delega dell'avv. C D T per la società ricorrente e l'avv. P T per il Comune intimato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 - La Società ricorrente, in quanto titolare di terreni oggetto di Accordo di programma privati-Regione-Comune di Chieti per la riqualificazione urbana e lo sviluppo sostenibile del territorio (PRUSST 8-94, denominato la città lineare della costa di cui al dPGR 32/2005), espone:
- di avere sottoscritto in data 12.10.2006 con il Comune di Chieti la convenzione urbanistica prevista dal predetto Accordo;
- di avere quindi presentato al SUAP:
--in data 14.7.2011 “richiesta di provvedimento conclusivo” n. 1420 “per la realizzazione dell’edificio denominato D2 con destinazione ristorativa e commerciale”;
--in data 9.11.2012 i documenti richiesti per l’integrazione della pratica;
- di aver sottoscritto in data 8.7.2014 atto unilaterale d’obbligo in ordine alla realizzazione delle opere di urbanizzazione;
- di aver rappresentato in data 21.8.2014 che tutta la documentazione era agli atti della pratica;
- che in data 4.6.2015, “alla luce del silenzio dell’Amministrazione e, fermo restando l’applicazione dell’istituto del silenzio-assenso in ordine all’istanza … ha formalmente diffidato l’Amministrazione a voler trasmettere … il provvedimento conclusivo del procedimento”, avendo necessità di disporre di un provvedimento espresso;
- di aver quindi comunicato con nota 1.7.2015 l’inizio dei lavori di cui alla predetta istanza.
L’oggetto del ricorso è costituito da due atti adottati in data 2 luglio 2015 con cui il SUAP l’ha diffidata dall’avviare i lavori (prot. 1451) e le ha intimato “di recedere e non insistere con azioni temerarie e intimidatorie, finalizzate solo all’instaurarsi di pretestuosi contenziosi…” (prot. 1458).
La ricorrente asserisce preliminarmente “come il SUAP non contesti la generale operatività, nella presente fattispecie, dell’istituto del silenzio assenso ma ritenga –appunto, sul presupposto della sua astratta applicabilità- il suo mancato perfezionamento per due distinte ragioni…”, e cioè perché “le pratiche riferite agli interventi del PRUSST 8-94 – Zona C sono a tutt’oggi sequestrate dalla Autorità giudiziaria…” ed in quanto “non esiste convenzione urbanistica per gli interventi proposti sull’intera area, … indispensabile presupposto per il rilascio dei titoli edilizi abilitativi”.
La prima di tali ragioni sarebbe tuttavia “del tutto irrilevante”, stante l’obbligo in capo all’amministrazione di ricostruire in ogni caso il fascicolo, mentre la seconda non terrebbe conto che la convenzione urbanistica è stata sottoscritta nel 2006.
2 – Si è costituito in giudizio il Comune di Chieti che ha tra l’altro messo in rilievo:
- la intervenuta rinuncia del direttore dei lavori, circostanza ritenuta di per sé sufficiente ad impedire che la comunicazione di avvio possa avere un qualche seguito;
- la considerazione che il sequestro del fascicolo è stato effettuato nel gennaio 2015, cosa che evidenzierebbe la mancanza di tempi adeguati per ricostruirlo;
- l’assenza di qualsiasi presupposto per il rilascio del permesso o per la formazione di silenzio-assenso, essendo intervenute dopo la convenzione del 2006:
--variante del PRUSST 8-94, approvata con dPGR 5/2013;
--approvazione da parte della Giunta regionale dello schema di un nuovo accordo di programma;
--determinazione del Genio Civile di annullamento del proprio parere in precedenza reso ex art. 13 l. 64/1974;
--impugnazione da parte della ricorrente (“appoggiata” dallo stesso Comune) del predetto atto [r.g. 372/2013] nonché davanti al TSAP del giudizio sfavorevole sulla VIA e di ulteriori atti di carattere inibitorio e ripristinatorio;
--comunicazione del 26 settembre 2004, inviata dall’Ente a tutti i comproprietari interessati, a fornire la documentazione necessaria alla stipula della nuova convenzione.
3 – La ricorrente ha replicato alle deduzioni comunali sostenendo tra l’altro che, “ammesso e non concesso” che non vi sia una convenzione efficace, “vi è che per regola pacifica le convenzioni urbanistiche non sono in rapporto di sinallagmaticità con lo ius aedificandi per essere attinenti alle sole opere di urbanizzazione”, sicché “le vicende di una convenzione urbanistica non possono essere prese in considerazione come presupposto legittimamente [n.d.e., recte : “legittimante”] (e men che meno indispensabile per il conseguimento del singolo titolo edilizio”.
Ha quindi sostenuto che le ulteriori deduzioni comunali non trovano riscontro negli atti impugnati e si riducono perciò ad un’inammissibile integrazione della motivazione.
4 – Il Collegio ritiene di chiarire preliminarmente il contenuto degli atti impugnati.
La diffida prot. 1451 fa seguito a comunicazione del 1° luglio con cui la Società
- premesso di avere fatto richiesta del permesso edilizio e di aver fornito tutta la documentazione richiesta,
- “riscontrata l’inerzia amministrativa essendo trascorsi oltre 30 mesi dalla presentazione della citata documentazione integrativa e che la Legge dispone che non possono essere reiterati argomenti ostativi al rilascio di titoli abilitativi diversi da quelli ufficialmente comunicati”,
ha comunicato “che a far data dal 2 luglio verranno iniziati i lavori…”.
La predetta diffida ha significato che, “nelle more dei dovuti approfondimenti, la comunicazione di inizio lavori, peraltro trasmessa in forma irrituale, risulta assolutamente mancante di qualsiasi presupposto di legittimità e pertanto … non può produrre alcun effetto”.
La seconda nota è invece un riscontro alla diffida a concludere il procedimento (notificata il precedente 8 giugno), che evidenzia in quattro punti le ragioni che lo impediscono e che si conclude con la suddetta intimazione, in ordine alla quale la ricorrente articola uno specifico punto di doglianza lamentando la lesione di principi costituzionali essendole stato rivolto “un ordine-divieto” a non esercitare il diritto di difesa.
5 - L’esame degli atti impugnati consente di rilevare che essi sono fondati sul presupposto che la richiesta di permesso di costruire dovesse essere ancora definita, con esternazione delle ragioni [una di carattere materiale, altre di natura procedimentale] per cui non potesse ancora esserlo. Riguardo allo stretto oggetto della comunicazione di inizio lavori, la diffida si è limitata a constatare che la Società non disponeva di alcun titolo che la legittimasse a tanto. Il contenuto essenziale di tali atti consiste perciò nella intimazione a non iniziare i lavori stante la mancanza di un titolo idoneo nonché nell’esposizione delle ragioni che impedivano la definizione del procedimento.
Tanto il riferimento alla indisponibilità del fascicolo quanto il richiamo alla necessità della stipula di una (nuova) convenzione esprimono, infatti, esigenze di carattere procedurale finalizzate all’esame della richiesta di permesso di costruire, mentre non hanno alcuna evidente attinenza con la ragione portante del provvedimento finalizzato ad interdire l’avvio dei lavori, che di per sé ha quale unico presupposto la constatazione dell’assenza di un titolo che lo consenta. Sembra infatti del tutto evidente che qualunque tipo di risoluzione delle questioni ruotanti intorno alla completezza e alla materiale disponibilità degli atti di per sé non darebbe in ogni caso titolo a dare avvio ai lavori.
Va in proposito osservato che il ricorso non esprime chiaramente su cosa si fondi la pretesa azionata. Viene evocata la “generale operatività” del silenzio-assenso, la sua “astratta applicabilità”, ma non si deduce alcunché che evidenzi come concretamente sia avvenuta la sua formazione nel caso di specie, potendosi registrare unicamente il tentativo di ascrivere al SUAP la contestazione del “suo mancato perfezionamento” per le “due distinte ragioni” oggetto dei motivi di ricorso.
La questione, invece, non risulta essere stata mai prospettata in sede procedimentale. Non trova infatti alcuna conferma negli atti l’affermazione che la ricorrente, avendo interesse “a poter spendere un titolo abilitativo in forma espressa (e non solamente tacita)”, avrebbe a tal fine, “alla luce del silenzio dell’Amministrazione e, fermo restando l’applicazione dell’istituto del silenzio-assenso in ordine all’istanza … formalmente diffidato l’Amministrazione a voler trasmettere … il provvedimento conclusivo del procedimento [ cfr. pp. 5 e 6 del ricorso].
Con la suddetta nota datata 1 giugno 2015 [doc. 8 fasc. ric.] si è invece lamentato “che non risulta adottata alcuna determinazione conclusiva del procedimento” e si è diffidato il SUAP ad adottare “le determinazioni amministrative consequenziali”, senza fare alcun riferimento alla formazione tacita del titolo ed al carattere meramente ricognitivo del titolo richiesto. La comunicazione del 1° luglio [ed è a tale comunicazione via p.e.c., “ricevuta in data 1 luglio alle ore 19.59”, che la diffida fa esplicito ed esclusivo riferimento] non mostra perciò alcuna consequenzialità rispetto a tale antefatto, visto che il preannuncio di avvio dei lavori, senza alcuna indicazione del titolo legittimante che si riteneva di avere nel frattempo (o in precedenza) acquisito, ha costituito un evidente mutamento di linea rispetto alla diffida a concludere il procedimento, risalente a poco più di 20 giorni prima, che invece presupponeva che il titolo dovesse essere ancora rilasciato.
Il ricorso non chiarisce tale ambiguità, visto che, dopo aver premesso che il SUAP non contesta “l’astratta applicabilità dell’istituto del silenzio assenso” (i cui atti lo “presuppongono espressamente”, pur se la “questione … esula dai motivi esposti nei provvedimenti impugnati”: pag. 8), sviluppa le censure senza più entrare in argomento, senza cioè dedurre in maniera specifica [art. 40 cod. proc. amm.] quale titolo ritiene la legittimi a dare inizio ai lavori e senza farsi carico di allegare i presupposti in fatto e in diritto in grado di sostenere la tesi.
I rilievi comunali sono perciò di secondario rilievo rispetto alla constatazione che la pretesa di iniziare i lavori non è sostenuta da alcuna argomentazione e che la diffida non quindi è contestata nell’unico presupposto che la legittima.
5.2 – I molteplici elementi richiamati dalla difesa comunale hanno rilievo non perché integrino una motivazione nella sua parte essenziale del tutto chiara, ma perché evidenziano un insieme di fattori, palesemente noti da tempo a tutte le parti in causa, che smentiscono la tesi della ricorrente (peraltro ribadita in memoria, pag. 8, lett. d) di un procedimento ormai pervenuto alla fase decisoria per essere state da tempo fornite tutte le integrazioni documentali richieste.
È così evocato il “procrastinarsi dell’inerzia dell’Amministrazione” senza considerare che le ultime integrazioni documentali (atto unilaterale d’obbligo) risalivano al luglio e agosto 2014 e che ad esse ha fatto seguito la nota 26.9.2014 [doc. 11 fasc. res.] con cui il Comune di Chieti -premesso che in data 12/10/2006 era stata stipulata la convenzione urbanistica;che con dPGR 5/2013 era stata approvata la variante al PRUSST;che l’esame delle istanze presentate richiedeva la stipula di nuova convenzione- ha invitato la Società a depositare la documentazione allo scopo necessaria.
Che la convenzione del 2006 non fosse più idonea allo scopo, e che quindi si manifestasse l’esigenza di integrare la documentazione, era stato quindi sostenuto dall’Amministrazione in epoca ben precedente a quella in cui si collocano gli atti oggetto del giudizio, cosa che di per sé lascia desumere che prima di allora non potessero sussistere i presupposti per la formazione tacita del titolo.
Poiché non risulta che la ricorrente abbia replicato a tale richiesta, la sua successiva attività (diffida notificata in data 8 giugno 2015 e successiva comunicazione di avvio lavori) si rivela priva di qualsiasi coerenza con lo stato degli atti risultante dallo scambio delle suddette comunicazioni, ed in particolare con l’invito ad integrare la documentazione (che non viene né assecondato né contestato, ma semplicemente ignorato).
Non sembra d’altra parte irrilevante sul procedimento edilizio, e comunque sulla pretesa di avviare i lavori, la determinazione del Genio Civile di annullamento del proprio parere in precedenza reso ex art. 13 l. 64/1974 con ordine di ripristino dello stato dei luoghi [ cfr. nota datata 20 luglio 2015, dove si evidenzia che “per gli aspetti di competenza di questo Genio Civile … l’area in argomento risulta inibita a qualsiasi attività di trasformazione e/o edificatoria poiché trattasi di area golenale classificata esondabile dal vigente PSDA”], anche alla luce del penultimo capoverso delle premesse della convenzione del 2006 [“…la Regione Abruzzo ha adottato il Piano di salvaguardia idrogeologico … e che pertanto ai fini del rilascio dei permessi di costruire vige la norma di salvaguardia…”].
Si tratta di un insieme di elementi che evidenziano la complessità della situazione sottostante, evocata in giudizio essenzialmente attraverso le deduzioni comunali e le repliche della ricorrente.
Il fatto che la suddetta situazione non abbia invece formato oggetto di doglianze, deduzioni o domande fin dall’introduzione del giudizio non è dovuto a carenze motivazionali degli atti impugnati (che, rispetto ai fini immediati che dovevano assolvere, illustrano adeguatamente il percorso logico seguito), bensì all’impostazione di parte ricorrente, che ha presupposto di essere legittimata ad avviare i lavori (al punto di farne oggetto di domanda cautelare) senza dedurre in maniera specifica quale fosse il titolo alla base della pretesa e senza comunque farsi carico di allegare gli specifici modi e termini in cui, nel descritto contesto procedimentale, si sarebbe formato il silenzio assenso.
6 – Ciò premesso, si può concludere:
- che la diffida muove, “nelle more dei dovuti approfondimenti”, dalla necessità di provvedere ad horas a causa della tempistica imposta dalla ditta, il che rende del tutto irrilevanti gli argomenti spesi per sostenere l’obbligo dell’Amministrazione di ricostruire il fascicolo in modo da poter decidere sulle istanze, che non hanno alcuna connessione con la circostanza che l’atto impugnato è stato determinato dalla comunicazione di inizio lavori trasmessa solo nella serata del giorno precedente. Le ragioni esternate e oggetto di censura sono evidentemente da tale prospettiva del tutto superflue, in quanto estranee al contenuto precettivo di un provvedimento interamente fondato sull’assenza di un titolo che potesse consentire l’inizio dei lavori. Non essendo stata allegata e provata la formazione del silenzio assenso (e non risultando alcun riconoscimento in proposito da parte del SUAP) è perciò evidente che il contenuto della diffida risulta interamente vincolato e che la pretesa azionata è del tutto infondata.
6.1 – Dato che l’atto non ha un contenuto precettivo non è chiaro perché l’intimazione sia stata coinvolta nell’impugnazione, risultando evidente che, pur esprimendosi in termini impropri (“intima”), l’Amministrazione ha inteso avvertire parte ricorrente che avrebbe considerato temerarie le azioni che essa avesse intrapreso, cosa di per sé lecita, e comunque, per ciò che rileva ai nostri fini, manifestamente priva di carattere provvedimentale in quanto nemmeno astrattamente in grado di comprimere il diritto di cui all’art. 24 Cost.
La nota potrebbe essere intesa quale atto di arresto procedimentale, lesivo quindi dell’interesse a veder concluso il procedimento, che tuttavia la ricorrente non esplicita muovendo dal diverso presupposto che l’iter fosse stato già definito.
Si può comunque rilevare che il motivo di ricorso incentrato sulla operatività della convenzione del 2006 è contraddetto dai punti 3 e 4 dell’atto, che -nel ribadire la necessità della (nuova) convenzione- fanno riferimento a “ns. precedenti comunicazioni … (in cui) si evidenziava che comunque mancassero documenti necessari ed indispensabili alla conclusione dell’iter per il rilascio del titolo alla comunicazione”, e quindi, evidentemente, anche alla nota del settembre 2014 rimasta priva di seguito che invitava alla stipula di nuova convenzione previo deposito della documentazione allo scopo necessaria.
Gli atti perciò evidenziano che il riferimento alla necessità della convenzione scaturiva da pregresse comunicazioni incentrate sul punto, sicché il secondo motivo di ricorso, che si limita a evocare la convenzione del 2006 senza farsi carico di allegarne la perdurante efficacia e di contestare le richieste istruttorie che presupponevano il contrario, non mette in discussione (sempre ai limitati fini di superare l’arresto procedimentale) il conosciuto fondamento che sorregge la conclusione del SUAP.
Sono evidentemente ininfluenti le deduzioni che la ricorrente svolge nelle memorie in ordine alle suddette complesse vicende, non potendo le stesse integrare gli originari motivi di impugnazione, che –va ribadito - ignorano del tutto il (noto) contesto da cui gli atti impugnati sono emersi.
Si può comunque per completezza rilevare, rispetto alle deduzioni secondo cui il rilascio del titolo edilizio non presupporrebbe l’esistenza di una valida ed efficace convenzione, che la conclusione contraria emerge dalla stessa esposizione della ricorrente, laddove richiama (pag. 4 ric.) clausole dell’Accordo di programma da cui si evince che “stipulare la convenzione con il soggetto proponente” è adempimento preliminare a tutto quanto segue (“rilasciare le autorizzazioni, accettare le eventuali DIA e rilasciare i permessi a costruire…”), come peraltro risulta chiaramente dalla convenzione medesima (art. 3, che disciplina, e quindi ne è logicamente antecedente, la progettazione e realizzazione “dei singoli interventi privati”).
7 – Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.