TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-02-26, n. 201602674

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2016-02-26, n. 201602674
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201602674
Data del deposito : 26 febbraio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09653/2015 REG.RIC.

N. 02674/2016 REG.PROV.COLL.

N. 09653/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9653 del 2015, proposto da:
Industrie Elettromeccaniche Europee S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti R P, P M, prof. A P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanni D'Amato in Roma, Via Calabria n.56;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

A.E.G. Srl;

per l'annullamento, previa sospensiva,

1) Provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato prot. n. 1759 del 27 maggio 2015, notificato a mezzo pec alla società ricorrente il giorno 12 giugno 2015, con il quale è stato intimato il pagamento della sanzione amministrativa di € 388.865,10 per assunta realizzazione in concorso con altre imprese societarie, in violazione dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, di un’intesa restrittiva della concorrenza in occasione di 24 procedure di pubbliche indette da Trenitalia S.p.A. per l’approvvigionamento di beni e servizi elettromeccanici ad uso ferroviario;

2) Atto dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato recante la comunicazione delle risultanze istruttorie e del termine di chiusura della fase di acquisizione degli elementi probatori nel procedimento sanzionatorio avviato ai sensi dell’art. 14 della legge n. 287/1990 giusta del. AGCM del 5 febbraio 2014 per assunta violazione dell’articolo 2 della medesima legge e dell’art. 101 del TFUE;

3) Deliberazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato pronunciata all’esito dell’adunanza del 24 settembre 2014, recante l’estensione del richiamato procedimento sanzionatorio alla società ricorrente, originata dalla AEG S.r.l. per effetto dell’atto di scissione paritetica parziaria, deliberata nel dicembre 2012 e perfezionatasi nel mese di giugno del successivo anno 2013;

4) Deliberazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 5 febbraio 2014, recante l’avvio del procedimento per assunta violazione dell’articolo 2 della legge n. 287/1990 e dell’art. 101 del TFUE;

5) Ogni altro atto presupposto, consequenziale o comunque connesso a quelli specificamente impugnati con il presente ricorso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust, con la relativa documentazione;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 27 gennaio 2016 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

In seguito all’acquisizione presso gli Uffici della Procura della Repubblica di Firenze nonché presso quelli della locale Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) in data 5 febbraio 2014 avviava un’istruttoria, ai sensi dell’art. 14 l. n. 287/90, volta ad accertare eventuali violazioni dell’art. 2 l. cit. o dell’art. 101 TFUE relativamente a condotte, poste in essere dai principali operatori del mercato della fornitura di beni e servizi elettromeccanici per il comparto ferroviario, suscettibili di integrare una fattispecie di intesa restrittiva della concorrenza. Successivamente, nel corso del 2014, il procedimento era esteso anche ad altri soggetti, tra cui la Industrie Elettromeccaniche Europee S.r.l. (IEE).

Comunicate le risultanze istruttorie in data 3 marzo 2015 ed esaminate le memorie conclusive delle Parti, di alcune delle quali era anche effettuata l’audizione finale, l’AGCM adottava il provvedimento finale con il quale, accertata l’esistenza della violazione dell’art. 101 TFUE per via della costituzione di un’intesa orizzontale di natura segreta e restrittiva per oggetto, attuata in tutto il territorio nazionale, tra le principali (quasi esclusive) imprese fornitrici della stazione appaltante Trenitalia S.p.a. (Trenitalia) in relazione a beni e servizi interessati dalle procedure di gara esaminate in istruttoria, nella forma della pratica concordata nel quadriennio 2008-2011, disponeva nei confronti delle varie Parti indicate, tra cui l’IEE, l’astensione in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione accertata nonché sanzioni amministrative pecuniarie di vario importo, tra cui quello nei confronti della IEE pari ad € 388.865,10.

In particolare, l’Autorità evidenziava di aver accertato, nel corso dell’istruttoria, che l’intesa in questione era consistita in gravi restrizioni della concorrenza derivanti dall’alterazione dei fisiologici meccanismi di mercato e del corretto confronto competitivo, mediante importanti condizionamenti reciproci alle singole politiche commerciali e di posizionamento strategico dei membri del cartello, con ripartizione del mercato in relazione alle diverse possibili commesse di Trenitalia, tramite accordi funzionali a disciplinare non soltanto le offerte dell’aggiudicatario designato ma anche quelle – artificialmente maggiori – degli altri partecipanti non designati, che risultavano così di mera “copertura”. Erano stati – a riprova – individuati continui e sistematici contatti tra le Parti, anche tramite mezzi di comunicazione a distanza, che consentivano di predisporre e aggiornare la relativa contabilità “di cartello”, incentrata sul sistema dei “debiti/crediti”, il cui computo ricomprendeva anche le compensazioni realizzate tramite sub-forniture o altri simili strumenti. Gli accordi “di cartello” in questione, per l’Autorità, erano risultati idonei a produrre effetti nella forma di un artificioso innalzamento dei prezzi delle prestazioni da rendere alla stazione appaltante, con uno scarso consequenziale incentivo a ottimizzare l’efficienza delle stesse, come confermato dalla circostanza per la quale, al cessare delle condotte collusive (coincidente, di fatto, con l’avvenuta conoscenza da parte delle imprese delle indagini penali a loro carico), Trenitalia aveva stimato una considerevole riduzione dei prezzi di acquisto, nell’ordine medio del 25%.

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, IEE chiedeva l’annullamento, previa sospensione, di tale provvedimento nonché degli altri indicati in epigrafe, lamentando, in sintesi, quanto segue.

1) Estraneità di Industrie Elettromeccaniche Europee s.r.l. alle presunte condotte anticoncorrenziali contestate alla A.E.G. S.r.l. e conseguente inapplicabilità delle sanzioni corrispondenti. Violazione del principio della responsabilità personale e segnatamente del combinato disposto di cui all’art. 31 della Legge n. 287/1990 e all’art. 7 della Legge n. 689/1981. eccesso di potere: travisamento e carenza d’istruttoria – contraddittorietà, irragionevolezza e perplessità ”.

Le condotte sanzionate erano state individuate nel periodo marzo 2008-settembre 2011, ampiamente precedente alla costituzione della ricorrente, avvenuta il 29 novembre 2012. In particolare, quella riconducibile alla posizione di IEE era in realtà ascrivibile alla A.E.G. s.r.l. (AEG), da cui si era originata IEE e persona giuridica soggettivamente distinta.

L’estensione del procedimento alla ricorrente, fondata sulla trasmissione alla società “scindente” delle attività industriali originariamente collocate nel patrimonio della società “scissa”, era errata ai sensi di una corretta interpretazione dell’art. 7 l. n. 689/81 come indicata dalla Corte di Cassazione in ordine all’intrasmissibilità delle sanzioni amministrative, non rilevando sul punto la vicenda successoria la quale è afferente soltanto la titolarità dei rapporti obbligatori di diritto civile e non può vanificare il principio generale della responsabilità personale, anche per le sanzioni amministrative.

Solo nell’ipotesi di cessione di esistenza di un soggetto giuridico potrebbe quindi invocarsi il principio di continuità, come nel caso di una fusione per incorporazione, ma laddove, come nella specie, la AEG non ha cessato la propria esistenza dopo la cessione ed anzi gode di maggior solidità patrimoniale e solvibilità, tale principio di continuità non era applicabile, anche perché la ricorrente era ormai orientata su segmenti produttivi di mercato del tutto nuovi e distinti da quelli interessati dal provvedimento impugnato per il periodo 2008-2011.

2) L’erroneità, ancor prima che l’irrilevanza, dell’assunto presupposto dell’identità soggettiva degli attuali titolari delle quote di partecipazione al capitale sociale della IEE s.r.l. rispetto ai titolari delle quote di partecipazione al capitale sociale della AEG S.r.l. al momento delle condotte anticoncorrenziali contestate. Eccesso di potere: carenza dei presupposti – travisamento – carenza d’istruttoria – irragionevolezza e perplessità”.

Ai fini dell’irrogazione della sanzione, non risultava la corrispondenza tra i soci dell’AEG e quelli della IEE al momento della scissione e anche dell’applicazione della sanzione. I soci di IEE erano diversi anche da quelli di AEG al momento dei fatti oggetto di contestazione, per cui il procedimento amministrativo si palesava travisato anche sotto tale profilo.

3) L’estraneità del fatturato aziendale di Industrie Elettromeccaniche S.r.l. a quello realizzato dalla AEG S.r.l. al momento dei fatti concorrenziali contestati. Eccesso di potere: carenza dei presupposti – travisamento – carenza d’istruttoria ”.

Anche il fatturato aziendale di IEE era totalmente dissimile da quello di AEG e la ricorrente non si era giovata di alcun vantaggio competitivo nei confronti delle aziende concorrenti, avendo acquisto nell’anno 2014 preso in considerazione dall’AGCM numerose commesse private, del tutto avulse da rapporti con Trenitalia.

4) L’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ovvero dei brogliacci acquisiti dall’A.G.C.M. ai fini dell’istruttoria del procedimento in esame. Violazione ovvero errata e falsa applicazione degli artt. 14 e 15 della Legge n. 287/1990, degli artt. 1 e 2 della Legge n. 241/90. Eccesso di potere: carenza dei presupposti – travisamento – carenza d’istruttoria

4.a) premesse introduttive”.

La ricorrente rimarcava l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche assunte a prova dell’intesa sanzionata e acquisite dal procedimento penale. Ciò sia perché lo strumento stesso dell’intercettazione telefonica contrastava con l’art. 15, comma 1, Cost. e con l’art. 8 CEDU e sia perché poteva essere utilizzato ai soli limitati scopi previsti dall’art. 266, comma 1, c.p.p.

4.b) Il procedimento (artt. 267-268 c.p.p.)”.

Ripercorrendo le modalità di autorizzazione alle intercettazioni proprie del processo penale, la ricorrente evidenziava che il relativo valore di prova era assumibile solo all’esito del relativo procedimento, per cui quelle utilizzate dall’AGCM, rilevando quali meri atti endoprocedimentali penali, non potevano avere alcun valore probatorio ai fini dell’attività sanzionatoria come svoltasi.

4.c) Divieto di utilizzazione (art. 270 c.p.p.)”.

La norma di cui all’art. 270 c.p.p. prevede che i risultati delle intercettazioni non possono utilizzarsi in procedimento diversi da quelli in cui sono state disposte.

4.d) Inutilizzabilità nel presente procedimento ”.

Per quanto sopra evidenziato, le intercettazioni, quindi, non potevano utilizzarsi in un procedimento diverso, tantomeno se amministrativo, fermo restando che di esse risultavano acquisiti meri “brogliacci” e che il procedimento penale era ancora nella fase delle indagini, senza alcuna richiesta di rinvio a giudizio e senza alcuna formazione di prova fondata su tali elementi. Inoltre, le intercettazioni in questione erano state immotivatamente secretate dall’AGCM.

5) L’irrilevanza del contenuto delle intercettazioni telefoniche ovvero dei brogliacci acquisiti dall’A.G.C.M. ai fini dell’estensione soggettiva del procedimento sanzionatorio alla IEE S.r.l. Violazione ovvero errata e falsa applicazione degli artt. 14 e 15 della Legge n. 287/1990, degli artt. 1 e 2 della Legge n. 241/90. Eccesso di potere: carenza dei presupposti – travisamento – carenza d’istruttoria”.

Il contenuto delle intercettazioni, comunque, non evidenziava alcun coinvolgimento, sia pure indiretto, dell’assetto proprietario, rappresentativo e amministrativo della ricorrente.

6) Illegittimità dell’estensione soggettiva e della conseguente sanzione per disparità di trattamento e contraddittorietà con precedente determinazione della medesima Autorità. Eccesso di potere: disparità di trattamento – ingiustizia manifesta – contraddittorietà e perplessità – travisamento e carenza d’istruttoria ”.

In relazione alla esclusione del coinvolgimento di una “società-madre” rispetto ad altra coinvolta nel procedimento, la ricorrente lamentava disparità di trattamento e contraddittorietà per quel che la riguardava, per quanto in precedenza detto in ordine al principio della personalità e conseguente intrasmissibilità della responsabilità.

8) Omessa motivazione circa le ragioni assunte dall’A.G.C.M. a sostegno della determinazione di sanzionare la neo costituita I.E.E. S.r.l. per la condotta anticoncorrenziale consumata nel periodo 2009-2011 dalla tuttora esistente AEG S.r.l. Violazione ovvero errata e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, degli artt. 14 e 15 della Legge n. 287/1990. eccesso di potere: difetto di motivazione – carenza d’istruttoria”.

Nel provvedimento impugnato non era illustrata alcuna replica alla memoria conclusiva depositata dalla ricorrente, che riprendeva quanto sopra illustrato, per cui si evidenziava anche una carenza di motivazione sul punto.

9) In via subordinata: illegittimità dell’entità della sanzione applicata alla I.E.E. S.r.l. in relazione alla secondarietà del ruolo della AEG S.r.l. rispetto a quello di organizzatore e promotore dell’intesa, contestato dall’A.G.C.M. alle società Meis ed Elca. Violazione ovvero errata e falsa applicazione dell’art. 11 della Legge n. 689/1981, dell’art. 31 della Legge n. 287/1990, dell’art. 3 della Legge n. 241/1990 e segnatamente dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, congruità e adeguatezza della sanzione in relazione alla difformità del ruolo della AEG S.r.l. rispetto a quello di organizzatore e promotore dell’intesa, contestato dall’A.G.C.M. alle società Meis ed Elca. Eccesso di potere: carenza d’istruttoria – travisamento dei presupposti – irragionevolezza e perplessità – motivazione insufficiente”.

La sanzione irrogata alla ricorrente non era proporzionata all’effettivo ruolo, di mera complementarietà, svolto da AEG rispetto a quello delle altre due società ritenute dalla stessa AGCM organizzatrici e promotrici dell’intesa (nel caso di Elca addirittura doppia).

Si costituiva in giudizio l’Autorità intimata, chiedendo la reiezione del ricorso con tesi sviluppate in una memoria “unica” sull’intero contenzioso in discussione alla camera di consiglio del 2 settembre 2015. In tale occasione la trattazione era rinviata al merito, su istanza di parte.

In prossimità della pubblica udienza le parti costituite depositavano rituali memorie illustrative delle rispettive posizioni (la ricorrente anche di “replica”) e la causa era trattenuta in decisione per il merito alla data del 27 gennaio 2016.

DIRITTO

Esaminato il primo motivo di ricorso, il Collegio non ritiene di condividerne la pur suggestiva impostazione.

Sostiene la ricorrente IEE che il principio generale sulla personalità e intrasmissibilità della responsabilità, di cui agli artt. 1 e 7 l. 689/81 ha trovato nella giurisprudenza amministrativa (sin da Cons. Stato, sez. VI, n. 1397/06 e poi TAR Lazio, Sez. I, n. 9203/03) una deroga soltanto laddove la persona giuridica responsabile della gestione dell’impresa abbia cessato di esistere giuridicamente dopo aver commesso l’infrazione. Nel caso di specie ciò non era avvenuto perché l’originaria AEG srl non si era “incorporata” ma si era “scissa” dando luogo alla IEE, mantenendo una sua esistenza per attività imprenditoriali del tutto diverse dalla nuova società e con compagine sociale non corrispondente sotto il profilo gestorio. La stessa giurisprudenza comunitaria richiamata dall’Autorità nel provvedimento e nelle sue difese – definita dalla ricorrente di “approccio marcatamente sostanzialista” – ammetteva l’eccezione ai suddetti principi solo nell’ipotesi di estinzione societaria e di identità nel tempo degli assetti proprietari e di controllo tra le due società.

A ciò si aggiungeva che i soci di AEG al momento della condotta anticoncorrenziale non erano i soci di IEE al momento della scissione e della successiva applicazione della sanzione.

Il Collegio osserva in merito che – in realtà - quel che è definito dalla ricorrente come “approccio marcatamente sostanzialista” costituisce il “cuore” della riflessione che deve farsi in argomento, nel senso che quel che rileva nell’attività di un Autorità di settore come l’AGCM è la tutela del mercato e del profilo di effettiva concorrenzialità insito in esso, così da evitare possibili fattispecie elusive, fondate su profili formalistici legati alle numerose possibilità di modifica di precedenti assetti societari, che possano rendere inefficace la “reazione sanzionatoria”.

Nel caso di specie, ad opinione del Collegio, appare dirimente l’osservazione dell’Autorità, di cui al provvedimento impugnato, secondo la quale le attività tipiche industriali, oggetto di istruttoria, sono state trasferite da AEG a IEE e la prima ha conservato solo come attività prevalente quella immobiliare. La “nuova IEE”, quindi è subentrata, in virtù del fenomeno successorio, in tutti i diritti e obblighi legati a tale attività. La continuità economica nelle suddette attività industriali si è quindi mantenuta con la scissione/costituzione in (di) IEE, che ha beneficiato infatti di gran parte del fatturato sociale di provenienza.

Dovendosi, quindi, dare rilievo proprio all’aspetto “sostanzialistico” in tale campo, nel caso di specie può dirsi che l’attività industriale facente capo a AEG e per la quale si era attivata l’Autorità di settore si è estinta con la richiamata “scissione” e si è trasferita tutta a IEE la quale ha beneficiato del relativo fatturato ma deve anche rispondere di precedenti condotte operanti nei rapporti giuridici e di fatto posti in essere dalla società “scindente” e ora non più operante nel settore.

Sarebbe in caso contrario facile dare luogo a comportamenti “elusivi”, tesi ad evitare conseguenze rilevanti ai fini di deterrenza che le sanzioni in questo campo anche rivestono, mediante operazioni di scissione e cessione di specifici rami di azienda oggetto di precedente attività di “policy” da parte dell’Autorità di settore.

La stessa ricorrente, poi, specifica nel ricorso (pag. 6) che il definitivo assetto proprietario, al 4 luglio 2013, vedeva “Gaetano Fucito di Domenico e Daniela Fucito, titolari di quote di partecipazione al capitale sociale di A.E.G. S.r.l e di I.E.E. S.r.l. nella misura del 50% ciascuno”, confermando così che il controllo delle società in questione era riconducibile ai medesimi soggetti e che si era dato luogo alla specifica ipotesi di derogabilità alla responsabilità personale di cui alla giurisprudenza comunitaria (Corte Giustizia, 7.1.04 in C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P e C-219/00 P, Alborg), secondo la quale essa opera quando l’impresa “trasferita” è identica – negli “asset” ereditati - a quella precedentemente gestita nell’ambito del medesimo gruppo, indipendentemente dal fatto che tale società esista ancora come entità giuridica, e quando il trasferimento avviene tra imprese sotto il controllo del medesimo soggetto giuridico.

Che, quindi, la ricorrente, nella sua memoria “di replica”, evidenzi che le quote di partecipazione al capitale sociale al momento dei fatti contestati appartenevano a soggetti totalmente diversi da quelli delle “attuali” AEG e IEE non è circostanza sotto tale profilo rilevante, in quanto è il momento della “scissione” che conta e l’assetto proprietario (nel caso di specie al 4 luglio 2013 per quanto detto dalla stessa ricorrente) conseguente, ai fini della richiamata funzione “antielusiva” e di deterrenza, che a sua volta deve trovare sostegno proprio su un approccio “sostanzialistico” a tutela dei principi generali del Trattato UE sulla libera concorrenza, come confermato dalla individuata violazione da parte dell’AGCM, nel caso di specie, proprio dell’art. 101 TFUE.

Così pure che dopo il 2013 e dopo la scissione IEE si sia orientata su segmenti produttivi di mercato del tutto nuovi non è circostanza rilevante, sussistendo per quanto ora detto la ricordata continuità economica sostanziale con AEG ai fini della condotta sanzionata e della sanzione irrogata.

Quanto finora illustrato vale anche a confutare le deduzioni di cui al secondo motivo di ricorso, in ordine alla discontinuità soggettiva tra il momento della condotta e quello dell’applicazione della sanzione, dato che le complessa vicenda della cessione delle quote sociali, ricostruita nello stesso ricorso, non scalfisce il principio della “continuità economica sostanziale”, quale fulcro del provvedimento impugnato sotto tale profilo.

Anzi il Collegio individua anche profili di carenza di interesse alla proposizione delle censure sulla riconducibilità alla sola AEG della responsabilità e della imputabilità della sanzione, dato che la stessa ricorrente afferma che allo stato attuale e comunque al momento di adozione del provvedimento impugnato i titolari delle quote di partecipazione al capitale di AEG e IEE sono i medesimi soggetti, nella misura del 50% ciascuno.

Analogamente deve concludersi per il terzo motivo di ricorso, in quanto il vantaggio “anticoncorrenziale” si è comunque manifestato laddove a IEE sono pervenuti comunque i benefici di capitale acquisito con la scissione e le commesse successive, per lo più riconducibili al 2014, sono frutto di un autonoma scelta imprenditoriale che non rileva sull’operato passato e oggetto di indagine da parte dell’AGCM.

Passando a verificare la fondatezza del quarto motivo di ricorso, il Collegio non può esimersi dal rilevare che la fase istruttoria non si è fondata unicamente sulle intercettazioni telefoniche ma anche su numerose comunicazioni via “e-mail” e, soprattutto, sul riscontro documentale dato dai c.d. “Tabellone” e “Piccolo Tabellone”.

In merito appare opportuno sintetizzare i principi generali cui è pervenuta la giurisprudenza, evidenziando sin da ora che essi devono poi essere calati nel caso concreto all’esame del giudice, data la peculiarità che contraddistingue la fattispecie della pratica anticoncorrenziale, che non può che essere valutata sul singolo caso concreto legato agli elementi indiziari e/o probatori acquisiti dall’Autorità e forniti dalle parti nel procedimento e, dopo, al giudice amministrativo.

Ebbene, da ultimo il Consiglio di Stato e questa Sezione (Sez. VI, 4.9.15, n. 4123 e Tar Lazio, Sez. I, 4.11.15, n. 12416) hanno precisato in argomento che mentre la fattispecie dell’accordo ricorre qualora le imprese abbiano espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo, la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza. I criteri del coordinamento e della collaborazione, che consentono di definire tale nozione, vanno intesi alla luce dei principi in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato. Pur non escludendo la suddetta esigenza di autonomia il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti, essa vieta però rigorosamente che fra gli operatori abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato. L’intesa restrittiva della concorrenza mediante pratica concordata richiede comportamenti di più imprese, uniformi e paralleli, che costituiscano frutto di concertazione e non di iniziative unilaterali, sicché nella pratica concordata manca, o comunque non è rintracciabile da parte dell’investigatore, un accordo espresso, il che è agevolmente comprensibile, ove si consideri che gli operatori del mercato, ove intendano porre in essere una pratica anticoncorrenziale, ed essendo consapevoli della sua illiceità, tenteranno con ogni mezzo di celarla, evitando accordi scritti o accordi verbali espressi e ricorrendo, invece, a reciproci segnali volti ad addivenire ad una concertazione di fatto. La giurisprudenza, consapevole della rarità dell’acquisizione di una prova piena, ritiene che la prova della pratica concordata, oltre che documentale, possa anche essere indiziaria, purché gli indizi siano gravi, precisi e concordanti. Nella pratica concordata l’esistenza dell’elemento soggettivo della concertazione deve perciò desumersi in via indiziaria da elementi oggettivi, quali:

- la durata, l’uniformità e il parallelismo dei comportamenti;

- l’esistenza di incontri tra le imprese;

- gli impegni, ancorché generici e apparentemente non univoci, di strategie e politiche comuni;

- i segnali e le informative reciproche;

- il successo pratico dei comportamenti, che non potrebbe derivare da iniziative unilaterali, ma solo da condotte concertate.

La giurisprudenza comunitaria e nazionale distingue tra parallelismo naturale e parallelismo artificiosamente indotto da intese anticoncorrenziali, di cui la prima fattispecie da dimostrare sulla base di elementi di prova endogeni, ossia collegati alla stranezza intrinseca delle condotte accertate e alla mancanza di spiegazioni alternative, nel senso che, in una logica di confronto concorrenziale, il comportamento delle imprese sarebbe stato sicuramente o almeno plausibilmente diverso da quello riscontrato, e la seconda sulla base di elementi di prova esogeni, ossia di riscontri esterni circa l’intervento di un’intesa illecita al di là della fisiologica stranezza della condotta in quanto tale. La differenza tra le due fattispecie e correlative tipologie di elementi probatori – endogeni e, rispettivamente esogeni – si riflette sul soggetto, sul quale ricade l’onere della prova: nel primo caso, la prova dell’irrazionalità delle condotte grava sull’Autorità, mentre, nel secondo caso, l’onere probatorio contrario viene spostato in capo all’impresa. In particolare, qualora, a fronte della semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti sul mercato, il ragionamento dell’Autorità sia fondato sulla supposizione che le condotte poste a base dell’ipotesi accusatoria oggetto di contestazione non possano essere spiegate altrimenti se non con una concertazione tra le imprese, a queste ultime basta dimostrare circostanze plausibili che pongano sotto una luce diversa i fatti accertati dall’Autorità e che consentano, così, di dare una diversa spiegazione dei fatti rispetto a quella accolta nell’impugnato provvedimento. Qualora, invece, la prova della concertazione non sia basata sulla semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti, ma dall’istruttoria emerga che le pratiche possano essere stati frutto di una concertazione e di uno scambio di informazioni in concreto tra le imprese, in relazione alle quali vi siano ragionevoli indizi di una pratica concordata anticoncorrenziale, grava sulle imprese l’onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti (sulla ricostruzione della fattispecie delle pratiche concordate anticoncorrenziali, sotto il profilo sostanziale e probatorio, v., per tutte, Cons. St., Sez. VI, 13 maggio 2011, n. 2925, con ampi richiami giurisprudenziali, comunitari e nazionali).

In sostanza, l’esistenza di una pratica concordata, considerata la (estremamente) difficile acquisibilità della prova di un accordo espresso tra i concorrenti, viene quindi ordinariamente desunta dalla ricorrenza di determinati indici probatori dai quali inferire la sussistenza di una sostanziale finalizzazione delle singole condotte ad un comune scopo di restrizione della concorrenza e in materia è dunque ammesso il ricorso a prove indiziarie, purché le stesse, come più volte affermato in giurisprudenza, si fondino su indizi gravi, precisi e concordanti (per tutte: TAR Lazio, Sez. I, 18.12.15, n. 14281).

Premesso ciò e rimandando al prosieguo lo sviluppo nel caso concreto di tali principi, per quanto riguarda la censura di cui al ricordato motivo di ricorso, il Collegio evidenzia che, secondo la giurisprudenza, ben può essere utilizzata – ai ricordati fini indiziari e nel complesso valutativo con altri elementi autonomamente acquisiti – la documentazione inerente a un procedimento penale se la stessa – come avvenuto nel caso di specie – ha rispettato le formalità proprie dell’acquisizione in quella sede (Cons. Stato, Sez. VI, 2.7.15, n. 3291).

Il principio è di ordine generale ed opera ogni qual volta vi sia un’autonomia sostanziale e funzionale tra due giudizi (in campo disciplinare, per tutte: TAR Puglia, Le, Sez. III, 15.10.10, n. 2079 e Cons. Stato, Sez. VI, 10.12.09, n. 7703).

Il richiamo agli artt. 266, comma 1, 267 e 268 c.p.p. quindi non può operare in quanto limitato al processo penale e così pure il divieto e i limiti di utilizzazione di cui all’art. 270 c.p.p. non rilevano in quanto riferibili solo a procedimenti diversi ma pur sempre in campo penale (Cass. Civ., SSUU, nn. 3271/13, 15314/10 e 27292/09).

Nel procedimento “antitrust”, poi, non vigendo il principio della “prova legale” ma essendo il medesimo un giudizio fondato su elementi indiziari, sia pure gravi, precisi e concordanti, non risultano “tipicità” dei mezzi di prova, invece operanti per il processo penale, fermo restando che la stessa Corte Costituzionale ha precisato che le intercettazione acquisite in un processo penale ben possono essere utilizzate come mera “notitia criminis” pure in altri procedimenti penali (Corte Cost., 23.7.91, n. 366).

A ciò si aggiunga che da tempo la giurisprudenza ha precisato che le funzioni attribuite dalla legge n. 287/1990 all'AGCM a presidio della libera concorrenza si esplicano indipendentemente dalla rilevanza penale dei comportamenti, considerato che, ove ricorrano i relativi presupposti, esse possono formare oggetto di valutazione nelle sedi competenti (Cons. Stato, Sez. VI, 2.3.04, n. 926;
7.3.08, n. 1009 e 24.9.12, n. 5067).

Per tale ragione non possono condividersi le ulteriori osservazioni critiche della ricorrente in ordine al valore dei “brogliacci” di trascrizione, che nel giudizio penale non avrebbero assunto ancora la caratteristica di “prova” legale, dato che essi hanno contribuito nel procedimento avanti all’AGCM come elementi indiziari unitamente agli altri sopra richiamati e l’autonomia dei due procedimenti non richiedeva che fosse necessaria la previa assunzione “formale” al rango di prova penale di tali “brogliacci”.

L’Autorità, inoltre, non si è limitata – come detto - all’acquisizione dei contenuti delle conversazioni intercettate ma ha svolto un’accurata istruttoria ricorrendo anche all’assunzione di informazioni presso i soggetti coinvolti nella vicenda giudiziaria che hanno sostanzialmente confermato i fatti e le circostanze oggetto di contestazione “antitrust”, ai fini dell’individuazione di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.

Per quel che riguarda la ritenuta violazione dell’art. 15, comma 1, Cost e dell’art. 8 CEDU, il Collegio, sulla prima norma, richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui: “…il citato art. 270, comma 1, riguarda specificamente il processo penale, deputato all'accertamento delle responsabilità appunto penali che pongono a rischio la libertà personale dell'imputato (o dell'indagato), cosa questa che giustifica l'adozione di limitazioni più stringenti in ordine all'acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale. In ragione di tanto, è solo con riferimento ai procedimenti penali che una ipotetica, piena utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nell'ambito di procedimenti penali diversi da quello per cui le stesse intercettazioni erano state validamente autorizzate contrasterebbe con le garanzie poste dall'art. 15 Cost., a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni. In relazione poi al profilo della utilizzabilità in concreto, è stato precisato che presupposto per l'utilizzo esterno delle intercettazioni è la legittimità delle stesse nell'ambito del procedimento in cui sono state disposte” (Cass. civ., Sez. Un., 12.2.13, n. 3271).

Non risulta violato, poi, l’art. 8 CEDU in quanto il diritto alla riservatezza recede e non opera quando l'attività di intercettazione è prevista dalla legge (art. 267 c.p.p.) e – come osservato dalla stessa Corte di Strasburgo - costituisce uno strumento necessario in una società democratica per perseguire un fine legittimo, quale è quello dell'accertamento della verità in un processo penale e della tutela dell'ordine pubblico (in tal senso: Corte EDU, 9.7.2013, D’Auria e Balsamo c. Italia e 30.3.2013, Cariello c. Italia).

Per quanto riguarda quindi la diretta utilizzabilità nella presente fattispecie da parte dell’AGCM, il Collegio non rileva alcuna illegittimità nel senso prospetto dalla ricorrente.

Infondato si palesa anche il quinto motivo di ricorso, secondo cui dalle intercettazioni in questione non sarebbe evidenziato alcun coinvolgimento dell’assetto proprietario, rappresentativo e amministrativo della società, in quanto, come più volte precisato, gli elementi indiziari su cui si è fondato il provvedimento impugnato non sono solo legati alle intercettazioni ma anche ad altre risultanze documentali. In particolare, nel provvedimento impugnato è evidenziato che nel “Tabellone” e soprattutto nel “Piccolo Tabellone” emergeva che la società ricorrente era identificata con le iniziali del legale rappresentante, con ciò confermando una suo coinvolgimento nella fattispecie.

Prive di pregio sono le doglianze di cui al sesto motivo di ricorso, in quanto le evoluzioni societarie tra Gmr srl e Firema Trasporti spa in a.s. non appaiono identiche a quelle, sopra ricordate, tra AEG e IEE e, ad ogni modo, un’eventuale errore dell’AGCM nella mancata estensione del procedimento non potrebbe essere idoneo a legittimare analoga conclusione per quanto avvenuto a carico di IEE, per quanto evidenziato in precedenza.

Parimenti non condivisibili sono le doglianze di cui al motivo successivo (indicato come ottavo ma in realtà settimo), in ordine alla mancata motivazione sulle argomentazioni espresse dalla ricorrente nella corposa memoria depositata nel corso del procedimento.

Il Collegio osserva, in primo luogo, che vige il principio generale in materia di partecipazione procedimentale, secondo il quale non è illegittima la mancata valutazione di una memoria inoltrata dall'interessato nel corso del procedimento, se il provvedimento finale dia atto espressamente degli scritti "difensivi" prodotti, in quanto non incombe sull'Amministrazione l'onere di confutare in maniera analitica le osservazioni presentate (per tutte: TAR Piemonte, Sez. I, 5.4.13, n. 425).

In secondo luogo, il Collegio osserva che nel provvedimento impugnato, al punto IV, sono espressamente illustrate le questioni preliminari, con motivazioni in ordine al “quesito sollevato da Aeg in corso di audizione finale innanzi al Collegio”, relative all’utilizzabilità delle comunicazioni telefoniche, all’ambito di applicazione dell’art. 270 c.p.p., all’attendibilità delle trascrizioni, alla violazione della CEDU, alla dissecratazione dei “file audio”, alle questioni relative al rapporto con il procedimento penale. Inoltre, nella descrizione delle sanzioni è affrontata esplicitamente la questione sui rapporti di successione tra AEG e IEE (nota a pag. 102).

Il nono (rectius, ottavo) motivo di ricorso è infine altrettanto infondato.

In esso la ricorrente lamenta un trattamento proporzionalmente identico tra essa e le due società (MEIS e ELCA) indicate come rivestenti un ruolo di promozione e organizzazione, laddove risultava addirittura irrogata a IEE una sanzione in termini assoluti pari rispetto a MEIS e doppia rispetto a ELCA.

Ebbene, in merito il Collegio ritiene che non possa prescindersi dall’osservazione per la quale l’intesa “orizzontale” di cui al caso di specie è stata ragionevolmente e legittimamente qualificata dall’Autorità come "molto grave", secondo gli orientamenti della Commissione europea e della Corte di Giustizia, le quali hanno più volte ribadito l’intrinseca e per così dire “ontologica” gravità delle intese orizzontali fra operatori economici volte alla spartizione del mercato, in relazione al conseguente forte pregiudizio per il rapporto di libera concorrenza indipendentemente dalla quantificazione dei relativi effetti rapportabili alle singole imprese facenti parte dell’intesa, effetti comunque riscontrati, nella fattispecie in esame, nell'andamento dei prezzi medi di aggiudicazione delle gare prima e dopo la sussistenza dell’intesa e nel riallineamento dei prezzi al mercato nel periodo successivo di riferimento.

Accertata la non illegittima individuazione, da parte dell’AGCM, di un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza nei termini indicati nel provvedimento impugnato - e quindi di una infrazione di particolare gravità delle norme comunitarie e nazionali di tutela della concorrenza - ne discende la legittima applicazione della relativa disciplina sanzionatoria secondo i vigenti parametri espressamente previsti per la fattispecie in esame, risultando del tutto irrilevanti, per costante giurisprudenza, gli eventuali indebiti trattamenti di favore riservati ad altri trasgressori, che anche qualora sussistenti darebbero luogo a responsabilità diverse, eventualmente sanzionabili davanti a Giudici diversi da quello amministrativo.

Non sono, infine, coondivisibili le censure di violazione dei principi generali di logicità, ragionevolezza, proporzionalità e graduazione della pena in funzione dell'elemento soggettivo e oggettivo e dei criteri di quantificazione delle sanzioni “antitrust” fissati delle Linee Guida AGCM in argomento e dagli Orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende, in relazione all'irrogazione della sanzione nella misura massima edittale pari per tutte le imprese al 10% del fatturato.

Si osserva che l’invocata graduazione della sanzione secondo i criteri declinati dalla legge n. 689 del 1981 (richiamata dalla legge n. 287 del 1990) non può evidentemente prescindere da una valutazione di adeguatezza, anche sotto il profilo della deterrenza, in relazione allo specifico al caso concreto, e deve quindi avvenire, in un caso -come quello in esame - di violazione delle norme europee di tutela della concorrenza (valore peraltro munito anche di tutela costituzionale ai sensi degli artt. 2 e 41 della Costituzione), alla stregua degli Orientamenti della Commissione UE per il calcolo delle ammende, con la conseguante necessità di applicare quale parametro di partenza il “range” del 15-30% del fatturato riferito all’attività sanzionata, alla stregua della giurisprudenza della Corte di Giustizia che ritiene la oggettiva responsabilità di tutte le imprese partecipanti all’intesa restrittiva orizzontale, che viene valutata di intrinseca rilevante gravità, in quanto capace di alterare irrimediabilmente il libero gioco della concorrenza, indipendentemente dalle sue concrete ripercussioni sul mercato, come detto in precedenza.

Proprio alla stregua dei principi di logicità e ragionevolezza che regolano l'azione amministrativa (artt. 97 Cost., 41 Carta di Nizza e 1 1egge n. 241 del 1990), quindi, il Collegio ritiene che l’AGCM abbia legittimamente dato attuazione ai principi (costituzionali e comunitari) di proporzionalità e graduazione della pena in funzione dell'elemento soggettivo e oggettivo della violazione (artt. 3 Cost., 49 Carta di Nizza e 7 CEDU), applicando le proprie Linee Guida del 2014 e, quindi, un parametro iniziale di calcolo della sanzione pari al minimo edittale comunitario del 15% del fatturato riferito all’attività sanzionata, peraltro poi ridotto, in ossequio al limite edittale posto dalla legge nazionale, al minore importo corrispondente al 10% del fatturato complessivo dell’impresa, restando in tal modo assorbita anche la –minore- riduzione che secondo la ricorrente avrebbe dovuto essere disposta in relazione al grado del proprio coinvolgimento.

In definitiva, la sanzione comminata dall’Autorità nell’osservanza delle proprie linee guida risulta conforme, da un lato, agli Orientamenti comunitari in materia sanzionatoria e, dall’altro, ai principi comunitari e nazionali di gradualità e proporzionalità della sanzione, misurata nella sua oggettiva gravità secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di intese orizzontali restrittive della concorrenza.

Alla luce di quanto illustrato, quindi, il ricorso non può trovare accoglimento.

Le spese di lite possono comunque eccezionalmente compensarsi per la complessità della fattispecie.

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