TAR Bologna, sez. I, sentenza 2015-12-21, n. 201501159

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bologna, sez. I, sentenza 2015-12-21, n. 201501159
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bologna
Numero : 201501159
Data del deposito : 21 dicembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00980/2007 REG.RIC.

N. 01159/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00980/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 980 del 2007 proposto da F G e, in qualità di erede di S B (deceduto nelle more del giudizio), da C G, rappresentati e difesi dall’avv. A D F e dall’avv. G D F, con domicilio presso la Segreteria del Tribunale;

contro

il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege ;

nei confronti di

Parrocchia di San Giorgio Martire in Solignano, in persona del legale rappresentante Don V P, difesa e rappresentata dall’avv. T S ed elettivamente domiciliata in Bologna, via Calanco n. 11, presso lo studio dell’avv. S S;

per l'annullamento

del decreto in data 20 novembre 2006, con cui la Direzione Regionale per i Beni culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna, ai sensi degli artt. 10, comma 1, e 12 del d.lgs. n. 42 del 2004, ha dichiarato di interesse storico-artistico il “Complesso di Solignano Vecchio”;

per quanto occorrer possa, dell’atto prot. n. 1961/1.1 in data 24 novembre 2006, con cui la Direzione Regionale per i Beni culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna ha notificato il decreto del 20 novembre 2006 alla Parrocchia di San Giorgio Martire in Solignano, in quanto asserita proprietaria dell’immobile;

per quanto occorrer possa, dell’atto prot. n. 6419 in data 27 maggio 2005, con cui la Direzione Regionale per i Beni culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna ha dichiarato la nullità del rogito di compravendita del suindicato immobile, risalente al 28 gennaio 1971.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e della Parrocchia di San Giorgio Martire in Solignano;

Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore il dott. I C;

Uditi l’avv. A D F, l’avv. Stefano Cappelli e l’avv. Francesco Cassanelli Stami, per le parti, alla pubblica udienza del 3 dicembre 2015;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con atto prot. n. 6419 in data 27 maggio 2005 la Direzione Regionale per i Beni culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna comunicava alla Parrocchia di San Giorgio Martire in Solignano, con sede a Castelvetro (MO), che il rogito di compravendita del 28 gennaio 1971 – relativo al trasferimento ai ricorrenti della proprietà dell’immobile adibito a Chiesa di San Giorgio con annesso campanile e dell’attiguo podere agricolo con sovrastanti fabbricati rurali – era da ritenersi nullo, ai sensi dell’art. 164 del d.lgs. n. 42 del 2004, perché privo dell’autorizzazione dell’Amministrazione dei beni culturali. Successivamente, ascrivendone la proprietà alla Parrocchia di San Giorgio Martire in Solignano, il medesimo organo statale dichiarava di interesse storico-artistico il “Complesso di Solignano Vecchio”, ai sensi degli artt. 10, comma 1, e 12 del d.lgs. n. 42 del 2004 (v. decreto in data 20 novembre 2006). Indi, veniva notificato detto provvedimento alla Parrocchia di San Giorgio Martire in Solignano, in quanto proprietaria dell’immobile, ai sensi dell’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004 (v. atto prot. n. 1961/1.1 in data 24 novembre 2006).

Avverso tali atti hanno proposto impugnativa i ricorrenti.

Assumono erronea la declaratoria di nullità (ai sensi dell’art. 61 della legge n. 1089/1939) del rogito di compravendita del 28 gennaio 1971, in quanto l’assenza dell’autorizzazione ministeriale di cui all’art. 26 della legge n. 1089 del 1939 non avrebbe potuto impedire il trasferimento della proprietà di un bene che, anche se appartenente a persona giuridica privata senza fine di lucro, non poteva ritenersi automaticamente sottoposto alle disposizioni di tutela della legislazione vincolistica in materia di beni culturali, richiedendosi a tal fine un apposito provvedimento dichiarativo dell’interesse storico-artistico – che all’epoca difettava –, con conseguente illegittimità del provvedimento adottato ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 42 del 2004 in relazione a bene non più di proprietà dell’ente ecclesiastico. Rivendicano, in ogni caso, la proprietà del complesso immobiliare in quanto acquisita per usucapione ventennale ex art. 1158 cod.civ., a fronte di un loro possesso ininterrotto e pacifico del bene senza opposizione da parte di terzi. Deducono, inoltre, che l’eventuale nullità dell’atto di acquisto del bene avrebbe carattere relativo, nell’interesse esclusivo dello Stato per l’esercizio del diritto di prelazione ex art. 61 della legge n. 1089 del 1939, il che quindi non li priverebbe del diritto di proprietà acquisito nel 1971, con conseguente preclusione dell’Amministrazione statale all’adozione dell’atto di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 42 del 2004. Denunciano, infine, la violazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 42 del 2004 e dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, per essersi il procedimento svolto in contraddittorio con l’ente ecclesiastico e non con i reali proprietari.

Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati, previa declaratoria del diritto di proprietà dei ricorrenti sul complesso immobiliare in questione.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e la Parrocchia di San Giorgio Martire in Solignano, opponendosi all’accoglimento del ricorso.

All’udienza del 3 dicembre 2015, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.

Una prima doglianza muove dal rilievo che, mancando all’epoca un provvedimento dichiarativo dell’interesse storico-artistico del complesso immobiliare oggetto della lite, non si presentava quest’ultimo automaticamente sottoposto alle disposizioni di tutela della disciplina vincolistica in materia di beni culturali e quindi non subordinata la sua alienazione in favore dei ricorrenti all’autorizzazione ministeriale ex art. 26 della legge n. 1089 del 1939.

La censura è fondata.

Il Collegio concorda con l’orientamento giurisprudenziale invocato dai ricorrenti.

In questi termini la questione è stata affrontata da una decisione del Consiglio di Stato: “ La materia del contendere sottoposta all’esame del Collegio con siffatto motivo si incentra dunque sulla necessità (o meno) di un atto formale del Ministero per i beni culturali e ambientali ai fini della sottoposizione di un bene di proprietà pubblica al regime vincolistico di cui alla legge n. 1089. Si tratta di questione sulla quale la Sezione ha avuto occasione di pronunciarsi con due recenti decisioni (2 novembre 1998, n.1479 ed 8 febbraio 2000, n.678), ove si è ritenuta la necessità, anche per i beni di proprietà pubblica, di un apposito atto diretto ad accertare la valenza storico-artistica del bene. Da tale indirizzo il Collegio non ha motivo di discostarsi condividendo pienamente le argomentazioni che stanno alla base delle predette decisioni. Il giudice di prime cure ha tratto argomento dal tenore dell’art. 4 L. n.1089/1939 per sostenere che, contrariamente a quanto avviene per i beni di interesse storico-artistico di proprietà privata, i beni omologhi appartenenti agli enti pubblici territoriali sono ex lege assoggettati al regime proprio dei beni demaniali ed alle norme protettive dettate dalla legge n. 1089 senza che sia all’uopo necessario un atto costitutivo di accertamento del pregio del bene. In realtà la citata disposizione normativa, se è vero che sancisce la funzione puramente dichiarativa assolta dagli “elenchi” (nei quali i rappresentanti degli Enti debbono ricomprendere “le cose indicate nell’art. 1 …”), non contiene però alcuna statuizione da cui possa escludersi la necessità di un provvedimento costitutivo volto alla verifica dell’interesse storico-artistico del bene ed alla conseguente imposizione del regime vincolistico. Anzi la previsione contenuta all’ultimo comma dell’art.4, laddove richiama “le disposizioni della presente legge per affermare che queste trovano applicazione per le cose di proprietà degli enti pubblici territoriali, a prescindere dall’inclusione negli elenchi descrittivi, va riferita certamente anche alle norme (della L. n. 1089) che prescrivono di accertare la natura del bene e di riscontrarne l’interesse culturale ai sensi degli artt. 1 e 2. Né può assumere alcun rilievo in senso contrario la circostanza che l’art. 3 della L. n. 1089/1939 imponga la “notifica” per i soli beni di proprietà privata. Siffatta limitazione – come ha osservato la Sezione nelle pronunce soprarichiamate – riguarda infatti il solo momento della partecipazione o comunicazione dell’atto, “mentre non vi è traccia alcuna di una distinzione tra beni pubblici e privati per quanto afferisce al momento prodromico dell’accertamento circa l’interesse da tutelare, esplicazione di discrezionalità tecnica di pertinenza dell’Amministrazione dei beni culturali …” (così VI, 8 febbraio 2000, n. 678). La necessità di un provvedimento costitutivo anche per i beni di interesse storico-artistico appartenenti agli Enti pubblici territoriali è in ogni caso postulata – secondo l’orientamento giurisprudenziale soprachiamato – anche dalle disposizioni del Codice Civile ove, ai sensi del combinato disposto degli artt. 822-824 fanno parte del demanio gli immobili di proprietà di Stato, Province e Comuni, “riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia”: con ciò evidenziandosi che la qualificazione di beni sottoposti al regime della legge n.1089 presuppone un apposito atto di riconoscimento che accerti l’interesse alla tutela. Occorre aggiungere che le conclusioni cui perviene la ricostruzione del dato normativo qui delineata si pone in perfetta coerenza: da un lato, con l’opportunità di ricondurre ogni valutazione al Ministero per i beni culturali, vale a dire all’organo tecnicamente qualificato ed istituzionalmente deputato all’accertamento della valenza storico-artistica del bene;
dall’altro, con l’esigenza non meno importante di dare certezza al regime vincolistico onde agevolare gli Enti pubblici proprietari in sede di gestione e di disposizione del bene
” (Cons. Stato, Sez. VI, 8 gennaio 2003 n. 20). Seguendo un analogo percorso argomentativo, è stato altresì osservato che “… il legislatore, anche in riferimento ai beni di proprietà pubblica, si è limitato a definire in termini assolutamente generici la qualità di bene culturale, tracciando la cornice di riferimento della suddetta categoria speciale sulla base di presupposti – afferenza all’interesse storico, artistico etc… – di per se stessi inidonei a svolgere, con la pretesa automaticità, un’adeguata funzione selettiva e che, dunque, implicano, indefettibilmente, la mediazione concretizzatrice di apprezzamenti valutativi. Ne discende che, per potere applicare il regime di tutela congegnato dal legislatore, occorre che ogni atto di gestione del vincolo – se non già preceduto da un esplicito provvedimento impositivo – contenga un inevitabile passaggio ricognitivo, idoneo, da un lato, a disvelare il tipo di interesse che consente di sussumere il singolo bene nella categoria legislativa di riferimento e, dall’altro, a dimensionarlo sotto il profilo qualitativo e quantitativo, onde raccordare a tale indefettibile premessa qualificatoria, in termini di certezza giuridica, i connessi interventi in tema di tutela e valorizzazione. Solo in tal modo, peraltro, verrebbero scongiurati i rischi sia di arbitrarie forme di compressione della proprietà che di contraddittorie determinazioni …” (TAR Campania, Napoli, Sez. II, 29 novembre 2005 n. 19757).

Derivandone, dunque, che per gli immobili in questione non era sufficiente l’intrinseco valore storico-artistico degli stessi, ai fini dell’operatività del regime di tutela di cui alla legge n. 1089 del 1939, ma occorreva anche un formale ed espresso riconoscimento della sussistenza del relativo interesse pubblico con atto assunto dalla competente Amministrazione, la mancanza di determinazioni che recassero una simile qualificazione formale esonerava le parti contraenti dal richiedere l’autorizzazione ministeriale di cui all’art. 26 della legge n. 1089 del 1939 ed escludeva di conseguenza la configurabilità dell’atto di alienazione “nullo”. Trasferitasi, allora, fin dal 1971 la proprietà del complesso immobiliare a privati cittadini, illegittima si presenta la sopraggiunta dichiarazione di interesse storico-artistico ex artt. 10, comma 1, e 12 del d.lgs. n. 42 del 2004, perché riferita a bene da tempo non più appartenente a persona giuridica privata senza fine di lucro, quindi estraneo all’àmbito di operatività delle suindicate disposizioni.

Di qui, assorbite le restanti censure, l’accoglimento del ricorso e il conseguente annullamento degli atti impugnati.

La sussistenza di precedenti giurisprudenziali contrastanti giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.

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