TAR Napoli, sez. III, sentenza 2011-05-05, n. 201102499
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N. 02499/2011 REG.PROV.COLL.
N. 02272/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2272 del 2007, proposto da:
M A, rappresentata e difesa dall'avv. dall’Avvocato G G, con il quale elettivamente domicilia in Napoli presso lo studio dell’Avvocato Maria D’Ambrosio alla via Villa Bisignano, VI trav. 43;
contro
Comune di Portici, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso, giusta procura a margine della copia del ricorso notificato e in virtù di delibera di G.M n. 165/2007, dall’Avvocato R R, con il quale domicilia in Napoli presso la segreteria del T.A.R. Campania;
per l'annullamento
a) del provvedimento del 12 febbraio 2007 (prot. 652/UT) con il quale il dirigente del Comune di Portici ha rigettato l’istanza del 28 marzo 1986 (prot. 26998/1458/UT) volta a ottenere la concessione edilizia in sanatoria per le opere eseguite alla via Paladino n. 43 consistenti in “un manufatto con struttura metallica e copertura in lamiera destinato a box auto, per complessivi 14 box per una superficie di circa mq. 236,09”;
b) di tutti gli atti precedenti, presupposti, connessi e consequenziali, ivi compresa la nota del 5 dicembre 2006 (prot. 4729/UT);
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Portici;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2011 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 5 aprile 2007 e depositato il 23.04.2007, la ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale il Comune di Portici ha negato la concessione edilizia in sanatoria richiesta con l’istanza n. 26998/1458/UT del 28 marzo 1986 per le opere eseguite alla via Paladino n. 43 e consistenti in “un manufatto con struttura metallica e copertura in lamiera destinato a box auto, per complessivi 14 box per una superficie di circa mq. 236,09”.
In particolare, l’amministrazione ha rigettato al domanda di condono presentata ai sensi della legge n. 47/1985 sul seguente presupposto: “nel P.R.G. approvato con decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 181 del 5.3.2002 l’area in esame risulta vincolata a zona F – Aree Pubbliche a Standards – zona F3 aree a verde pubblico. L’art. 32 legge n. 47/1985 al comma 2, lettera b) subordina la suscettibilità di sanatoria per le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione, in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici o spazi pubblici, alla condizione che non siano in contrasto con le previsioni di varianti di recupero di cui al capo terzo legge n. 47/1985. Non sono state adottate varianti di recupero con previsioni compatibili o comunque non in contrasto con le opere di cui si richiede il condono edilizio, e tale circostanza costituisce motivo ostativo all’accoglimento dell’istanza”.
La ricorrente ha evidenziato che le opere in questione vennero realizzate nel 1980 e che il Comune, con nota dell’11 novembre 1998, ha chiesto e ottenuto, a fini dell’istruttoria dell’istanza, integrazioni documentali, nonché l’attestazione del versamento dell’oblazione.
A sostegno del gravame ha dedotto i seguenti motivi:
1) violazione dell’art. 35 della legge n. 47/1985, eccesso di potere, errore manifesto, sviamento e ingiustizia manifesta in quanto, essendo trascorsi 24 mesi dalla presentazione della domanda, si è formato il silenzio assenso ai sensi dei commi 17 e 18 del predetto art. 35 e in quanto l’adozione del P.R.G. è avvenuta, in data 5 marzo 2002, successivamente alla formazione del silenzio-assenso;
2) violazione dell’art. 2 della legge n. 1187/1968 nonché dell’art. 32, lettera b) della legge n. 47/1985 in quanto il vincolo di destinazione della zona a verde pubblico posto dal P.R.G. si configura come preordinato all’esproprio e, come tale, è divenuto inefficace per la mancata adozione nel termine di 5 anni del piano attuativo o della dichiarazione di pubblica utilità, con la conseguenza della non opponibilità del vincolo all’intervento oggetto di causa, eseguito prima dell’apposizione del vincolo stesso;
3) violazione del giusto procedimento, difetto di istruttoria e di motivazione, sviamento per omessa acquisizione del parere della Commissione edilizia integrata e contraddittorietà in quanto la CEI ha espresso parere favorevole al condono, sulla base della verifica dell’ultimazione dei lavori nell’anno 1980, nel rispetto della legge n. 47/1985;
4) eccesso di potere, sviamento e difetto di motivazione in quanto il provvedimento adottato dopo molti anni dalla commissione dell’abuso non è sufficientemente motivato con riguardo agli interessi pubblici che sorreggono il diniego.
Si è costituito per resistere al ricorso il Comune di Portici.
Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto.
Oggetto della presente controversia è il rigetto della domanda di condono edilizio presentata dalla ricorrente ai sensi della legge n. 47/1985 in relazione a opere eseguite alla via Paladino n. 43 e consistenti in “un manufatto con struttura metallica e copertura in lamiera destinato a box auto, per complessivi 14 box per una superficie di circa mq. 236,09”.
Il Comune di Portici ha negato la sanatoria sul seguente presupposto: “nel P.R.G. approvato con decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 181 del 5.3.2002 l’area in esame risulta vincolata a zona F – Aree Pubbliche a Standards – zona F3 aree a verde pubblico. L’art. 32 legge n. 47/1985 al comma 2, lettera b) subordina la suscettibilità di sanatoria per le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione, in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici o spazi pubblici, alla condizione che non siano in contrasto con le previsioni di varianti di recupero di cui al capo terzo legge n. 47/1985. Non sono state adottate varianti di recupero con previsioni compatibili o comunque non in contrasto con le opere di cui si richiede il condono edilizio, e tale circostanza costituisce motivo ostativo all’accoglimento dell’istanza”.
Ai fini della compiuta trattazione della fattispecie va esaminato, in primo luogo, il primo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente deduce l’avvenuta formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono essendo trascorsi 24 mesi dalla sua presentazione non rilevando, a tal fine, il vincolo imposto dal P.R.G. in epoca successiva alla realizzazione dell’abuso.
Il motivo va disatteso. Ed invero, trattandosi di zona sottoposta a vincolo paesaggistico, ricadente nel P.T.P. dei Comuni Vesuviani (approvato con D.M. Beni ed Attività Culturali del 4 luglio 2002), deve escludersi la formazione del silenzio assenso, stante la mancanza del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sulla compatibilità paesistico-ambientale (cfr., in termini, Consiglio Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3542, secondo cui <<Ai sensi della l. 28 febbraio 1985 n. 47 art. 35, in relazione al disposto dell'art. 32, in caso di istanza di condono edilizio per opere abusive realizzate su aree sottoposte a vincolo (nella specie, paesistico), il silenzio assenso dell'amministrazione comunale si forma con il decorso di ventiquattro mesi dall'emanazione del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo stesso, soltanto se tale parere ha contenuto favorevole all'istante>>)” T.A.R. Campania, Napoli sez. IV, 1255/2007). Considerato che nella fattispecie l’abuso ricade nel territorio del Comune di Portici soggetto a vincolo paesaggistico e che non risulta acquisito il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo non può dirsi formato l’invocato silenzio assenso sulla domanda di condono.
Deve ritenersi, invece, fondato il motivo di ricorso con il quale parte ricorrente ha contestato l’opponibilità del sopravvenuto vincolo di piano regolatore.
Al riguardo giova premettere, in punto di diritto, che la nozione di “vincolo” adoperata dagli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, come possibile causa ostativa (in via assoluta, art. 33, o in via relativa, art. 32) alla condonabilità dell’abuso (art. 32, comma 1: “opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo”;art. 33, primo comma, lettera d): “ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”), nella sua ampiezza e onnicomprensività è tale da ricomprendere, oltre ai vincoli statali e regionali di tutela di interessi storico-artistici, archeologici, ambientali, etc., diversi da quelli al corretto assetto urbanistico edilizio del territorio, anche i vincoli di inedificabilità derivanti dai piani regolatori comunali e dagli altri strumenti urbanistici. Il trattamento riservato a quest’ultima tipologia di vincoli è tuttavia diverso da quello proprio dei vincoli extra-urbanistici: in disparte la tipologia dei vincoli assoluti di inedificabilità, considerata dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985, legata alla necessaria previetà del vincolo rispetto al tempo dell’abuso, nello schema dei vincoli “relativi” (ossia dei vincoli la cui potenziale ostatività alla condonabilità dell’abuso non è stabilita in astratto dalla legge, ma deve essere verificata in concreto con una pronuncia motivata dell’autorità preposta alla gestione del vincolo) rilevano, invece, di massima, anche i vincoli successivi all’abuso, in specie allorquando, come accade nel caso dei vincoli storico-artistici o paesaggistici, si tratta di atti dichiarativi di qualità intrinseche degli immobili e delle aree, preesistenti alla dichiarazione di interesse pubblico contenuto nel provvedimento di vincolo, preordinati alla salvaguardia di valori e interessi primari, sovraordinati all’interesse ordinario al corretto assetto urbanistico edilizio e all’uso antropico del territorio (artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in tema di tutela del paesaggio: da ultimo, Corte cost. n. 367 del 2007, nn. 180 e 232 del 2008, n. 164 del 2009, nn. 101 e 193 del 2010;Cons. Stato, ad. plen., n. 19 del 1999;artt. 32 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in tema di tutela dell’ambiente: Corte cost., nn. 225, 232 – 235, 246-251 del 2009).
Diverso è invece, nello schema dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, il regime dei vincoli urbanistici sopravvenuti, la cui possibile rilevanza ostativa, è del resto distintamente presa in considerazione e disciplinata dal comma 2 dell’art. 32, a mente del quale “Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino: a) in difformità dalla legge 2 febbraio 1974, n. 64, e successive modificazioni, e dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, quando possano essere collaudate secondo il disposto del quarto comma dell'articolo 35;b) in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici od a spazi pubblici, purché non in contrasto con le previsioni delle varianti di recupero di cui al capo III;c) in contrasto con le norme del D.M. 1° aprile 1968, n. 1404, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13 aprile 1968, e con gli articoli 16, 17 e 18 della legge 13 giugno 1991, n. 190, e successive modificazioni, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”. Mentre, dunque, il principio generale di rilevanza dei vincoli successivi, nelle ipotesi di cui all’art. 32, trova un pieno dispiegamento nel caso dei vincoli statali e regionali extra-urbanistici, esso rinviene, invece, un significativo temperamento nel caso dei vincoli di pianificazione urbanistica, e ciò per un duplice, concorrente ordine di ragioni. In primo luogo perché canoni di buona amministrazione efficiente ed efficace, nel quadro dell’art. 97 Cost. e del capo I della legge n. 241 del 1990, imporrebbero all’amministrazione di provvedere logicamente, sulla base dell’apposito strumento dei piani di recupero e di ricomposizione urbana previsti dal capo III della legge n. 47 del 1985, prima sulle domande di condono non ancora definite e di procedere solo successivamente all’eventuale ridisegno delle linee del corretto assetto urbanistico-edilizio, tenendo conto delle mutate esigenze derivanti dalle ricadute urbanistiche dei condoni accordati, di modo che in un simile contesto di razionalità amministrativa, l’ipotesi di nuovi e sopravvenuti vincoli di piano negativamente incidenti su domande di condono ancora non esaminate dovrebbe essere esclusa in radice. In secondo luogo, perché, diversamente opinando e ammettendo sempre e comunque la rilevanza ostativa dei nuovi vincoli di piano si potrebbe pervenire irrazionalmente a uno svuotamento sostanziale progressivo della portata effettuale del condono.
E’ dunque necessario ricondurre a razionalità la previsione, contenuta nell’art. 32, comma 2, della legge n. 47 del 1986, che pure testualmente ammette, ancorché in limitati casi e a determinate condizioni restrittive, la rilevanza ostativa dei vincoli di piano successivi.
Sotto un primo profilo, occorre rilevare che, per logica, tale rilevanza ostativa è configurabile solo per i vincoli di piano sopravvenuti alla data di ultimazione dell’abuso, ma non anche per quelli successivi alla presentazione della domanda di condono. A giungere a diverse conclusioni si perverrebbe all’assurdo di consentire all’omissione di provvedimento sul condono e al ritardo patologico dell’amministrazione comunale nell’adozione dei piani di recupero e nell’esame delle pratiche di condono edilizio un’efficacia doppiamente lesiva per il soggetto richiedente che, oltre a vedere frustrato il proprio legittimo interesse a ricevere una risposta nei termini, rimarrebbe esposto alle varianti successive degli strumenti urbanistici introdotti dall’amministrazione, con effetti impeditivi del condono, fin quando essa amministrazione non decida di esitare, finalmente, anche a distanza di decenni, come nel caso in esame, la domanda di sanatoria. Questa tesi restrittiva della rilevanza successiva delle nuove previsioni urbanistiche trova del resto riscontro puntuale nelle disposizioni del già richiamato capo III della legge n. 47 del 1985 (in particolare, l’art. 29, rubricato Varianti agli strumenti urbanistici e poteri normativi delle regioni, imponeva la disciplina, con legge regionale, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, della formazione, adozione e approvazione delle varianti agli strumenti urbanistici generali finalizzati al recupero urbanistico degli insediamenti abusivi, esistenti al 1° ottobre 1983, entro un quadro di convenienza economica e sociale).
Sotto un secondo profilo, i casi di rilevanza del vincolo di piano successivo, in quanto contrari logicamente alla struttura stessa del meccanismo condonistico, devono essere interpretati come eccezioni alla regola e, dunque, secondo un criterio di rigida tassatività e di interpretazione restrittiva.
Nel caso di specie, emerge la non opponibilità alla domanda di condono della ricorrente del vincolo di piano sopravvenuto nel 2002, addotto dal Comune intimato a motivo della reiezione della sua domanda. Si tratta, infatti, di un vincolo successivo non solo alla commissione dell’abuso (opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione), ma anche alla presentazione della domanda di condono.
La lettura fornita dal Comune del presupposto richiesto dalla lettera b) del comma 2 dell’art. 32 citato (in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici od a spazi pubblici, purché non in contrasto con le previsioni delle varianti di recupero di cui al capo III) ribalta il senso logico della legge del 1985, poiché trasforma l’inadempienza del Comune – che non ha mai adottato il piano di recupero, né ha mai esaminato le domande di condono – in una indebita causa di svantaggio per il privato richiedente il condono, traducendo irrazionalmente l’omissione del piano di recupero in una illimitata rilevanza impeditiva di tutte le nuove previsioni di piano regolatore, anche successive, come nella specie, di vent’anni rispetto all’abuso e alla domanda di sanatoria, che divengono altrettante, autonome ragioni preclusive del condono stesso.
La lettera b) del comma 2 dell’art. 32, infatti, deve leggersi logicamente nel senso che la norma urbanistica sopravvenuta introduttiva di una destinazione espropriativa a edificio pubblico o a spazio pubblico può impedire il condono, ma solo se successiva all’esecuzione dell’abuso e anteriore alla presentazione della domanda di condono, a meno che non sia intervenuta una variante di recupero di cui al capo III della legge n. 47 del 1985 tale da rendere compatibili i due interessi contrapposti, quello pubblico alla realizzazione dell’intervento e quello privato alla sanatoria dell’opera abusiva, posto che, dopo il condono, l’amministrazione avrebbe dovuto prima adottare e approvare il piano di recupero appositamente previsto dal capo III della legge n. 47 del 1985 e solo successivamente aggiungere eventuali nuove varianti e nuovi vincoli di piano.
In altri termini, il disposto normativo di cui alla ripetuta lettera b) del comma 2 dell’art. 32 deve essere letto nel senso che ammette la rilevanza ostativa del vincolo di piano urbanistico successivo all’esecuzione dell’abuso, ma purché anteriore alla domanda di condono, e salvo che l’apposito piano di recupero non abbia introdotto soluzioni alternative (ad es. una parziale delocalizzazione dell’intervento pubblico, tale da renderlo compatibile con la sanatoria dell’abuso);ma la suddetta disposizione non può essere interpretata nel senso – ritenuto dall’amministrazione comunale intimata – della rilevanza ostativa in ogni caso di qualsiasi nuova previsione di piano, anche successiva alla domanda di condono, pena lo svuotamento di ogni possibilità applicativa della normativa speciale condonistica e l’assoggettamento dell’interesse legittimo di chi ha domandato la sanatoria all’arbitrio dell’amministrazione che, ritardando l’esame delle domande di condono, non adottando il piano di recupero e introducendo, invece, successive varianti urbanistiche, potrebbe a sua discrezione impedire in qualsiasi tempo la condonabilità degli abusi.
In conclusione per i motivi sopra esposti, che rivestono carattere assorbente, l’impugnato diniego di condono edilizio deve essere annullato, salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione.
2. In relazione alla complessità della materia trattata, il Collegio ritiene che sussistano le condizioni di cui all’art. 92 c.p.c., richiamato dall’art. 26 del c.p.a., per compensare le spese giudiziali.