TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2019-11-18, n. 201913187

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2019-11-18, n. 201913187
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201913187
Data del deposito : 18 novembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/11/2019

N. 13187/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00370/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 370 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Provincia di Vercelli, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A R, domiciliato presso la Segreteria del TAR Lazio in Roma, via Flaminia, 189;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del D.M. 10 ottobre 2014, pubblicato sulla G.U. n. 240 del 15 ottobre 2014, recante la "Determinazione del riparto del contributo alla finanza pubblica a carico delle province ricomprese nelle regioni a statuto ordinario e delle province delle regioni Siciliana e Sardegna, pari complessivamente a 340 milioni di euro, per l'anno 2014, in proporzione alla spesa media sostenuta, nel triennio 2011-2013" nel contempo proponendo questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 47 commi 2, 3 e 4 del D.L. n. 66/2014, conv. dalla L. n. 89/2014;

con motivi aggiunti per l'annullamento, previa sospensiva,

del decreto del Ministero dell'Interno 28 aprile 2105, pubblicato sulla G.U. n. 109 del 13 maggio 2015 recante la "Determinazione del riparto del contributo alla finanza pubblica a carico delle città metropolitane, delle province ricomprese nelle regioni a statuto ordinario e delle province delle regioni Siciliana e Sardegna, pari complessivamente a 510 milioni di euro, per l'anno 2015, in proporzione alla spesa media sostenuta, nel triennio 2012-2014", e di ogni altro atto e/o comportamento preordinato, consequenziale e/o connesso;

del decreto del Ministero dell'Interno 26 agosto 2016, pubblicato sulla G.U. n. 208 del 6.9.2016 recante la "Determinazione del riparto del contributo alla finanza pubblica a carico delle città metropolitane e delle Province delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna, pari complessivamente a 510 milioni di euro, per l'anno 2016, in proporzj.one alla spesa media sostenuta, nel triennio 2013-2015", e di ogni altro atto e/ o comportamento preordinato, consequenziale e/ o connesso;

del Comunicato del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli Affari interni e Territoriali del 18 ottobre 2017, pubblicato sul sito on-line del Ministero dell’Interno avente come oggetto: “Concorso alla finanza pubblica a carico delle province e delle città metropolitane ai sensi dell’art. 47, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014. Versamento per l’anno 2017”, e di ogni altro atto e/o comportamento preordinato, consequenziale e/o connesso.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2019 la dott.ssa F P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in epigrafe la Provincia di Vercelli ha impugnato il D.M. 10 ottobre 2014, pubblicato sulla G.U. n. 240 del 15 ottobre 2014, recante la "Determinazione del riparto del contributo alla finanza pubblica a carico delle province ricomprese nelle regioni a statuto ordinario e delle province delle regioni Siciliana e Sardegna, pari complessivamente a 340 milioni di euro, per l'anno 2014, in proporzione alla spesa media sostenuta, nel triennio 2011-2013", proponendo altresì questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 47 commi 2, 3 e 4 del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, conv. dalla l. n. 89/2014, che ha disciplinato tale contributo.

La ricorrente ha dedotto che il d.l. n. 66/ 2014 aveva disposto, a decorrere dall'anno 2014, una riduzione delle spese delle pubbliche amministrazioni per acquisti di beni e servizi in ogni settore, per un importo complessivo pari a 2.100 milioni di euro, prevedendo, per quanto di competenza delle amministrazioni provinciali, una quota di riduzione pari a 340 milioni, calcolata in proporzione alla spesa media sostenuta nell'ultimo triennio relativa ai codici SIOPE indicati nella tabella A allegata al suddetto decreto legge.

L'art. 47 comma 3 del d.l. citato aveva poi previsto che le riduzioni a carico delle province potevano, ad invarianza comunque di riduzione complessiva, essere incrementate ovvero diminuite dalla Conferenza Stato - città ed autonomie locali in misura da determinarsi tenendo conto di un indicatore dei tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni ed alle forniture di servizi, purché l'organo si determinasse entro e non oltre il 30 giugno 2014;
in difetto, avrebbe trovato applicazione quanto previsto dall'art. 47, comma 2, secondo cui ciascuna Provincia e città metropolitana doveva conseguire risparmi da versare ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato;
il contributo era determinato da apposito decreto del Ministero dell'Interno da emanare entro il 30 giugno per il 2014 e entro il 28 febbraio per gli anni successivi.

In caso di mancato versamento entro il 10 ottobre del contributo di cui al comma 2 il Ministero dell'Interno era legittimato, attraverso la struttura di gestione, facente capo all'Agenzia delle Entrate, di cui all'art. 22, comma 3 del d.lgs. n. 241/97, a operare un prelievo forzoso delle predette somme, nei confronti delle Province e Città metropolitane, a valere sui versamenti dell'imposta sulle assicurazioni per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, di cui all'art. 60 del d.lgs. n. 446/97, al momento del riversamento del relativo gettito alle province medesime.

Non avendo la Conferenza Stato città e autonomie locali provveduto a modificare il criterio da seguire per determinare gli importi delle singole quote di riduzioni delle spese a carico di ciascuna Provincia, il Ministero aveva determinato i contributi delle Province secondo il criterio alternativo previsto dal d.l. 66/2014.

Con riferimento alla Provincia di Vercelli il contributo forzoso alla riduzione della spesa pubblica era stato quantificato dal D.M. Interno impugnato in euro 1.829.734,48, su una media SIOPE determinata in euro 9.743.626,43.

La riduzione di risorse era tale da pregiudicare lo stato di equilibrio del bilancio e la copertura finanziaria delle proprie spese per funzioni e servizi indispensabili, inducendo la Provincia ricorrente a dichiarare lo stato di dissesto ai sensi del titolo VIII del d.lgs. n. 267/2000.

Né si sarebbe potuta adottare la procedura di riequilibrio prevista dall'art. 243 bis del d.lgs. 267/2000, come integrato dal d.l. 174/2012, in quanto l'ente a seguito delle manovre finanziarie di riduzione dei trasferimenti già operate dal governo con i provvedimenti di spending "review" (d.l. 78/2010 e d.l. 95/2012) aveva adottato drastiche riduzioni della spesa di funzionamento, deliberato piani di esubero triennale del personale, non aveva più contratto mutui per il finanziamento degli investimenti dall'anno 2010, e aveva già innalzato al massimo le aliquote dei tributi provinciali.

A sostegno del ricorso sono state proposte, in unico motivo, le censure di violazione e falsa applicazione degli artt. 244, 245, comma 2, 246, comma 1, 247, 248, 249, 250, 251, 259 del d.lgs. 267/2000, sollevando, altresì, questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 comma 4 del d.l. 66/2014, convertito dalla L. 89/2014, per come modificato dal d.l. 90/2014, convertito dalla l. 114/2014.

Il versamento del contributo, ovvero il recupero delle somme a valere sui versamenti dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile, avrebbe portato l’ente in stato strutturalmente deficitario, con necessità di ridurre drasticamente i servizi indispensabili e le risorse per l'esercizio delle funzioni, dovendo obbligatoriamente assolvere gli impegni pluriennali assunti per il pagamento degli stipendi del personale assunto a tempo indeterminato e le delegazioni di pagamento per la restituzione delle quote capitali, insieme agli interessi, per i mutui a suo tempo contratti.

Tali conseguenze non erano scongiurate dalla possibilità, prevista dal comma 8 dell’art. 8 del d.l. 66/2014, di attuare la riduzione degli importi dei contratti in corso di esecuzione nonché di quelli relativi a procedure di affidamento per cui sia già intervenuta l'aggiudicazione aventi ad oggetto 1'acquisto o fornitura di beni e servizi nella misura del 5%, che avrebbe determinato un risparmio ben inferiore, nel 2014, ad euro 400.000,00.

La riduzione delle risorse risultava pertanto idonea a cagionare lo stato di dissesto dell’ente, con tutte le conseguenze dallo stesso derivanti, ivi compresa la limitazione della possibilità di agire in executivis per i terzi creditori e la riduzione dell’organico dell’ente, con la messa in mobilità dei dipendenti e le eventuali conseguenze di carattere sanzionatorio per gli amministratori.

Con riferimento alla prospettata questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 comma 4, 47 3-0a8a6de84540::LR87DDA606AB1A2C37B778::2017-06-20">commi 2, 3 e 4 del d.l. n. 66/2014, nelle parti in cui obbligano tutte le province, tra cui quella qui ricorrente, alla predisposizione dei propri bilanci in una situazione di assoluta emergenza indirizzandole, di fatto, alla dichiarazione dello stato di dissesto, la ricorrente ha dedotto che tali norme comportavano una riduzione dell'autonomia finanziaria tale da compromettere lo stesso svolgimento delle funzioni delle Province.

Si è costituito il Ministero dell’Interno resistendo al ricorso.

Con motivi aggiunti notificati il 18 luglio 2015 la Provincia ricorrente ha impugnato il successivo decreto del Ministero dell'Interno 28 aprile 2105, pubblicato sulla G.U. n. 109 del 13 maggio 2015, recante la "Determinazione del riparto del contributo alla finanza pubblica a carico delle città metropolitane, delle province ricomprese nelle regioni a statuto ordinario e delle province delle regioni Siciliana e Sardegna, pari complessivamente a 510 milioni di euro, per l'anno 2015, in proporzione alla spesa media sostenuta, nel triennio 2012-2014".

La ricorrente ha dedotto, con i motivi aggiunti, in primo luogo l’illegittimità costituzionale del decreto, rilevando che la disposizione delle riduzione delle risorse attraverso lo strumento del decreto ministeriale aveva assunto carattere costante, prescindendo così dalla situazione emergenziale e transitoria che ne condizionava la legittimità secondo la giurisprudenza costituzionale;
ciò era comprovato dal fatto che la legge di stabilità 2015 (L.190/2014), richiamata dal decreto del 28 aprile 2015 impugnato, estendeva il contributo a tutto il 2018, acquistando così una natura che va oltre la portata triennale divenendo, di fatto, una misura con carattere di permanenza e non già di transitorietà.

Illegittimo era, altresì, il riferimento, come criterio per la determinazione del contributo, al sistema Siope, che registrava i pagamenti effettuati dagli enti locali per categorie di spesa, poiché nell’ambito di tale sistema figuravano come consumi intermedi, interni all’Amministrazione, anche parte delle spese destinate all’esercizio delle funzioni fondamentali, qualificabili non come intermedie ma finali, per l’erogazione dei servizi alla collettività;
in tal modo il sistema Siope finiva per premiare le amministrazioni che concentravano la parte più cospicua delle proprie risorse sui codici che non entrano come input nel calcolo finale del contributo loro assegnato dal decreto oggetto di gravame.

L'illegittimità in parte qua del decreto impugnato emergeva, altresì, dal fatto che il concetto di "consumo intermedio" rilevante per effettuare il calcolo del contributo dovuto dalle singole amministrazioni provinciali era in contrasto con la definizione di consumo intermedio fornita dal Regolamento CEE 25 giugno 1996 n. 2223 (Regolamento del Consiglio relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità) – richiamato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 79/2014 - secondo il quale sono tali quei consumi che "rappresentano il valore dei beni e dei servizi consumati quali input in un processo di produzione".

Con secondo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 3 novembre 2016, è stato impugnato il decreto del Ministero dell'Interno 26 agosto 2016, pubblicato sulla G.U. n. 208 del 6.9.2016, recante la "Determinazione del riparto del contributo alla finanza pubblica a carico delle città metropolitane e delle Province delle regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna, pari complessivamente a 510 milioni di euro, per l'anno 2016, in proporzione alla spesa media sostenuta, nel triennio 2013-2015".

A sostegno dei motivi aggiunti, oltre alle censure già sollevate con il ricorso principale e i primi motivi aggiunti, la ricorrente ha dedotto altresì:

1.eccesso di potere sotto il profilo della disparità di trattamento tra i vari comparti di cui si compone la pubblica amministrazione, essendo imposto alle Province un sacrificio non imposto ad altri comparti dello Stato;
inoltre, il prelievo forzoso del contributo capovolgeva il meccanismo del trasferimento delle risorse agli enti locali, privando l’ente delle risorse necessarie per il funzionamento delle funzioni fondamentali, in violazione dell’art. 119 Cost..

Ciò tanto più in quanto il decreto non indicava l’effettiva destinazione delle somme, destinate a finanziare genericamente la spesa statale.

2. violazione di legge ed eccesso di potere poiché il prelievo forzoso previsto dal d.m. 26 agosto 2016 e, a monte, dall’art. 47 commi 2 e ss. del d.l. n. 66/2014, generava un disequilibrio grave nei saldi di parte corrente relativi alla spesa per funzioni fondamentali previste dalla l. n. 56/2014, essendo violato il principio dell’autonomia finanziaria dell’ente, in conseguenza dell’impossibilità di finanziamento delle funzioni attribuite per l’azzeramento dei fondi a tal fine trasferiti.

3. violazione della Carta europea delle autonomie locali, secondo il cui art. 3 all’ente deve essere garantita la capacità effettiva di regolamentare ed amministrare gli affari pubblici.

Con terzo ricorso per motivi aggiunti la Provincia di Vercelli ha impugnato il comunicato del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli Affari interni e Territoriali del 18 ottobre 2017, pubblicato sul sito on-line del Ministero dell’Interno avente come oggetto: “Concorso alla finanza pubblica a carico delle province e delle città metropolitane ai sensi dell’art. 47, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014. Versamento per l’anno 2017”, con cui il Ministero dell’Interno ha disposto che, per gli anni 2017-2018, il concorso alla Finanza pubblica a carico delle Province e delle Città metropolitane previsto dall’art. 47, comma 2, del D.L. n. 66/2014, conv. dalla L. n. 89/2014, è determinato per ciascun ente territoriale di area vasta nell’importo indicato nella Tabella 2 allegata all’art. 16, comma 3 del D.L. 24 aprile 2017, n. 50, conv. dalla L. 21 giugno 2017 n. 96.

Per quanto concerne la Provincia di Vercelli, la riduzione di spesa, riportata nella Tabella 2 allegata all’art. 16, comma 2 del D.L. 50/2017, ammonta a euro 3.021.423,55, secondo la seguente ripartizione: lett. a) 2.972.132,28;
lett. b) 9.105,52;
lett. c) 40.185,75.

Al riguardo la ricorrente ha dedotto, in primo luogo, che la nuova disposizione (art. 16 comma 3 del d.l. n. 50/2017) nel modificare il testo originario dell’art. 47 del d.l. n. 66/2014, non ha apportato alcuna alterazione sostanziale alla precedente disposizione, limitandosi la novella ad estenderne l’efficacia ad un periodo ulteriore, di tal che le questioni di costituzionalità prospettate con riguardo al testo dell’art. 47 cit. vigente al momento della proposizione del ricorso restano valide rispetto al testo attualmente in vigore.

Come motivi di doglianza avverso il comunicato citato la ricorrente ha riproposto le censure sollevate nel secondo ricorso per motivi aggiunti.

Alla pubblica udienza del 24 settembre 2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Può prescindersi dalla questione della necessità di integrazione del contraddittorio, dovendo il ricorso essere respinto in quanto infondato.

In primo luogo vanno esaminate le disposizioni di rango primario che sorreggono i decreti ministeriali qui impugnati e di cui essi costituiscono attuazione.

Il decreto-legge n. 66/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89/2014, ha disposto una riduzione generale delle spese delle Pubbliche Amministrazioni in tutti i settori, a partire dal 2014.

In particolare, con riguardo alle Province ed alle Città metropolitane, l'art. 47, comma 2, ha stabilito:

"1. Le province e le città metropolitane, a valere sui risparmi connessi alle misure di cui al comma 2 e all'articolo 19, nonché in considerazione delle misure recate dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, nelle more dell'emanazione del Decreto del Presidente del Consiglio di cui al comma 92 dell'articolo 1 della medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.

2. Per le finalità di cui al comma 1, ciascuna provincia e città metropolitana consegue i risparmi da versare ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato determinati con decreto del Ministro dell'interno da emanare entro il termine del 30 giugno, per l'anno 2014, e del 28 febbraio per gli anni successivi, sulla base dei seguenti criteri:

a) per quanto attiene agli interventi di cui all'articolo 8, relativi alla riduzione della spesa per beni e servizi, la riduzione è operata nella misura complessiva di 340 milioni di euro per il 2014 e di 510 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, proporzionalmente alla spesa media, sostenuta nell'ultimo triennio, relativa ai codici SIOPE indicati nella tabella A allegata al presente decreto;

b) per quanto attiene agli interventi di cui all'articolo 15, relativi alla riduzione della spesa per autovetture di 0,7 milioni di euro, per l'anno 2014, e di un milione di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, la riduzione è operata in proporzione al numero di autovetture di ciascuna provincia e città metropolitana comunicato annualmente al Ministero dell'interno dal Dipartimento della Funzione Pubblica;

c) per quanto attiene agli interventi, di cui all'articolo 14, relativi alla riduzione della spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, di 3,8 milioni di euro per l'anno 2014 e di 5,7 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, la riduzione è operata in proporzione alla spesa comunicata al Ministero dell'interno dal Dipartimento della Funzione Pubblica.".

Al comma 3, sempre l'art. 47 citato, con riguardo ai criteri per la determinazione degli importi a carico di ciascuna Provincia, ha previsto che essi potessero "essere modificati per ciascuna provincia e città metropolitana, a invarianza di riduzione complessiva, dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali entro il 30 giugno, per l'anno 2014 ed entro il 31 gennaio, per gli anni successivi, sulla base dell'istruttoria condotta dall'ANCI e dall'UPI e recepiti con il decreto del Ministro dell'interno di cui al comma 2".

Con riferimento all'anno 2014, in data 10 ottobre 2014 il Ministero dell'Interno, al fine di dare attuazione al richiamato art. 47 del d.l. n. 66/2014, ha adottato il decreto impugnato con il ricorso principale.

Con il gravame la provincia ricorrente ha dedotto, innanzitutto, che il risparmio coattivo di spesa ed il prelievo forzoso imposti con i decreti impugnati, comportando l’impossibilità per l’ente di far fronte alle spese necessarie per lo svolgimento delle funzioni fondamentali attribuitegli, l’avrebbero condotto alla dichiarazione dello stato di dissesto, ponendosi, così, in contrasto con le disposizioni disciplinanti il dissesto degli enti contenute nel Testo Unico degli enti locali.

Al riguardo, deve rilevarsi che nel decreto citato si dà atto che "la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali non ha ritenuto di avvalersi della ... facoltà modificativa del criterio da seguire per determinare gli importi delle singole quote di riduzione delle spese a carico di ciascuna provincia e città metropolitana".

Pertanto, per addivenire alla ripartizione delle riduzioni di spesa tra gli Enti interessati, in concreto sono stati seguiti i criteri stabiliti dalla legge, di tal che, come già evidenziato da questa Sezione nelle precedenti pronunce aventi ad oggetto il decreto impugnato (sentenze nn. 3534 del 15.3.2017, 1902 del 19.2.2016, 9144/2018 e 10625/2018), i decreti impugnati costituiscono pedissequa applicazione della disposizione di cui all'art. 47 del d.l. n. 66/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89/2014.

L'attività posta in essere dall'Amministrazione, nell'adozione di tali atti regolamentari, era quindi assolutamente vincolata.

Risulta, perciò, del tutto inconferente il richiamo a norme di pari rango rispetto a quella ivi attuata, atteso che esse, andando a disciplinare fattispecie diverse, seppure connesse, necessariamente recedono rispetto alle riduzioni di stanziamenti statali nei confronti di Province e Città metropolitane introdotte con le disposizioni successive.

Inoltre, come osservato dall’Avvocatura erariale, la censura è stata prospettata non in termini di contrasto tra il contenuto dispositivo delle due discipline (d.l. n. 66/2014 e artt. 246 e ss. del T.U. n. 267/2000), e conseguente illegittimità del decreto impugnato, ma come conflitto tra la norma impositiva della riduzione di spesa e del corrispondente prelievo e le conseguenze che dalla stessa deriverebbero, ovvero il dissesto dell’ente, come tale non idoneo a concretizzare una illegittimità dell’atto applicativo del contributo.

In altri termini, la doglianza così come proposta non evidenzia un contrasto logico ed applicativo tra le due normative, ma unicamente l’applicazione della seconda come probabile conseguenza dell’adozione della prima.

Va quindi esaminata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 comma 4, 47 commi 2, 3 e 4 del d.l. n. 66/2014, nelle parti in cui obbligano tutte le province alla predisposizione dei propri bilanci in una situazione di assoluta emergenza, indirizzandole, di fatto, alla dichiarazione dello stato di dissesto e comportando una riduzione dell'autonomia finanziaria tale da compromettere lo stesso svolgimento delle funzioni delle Province.

La questione è stata già più volte esaminata nelle pronunce di questo Tribunale, che vanno pertanto qui richiamate.

Al riguardo deve osservarsi che l’art. 47 in esame si colloca nel generale riparto delle competenze degli enti territoriali dovuti dalla Legge n. 56/2014, determinando un contributo a carico delle Provincie di carattere “transitorio”, ossia temporaneo, sino all’emanazione del Decreto del Presidente del Consiglio (di cui all’art. 1, comma 92 della l. n. 56/2014), con il quale verranno stabiliti, previa intesa in sede di Conferenza unificata, “i criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei commi da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista”;
in attesa del suddetto decreto, si stabilisce un contributo a carico degli enti locali (Province e Città Metropolitane) pari “444,5 milioni di euro per l'anno 2014 e pari a 576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018” (art. 47, comma 1, d.l. n. 66/2014).

La Corte Costituzionale si è già pronunciata su un precedente assimilabile a quello in oggetto (Corte Cost., n. 205/2016), sulla questione di legittimità costituzionale di cui all’art. 1, commi 418, 419 e 451 (quest’ultimo proroga dal 2017 al 2018 le misure previste dall’art. 47, commi 1 e 2, del d.l. 66/2014), dedotta in relazione agli artt. 2, 3, 117 e 119 della Costituzione.

In primo luogo la giurisprudenza della Consulta (cfr. anche Corte Cost. n. 151/2016, n. 127/2016, n. 65/2016, n. 89/2015 e n. 26/2014) muove dalla considerazione secondo cui le singole leggi che stabiliscono la misura dei contributi erariali (come la norma contestata), si muovono all’interno della riforma contenuta nella legge n. 56/2014, con la contestuale necessità di riduzione del personale e delle spese al fine di ottimizzare la spesa erariale.

La previsione del versamento al bilancio statale (da parte degli enti di area vasta) di risorse derivanti dalla riduzione della spesa deve essere dunque inquadrata nel percorso della complessiva riforma ancora in corso. E, così intesa, essa si risolve in uno specifico passaggio della vicenda straordinaria di trasferimento delle risorse da detti enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate, vicenda la cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato (Corte Cost., n. 159 del 2016 e n. 50 del 2015).

Esaminando, dunque, la norma richiamata dalla parte ricorrente alla luce del quadro di riordino degli enti locali, non si ricava alcuna violazione dell’art. 119 Cost. nei termini lamentati;
ciò in quanto la disposizione di cui all’art. 47, comma 2, d.l. n. 66/2014, deve essere intesa “nel senso che il versamento delle risorse ad apposito capitolo del bilancio statale è specificamente destinato al finanziamento delle funzioni provinciali non fondamentali e che tale misura si inserisce sistematicamente nel contesto del processo di riordino di tali funzioni e del passaggio delle relative risorse agli enti subentranti” (così Corte Cost., sentenza n. 205/2016).

Del resto, la Consulta ha più volte ribadito che la riduzione di spesa degli enti locali deve essere intesa come un miglioramento dell’efficienza della spesa stessa, in ossequio ai principi di pareggio di bilancio e anche agli obblighi a cui l’Italia è tenuta in virtù dell’appartenenza all’Unione Europea.

L’intervento normativo (ed il consequenziale decreto ministeriale) non possono essere inquadrati in maniera “atomistica”, ma devono compiutamente ricostruire e collocare gli interventi normativi all’interno del quadro generale, costituito dalla riorganizzazione degli enti locali (TAR Lazio, sez. I ter, sentenze nn. 9144 e 10625/2018).

Ciò detto, la giurisprudenza della Corte Costituzionale è costante nel richiedere che, nel caso in cui si lamenti la violazione dell’art. 119 Cost., l’impossibilità dell’ente locale di assicurare il finanziamento delle funzioni pubbliche attribuite deve risultare, in maniera palese ed incontrovertibile, da una norma di legge che conduca ad uno squilibrio finanziario smodato ed irragionevole a carico dell’ente stesso (tra le tante, Corte Costituzionale, nn. 65, 151, n. 127 e 205 del 2016, n. 89 del 2015, n. 26 del 2014).

L’asserita illegittimità costituzionale dell’art. 47 del D.L. 66/2014 (in riferimento agli artt. 3, 81, 97, 117 e 118 della Cost.) è sostanzialmente connessa alla violazione dell’art. 119 Cost.: la Provincia ricorrente infatti lamenta la violazione degli articoli appena menzionati proprio a causa dell’impossibilità di poter esercitare le funzioni fondamentali, pur ad esse mantenute dalla legge n. 56 del 2014.

Allo stato degli atti, tuttavia, non si ha alcuna evidenza della impossibilità per la Provincia di Vercelli di adempiere alle proprie funzioni: la ricorrente ha, infatti, allegato solo uno stralcio del documento unico di programmazione 2016, senza tuttavia effettuare un raffronto tra le entrate complessive e la previsione di spesa per le funzioni di competenza dalla quale inferire l’impossibilità di assolvere alle stesse.

Si può concludere dunque che, ad avviso di codesto Collegio, l’autonomia finanziaria non è stata pregiudicata, o comunque frustrata;
è vero che alla Provincia ricorrente si sono richiesti ingenti risparmi (come è del resto avvenuto per tutte le Amministrazioni pubbliche), ma è anche vero che gli stessi non hanno inciso sull’autonomia decisionale in ordine ai servizi ed ai beni ai quali indirizzare le proprie risorse economiche.

Inoltre, come opportunamente affermato da codesta Sezione in un precedente analogo (cfr. TAR Lazio, Sezione I-ter, sentenza 3534/2017) del tutto conforme alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, non si deve dimenticare che è necessario contemperare le esigenze di autonomia finanziaria degli enti locali (e delle Pubbliche Amministrazioni in generale) con quelle connesse alla partecipazione dell’Italia all’Unione europea ed alla regola, anch’essa di rango costituzionale, dell’obbligo del pareggio di bilancio.

Da quanto osservato discende la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata.

Con il primo ricorso per motivi aggiunti la Provincia ricorrente, impugnando il decreto ministeriale del 28 aprile 2015, ha sollevato, oltre alle doglianze del ricorso principale sopra esaminate, ulteriori censure, tra cui in primo luogo l’incostituzionalità del contributo imposto per violazione del principio della temporaneità delle misure straordinarie e transitorie impositive di un contributo degli enti locali alla finanza pubblica, elaborato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in materia.

Il motivo è stato poi ulteriormente argomentato nel secondo e terzo ricorso per motivi aggiunti.

La ricorrente ha lamentato che le prescrizioni dell’art. 47 del d.l. n. 66/2014, che al momento della loro entrata in vigore potevano ritenersi rispettose del principio della temporaneità essendo indicato il limite temporale dell’anno 2017, sono divenute permanenti in virtù del fatto che il comma 451 dell’art. 1 della l. n. 190/2014 ne ha esteso l’ambito applicativo anche all’anno 2018, come poi confermato dall’art. 16, comma 3 del d.l. n. 50/2017.

Al riguardo deve rilevarsi che la recente giurisprudenza costituzionale ha fatto applicazione di tale principio nel dichiarare la parziale illegittimità dell'art. 1, comma 527, della l. 11 dicembre 2016, n. 232, che introduceva la terza proroga (al 2020) del contributo di 750 milioni di euro imposto alle Regioni ordinarie dall'art. 46, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 66 del 2014, in tal modo raddoppiando i confini temporali della misura finanziaria, originariamente limitati al triennio dal 2015 al 2017, ritenendo che la norma citata, nel raddoppiare la durata del sacrificio imposto alle Regioni, da tre a sei anni, si ponesse in contrasto con il principio di transitorietà di tali misure (Corte costituzionale, sentenza 23/05/2018, n. 103).

Nell’affermare ciò la Corte ha operato, tuttavia, una distinzione tra i vari interventi con cui sono state prorogate le disposizioni impositive di contributi a carico della finanza locale, respingendo la questione di costituzionalità con riferimento al contributo previsto dal terzo periodo dell'art. 46, comma 6, d.l. n. 66 del 2014, la cui durata è stata aumentata di due anni rispetto a quella quadriennale originariamente programmata, con intervento ritenuto costituzionalmente legittimo in quanto rispettoso del principio di temporaneità.

Nell’addivenire a tale conclusione la Corte ha affermato che le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla condizione, tra l'altro, che si limitino a prevedere un contenimento complessivo della spesa corrente dal carattere transitorio. Il potere del legislatore statale di programmare risparmi anche di lungo periodo relativi al complesso della spesa pubblica aggregata risulta, pertanto, rispettoso dell’ambito di autonomia degli enti territoriali ove le singole misure di contenimento della spesa pubblica presentino il carattere della temporaneità, risultando altrimenti sottratta al trasparente confronto parlamentare la valutazione delle ricadute di lungo periodo di una manovra economica, tutte le volte in cui la relativa durata venga raddoppiata, attraverso la tecnica normativa dell'aggiunta progressiva di ulteriori annualità a quelle inizialmente previste.

Secondo la Corte il ricorso a tale tecnica normativa potrebbe, infatti, prestare al canone della transitorietà un ossequio solo formale, in assenza di plausibili e riconoscibili ragioni che impediscano in concreto al legislatore di ridefinire e rinnovare complessivamente, secondo le ordinarie scansioni temporali dei cicli di bilancio, il quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali, alla luce di mutamenti sopravvenuti nella situazione economica del Paese.

Nel solco di tali argomentazioni la Corte ha ritenuto che l’estensione del contributo per una sola annualità, e per la prima volta, non evidenziasse una violazione di tali principi, come già affermato nella precedente sentenza n. 141/2016 sempre con riferimento al d.l. 66/2014, con conseguente infondatezza delle questioni sollevate sull'art. 1, comma 528, della legge n. 232 del 2016 e sul terzo periodo dell'art. 46, comma 6, d.l. n. 66 del 2014.

Alle medesime conclusioni deve pertanto addivenirsi con riferimento al contributo in esame, che è stato esteso di una sola annualità, ovvero all’anno 2018, rispetto alla previsione originaria che comprendeva gli anni 2015, 2016 e 2017, per effetto del comma 451 dell’art. 1 della legge n. 190/2014, confermato dall’art. 16, comma 3, del d.l. n. 50/2017.

Sulla scorta di quanto affermato dalla Corte costituzionale, infatti, deve ritenersi che la proroga limitata ad una annualità di un contributo già originariamente previsto su base triennale non integri una violazione del principio di temporaneità di tali misure, non alterando in modo proporzionalmente significativo la durata della disciplina così come configurata al momento della sua emanazione.

Con il secondo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha dedotto l’inadeguatezza del criterio di calcolo del contributo alla finanza pubblica fondato sul sistema SIOPE.

In particolare, la ricorrente critica il concetto di “consumi intermedi” assunto dal Ministero per il computo della riduzione, in quanto inclusivo anche delle spese relative a funzioni incomprimibili della Provincia, cioè quelle sostenute per l’erogazione dei servizi a favore della collettività dei cittadini.

Un concetto di spesa così ampio, utilizzato per la base di calcolo delle singole riduzioni in via proporzionale e relativamente ai codici SIOPE, secondo la ricorrente, sarebbe in contrasto con il regolamento CE 2223/1996, il quale fornisce una nozione di consumi intermedi che coincide con quella di spese per gli input dei processi produttivi e nella quale non è possibile includere anche le voci di costo concernenti i servizi, perché attinenti a prodotti finali.

Anche tale questione è stata esaminata in precedenti pronunce della Sezione.

In particolare, nel precedente n. 10625/2018 si è richiamata la decisione con cui il Consiglio di Stato, nel riformare la sentenza n. 7002/2013 di questo Tribunale, ha affermato che “la scelta del Ministero di ancorare la riduzione dei tagli al dato dei consumi intermedi dedotti dal SIOPE, senza alcun intervento discrezionale, anziché alla nozione di consumi intermedi di cui al regolamento CE 2223/1196, risulta pienamente conforme alla scelta operata dal legislatore” (Consiglio di Stato, sez. III, n. 475 del 2014).

Nessun intervento istruttorio di estrapolazione dei dati riferibili esclusivamente alla nozione di “costi intermedi”, quale quello auspicato dalla ricorrente, poteva essere effettuato dal Ministero nel decreto impugnato.

Infatti, la disposizione legislativa dell’art. 47 d.l. 66/2014, come osservato, rende automatici i criteri di calcolo stabiliti dal comma 2 lett. a), ovvero quelli riguardanti i codici SIOPE, nel caso in cui la Conferenza stato città autonomie locali non abbia esercitato nei termini la facoltà modificativa di tali criteri riconosciuta dal comma 3 dell’art. 47, come avvenuto nel caso di specie.

Dunque, il decreto ministeriale impugnato, in quanto mero atto esecutivo della scelta compiuta dal legislatore, era vincolato nei tempi e nel metodo di calcolo dallo stesso predisposto, senza che fosse lasciato alcun margine di discrezionalità al Ministero nella sua adozione.

Inoltre, richiamando quanto affermato dal Consiglio di Stato sul punto, “Il meccanismo di funzionamento della banca dati SIOPE (sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici – consistente in un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche, disciplinato dalla legge n. 196 del 2009, che rappresenta lo strumento fondamentale per il monitoraggio dei conti pubblici) chiarisce ulteriormente come i dati, cui ha attinto il Ministero, sono stati desunti con criterio uniforme, non suscettibile di creare disparità di trattamento e violazione dell’art. 3 della Costituzione. Difatti, l’art.14, comma 6, della l. 69/2009 così dispone: “Le amministrazioni pubbliche, trasmettono quotidianamente alla banca dati SIOPE, tramite i propri tesorieri o cassieri, i dati concernenti tutti gli incassi e i pagamenti effettuati, codificati con criteri uniformi su tutto il territorio nazionale. I tesorieri e i cassieri non possono accettare disposizioni di pagamento prive della codificazione uniforme”. Il servizio registra in modo meccanico, per via telematica, i dati che vengono inseriti dai tesorieri degli enti, ai quali soltanto è imputabile eventualmente la scelta delle voci di costo inserite con codici che identificano costi intermedi. Il SIOPE in corrispondenza delle voci che individuano i consumi intermedi contempla: “acquisto di beni di consumo e/o materie prime” “prestazioni di servizi”, “utilizzo di beni dei terzi” ” (Consiglio di Stato n. 475 del 2014 cit.).

Da quanto esposto consegue che il decreto impugnato, ancorché vincolato ad adottare il criterio già predeterminato dal d.l. 66/2014, ha attinto ai dati della banca dati SIOPE, uniformi per tutto il territorio nazionale e alla cui creazione contribuiscono le stesse amministrazioni pubbliche, per cui non è suscettibile di creare alcuna disparità di trattamento con le altre province decurtate.

Neppure è condivisibile la tesi sostenuta dalla ricorrente circa la possibilità di mutuare la categoria dei consumi intermedi direttamente dal regolamento CE 2333/1996.

Come indicato dal Consiglio di Stato nella citata sentenza, “premesso che il regolamento ha lo scopo di consentire l'elaborazione di conti e di tabelle su basi comparabili per le esigenze della Comunità e “non obbliga alcuno Stato membro ad elaborare per le proprie esigenze i conti in base al SEC 95”, elaborato dal regolamento (art. 1, comma 3,) che non è vincolante neppure per gli istituti di statistica nazionale (all.1 cap. 1. 1.06: “il sistema SEC costituisce lo standard per la trasmissione di dati di contabilità nazionale a tutte le organizzazioni internazionali;
soltanto nelle pubblicazioni a livello nazionale non è obbligatoria una rigorosa conformità al SEC”);
ciò premesso, va osservato che la nozione comunitaria di consumi intermedi, come definita all’all. 1, P.2, punto 3.69. (“I consumi intermedi rappresentano il valore dei beni e dei servizi consumati quali input in un processo di produzione”), è dettata ad altri fini, statistici e comparativi, e non assume i dati dei flussi di cassa, come il sistema di monitoraggio SIOPE.” (Consiglio di Stato n. 475 del 2014 cit.).

Vanno infine esaminati il secondo e il terzo ricorso per motivi aggiunti, affidati alle medesime censure.

Può prescindersi dall’esame dell’ammissibilità dell’impugnazione del comunicato del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli Affari interni e Territoriali del 18 ottobre 2017, con cui il Ministero dell’Interno ha determinato il contributo per gli anni 2017-2018 alla finanza pubblica a carico delle Province e delle Città metropolitane previsto dall’art. 47, comma 2, del D.L. n. 66/2014, dovendo i motivi aggiunti essere respinti in quanto infondati.

La ricorrente ha dedotto, in primo luogo, l’illegittimità dell’imposizione del contributo per irragionevolezza e disparità di trattamento, in quanto tale misura graverebbe esclusivamente sul bilancio delle Province e delle Città metropolitane, senza che sia previsto un corrispondente prelievo a carico di altre amministrazione centrali o locali.

In merito deve rilevarsi, innanzitutto, che la censura è stata proposta in via del tutto generica, senza che fosse indicato in alcun modo il parametro rispetto al quale potesse essere individuata la disparità di trattamento.

In secondo luogo, come già osservato in precedenza, il contributo in questione si inserisce all’interno della riforma contenuta nella Legge n. 56/2014, con la contestuale necessità di riorganizzazione degli enti interessati e di riduzione delle relative spese al fine di ottimizzare il complesso della spesa erariale.

La previsione del versamento al bilancio statale (da parte degli enti di area vasta) di risorse derivanti dalla riduzione della spesa deve essere dunque inquadrata in tale complessiva riorganizzazione, quale fase necessaria della vicenda straordinaria di trasferimento delle risorse da detti enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate, vicenda la cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato (Corte Cost., n. 159 del 2016 e n. 50 del 2015).

Pertanto in tale complessivo disegno di riorganizzazione e razionalizzazione della spesa non è ravvisabile alcuna disparità di trattamento, sia perché tutti gli enti territoriali sono stati chiamati, in varia misura e con varie modalità, a compartecipare al processo di razionalizzazione della spesa pubblica ai fini del rispetto dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità, sia perché, nell’ambito di tale disegno, la riorganizzazione degli enti provinciali ha assunto forme particolari in considerazione della riallocazione delle funzioni agli stessi attribuite, in un processo di riordino ancora attualmente in corso (Corte Cost., sentenza n. 205/2016).

È stata poi dedotta la questione dell’incostituzionalità dell’imposizione del contributo per violazione del principio di temporaneità di tale misure, che va disattesa per le considerazioni svolte in precedenza, così come la doglianza relativa alla violazione della Carta europea delle autonomie locali.

In conclusione il ricorso e i motivi aggiunti devono essere respinti.

Ricorrono, data la peculiarità della controversia e la natura delle parti, le ragioni che giustificano la compensazione delle spese di lite.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi