TAR Venezia, sez. II, sentenza 2023-07-03, n. 202300938

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. II, sentenza 2023-07-03, n. 202300938
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202300938
Data del deposito : 3 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/07/2023

N. 00938/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00169/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 169 del 2010, proposto da
Condominio Residence Plaza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F A, con domicilio eletto presso il suo studio in Mestre-Venezia, via Torino, 125;

contro

Comune di Eraclea, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati R B, K M, G R C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio R B in Mestre Venezia, via Forte Marghera 191;

per l'annullamento

dell'ordinanza n. 145 prot. 29787 del 18 novembre 2009 per la demolizione delle opere e la contestuale intimazione alla cessione di aree;
nonché di ogni atto annesso, connesso o presupposto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Eraclea;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 4 aprile 2023 il dott. Marco Rinaldi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il Condominio Residence Plaza è un complesso residenziale, composto da 91 appartamenti e alcuni negozi, sito in Eraclea Mare, dotato di un ampio parco privato con piscina, delimitato da una recinzione con paletti in legno e rete metallica, alta 1,5 m..

Con il ricorso all’esame, il Condominio ha impugnato l’ordinanza n. 145/2009, con cui il Comune di Eraclea, da un lato, ha ordinato al Condominio la demolizione della rete e dei paletti in legno, e dall’altro lato, ha intimato, al medesimo Condominio, la cessione dei terreni catastalmente identificati al Fg. 58, mappali 255, 256 e 257, che secondo l’Ente Civico sarebbero condominiali e avrebbero dovuto essere ceduti al Comune in forza di un piano di lottizzazione convenzionato del 1982, modificato nel 1990.

Ha resistito al ricorso il Comune di Eraclea, chiedendone il rigetto.

Il ricorso merita parziale accoglimento.

La questione decisiva ai fini della risoluzione della controversia riguarda, innanzitutto, la necessità o meno di un titolo edilizio volto a consentire l’installazione della recinzione di cui è stata disposta la demolizione.

Ad avviso del Collegio, l’installazione della recinzione posta a protezione del parco privato, realizzata dal Condominio con paletti in legno e rete metallica plastificata, alta 1,5 m., senza alcuna opera in muratura, non richiedeva il previo rilascio di un titolo edilizio, sicchè l’ordinanza impugnata, nella parte in cui ordina la demolizione della suddetta recinzione, è illegittima.

La giurisprudenza ha, invero, chiarito che la valutazione in ordine alla necessità del titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione. Di conseguenza, si ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali, ad esempio, recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà. Viceversa, è necessario il titolo abilitativo quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio” (C.GA.R.S., 19 novembre 2018, n. 336). Sul punto è concorde anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, per cui “la realizzazione della recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento, non comporti un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 c.c. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto”, specificando come “su queste basi, è stato sostenuto che il permesso di costruire (e, nel precedente regime, la concessione edilizia), mentre non è necessario per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, lo è quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica” (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 dicembre 2019, n. 8600).

Nel caso di specie, il Condominio ricorrente ha posto a protezione/delimitazione del parco privato una recinzione in rete metallica plastificata e paletti in legno, alta mt. 1,50 (senza alcuna opera in muratura e dello spessore di pochi millimetri): l’opera perciò non pare essere contraddistinta dal carattere della permanenza né risulta atta a determinare una modificazione o trasformazione stabile e pervasiva del territorio e dell’ambiente circostante.

Il modesto impatto e la facile rimovibilità giustificano la mancata necessità di un titolo autorizzativo, rientrando tra le attività di edilizia libera ex 6 del d.P.R. n. 380/2001, considerato che la perimetrazione del fondo costituisce esplicazione materiale dello ius excludendi alios previsto dall’art. 841 c.c. Non si è, dunque, in presenza di un intervento edilizio abusivamente realizzato, trattandosi piuttosto dell'estrinsecazione lecita dello "ius excludendi alios", immanente al diritto di proprietà.

Del resto, lo stesso Comune, nelle proprie difese, sembra riconoscere che la recinzione realizzata dal Condominio ricorrente non richiedeva il rilascio di un previo titolo edilizio, salvo poi affermare (contraddittoriamente) che era necessario ottenere un titolo in sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001.

L’assunto è contraddittorio e non può essere condiviso in quanto se non sussiste l’obbligo di acquisire un titolo edilizio, non può neanche configurarsi l’obbligo di presentare una richiesta in sanatoria.

E’, pertanto, inconferente il richiamo all’art. 36 del DPR 380/2001, atteso che, non essendo necessario alcun titolo edilizio, non è neppure necessario l’accertamento della doppia conformità dell’opera.

L’impugnazione della diffida a cedere i terreni catastalmente identificati al Fg. 58 mappali 255, 256 e 257 è invece inammissibile per originaria carenza d’interesse.

L’atto impugnato ha, infatti, carattere di mera diffida e non presenta alcuna lesività se non seguito da altri provvedimenti ben più incidenti sulle posizioni giuridiche soggettiva degli interessati.

Gli atti di diffida hanno lo scopo di mettere a conoscenza il loro destinatario dei profili di carenza/illegittimità riscontrati nella sua condotta e di assegnare un termine per provvedere a colmare le carenze o eliminare le illegittimità (CdS, sez III, 5.5.2017 n. 2073).

La giurisprudenza amministrativa ha, in particolare, chiarito che le diffide in senso stretto consistono nel formale avvertimento - indirizzato ad un soggetto (pubblico o privato), tenuto all'osservanza di un obbligo in base ad un preesistente titolo (legge, sentenza, atto amministrativo, contratto) - di ottemperare all'obbligo stesso.

Esse, dunque, non hanno carattere novativo di tale obbligo e usualmente il loro effetto consiste nel far decorrere un termine dilatorio per l'adozione di provvedimenti sfavorevoli nei confronti dei soggetti destinatari, i quali, nonostante l'intimazione, siano rimasti inosservanti del proprio obbligo (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 gennaio 2018, n. 62).

Ne consegue che, proprio per il loro carattere ricognitivo di obblighi che l'amministrazione assume come preesistenti e per la loro natura interlocutoria, le diffide in senso stretto non sono immediatamente lesive della sfera giuridica del destinatario, a differenza dei successivi provvedimenti sfavorevoli, e - come tali - non sono ritenute atti immediatamente impugnabili (Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2015 n. 2215;
Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2005 n. 6257).

Alla luce delle suesposte considerazioni l’impugnazione della diffida a cedere i terreni deve essere dichiarato inammissibile per originaria carenza d’interesse poiché proposta contro un atto privo di immediata efficacia lesiva.

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della soccombenza reciproca e della problematicità delle questioni che hanno dato origine alla vertenza.

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