TAR Palermo, sez. III, sentenza 2023-07-11, n. 202302318

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. III, sentenza 2023-07-11, n. 202302318
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202302318
Data del deposito : 11 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/07/2023

N. 02318/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00914/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 914 del 2022, proposto da
-OMISSIS-s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati M S, D N, con domicilio digitale come da registro tenuto presso il Ministero della Giustizia;

contro

Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, Servizio Soprintendenza beni culturali e ambientali di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, con domicilio digitale come da registro tenuto presso il Ministero della Giustizia;

nei confronti

Curatela fallimentare della -OMISSIS-, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

del provvedimento della Soprintendenza dei beni culturali e ambientali di Palermo prot. -OMISSIS-del 16 marzo 22, rettificato il 31 marzo 2022, avente come oggetto “Villa termine del Conte d’Isnello S. Antimo, via Monteverdi 38, Richiesta di condono edilizio ai sensi dell’art. 40 della l. 47/85” .


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, Servizio Soprintendenza beni culturali e ambientali di Palermo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2023 la dott.ssa R S R e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con atto ritualmente notificato e depositato, la -OMISSIS-s.r.l. ha impugnato il provvedimento in epigrafe indicato, premettendo le circostanze che possono riassumersi come di seguito.

Villa Isnello di Palermo, nei secoli più volte rimaneggiata, nella sua forma attuale, è il risultato di lavori successivi al 1860. Nel 1978, la villa è stata dichiarata di interesse storico-artistico.

Nell’anno 2017, nell’ambito di una procedura fallimentare, la villa è stata acquistata – limitatamente al piano terra ed al secondo piano - dalla società ricorrente, che, con istanza dell’8 marzo 2018, ai sensi dell’art. 40, comma 6 della l. 47/85, ha chiesto il condono di alcune opere abusivamente realizzate nell’immobile.

Con nota del 6 novembre 2018, il Comune di Palermo ha espresso parere positivo al condono e, quindi, ha richiesto alla competente Soprintendenza il necessario nulla-osta.

In data 17 marzo 2021, l’ente tutorio ha notificato il provvedimento oggetto di impugnazione (rettificato con atto del 31 marzo 2022), con cui:

- ha rilevato che, successivamente all’apposizione del vincolo, nella villa sono state realizzate opere abusive, consistenti nel frazionamento del corpo principale in tre unità immobiliari (oggi identificate in catasto fabbricati al foglio-OMISSIS- destinate ad abitazione, con stralcio di una parte comune destinata all’inserimento di un impianto ascensore a servizio di tre livelli (piano terra, primo e sottotetto), a fianco dell’androne (oggi subalterno 3), oltre ad opere varie di manutenzione straordinaria e realizzazione di nuovi impianti e servizi;

- ha considerato che molti degli interventi realizzati si configurano quali interventi di ristrutturazione, intesa come “insieme di interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente” , e pertanto non sono compatibili con la valenza monumentale del bene e con la finalità di conservazione del medesimo (art. 29 d.lgs. 42/2004);

- ha disposto, ai sensi dell’art. 160, co. 1 d.lgs. 42/04, la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con riferimento ad alcune delle opere abusivamente realizzate (segnatamente, è stata disposta la dismissione dei solai realizzati in assenza di autorizzazione e l’eliminazione delle aperture sul tetto, reintegrando il sistema di copertura, come indicato nei grafici);

- è stato consentito il mantenimento di alcune delle opere abusive (realizzazione di una porzione comune di ingresso, disimpegno ed impianto ascensore, sostituzione di pavimentazioni, chiusura e apertura di vani di passaggio, realizzazione di tramezzi e di impianti);

- è stato autorizzato il progetto di “parziale rimessa in pristino e di nuova realizzazione” proposto dalle ditte proprietarie (ossia la società ricorrente ed i signori -OMISSIS- proprietari del piano primo), alle seguenti condizioni: “non dovranno essere realizzate le nuove finestre sulla porzione di copertura piana, se necessario potrà essere realizzato un lucernaio centrale, le cui modalità, posizione, dimensioni e materiali, dovranno essere concordati con i tecnici incaricati dell’esercizio dell’Alta Sorveglianza, previa presentazione di grafici esecutivi” .

Premesse tali circostanze, la società ricorrente ha dedotto i seguenti profili di illegittimità del provvedimento impugnato.

I. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/90 e degli artt. 20 e 160 del codice dei beni culturali per mancata indicazione del danno concretamente arrecato all’immobile;
difetto di istruttoria.

In violazione delle disposizioni indicate, il provvedimento impugnato difetterebbe di adeguata motivazione, tale da esplicitare il concreto danno arrecato all’immobile vincolato per effetto degli interventi abusivi realizzati. Piuttosto, le ragioni addotte si risolverebbero in una mera motivazione di stile.

II. Eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità e del principio di legittimo 14 affidamento;
violazione art. 1, comma 2 bis, l. n. 241/90;
violazione art. 97 Cost.

Secondo parte ricorrente, gli interventi di ripristino disposti sarebbero contrari al principio di proporzionalità, giacché i solai tra primo e secondo piano sono stati modificati di una misura variabile tra i 30 e i 100 cm per una estensione pari a circa 140 mq: i costi del ripristino sarebbero altissimi, a fronte di un beneficio che sarebbe minimo, atteso che le modifiche non sono visibili dall’esterno e che le originarie volte sottostanti sono ormai state eliminate da anni.

Sotto altro profilo, l’Amministrazione – che sapeva dal 1992-1993 della realizzazione dei lavori – non ne avrebbe impedito la prosecuzione, né ne avrebbe disposto la rimozione, con il sostanziale effetto di ingenerare nella ricorrente la ragionevole convinzione che la situazione di Villa Isnello non presentasse profili problematici dal punto di vista artistico-culturale.

III. Violazione art. 1 del protocollo n. 1 alla CEDU

Secondo parte ricorrente, il provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con i principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza Beyeler v. Italy, [GC], §§ 108-114), secondo cui qualunque ingerenza sul godimento di un bene deve soddisfare tre requisiti, ossia essere prevista dalla legge, essere motivata da uno scopo legittimo e rispettare il principio di proporzionalità.

Tali presupposti difetterebbero nel caso di specie, atteso che, quanto ai primi due, mancherebbe la prova del “danno” concreto arrecato al bene tutelato e, quanto al terzo, difetterebbe il principio di proporzionalità, anche avuto riguardo al tempo trascorso dalla commissione dell’abuso.

IV. Disparità di trattamento rispetto ad altri edifici vincolati in cui sono stati autorizzate le aperture a tetto;
difetto di istruttoria e di motivazione in relazione alla decisione di concedere una sola apertura nella porzione piana del tetto.

Parte ricorrente censura la disparità di trattamento in relazione ad altri immobili vincolati, presenti nella città di Palermo, nei quali sarebbero state consentite aperture sul tetto (lucernari o finestre tipo Velux ), senza che la Soprintendenza abbia mosso obiezioni (Palazzo dei Normanni e Palazzo Butera).

V. Violazione art. 160, comma 4, del codice dei beni culturali in merito alla impossibilità di eseguire i lavori di ripristino senza danneggiare la villa;
eccesso di potere per violazione della nota dell’assessorato regionale del 25.07.94;
prescrizione delle somme ex art. 28 l. n. 689/81 e art. 2947 c.c.

Secondo parte ricorrente, l’amministrazione avrebbe dovuto dare applicazione all’art. 160, co. 4 del d.lgs. 42/2004, per il quale “Quando la reintegrazione non sia possibile il responsabile è tenuto a corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla cosa” . Tuttavia, non si sarebbe potuto irrogare la sanzione pecuniaria, essendo ormai trascorso il relativo termine di prescrizione.

VI. Violazione art. 160, comma 4, del codice dei beni culturali per erronea indicazione del soggetto passivo.

In via subordinata, per l’ipotesi in cui si ritenesse che la sanzione di cui al motivo precedente non sia prescritta, le suddette somme, ad avviso della ricorrente, dovrebbero essere addebitate alla Imgeco s.r.l., responsabile dell’abuso.

VII. Violazione art. 160, comma 1, del codice dei beni culturali: impossibilità di indicare la ricorrente come unico soggetto passivo per ordine di reintegrazione.

Sempre in via subordinata, parte ricorrente ha sostenuto che, in ogni caso, il pagamento delle dette somme dovrebbe essere posto anche a carico dei proprietari del piano primo della villa.

Si è costituito per resistere al ricorso l’Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana.

Alla pubblica udienza del 20 aprile 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso non merita accoglimento.

Non convincono le deduzioni rese con il primo motivo, secondo cui il provvedimento impugnato non recherebbe indicazione effettiva del “danno” subito dall’immobile vincolato, ai sensi dell’art. 60, d.lgs. 42/04, per il quale “Se per effetto della violazione degli obblighi di protezione e conservazione stabiliti dalle disposizioni del Capo III del Titolo I della Parte seconda il bene culturale subisce un danno, il Ministero ordina al responsabile l’esecuzione a sue spese delle opere necessarie alla reintegrazione” .

In realtà, nel provvedimento impugnato, dopo la descrizione delle opere realizzate ( “per la realizzazione del piano secondo di sottotetto sono stati eseguiti solai intermedi al di sopra delle volte ampliando l'ambiente di sottotetto preesistente, nella sua estensione storicizzata, come rappresentato nei grafici allegati all'ultimo parere emesso da questa Soprintendenza in data 26/04/1985 prot. n. 3359, sopra citato e come rappresentato oltre che nella documentazione storica conservata negli archivi di questa Amministrazione, anche nelle pubblicazioni di settore (cfr. M G, Caratteri dell’architettura), nonché lo stravolgimento del sistema di copertura a padiglione con un intensivo inserimento di aperture, creando n. 22 finestre complanari al manto di tegole” ), sono indicate le ragioni per le quali non se ne può consentire il mantenimento: “le suddette opere non sono compatibili con la valenza monumentale della Villa, in quanto alterano la configurazione degli spazi interni e modificano i caratteri tipologici con uso di materiali e soluzioni progettuali non consoni al contesto storico del bene vincolato” .

La motivazione del provvedimento, ad avviso del Collegio, è idonea ad esternare le ragioni per le quali le opere realizzate non possono essere mantenute: la realizzazione di solai intermedi ha alterato l’ambiente di sottotetto esistente, ricavabile dalla documentazione in possesso della Soprintendenza e, quanto all’intensivo inserimento di aperture (n. 22 finestre), questo è tale da stravolgere l’originaria configurazione della copertura.

Secondo parte ricorrente, sarebbe stato necessario che la Soprintendenza indicasse le ragioni per le quali tali modifiche dell’originaria configurazione dell’immobile costituirebbero un “danno” per il medesimo.

Ritiene il collegio che tale ulteriore precisazione non sia necessaria.

La Soprintendenza ha correttamente assunto a parametro del giudizio reso il principio informatore della disciplina vigente in materia, ossia quello della conservazione dei beni culturali (artt. 29 e ss. d.lgs. 42/04), cosicché non sembra irragionevole l’avviso espresso dall’organo tutorio, che ha individuato nella modifica del piano sottotetto e nello stravolgimento del sistema di copertura di per sé un danno, ai sensi del menzionato art. 160, per la ragione che tali interventi “alterano la configurazione degli spazi interni e modificano i caratteri tipologici con uso dei materiali e soluzioni progettuali non consoni al contesto storico del bene vincolato” .

A tale proposito, va ricordato che, secondo un più che consolidato indirizzo giurisprudenziale, il giudizio affidato all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, delle scienze ambientali, dell’arte e dell’architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità;
l’apprezzamento così compiuto è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche (in questo senso, tra le più recenti, Cons. Stato sez. IV, 18 aprile 2023, n. 3892). Nel caso in esame, il Collegio non ravvisa alcuna illogicità nella scelta operata dall’amministrazione (rimessione in pristino di sottotetto e copertura), sotto l’egida del criterio di legge della conservazione del bene culturale.

Per le medesime ragioni, il collegio non condivide le censure mosse con il quarto motivo di ricorso – relativo ad una presunta disparità di trattamento rispetto ad altri immobili vincolati – pure volto a contestare nel merito il giudizio tecnico-discrezionale dell’amministrazione.

Deve, anche, notarsi, a tale riguardo, che la mera circostanza che nei palazzi storici presi a raffronto da parte ricorrente siano presenti delle aperture a soffitto non consente di per sé di ritenere che qualsivoglia creazione di analoghe aperture in altri palazzi storici non arrechi pregiudizio alla originaria fisionomia dei medesimi e, in definitiva, non si ponga in conflitto con la finalità di “conservazione” del bene vincolato, finalità che l’ente tutorio è chiamato a perseguire;
va rilevato, peraltro, che, nel caso in esame, si tratta di un “intensivo” inserimento di aperture (così il provvedimento impugnato), trattandosi di ben ventidue Velux in un palazzo di dimensioni certamente più ridotte rispetto a quelle degli immobili storici assunti a termine di paragone.

Né, peraltro, appare generico – come pure contestato in ricorso – il riferimento allo stato della villa alla fine degli anni ’80: il richiamo alla documentazione storica conservata negli archivi dell’amministrazione, oltre che alle pubblicazioni di settore, accompagnato dall’indicazione del testo cui si fa riferimento (M G, Caratteri dell’architettura), costituisce indicazione sufficiente a desumere a quali elementi la Soprintendenza abbia fatto riferimento;
peraltro, nel fascicolo del presente giudizio, l’amministrazione ha prodotto numerosi atti risalenti ad alcuni decenni addietro, oltre ad un estratto del testo cui ha rinviato, da cui risultano i dati dalla medesima utilizzati per ricostruire il precedente stato dell’edificio.

Non convince neppure il secondo motivo di ricorso, sulla violazione dell’affidamento ingenerato nella ricorrente e sulla violazione del principio di proporzionalità.

Osserva il collegio come non possa discutersi di affidamento circa la regolarità delle opere realizzate, a fronte di interventi non autorizzati e dei quali è stata anche disposta la sospensione (in disparte la denuncia alla Procura della Repubblica). Se, dunque, è senz’altro censurabile la lunga inerzia dell’amministrazione - che per circa trent’anni non ha intrapreso alcuna concreta azione volta al ripristino dei beni – non può di certo ritenersi che tale silenzio abbia ingenerato il convincimento sulla intervenuta regolarizzazione di opere della cui abusività la proprietaria del bene era ben consapevole.

Né, peraltro, come pure sostenuto in ricorso, può supporsi che alcuni degli interventi realizzati siano stati di fatto autorizzati, per effetto della presenza in cantiere di tecnici della Soprintendenza, attesa la necessità di un provvedimento esplicito in tal senso.

Le appena rese considerazioni rendono evidente come non appaiano utili ai fini della decisione le indagini istruttorie richieste da parte ricorrente in ricorso e con la memoria depositata in vista dell’udienza di merito e tendenti ad acquisire agli atti del presente procedimento copia della denuncia penale e i verbali dei sopralluoghi effettuati in cantiere.

Né, ancora, può invocarsi il principio di proporzionalità, avuto riguardo all’estensione dell’abuso commesso: l’art. 160 d.lgs. 42/04 non rimette all’ente tutorio una scelta discrezionale circa la misura da adottare in presenza di interventi abusivi, prevedendo esclusivamente il ripristino del bene, sostituibile con una sanzione pecuniaria solo qualora “la reintegrazione non sia possibile” (quarto comma) e non anche quando questa sia onerosa rispetto al vantaggio ottenibile.

Anche il terzo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente ha diversamente declinato le censure della mancata prova di un danno al bene culturale e della violazione del principio di proporzionalità – ossia sotto il profilo del contrasto con i principi espressi dalla Carta europea dei diritti dell’uomo – è infondato, in ragione di quanto osservato sui due temi in sede di esame dei precedenti motivi di ricorso.

Gli ultimi tre motivi di ricorso non possono trovare accoglimento;
le doglianze, invero, sono fondate sull’assunto, non dimostrato, della impossibilità di ripristinare lo stato dei luoghi, che avrebbe dovuto condurre la Soprintendenza ad irrogare una sanzione pecuniaria, comunque prescritta e in ogni caso da porre a carico della Imgeco s.r.l. e dei proprietari del piano primo della villa.

In realtà, nel ricorso, così come nella relazione tecnica di parte prodotta agli atti del presente giudizio, non si afferma tanto il rischio al quale andrebbe incontro la stabilità dell’edificio laddove si realizzassero le disposte opere di rimessione in pristino, quanto, piuttosto, la maggiore tenuta sismica che lo stato attuale dell’immobile ha, rispetto a quella che aveva precedentemente ed a quella che avrebbe laddove si ripristinasse lo status quo ante .

Il tecnico di parte, invero, ha affermato che la quota degli originari solai, impostati secondo la descrizione riportata nei grafici del 1985, comporterebbe, in caso di sisma, la presenza di più azioni dinamiche orizzontali, incidenti sulla struttura in muratura portante, a quote differenziate, aumentando la vulnerabilità al sisma dell’edificio.

Si tratta, all’evidenza, di considerazioni estranee al tema su cui verte la valutazione imposta dall’art. 160 cit., ossia se sia possibile o meno il ripristino dello stato dei luoghi.

In conclusione, il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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