TAR Firenze, sez. I, sentenza 2012-06-12, n. 201201160

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. I, sentenza 2012-06-12, n. 201201160
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201201160
Data del deposito : 12 giugno 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01290/2010 REG.RIC.

N. 01160/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01290/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1290 del 2010, proposto da:
V S, rappresentato e difeso dall'avv. P P, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. S L in Firenze, via P.Toselli 98;

contro

Ministero della Giustizia – Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la cui sede è domiciliato per legge in Firenze, via degli Arazzieri 4;

per l'annullamento

del provvedimento PU – GDAP – 2000 – 18/05/2010 – 0214998 - 2010 2009, comunicato al ricorrente in data 27.06.2010, che ha rigettato la richiesta di attribuzione del parametro economico, erogato a favore dei commissari capo, responsabili dell’area sicurezza per gli istituti di livello dirigenziale, ai sensi del combinato disposto degli art. 6 D.lgs. n. 146/2000 e 2 D.P.R. del 5.11.2004 n.301, e di ogni atto presupposto e consequenziale anche se di contenuto ignoto;

nonché per il riconoscimento del diritto del ricorrente a ricevere a far data dal mese di maggio 2001 il trattamento economico stipendiale per la qualifica superiore di commissario capo in luogo di quello attribuitogli, con condanna dell’Amministrazione convenuta alla corresponsione delle differenze già maturate per il suddetto periodo, oltre accessori di legge ed adeguamento contributivo, comprensivo di interessi e rivalutazione.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia –Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2012 il dott. P G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso ritualmente notificato e depositato, V S, ispettore capo del Corpo di polizia penitenziaria, esponeva di svolgere dal 21 luglio 1997 – dapprima in via provvisoria, quindi in maniera stabile, ma sempre in forza di formali atti di affidamento – le funzioni di comandante di reparto presso la Casa circondariale di Siena, istituto di livello dirigenziale non generale: trattandosi di funzioni ricadenti fra i compiti dei commissari capo del Corpo, a norma dell’art. 6 co. 4 del D.Lgs. n. 156/2000, egli sin dal 29 settembre 2009 aveva chiesto il riconoscimento della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori svolte, ivi compresi gli arretrati, incorrendo nel diniego frapposto con il provvedimento in epigrafe.

Tanto premesso in fatto, il ricorrente, sulla scorta di un unico, articolato motivo in diritto, intimava dinanzi a questo tribunale il Ministero della giustizia, concludendo per l’annullamento della determinazione sfavorevole adottata nei suoi confronti e per l’accertamento del proprio diritto a percepire, con decorrenza dal 21 luglio 1997, il trattamento economico stipendiale per la qualifica di commissario capo, con condanna dell’amministrazione datrice di lavoro a corrispondergli le differenze già maturate, con l’aggiunta di interessi e rivalutazione monetaria, e ad adeguare la sua posizione contributiva.

Costituitosi in giudizio il Ministero intimato, che resisteva al ricorso, la causa veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 18 aprile 2012, preceduta dal deposito di memorie difensive e repliche.

DIRITTO

Come riferito in narrativa, V S, ispettore capo della Polizia penitenziaria, rivendica di svolgere le mansioni di commissario capo nella veste, conferitagli dal 21 luglio 1997, di comandante di reparto presso la Casa circondariale di Siena, istituto di livello dirigenziale non generale. Egli chiede pertanto accertarsi il suo diritto al corrispondente trattamento economico e contributivo, previo annullamento del diniego oppostogli in sede amministrativa con l’atto in epigrafe, invocando quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui anche nell’ambito dell’impiego pubblico sarebbe configurabile un diritto del lavoratore alla corresponsione del trattamento corrispondente alle mansioni superiori, a condizione che queste ultime abbiano formato oggetto di formale conferimento ad opera dell’amministrazione di appartenenza, nell’esercizio dei suoi poteri organizzativi, e che dall’espletamento delle mansioni superiori l’amministrazione stessa abbia tratto un effettivo vantaggio.

Non giova soffermarsi sulle eccezioni pregiudiziali e preliminari sollevate dalla difesa erariale, perché il ricorso è infondato nel merito.

Fino all’istituzione del ruolo direttivo ad opera del D.Lgs. n. 146/2000, attuativo della delega contenuta nell’art. 12 della legge n. 266/1999, la gerarchia interna al Corpo di polizia penitenziaria vedeva in posizione sovraordinata il personale appartenente al ruolo degli ispettori, come stabilito dall’art. 2 del D.Lgs. n. 443/1992 (ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria a norma dell’art. 14 co. 1 della legge n. 395/1990). Le funzioni del personale del ruolo degli ispettori erano – e continuano ad essere – disciplinate dall’art. 23 del medesimo D.Lgs. n. 443/1992, in forza del quale, per quanto qui interessa, l’ispettore destinato a capo del personale del Corpo in servizio presso gli istituti e servizi penitenziari e nelle scuole è gerarchicamente e funzionalmente dipendente dal direttore dell’istituto, del servizio o della scuola;
e poiché, ai sensi dell’art. 31 del regolamento di servizio del Corpo (D.P.R. n. 82/1999), il personale impiegato presso ogni istituto o servizio penitenziario, scuola o istituto di istruzione costituisce un reparto, dal combinato disposto delle norme in esame si ricava come, in epoca anteriore al sopra citato D.Lgs. n. 146/2000, la funzione di comandante di reparto rientrasse certamente fra le mansioni del personale appartenente al ruolo degli ispettori. Ulteriore conferma se ne ha dal terzo comma dello stesso art. 31 del regolamento, che, al fine di delineare i compiti del comandante di reparto, rinvia proprio all’art. 23 co. 2 D.Lgs. n. 443/1992.

Il D.Lgs. n. 146/2000, nell’istituire il ruolo direttivo della polizia penitenziaria, all’art. 6 ha quindi stabilito che il personale appartenente a tale ruolo “assume le funzioni di comandante di reparto presso gli istituti, le scuole e i servizi secondo le norme del vigente ordinamento e del regolamento di servizio del Corpo di polizia penitenziaria” (co. 2) e che “ai commissari capo penitenziari competono le funzioni di responsabile dell'area della sicurezza presso le Scuole e gli Istituti penitenziari di livello dirigenziale” (co. 4);
ed è proprio in forza di tale ultima previsione che il ricorrente sostiene di aver titolo al riconoscimento del trattamento economico corrispondente alle mansioni superiori di commissario capo. A tale riguardo, deve però osservarsi come non vi sia, in realtà, necessaria coincidenza fra titolarità del grado di commissario capo e ruolo di comandante di reparto e di responsabile della sicurezza: se, infatti, al personale direttivo sono riconosciute le funzioni di comando presso tutti gli istituti, senza distinzione di livello, le funzioni di responsabile della sicurezza sono attribuite ai vice commissari ed ai commissari penitenziari presso gli istituti di livello non dirigenziale, ed ai commissari capo presso quelli di livello dirigenziale. Del resto, il secondo comma dell’art. 7 D.M. 28 gennaio 2004, contenente la specificazione dei compiti e delle mansioni di cui agli artt. 6 e 21 D.Lgs. n. 146/2000, tiene ben distinte le funzioni di comandante di reparto e responsabile della sicurezza, autorizzando vice commissari e commissari, negli istituti di livello dirigenziale, ad assumere le funzioni di responsabile vicario dell’area della sicurezza in aggiunta alle funzioni di comandante di reparto.

Al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, non può dunque affermarsi che l’esercizio delle funzioni di comandante di reparto, ancorché presso istituti di livello dirigenziale, coincida sempre e comunque con lo svolgimento di mansioni di pertinenza del personale con grado di commissario capo, ove manchi – come nella specie – la prova dell’esercizio congiunto delle ulteriori e diverse funzioni di responsabile della sicurezza. In altri termini, poiché le mansioni di commissario capo non si esauriscono nelle funzioni di comandante di reparto, l’esercizio di queste ultime non giustifica di per sé il miglior trattamento retributivo preteso, a maggior ragione ove si consideri che si tratta di funzioni già proprie del personale appartenente al ruolo degli ispettori e, perciò, da reputarsi contemplate ai fini della determinazione del relativo parametro economico e adeguatamente compensate dall’attribuzione dell’emolumento di cui agli accordi sul Fondo per l’efficienza dei servizi istituzionali (F.E.S.I.).

Anche a prescindere dai rilievi dianzi accennati, la fondatezza della domanda va comunque esclusa per ragioni di carattere più generale, che attengono alla natura del rapporto di impiego delle Forze di polizia, sottratto alla privatizzazione, e, pertanto, alla disciplina dettata oggi dall’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001 e, in precedenza, dall’art. 56 del D.Lgs. n. 29/1993, come sostituito dal D.Lgs. n. 80/1998, che, per effetto della modifica apportata dall’art. 15 del D.Lgs. n. 387/1998, ha innovativamente riconosciuto, per il futuro, il diritto del lavoratore alle differenze retributive connesse allo svolgimento di mansioni superiori. Nel caso in esame continua, invece, ad applicarsi il principio – da lungo tempo acquisito in giurisprudenza – dell’irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento di mansioni superiori, giacché, in difetto di una contraria previsione normativa, lo stato giuridico dei pubblici dipendenti si desume dal solo dato formale costituito dagli atti di nomina e promozione. A tale conclusione non osta l'art. 36 Cost., che, come in più occasioni autorevolmente ribadito, non può trovare incondizionata applicazione nel pubblico impiego, che enuncia solo un principio informatore della normativa in materia di retribuzione dei lavoratori, destinato al legislatore ordinario ed alla P.A., nell'esercizio del suo potere regolamentare, e da armonizzarsi con altri principi di pari rilevanza costituzionale, come quelli sanciti dagli artt. 97 e 98;
né gli artt. 2126 e 2103 cod. civ., il primo relativo a fenomeno del tutto diverso dallo svolgimento di mansioni superiori, il secondo applicabile al settore dell’impiego pubblico solo nei limiti previsti da norme speciali, qui mancanti (per tutte, cfr. Cons. Stato, A.P., 18 novembre 1999, n. 22;
id., 24 marzo 2006, n. 3).

Esula dal tema della controversia stabilire se, anche per il personale delle Forze di polizia a ordinamento civile, valga la possibilità (cfr. A.P. n. 22/1999, cit.) di reagire all’utilizzazione illegittima in mansioni superiori alla qualifica, ogniqualvolta questa ecceda, ad esempio, i limiti fisiologici della supplenza temporanea, istituto che, per la Polizia penitenziaria, è disciplinato dall’art. 32 del regolamento di servizio;
ovvero se, nei confronti di detto personale, debbano sempre e comunque farsi prevalere i principi di gerarchia e di continuità nella garanzia dello svolgimento delle attività connesse alla pubblica sicurezza. È utile, tuttavia, ricordare che, in forza della norma transitoria contenuta nel primo comma del sopra citato art. 7 D.M. 28 gennaio 2004, “fino a quando non saranno completate le dotazioni organiche del ruolo direttivo del Corpo di polizia penitenziaria, le funzioni di comandante del reparto, ove previsto, potranno essere affidate agli ispettori superiori sostituti commissari o agli appartenenti al ruolo degli ispettori”: la disposizione, infatti, nel mentre si preoccupa di legittimare il persistente impiego di ispettori nel ruolo di comandanti di reparto, implica, sul piano dell’interpretazione dell’art. 6 D.Lgs. n. 146/2000, che solo a decorrere dall’integrale copertura delle dotazioni, e dal conforme adeguamento delle piante organiche dei singoli istituti, possano reputarsi integrate le condizioni per il trasferimento delle attribuzioni in parola in capo al solo personale del ruolo direttivo (e, correlativamente, per il demansionamento degli ispettori);
fino a quel momento, si tratta di funzioni riferibili in via promiscua sia al personale direttivo, sia a quello appartenente al ruolo degli ispettori, di talché il loro l’esercizio da parte dei secondi nemmeno in punto di mero fatto equivale all’utilizzo di personale in mansioni superiori.

Diversamente opinando, gli ispettori lasciati in posizione di comando a causa delle inevitabili scoperture dovute alle originarie incompletezze dell’organico del personale direttivo finirebbero per trovarsi a svolgere mansioni (divenute) superiori, a differenza dei parigrado sostituiti da personale del ruolo direttivo, per effetto di circostanze del tutto casuali (l’avvenuta copertura con personale direttivo del posto di comando presso l’una o l’altra delle neo istituite sedi dirigenziali, in assenza di personale direttivo sufficiente a coprirle tutte).

Il carattere assorbente delle osservazioni circa l’inidoneità dello svolgimento di fatto di mansioni superiori a fondare il diritto al corrispondente trattamento retributivo, salve le diverse previsioni di legge o di regolamento, esime peraltro il giudice da ogni indagine in merito all’intervenuta integrale copertura delle dotazioni organiche del personale direttivo e all’avverarsi della condizione cui la legge subordina il superamento del descritto regime transitorio.

In forza delle considerazioni che precedono il ricorso non può trovare accoglimento. Le spese processuali possono essere compensate, avuto riguardo alla qualità della lite.

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