TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2015-03-24, n. 201504496

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2015-03-24, n. 201504496
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201504496
Data del deposito : 24 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04399/2003 REG.RIC.

N. 04496/2015 REG.PROV.COLL.

N. 04399/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4399 del 2003, proposto da:
P G, rappresentato e difeso dagli avv. F C e E B N, con domicilio eletto presso l’avv. F C in Roma, Via G. Cerbara, 64;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Comando Generale Arma dei Carabinieri;

per l'annullamento:

- della decisione adottata dalla Commissione di disciplina – Comando Regione Carabinieri Sardegna – in data 23 gennaio 2003, di non meritevolezza di conservare il grado;

- del provvedimento del Ministero della Difesa del 12 febbraio 2003 con cui è stata inflitta la sanzione della “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi dell’art. 34, n. 6, della l. 18 ottobre 1961, n. 1168”.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2014 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso notificato il 9 aprile 2003, il sig. Giuseppe P ha adito questo Tribunale per chiedere l’annullamento dei due provvedimenti, come in epigrafe indicati, dai quali è scaturita l’inflizione della sanzione disciplinare della “ perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi dell’art. 34, n.6, l. 18 ottobre 1961, n. 1168 ”.

2. In fatto esponeva che, in sevizio effettivo presso la Stazione dei Carabinieri di Romana (SS), quale carabiniere scelto in servizio permanente, con sentenza del g.u.p. del Tribunale di Sassari, n. 135 del 29.4.2002, veniva condannato alla pena di 1 anno e 10 mesi di reclusione e 2000 euro di multa, su richiesta della parte ai sensi dell’art. 444 c.p.p., con sospensione condizionale della pena e con il beneficio della non menzione nel certificato del casellario giudiziale, per aver svolto “ attività di spaccio di modesti quantitativi ceduti di volta in volta su richiesta dei singoli tossicomani riforniti, svolta senza sistematicità e in assenza di strutture organizzative anche rudimentali, non essendo emersi stabili legami tra il P e gli altri imputati ”.

In conseguenza di ciò veniva sottoposto a procedimento disciplinare, nell’ambito del quale, a sua difesa, chiedeva l’archiviazione ovvero l’applicazione della sanzione più lieve, assumendo che:

a) i reati al lui ascritti non avessero alcuna connessione con il lavoro svolto;

b) la sentenza di patteggiamento non equivale a condanna e non comporta affermazione di colpevolezza;

c) il ritrovamento di alcune cartucce al momento dell’ispezione della sua abitazione non denota alcuna capacità di abuso dell’arma.

Ciò nonostante, la Commissione di disciplina, all’esito dell’adunanza del 23 gennaio 2003 deliberava che “ il carabiniere scelto P G non è meritevole di conservare il grado ”.

A tale deliberazione faceva, quindi, seguito, la determinazione del 12.2.2003 con cui il Ministero della Difesa ha disposto la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.

3. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di diritto:

I. Violazione del principio di adeguatezza dell’istruttoria. Eccesso di potere per falsità ed erroneità dei presupposti. Violazione del principio di ragionevolezza. L’amministrazione non avrebbe tenuto in debito conto delle speciali circostanze che hanno indotto il ricorrente alla scelta del rito del patteggiamento, ovvero lo stato depressivo maturato in conseguenza al regime carcerario sofferto.

Non è stato, altresì, considerato la giustificazione difensiva addotta, in sede disciplinare ovvero che la frequentazione con i tossicodipendenti sarebbe stata motivata dall’intento di giungere ad un’operazione di servizio che lo mettesse in luce come investigatore, come documentato da varie annotazioni di servizio.

II. Violazione art. 3, l. n. 241 del 1990. Violazione art. 4, d.m. 16.9.1993, n. 603. Violazione dell’autovincolo regolamentare. Eccesso di potere per omessa motivazione, ad opera del comandante della Regione Carabinieri “Sardegna”, del deferimento al cospetto della commissione disciplina.

Nel provvedimento di rinvio davanti alla Commissione non si è dato conto dei motivi per i quali si è ritenuta applicabile, nel caso di specie, la più grave delle sanzioni.

III. Violazione di legge (art. 10, l. n. 241/90 e circolare n. 457 del 15 settembre 1955) per non aver posto in visione dell’inquisito il rapporto finale dell’ufficiale inquirente. Violazione del principio del contraddittorio. Violazione del principio di adeguatezza dell’istruttoria.

2. Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa allegando la documentazione inerente al procedimento disciplinare di cui in causa, chiedendo, nel merito il rigetto del ricorso perché infondato.

3. Alla camera di consiglio del 26.5.2003 la causa è stata rinviata alla trattazione di merito.

4. All’udienza del 9 dicembre 2014 la causa è passata, infine, in decisione

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato nel merito.

Giova, in via preliminare, osservare come, per giurisprudenza consolidata (cfr. Cons. St., sez. IV, n.7964/2004 e n.339/2006), il giudizio disciplinare avente ad oggetto la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati, con le conseguenti scelte sanzionatorie, non risulta sindacabile in punto di legittimità, in quanto espressione di discrezionalità amministrativa, salvo che le sanzioni non siano puntualmente tipizzate o sussistano evidenti profili di sproporzionalità, irragionevolezza e travisamento (così, più di recente, Cons. St., sez. IV, 05 luglio 2012, n. 3948), censure che, nel caso all’esame, risultano prive di fondamento.

Il gravato provvedimento, con cui è stata disposta la sanzione della perdita del grado, motiva l’applicazione della più grave delle sanzioni, ai sensi dell’art. 34, n. 6, l. 18 ottobre 1961, n. 1168, perché il carabiniere scelto, “ in epoche diverse: - con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, deteneva e cedeva a terzi sostanza stupefacente del tipo cocaina;
- al fine di trarne personale profitto, custodiva illegalmente e portava in luogo pubblico 254 cartucce cal. 9 parabellum che aveva sottratto all’Amministrazione Militare durante il servizio prestato. Tali condotte, già sanzionate penalmente, sono da ritenersi biasimevoli sotto l’aspetto disciplinare, in quanto contrarie ai principi di moralità e rettitudine che devono improntare l’agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato ed ai doveri di correttezza ed esemplarità propri di un appartenente all’Arma dei carabinieri, nonché lesive del prestigio dell’Istituzione. I fatti disciplinarmente rilevanti sono di gravità tale da richiedere l’irrogazione della massima sanzione disciplinare di stato.”

A fondamento della sanzione sono stati posti, innanzitutto, fatti penalmente accertati e sanzionati, con sentenza emessa su richiesta della parte ai sensi dell’art. 444 c.p.p dal gup del Tribunale di Sassari il 28 aprile 2002, n. 135.

L’art. 653 c.p.p., come modificato con la novella del 2001 (l. 27 marzo 2001, n. 97), infatti, ha statuito, da un lato, come anche la sentenza penale irrevocabile di condanna, al pari della sentenza di assoluzione, produca effetti nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità in ordine all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso;
per un altro verso, ha sancito che ogni sentenza penale, indipendentemente dal modulo procedimentale prescelto ed adottato (procedimento ordinario o procedimenti semplificati), costituisce titolo idoneo a produrre l'effetto estensivo di cui all'art. 653.

Lo stesso legislatore del 2001 ha quindi inserito, all’art. 445 c.p.p. sugli effetti dell’applicazione della pena su richiesta, il comma 1bis che espressamente fa salva l’applicabilità dell’art. 653 c.p.p. anche alla sentenza di patteggiamento: norma, dichiarata costituzionalmente legittima con riferimento agli artt. 3, 24, 111 Cost. (Corte Cost. 18.12.2009, n. 336) e dalla quale discende la preclusione, nel corso del giudizio disciplinare, della possibilità che siano compiuti autonomi accertamenti de facto .

Ciò posto, non è in alcun modo censurabile, nei limiti del sindacato esterno spettante a questo giudice, la valutazione ed il rilievo conferito, in sede disciplinare, a quei fatti già accertati e sanzionati in sede penale, il cui disvalore è stato apprezzato autonomamente dall’amministrazione come incidente sul prestigio ed il decoro dell’Arma dei Carabinieri, sulla base di un giudizio che non appare in alcune modo affetto da manifesti vizi di sproporzionalità, irragionevolezza o travisamento dei fatti.

Se, infatti, è vero che la giurisprudenza amministrativa richiede che in sede di procedimento disciplinare i fatti accertati con sentenza di condanna passata in giudicato (ancorché pronunciata in base a patteggiamento della pena) debbano essere autonomamente valutati per l'incidenza che possono avere sul rapporto di lavoro, con particolare riferimento all'immagine e all'onorabilità dell'amministrazione stessa, senza che la sentenza penale patteggiata possa assurgere a presupposto unico per l'applicazione della sanzione disciplinare, è altrettanto vero, come più volte precisato dalla stessa giurisprudenza, che la autonoma valutazione che la p.a. è chiamata a compiere nei casi sopra esposti può limitarsi ad un giudizio sintetico quando la gravità degli illeciti penali è tale da rendere palese l'incompatibilità tra la loro commissione e l'esercizio delle funzioni demandate agli appartenenti alle Forze armate, attesa la gravità del danno di immagine che ne deriva per l'istituzione (cfr. Cons. Stato, VI, 22 agosto 2006 n. 4929;
Tar Lombardia, Milano, sez. III, 03 febbraio 2009, n. 1087).

Si lamenta, nella specie, la violazione del principio di adeguatezza dell’istruttoria e del principio di ragionevolezza perché l’amministrazione non avrebbe dato il giusto rilievo alle argomentazioni difensive addotte dal ricorrente.

L’assunto è privo di fondamento.

Risultano acquisite agli atti e vagliate nell’ambito del procedimento disciplinare svoltosi innanzi alla commissione di disciplina le annotazioni di servizio richiamate a sua discolpa dal P, così come ampiamente articolata è stata la difesa svolta dall’ufficiale difensore che quelle stesse annotazioni ha più volte richiamato, così come risulta dal processo verbale della seduta della commissione del 23.1.2003.

Sulla base di un’adeguata attività istruttoria e difensiva, la commissione si è dunque determinata nel giudizio di non meritevolezza della conservazione del grado.

Nella motivazione della determinazione del Direttore Generale del 12.2.2003, qui gravata, si dà, infine, conto del fatto che il comportamento già sanzionato penalmente è da ritenersi contrario ai principi di moralità e rettitudine che devono improntare l'agire di un militare oltre che ai doveri derivanti dal giuramento da egli prestato, ritenendo, pertanto, la condotta medesima in contrasto con il modello di esemplarità e rettitudine che l'Arma vuole rappresentare.

Tali motivazioni, lungi dal rifarsi solo alla condanna penale, danno puntualmente conto delle ragioni disciplinari e di stato per cui la prosecuzione del rapporto con il ricorrente è stata ritenuta incompatibile con il giuramento prestato e con l'immagine ed i doveri istituzionali dell'Arma, così come previsto dall'art. 34 comma 1 n. 6 della L. 1168/61.

Sotto tutti i profili evidenziati, il primo motivo di ricorso è, quindi, destituito di fondamento.

2. Del pari, infondati risultano essere il secondo ed il terzo motivo con cui si censura, in particolare, la mancata ostensione delle conclusioni formulate, dall’ufficiale incaricato, nel rapporto finale con cui è stato disposto il deferimento del carabiniere scelto davanti alla commissione di disciplina nonché l’omessa o insufficiente motivazione del medesimo rapporto finale.

La documentazione versata in atti dall’amministrazione dimostra, come in ogni fase del procedimento, ed in particolare in quella dell’accertamento disciplinare, sia stata garantita la più ampia partecipazione dell’inquisito ed il proprio diritto di difesa, in particolare:

- con lettera del 29 novembre 2002 veniva comunicato al sig. P l’avvio dell’accertamento disciplinare disposto nei suoi confronti, con espressa indicazione dei motivi e dell’invito a prendere visione di tutti gli atti già acquisti;

- con comunicazione del 30 novembre 2002 veniva assegnato il termine entro il quale presentare giustificazioni, documenti o per fare istanza per ulteriori attività istruttorie;

- ultimato l’accertamento disciplinare, con comunicazione del 4 dicembre 2002, veniva invitato a prendere visione della relazione riepilogativa e veniva assegnato nuovo termine a difesa;

- con rapporto finale del 13 dicembre 2002 veniva, dunque, deferito al giudizio della commissione di disciplina secondo quanto previsto dall’art. 38, comma 2, l. 18 ottobre 1961 n. 1168.

Il rapporto finale, giova precisare, è l’atto conclusivo dell’accertamento disciplinare, nel quale l’ufficiale esprime il proprio convincimento sulla responsabilità dell’incolpato e dispone l’eventuale deferimento alla commissione di disciplina. Tale documento non viene trasmesso alla commissione di disciplina per evitare che l’organo decidente possa essere influenzato dalle valutazioni espresse dall’ufficiale inquirente. Non viene dato in visione nemmeno all’inquisito, il quale, peraltro, vede garantito il proprio diritto al contraddittorio attraverso il riconoscimento del diritto di accesso a tutti gli atti dell’accertamento disciplinare, ivi compresa la relazione riepilogativa.

Nelle “Istruzioni per l’applicazione della legge 18 ottobre 1961, n. 1168”, è d’altra parte posta chiaramente in luce la differenza tra relazione riepilogativa di tutto l’accertamento disciplinare “ nella quale – l’ufficiale incaricato - illustra, senza esprimere alcun apprezzamento o giudizio, gli atti raccolti ” (art. 2, lett. c, accertamento disciplinare), come tale espressamente ostensibile (art. 2, lett. e, accertamento disciplinare), e il rapporto finale sempre da quest’ultimo redatto che, proprio per gli apprezzamenti che contiene, viene trasmesso “ direttamente ” all’Autorità che ha disposto l’accertamento disciplinare, senza che ne sia prevista l’ostensione all’interessato (art. 4, accertamento disciplinare).

Il rapporto finale prodotto in giudizio risulta, infine, ampiamente motivato, cosicché non appare censurabile nemmeno con riguardo all’asserita violazione dell’art. 3, l. n. 241/90 e dell’art. 4, d.m. 16.9.1993, n. 603.

3. Per tutte le ragioni sopra esposte il ricorso non merita accoglimento e deve, pertanto, essere rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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