TAR Trento, sez. I, sentenza 2014-05-14, n. 201400185
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N. 00185/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00046/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento
(Sezione Unica)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 46 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Nives Santorum, rappresentato e difeso dall'Avv. M V, con domicilio eletto presso il Trga di Trento, in Trento, via Calepina n. 50;
contro
Comune di Riva del Garda - in persona del Sindaco pro tempore;
per l'annullamento
- del diniego di condono edilizio per l’ampliamento del seminterrato dell’edificio in p.ed. 570 c.c. Riva, loc. Gavazzo, emesso dal Responsabile dell' unità operativa dell'edilizia presso il Comune di Riva del Garda in data 18 dicembre 2012, notificato il 19 dicembre 2012, nonché i provvedimenti presupposti e consequenziali;
e, per i motivi aggiunti depositati in data 18 novembre 2013:
- dell'ordinanza di rimessa in pristino ai sensi degli artt. 123 e 134 della L.P. n. l/2008 n. 1 per opere eseguite in assenza di segnalazione certificata di inizio attività consistenti nell'ampliamento del seminterrato dell'edificio in p.ed. 570 C.C. Riva del Garda, località Gavazzo, con i provvedimenti consequenziali e presupposti;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2014 il Cons. Paolo Devigili e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, la signora Nives Santorum, proprietaria dell’edificio contraddistinto dalla p.ed 570 c.c. Riva, impugna il provvedimento di data 18 dicembre 2012, con cui il Comune di Riva del Garda ha respinto la domanda di condono edilizio, inoltrata al fine di ottenere, ex L.p. n. 3/2004, la sanatoria dell’ampliamento del proprio edificio a seguito del realizzo di un locale accessorio, parzialmente interrato.
L’amministrazione ha motivato il provvedimento di diniego in forza dei seguenti riscontri:
- Il nuovo locale è stato realizzato in sostituzione di un originario terrapieno, a propria volta ricavato sopraelevando il livello naturale del terreno.
- Ciò ha determinato un nuovo volume edilizio emergente dal terreno, realizzato a distanza inferiore di 10 metri rispetto ad un frontistante edificio (p.ed. 568) appartenente a terzi.
- La normativa contenuta nell’art. 12 delle N.t.A. del locale P.R.G. prescrive la distanza tra fabbricati nella misura minima di metri dieci, sia in caso di pareti finestrate, sia nell’eventualità di pareti cieche.
- L’art. 1, co. 3, lett. b) della Legge provinciale di Trento n. 3/2003, recante “Disposizioni in materia di definizione degli illeciti edilizi (condono edilizio)”, esclude la possibilità della sanatoria nel caso di opere che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime in seguito alla violazione delle norme in materia di distanze.
- L’intervento, ricadendo in area assoggettata al vincolo idrogeologico, contrasta con l’art. 5 della citata legge provinciale.
La ricorrente affida il gravame ai seguenti motivi:
1. Violazione degli artt. 4 e 5 della L.P. n. 3/2004 in relazione all’art. 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 326/2003 e modificato dalla L. n. 350/2003.
2. Violazione della L.P. 3/2004 e dell’art. 32 del D.L. 369/2003 e della legge di conversione nonché successive modifiche. Eccesso di potere per mancata istruttoria e verifica delle effettive caratteristiche del manufatto e della sua utilizzazione.
Con successivo provvedimento di data 15 marzo 2013, l’amministrazione ha parzialmente annullato il proprio provvedimento di diniego, limitatamente a quella parte del dispositivo che ricollegava all’esistenza del vincolo idrogeologico uno dei motivi ostativi al rilascio del condono, confermando peraltro le ulteriori ragioni poste a fondamento del già pronunciato rigetto.
Il Comune di Riva del Garda non si è costituito in giudizio. Tuttavia, sui fatti di causa, ha prodotto una dettagliata relazione tecnica, corredata da documenti e fotografie dei luoghi.
In data 15 luglio 2013 l’amministrazione comunale ha emesso nei confronti della ricorrente una Ordinanza di rimessa in pristino “ai sensi degli artt. 123 e 134 della L.P. n. 1/2008, per opere eseguite in assenza di segnalazione certificata di inizio attività consistenti nell’ampliamento del seminterrato dell’edificio”.
Il nuovo provvedimento è stato gravato dalla ricorrente con motivi aggiunti.
Con gli stessi l’interessata, oltre a richiamare in via derivata i motivi di impugnazione esposti con l’atto introduttivo, ha censurato l’eccesso di potere per erronea rappresentazione, carenza di istruttoria e contraddittorietà motivazionale, nonché la violazione degli artt. 129 e 134 della L.p. 1/2008.
In relazione ai predetti motivi aggiunti il Comune di Riva del Garda ha prodotto una nuova relazione con allegata documentazione e fotografie.
Parte ricorrente ha depositato memoria difensiva.
Alla pubblica udienza del giorno 27 marzo 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con la prima censura mossa nell’atto introduttivo, l’interessata deduce per un primo aspetto la illegittimità dell’impugnato diniego di condono, essendo decorso, dalla data di presentazione della domanda, il termine biennale stabilito dall’art. 32, comma 37, della Legge n. 326/2003, ed essendo dunque già maturato il silenzio – assenso previsto dalla norma.
Per un secondo aspetto, nello stesso motivo, parte ricorrente contesta l’operatività del vincolo idrogeologico, assunto nel provvedimento di diniego quale profilo ostativo ulteriore, rispetto alla violazione della normativa sulle distanze, al rilascio del condono edilizio.
Con riguardo a detto secondo profilo, il Collegio deve dichiarare l’intervenuta cessazione della materia del contendere, posto che il Comune di Riva del Garda, nel corso del giudizio, ha provveduto, limitatamente a tale parte, ad annullare le ragioni del proprio diniego, riconoscendo l’inoperatività del predetto specifico vincolo.
Ciò posto, in relazione al primo motivo del ricorso, residua il profilo investente la sollevata questione concernente la impossibilità della formazione del silenzio – accoglimento in presenza della violazione della normativa stabilita in tema di distanze fra edifici.
In ordine a tale aspetto, il Collegio osserva che la normativa disciplinante il condono edilizio nell’ambito del territorio provinciale (Art. 1, co. 3, L.p. n. 3/2004) esclude radicalmente la possibilità di ottenere la sanatoria nei casi (lett. a) di interventi abusivi effettuati su aree facenti parte del demanio pubblico e (lett. b) per le opere che creano limitazioni di tipo urbanistico a proprietà finitime per violazione delle norme in materia di distanze.
Al riguardo, va ritenuto che il provvedimento abilitativo tacito, costituito per effetto del silenzio – assenso per l’inutile decorso del termine biennale previsto dalla disposizione invocata da parte ricorrente, può ritenersi formato soltanto se la domanda presentata possiede i presupposti per essere accolta e, in particolare, se l’istanza è conforme al modello legale previsto dalla norma che regola il procedimento di condono.
In difetto dei requisiti sostanziali e delle condizioni di legge stabilite normativamente per potervi accedere, la mancata definizione da parte del Comune entro il termine legalmente fissato non può determinare la regolarizzazione dell’abuso (T a.r. Puglia Bari, 19.4.2012, n. 743).
In altri termini, se mancano le condizioni di legge per un provvedimento esplicito di rilascio del condono edilizio, non può ritenersi che le medesime condizioni, viceversa, sussistano per un provvedimento implicito qual’è il silenzio – accoglimento (Cass.pen., 6.10.2011, n. 42415).
Nella fattispecie in esame, peraltro, è incontestato che l’ampliamento edilizio effettuato dalla ricorrente non rispetta, nei confronti del frontistante edificio sito sulla p.ed. 568, la distanza minima di dieci metri, come imposto dall’art. 12 delle N.t.A. del locale P.r.g.
Ne deriva che la domanda di condono inoltrata dalla ricorrente non rispetta i requisiti sostanziali e le condizioni tassativamente richieste dalla normativa provinciale per il rilascio della speciale sanatoria edilizia, ostandovi in radice il contenuto dell’art. 1, co. 3, della L.P. n. 3/2004, di talchè non può neppure essere invocato, per le ragioni suesposte, l’istituto del c.d. silenzio – accoglimento.
A ciò va aggiunto che le norme degli strumenti urbanistici locali che impongono il rispetto di determinate distanze fra edifici, investendo l’ordinato assetto costruttivo del territorio, sono primariamente dirette alla tutela di interessi generali e pubblici di ordine urbanistico e come tali sono inderogabili.(Cass. 31 maggio 2006, n. 12966).
Ne consegue che, nella fattispecie in esame, la violazione della norma regolamentare in materia di distanze fra costruzioni (art.12) non solo costituisce un’evidente limitazione urbanistica alla proprietà finitima, di per sé già ostativa al rilascio del condono normato dalla legislazione provinciale di Trento, ma configura altresì un’ inammissibile violazione degli inderogabili principi posti a tutela dei prevalenti interessi pubblici, sottesi alla rigorosa disciplina dettata dal pianificatore locale.
In definitiva il motivo di ricorso si appalesa infondato.
Con il secondo motivo parte ricorrente deduce, sotto altro profilo, la illegittimità dell’impugnato diniego, atteso che il nuovo locale costituirebbe una costruzione complementare al preesistente edificio, per la quale varrebbe, in tema di distanze, la diversa norma contenuta nell’art. 6 delle N.t.A. al P.R.G. di Riva del Garda.
Detta invocata disposizione regolamentare, applicabile anche ai locali di sgombero fuori terra (escluse cantine), ne consentirebbe dunque il realizzo alla diversa condizione che sia rispettata la distanza di metri tre dal confine.
Sarebbe dunque illegittimo il provvedimento di rigetto della domanda di condono, fondato sulla violazione della più restrittiva norma contenuta nell’art. 12 del medesimo regolamento locale.
Il Collegio reputa infondata l’argomentazione svolta sul punto dalla ricorrente.
Invero, pur volendo porre in disparte la non irrilevante circostanza secondo cui il locale in questione è stato definito nella domanda di condono quale “cantina”, come tale espressamente escluso dal novero delle costruzioni complementari, va riscontrato che quanto abusivamente realizzato dall’interessata costituisce in realtà un effettivo ampliamento del proprio edificio.
La documentazione fotografica in atti consente, infatti, di verificare che il locale in questione, lungi dal costituire un modesto manufatto separato dall’edificio e realizzato nelle pertinenze della proprietà, consiste in un ampliamento strutturale del preesistente edificio, rispetto al quale si pone in termini di ininterrotta espansione ed estensione.
Appare, al riguardo, significativo anche il contenuto della relazione predisposta dalla ricorrente a corredo della domanda di condono. In essa viene espressamente evidenziato che l’opera edilizia consiste nell’ampliamento della p.ed. 570 c.c. Riva, ottenuto mediante il realizzo di un nuovo locale, avente una superficie complessiva di m.q. 45,88 ed una superficie utile pari a m.q. 27,53.
L’effettivo e non irrilevante ampliamento edilizio, direttamente aggiunto al corpo di fabbrica preesistente senza soluzione di continuità, risulta estraneo alla categoria dei complementari e separati, nonchè modesti, manufatti ai quali l’art. 6 delle locali disposizioni regolamentari dedica il diverso e più tollerante regime in tema di distanze.
Ne discende che l’ampliamento in esame rimane normato, quanto al rispetto delle distanze, dalla disciplina fissata nella disposizione regolamentare di cui al sopravisto art. 12 (dieci metri dal frontistante edificio) e non rispetta i presupposti ed i requisiti fissati dal legislatore provinciale per poter conseguire il condono edilzio.
Con i successivi motivi aggiunti parte ricorrente impugna l’ordinanza di rimessione in pristino emessa dall’amministrazione comunale.
L’infondatezza dei motivi esposti con il ricorso iniziale è tale da determinare il rigetto del primo e del secondo dei motivi aggiunti, posto che i medesimi reiterano, in via derivata, le non accolte censure formulate nell’atto introduttivo al giudizio.
Quanto agli ulteriori motivi aggiunti, essi involgono in via diretta l’impugnata ordinanza di rimessione in pristino.
Il Collegio ritiene questi ultimi meritevoli di accoglimento nella parte, assorbente, in cui viene dedotta la carenza di istruttoria e la contraddittorietà motivazionale anche in riferimento alla ritenuta, conseguente, applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 129 e 134 della L.P. n. 1/2008.
In effetti, la disamina del testo dell’ordinanza non consente di apprezzare minimamente, né per il profilo tecnico e fattuale, né per l’aspetto giuridico-sanzionatorio, il ragionamento seguito dall’amministrazione.
Quest’ultimo, invero, si rivela del tutto imperscrutabile e tale, comunque, da non assolvere alle condizioni minime richieste per la intelligibilità del provvedimento repressivo e del suo dispositivo.
In particolare non è dato comprendersi come, a fronte del giustificato rigetto della domanda di condono, possa conseguire, nel caso di specie, la applicazione di sanzioni edilizie previste per opere assoggettate a segnalazione certificata di inizio attività.
L’accoglimento, nei limiti anzidetti, dei motivi aggiunti in esame, onera sul punto l’amministrazione comunale di Riva del Garda di provvedere alla riedizione, in termini rapidi e comunque coerenti con il rigetto della domanda di condono e secondo una congrua motivazione, dell’ordinanza di remissione in pristino di cui viene qui disposto l’annullamento.
In definitiva, il primo motivo del ricorso introduttivo viene in parte rigettato e, per altra parte, va dichiarata cessata la materia del contendere.
Il secondo motivo del ricorso viene rigettato.
Quanto ai separati motivi aggiunti, vanno accolti, nei limiti della motivazione che precede, quelli dedotti quali vizi propri dell’ordinanza di rimessione in pristino.
Le spese del giudizio sono compensate atteso il limitato e parziale accoglimento delle ragioni esposte dalla ricorrente.
All’accoglimento dei motivi aggiunti consegue, peraltro, il rimborso a carico dell’amministrazione intimata del contributo unificato versato da parte ricorrente in tale sede.