TAR Catania, sez. IV, sentenza 2016-11-07, n. 201602866

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. IV, sentenza 2016-11-07, n. 201602866
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 201602866
Data del deposito : 7 novembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/11/2016

N. 02866/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01183/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1183 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Icomit S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato A C C.F. CRLGTN61S08C351Q, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via G. Carnazza, 51;

contro

Ministero dell'Interno, Prefettura di Catania - Ufficio Territoriale del Governo, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento

quanto al ricorso principale:

- del decreto del Prefetto di Catania, 6 maggio 2015, n. 24902, di interdittiva antimafia ai sensi dell'art. 84, comma 4, d.lgs. n. 159/2011;

ove occorra, della nota di trasmissione Prefettura Catania, 7 maggio 2015, n. 2534;

- dei pareri emersi nel corso della Riunione Tecnica di Coordinamento del 29 aprile 2015, del parere del Gruppo Informativa Antimafia del 17 febbraio 2015 (non conosciuti, ma citati nel provvedimento);

- di ogni altro atto, presupposto e connesso.

Quanto al ricorso per motivi aggiunti:

dei medesimi provvedimenti impugnati con il ricorso principale.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Prefettura di Catania - Ufficio Territoriale del Governo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 luglio 2016 il dott. P M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La ricorrente è un'impresa che dal 2008 opera nel campo degli appalti pubblici e privati. I soci sono i sigg. R Marco, proprietaria di quote sociali pari al 95% del capitale, e Anna Gulisano, titolare delle restanti quote per il 5%.

La carica di amministratore unico è rivestita dal sig. F Marco, mentre il Direttore Tecnico è il sig. Salvatore Marletta. Il sig. M F è stato dipendente della Ditta da maggio 2011 sino a maggio 2015.

Con Decreto 6 maggio 2015, n. 24902, notificato asseritamente il 7 maggio successivo, il Prefetto di Catania, dopo i pareri del Gruppo Informativa Antimafia del 17 febbraio 2015 e della Riunione Tecnica di Coordinamento del 29 aprile 2015, ha comunicato alla ricorrente l'interdittiva antimafia resa ai sensi dell'art. 84 del d.lgs. n. 159/2011.

Tale provvedimento ha premesso che tutti i citati soggetti «non risultano interessati da vicende giudiziarie ostative», tuttavia, sarebbe «sussistente un concreto pericolo di infiltrazioni mafiose in grado di condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa in questione», per i «gravi elementi di criticità nei confronti di

MARCO

Fabio Antonio (padre convivente della socia di maggioranza MARCO R e fratello dell'amministratore unico MARCO F)».

I richiamati gravi elementi critici sarebbero dovuti al fatto che il sig. F M:

«è stato condannato per violazione delle norme in materia di imposte dirette, bancarotta fraudolenta nonché, il 2.11.1989, dichiarato fallito con sentenza del Tribunale di Catania;

il 20.10.1998, è stato tratto in arresto dalla D.I.A. — C.O. di Catania nell'ambito della c.d. operazione "Polifemo" in quanto indagato del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, turbativa d'asta e corruzione in relazione all'appalto per la costruzione dell'ospedale "Garibaldi" di Catania;

il 17.11.2005, è stato proposto per l'applicazione della misura della sorveglianza speciale di P.S., misura non irrogatagli a seguito della decisione negativa adottata il 18.10.2007 dal Tribunale di Catania;

il 7.7.2005, è stato sottoposto agli arresti domiciliari nell'ambito dell'operazione giudiziaria denominata "Ermes-Diònisio" con posizione giudiziaria inizialmente stralciata e poi definita con sentenza di assoluzione, "per non avere commesso il fatto" per il capo "A" (art. 416 bis c. 1, 2, 3, 4 e 6 c.p.) e assoluzione "perché il fatto non sussiste" per tutti i rimanenti capi di imputazione (artt. 110, 112 n. 1, 353, 640 c.p.), del 12.1.2009. Al riguardo, al di là dell'epilogo processuale favorevole all'imputato, la ricostruzione offerta dal G.I.P. pone in evidenzia un quadro di cointeressenze e relazioni, risultanti anche da intercettazioni ambientali e telefoniche, tra il citato

MARCO

Fabio Antonio ed altri due elementi, di cui uno di "spicco", appartenenti al noto clan "Santapaola-Ercolano ". Si tratta di M. G. e G.O. che, tra gli altri, insieme a C. S., risultarono i gestori di fatto dell'appalto per i lavori di sistemazione di piazza Trento di questo capoluogo. Nel dettaglio a carico di

MARCO

Fabio Antonio, gestore di fatto dell'impresa C.O.P. s.r.l. (società, tra le altre, invitata a presentare l'offerta per la gara di appalto citata), dalla sopra indicata ordinanza emerge che:

- risulta essere intervenuto a favore di tale U. G. persona vicina alla 'famiglia Madonia" di Gela, al fine di assicurargli un grosso appalto in Calabria, curato dal M. e dal G., sotto l'egida dei Madonia e, attraverso il circuito carcerario, per il tramite del noto ergastolano E. A., quale ispiratore dell'accordo e colui che, nel M., indica il proprio referente;

- a partire dal 3 ottobre 2001 si è recato frequentemente presso i locali della società IMSE.CO. per discutere con il M. ed il G. in merito alla partecipazione, quale impresa ritenuta "amica" o "avvicinabile" da parte del citato sodalizio criminale, in merito alla partecipazione a gare di appalto indette dal Comune di Catania - XXI Direzione — Servizi Tecnici e manutentivi;

- lo stesso risultava avere la disponibilità della ditta A.F.C. di Roma aggiudicataria presso l'A.S.L. 3 di Catania della "Gara di appalto — per i lavori di ristrutturazione statica dell'ex CPA di via Sardo — Catania. Pubblico incanto. Importo a base d'asta £ 371.787.096 Ditta aggiudicataria AFC con sede in Roma via dei Monti Parioli n. 28". Detti lavori venivano poi eseguiti dalla ditta IM.SE.CO di E. M. ed O. G., come testimoniano le numerose conversazioni telefoniche ed ambientali intercettate trai due soci ed il

MARCO

Fabio».

Sulla basi di tali dati, il Decreto impugnato ha ritenuto sussistere «un complessivo quadro di permeabilità della ICOMIT srl determinato dalla presenza di elementi indiziari in ordine alla contiguità con la criminalità organizzata, di seguito della descritta trama di rapporti e cointeressenze economiche con soggetti ed imprese controindicate. Ciò tenuto conto, del notevole spessore criminale di M. E. considerato altresì, il contesto socio-economico e territoriale particolarmente esposto a "influenze" mafiose». «Dalla complessiva valutazione delle informazioni acquisite si evincono, inoltre, i rilevanti profili di attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa per via della ben nota valenza delle citate organizzazioni criminali non legate ad episodiche e saltuarie attività delittuose, ma rappresentative di interessi illeciti ben consolidati, soprattutto in un ambito particolarmente "sensibile" come quello degli appalti pubblici. In tale ambito vanno considerati gli aspetti di criticità emersi dalle risultanze investigative, che giustificano un giudizio

prognostico in ordine all'attualità del pericolo che le scelte economiche della società siano condizionate o condizionabili dalla criminalità organizzata».

Quindi, il provvedimento ha concluso «che nei confronti della ICOMIT s.r.l. ... è stata accertata la sussistenza di cause ostative tra quelle previste dall'art. 84 del decreto legislativo n. 159/2011 così come modificato ed integrato dal D. Lgs n. 218/2012».

Il comune di Spadafora, raggiunto dall'informativa prefettizia, con Determina n. 290 del 27 maggio 2015, ha risolto il contratto con la ricorrente per lavori da realizzarsi nel suo ambito territoriale.

Con ricorso passato per la notifica il 3.6.2015 e depositato il 4.6.2015, la ricorrente ha impugnato la detta interdittiva, affidandosi alle seguenti censure:

1) Violazione e falsa applicazione artt. 84 ss., d.lgs. n. 159/2001. Palese travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Insussistenza dei presupposti per procedere all'adozione dell'interdittiva. Carattere risalente nel tempo delle informazioni a sostegno dell'interdittiva e mancanza di qualificazione c.d. mafiosa dei fatti addebitati al sig. F M.

Mancanza di collegamento tra i vari eventi contestati con la situazione attuale e con l'attività di Icomit. Mancanza di ogni condizionamento attuale sull'attività dell'impresa. Insufficienza del rapporto di parentela per dare conto del tentativo di infiltrazione. Contraddizioni evidenti. Distorsioni della funzione pubblica a fini lato sensu sanzionatori estranei allo scopo. Eccesso di potere per sviamento.

Asserisce la ricorrente che il decreto impugnato sarebbe stato adottato sulla base di un quadro di elementi inesistenti ovvero risalenti nel tempo, inidonei a provare il preteso condizionamento derivante dall'attività del sig. M F, cui soltanto sono riferibili i precedenti cui l’Amministrazione riconduce il condizionamento mafioso.

In particolare:

- la condanna di questi per violazione delle norme in materia di imposte dirette, bancarotta fraudolenta e la dichiarazione di fallimento a suo carico del 2 novembre 1989, non riguarderebbero attività riconducibili ai reati di mafia.

- il suo arresto nel 1998 nell'ambito della c.d. operazione "Polifemo" per la costruzione dell'ospedale "Garibaldi" di Catania si sarebbe rilevato non legato alla mafia. La sentenza del Tribunale di Catania, Sez. I, del 13 aprile 2007, ha ritenuto «M F colpevole del reato continuato ascrittogli al capo B3) della rubrica [61, n. 2;
110;
112, n. 1;
81 cpv;
476 cpv;
490 c.p., ma ha escluso l'aggravante di cui all'art. 7 L. n° 203/91 e ritenuta semplice la contestata recidiva reiterata, concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle residue aggravanti»;
ha assolto il «M F dal reato ascrittogli al capo B1) della rubrica [61, n. 2;
110, 112, n. 1;
321, 319 e 319 bis c.p.] per non avere commesso il fatto».

In altri termini, la detta decisione avrebbe escluso ogni coinvolgimento di questi in attività e/o organizzazione mafiosa.

- La proposta del 17 novembre 2005 per l'applicazione della misura della sorveglianza speciale di P.S. sarebbe ampiamente superata dal fatto che il 18 ottobre 2007 il Tribunale di Catania non avrebbe applicato tale misura.

- La circostanza che il 7 luglio 2005 sia stato sottoposto agli arresti domiciliari nell'ambito dell'operazione giudiziaria denominata "Ermes-Dionisio" sarebbe anch'essa un fatto superato dalla sentenza di assoluzione del Tribunale di Catania del 12 gennaio 2009, «per non avere commesso il fatto» per il capo "A" (art. 416 bis c. 1, 2, 3, 4 e 6 c.p.) e assoluzione «perché il fatto non sussiste» per tutti i rimanenti capi di imputazione (artt. 110, 112 n. 1, 353, 640 c.p.).

Non sarebbe debito riferirsi — come fa il decreto impugnato — al «quadro di cointeressenze e relazioni» in cui sarebbe coinvolto il M F, poiché proprio la sentenza, non appellata, ha escluso a suo carico la commissione del reato ex art. 416 bis c.p, sicché la prospettata pretesa rete di relazione - anche ad ammetterne l'esistenza - non avrebbe mai raggiunto la soglia della rilevanza penale o il sospetto del coinvolgimento in organizzazioni criminali ex art. 416 bis c.p..

In sostanza, oltre che riferirsi a fatti datati, non coperti da una decisione del giudice penale, non sarebbe stato indicato alcun legame o intreccio di interessi economici e/o di strumenti che mascherino l'infiltrazione mafiosa nell'impresa, residuando, in tal senso, soltanto i vincoli familiari con uno dei soci (R Marco) e con l’amministratore (F Marco) di Icomit srl.

Nella vicenda il F M non solo non sarebbe appartenente alla criminalità organizzata, ma risulterebbe aver avuto rapporti lontani nel tempo con soggetti risultati, successivamente, di Cosa Nostra, ma al tempo assolutamente impregiudicati, in stato di libertà e titolari di imprese che operavano sul mercato.

Costituitasi, l’Amministrazione ha concluso per l’infondatezza del ricorso.

Con Ordinanza n. 515/15, la Sezione ha disposto l’acquisizione di copia degli accertamenti effettuati e dei pareri espressi al fine di pervenire all’emanazione del provvedimento impugnato.

L’Amministrazione ha depositato gli atti richiesti.

Ricorso per motivi aggiunti

Di seguito al deposito dei documenti da parte dell'Amministrazione, la ricorrente ha proposto ricorso per motivi aggiunti.

Asserisce che il provvedimento impugnato sarebbe stato di fatto ricopiato dalla nota del Comando Provinciale dei Carabinieri di Catania del 7 novembre 2014, prot. n. 0279402/4-16 "P".

Non sarebbero state, invece, tenute in conto, né confutate, le note della Questura di Catania e della Guardia di Finanza, con le quali è stato chiarito che «agli atti quest'Ufficio e dagli accertamenti esperiti a carico della società in oggetto segnata e dei soggetti di cui all'art. 85 del D.Lgs. 159/2001, indicati nella documentazione trasmessa da codesta prefettura, non emergono elementi rilevanti ai sensi e per gli effetti della citata normativa» (Questura di Catania);
e che «agli atti dei dipendenti Reparti non si rilevano elementi da cui emerga la sussistenza di infiltrazioni mafiose e/o collegamenti con la criminalità organizzata nei confronti della società e delle persone di cui agli allegati trasmessi» (Guardia di finanza).

Tali dati non sarebbero stati neanche citati nella successiva istruttoria e nel provvedimento conclusivo del procedimento.

Con Ordinanza n. 830/15, la Sezione ha accolto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, poiché “i fatti ascritti al padre della socia di maggioranza appaiono sfumati dalla sentenza assolutoria e, comunque, sono risalenti nel tempo”.

Alla Pubblica Udienza del 21.7.2016, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

La questione posta con i ricorsi in esame muove dalla legittimità dell’interdittiva antimafia occasionata da precedenti penali a carico del padre della socia di maggioranza della società ricorrente, nonché fratello dell’amministratore unico.

Ai sensi dell’art. 84, comma 3, del D.lgs.vo n. 159/11 “l'informazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 91, comma 6, nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4”.

Il comma 4 del medesimo art. 84 (espressamente richiamato nell’epigrafe del provvedimento impugnato) stabilisce che “le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all'adozione dell'informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte:

a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356;

b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione;

c) salvo che ricorra l'esimente di cui all'articolo 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dall'omessa denuncia all'autorità giudiziaria dei reati di cui agli articoli 317 e 629 del codice penale, aggravati ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, da parte dei soggetti indicati nella lettera b) dell'articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste;

d) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell'interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all'articolo 93 del presente decreto;

e) dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d);

f) dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l'intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia ”.

Il successivo art. 91, anch’esso richiamato nella parte finale delle motivazioni dal provvedimento impugnato, stabilisce, ai commi 5 e 6, che “il prefetto competente estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell'impresa. Per le imprese costituite all'estero e prive di sede secondaria nel territorio dello Stato, il prefetto svolge accertamenti nei riguardi delle persone fisiche che esercitano poteri di amministrazione, di rappresentanza o di direzione. A tal fine, il prefetto verifica l'assenza delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all'articolo 67, e accerta se risultano elementi dai quali sia possibile desumere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, anche attraverso i collegamenti informatici di cui all'articolo 98, comma 3. Il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell'interessato, aggiorna l'esito dell'informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa

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