TAR Napoli, sez. V, sentenza 2022-07-20, n. 202204880

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2022-07-20, n. 202204880
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202204880
Data del deposito : 20 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/07/2022

N. 04880/2022 REG.PROV.COLL.

N. 02254/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2254 del 2020, proposto da
-OMISSIS- rappresentati e difesi dagli avvocati G A, L M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, - Questura di Napoli -, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;

per l'annullamento:

delle ordinanze n. 37936, 37928, 37910, 37907, 37910, 37913, 37917 e 37931 del 26.2.2020 nonché dell'ordinanza n. 43884 del successivo 3 marzo (all.1), tutte a firma del Questore di Napoli con le quali, con riferimento alla medesima situazione di fatto, e tutti di egual durata e contenuto, viene ordinato a ciascuno degli odierni ricorrenti il divieto di accesso per 5 anni a tutti gli impianti sportivi siti sul territorio nazionale ed all'estero ove si svolgono manifestazioni sportive calcistiche disputate (anche) dal Bitonto Calcio e dalla Nazionale Italiana di calcio nonché per l'annullamento di tutti gli atti presupposti, conseguenti e collegati.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 luglio 2022 il dott. F M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Gli odierni ricorrenti, tutti destinatari di separati provvedimenti di divieto di accesso negli impianti sportivi (di qui in avanti, per brevità, anche DASPO) per la durata di anni cinque, emessi nei loro confronti da parte della Questura di Napoli, ai sensi dell'art. 6 della l. n. 401 del 1989, hanno adito l’intestato Tribunale per domandare l'annullamento di detti provvedimenti.

L'adozione di tali provvedimenti ha tratto origine da un episodio di violenza di gruppo, asseritamente posto in essere dai ricorrenti in occasione dell'incontro calcistico disputatosi presso lo stadio “Italia” di Sorrento, il 24 novembre 2019, tra la locale squadra e quella del Bitonto.

Più in particolare, le condotte ascritte ai ricorrenti, tifosi della squadra ospite, avevano avuto luogo sia anteriormente all’inizio dell’incontro, avendo gli stessi tentato di accedere all’impianto sportivo pur essendo privi dei necessari tagliandi, sia successivamente, allorquando al termine della partita, avevano minacciato di aggredire i tifosi della squadra locale, sicché si era reso necessario l’immediato intervento delle forze dell’ordine.

Identificati gli odierni ricorrenti mediante le compiute riprese fotografiche, la Questura di Napoli ha emesso i provvedimenti di DASPO in questione.

I provvedimenti di DASPO sono stati quindi impugnati dinanzi all’intestato Tribunale, deducendo due motivi di ricorso:

Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, della Legge n. 401/1989 nella parte in cui prevede la cosiddetta “condotta di gruppo”.

Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto ed erroneo apprezzamento dei presupposti considerati, illogicità dell’agire amministrativo, ingiustizia manifesta.

Si è costituito il Ministero dell'Interno per chiedere la reiezione del ricorso.

Nella pubblica udienza del 5 luglio 2022 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

2.- Il ricorso è infondato, non potendo trovare accoglimento le proposte censure, da esaminarsi congiuntamente in quanto finalizzate entrambe a contestare sia il difetto istruttorio in cui sarebbe incorsa la resistente amministrazione nella ricostruzione della sottesa vicenda fattuale, sia l’errata applicazione ad essa della normativa di riferimento.

2.1.- Oggetto dell'esame è la fattispecie del Daspo "di gruppo" riconducibile alla previsione dell'ultimo periodo (il terzo) dell'art. 6, comma 1, della legge 13 dicembre 1989, n. 401.

L'istituto è stato introdotto dal D.L. 22 agosto 2014, n. 119, art. 2 (conv. in L. 17 ottobre 2014, n. 146).

Per pacifica giurisprudenza si tratta di una fattispecie che apporta una parziale e limitata innovazione alla disciplina del Daspo, collegata alla necessità che agli indizi considerati indispensabili per l'accertamento delle condotte individuali si sostituisca la ricerca degli indizi che possano far ritenere plausibile l'esistenza di un "gruppo" organizzato.

In questo caso la verifica probatoria è finalizzata all'individuazione di "un gruppo" cui ascrivere il comportamento che l'ordinamento considera pericoloso e ritenuto di particolare gravità dal legislatore.

Rimangono in ogni caso fermi, anche nel caso del Daspo di gruppo, i principi ribaditi, in subiecta materia, dal Consiglio di Stato nel senso che si è in presenza di una misura tipica del diritto amministrativo di prevenzione governata dal criterio del "più probabile che non".

I criteri che devono guidare la verifica giurisdizionale nella presente fattispecie, del resto, sono stati ripetutamente specificati dalla giurisprudenza del Consiglio di stato.

Al riguardo, sul punto relativo alla riconducibilità causale delle condotte ascritte ai soggetti destinatati di DASPO, occorre ricordare che “si tratta di misure preventive e non sanzionatorie, come pure ha chiarito di recente la Corte europea dei diritti dell'uomo, in via generale, sulle analoghe misure previste dalla legislazione croata (Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. I, 8 novembre 2018, ric. n. 19120/15, Seražin c. Croazia), menzionando tra le altre legislazioni in materia anche quella italiana e pervenendo ad escludere la natura sanzionatoria della misura amministrativa, sulla base dei cc.dd. criterî Engel, sia per l'applicabilità della misura indipendentemente da una condanna penale, sia anche per la finalità prevalente della misura, consistente nella creazione di un ambiente che prevenga comportamenti violenti o pericolosi a protezione dell'ordine pubblico e degli altri spettatori, sia infine per la mancanza di afflittività, non consistendo in una privazione della libertà o in una imposizione di obbligazione pecuniaria" (Consiglio di Stato, sentenza n. 866/2019).

La sentenza appena citata continua affermando che "Occorre ricordare che, ai sensi dell'art. 6, comma 1, della l. n. 401 del 1989, il DASPO anche nel nostro ordinamento, non diversamente che in quello croato, può essere altresì disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi di fatto, risulta avere tenuto, anche all'estero, una condotta, sia singola che di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l'ordine pubblico".

Ulteriore principio ribadito nella sentenza e particolarmente rilevante, ai fini della decisione della presente fattispecie, è che per "il DASPO disposto dal Questore, come per tutto il diritto amministrativo della prevenzione incentrato su una fattispecie di pericolo per la sicurezza pubblica o per l'ordine pubblico (v., sul punto, la recente pronuncia di questa Sezione, 30 gennaio 2019, n. 758), deve valere la logica del "più probabile che non", non richiedendosi, anche per questa misura amministrativa di prevenzione (al pari di quelle adottate in materia di prevenzione antimafia), la certezza ogni oltre ragionevole dubbio che le condotte siano ascrivibili ai soggetti destinatari del DASPO, ma appunto una dimostrazione fondata su "elementi di fatto" gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico improntato ad una elevata attendibilità".

2.2.- Applicando i menzionati principi all’odierna fattispecie, non coglie nel segno la censura con cui i ricorrenti hanno lamentato la violazione di legge, sul presupposto che l'art. 6 della L. n. 401/1989 preveda la sanzione solo nel caso di partecipazione attiva ad episodi di violenza, attestata da elementi di fatto, rectius oggettivi, contraddistinti dalla portata violenta e/o di acclarata e concreta offensività;
ne discenderebbe che, in base ad una lettura teleologicamente orientata, rispettosa del dato normativo e del principio di materialità in subiecta materia, ai fini dell'irrogazione del DASPO non risulterebbe sufficiente la mera intenzione di un soggetto a delinquere, né l'astratta potenzialità dannosa, ma la vera e propria partecipazione, in concreto, ad episodi di violenza e/o il compimento di fatti prodromici a tale esito: ipotesi in tesi di parte non riscontrabile, considerato che nel provvedimento questorile non è individuata, per ciascuno dei ricorrenti, una specifica azione violenta, peraltro neppure emergente dal visionato materiale istruttorio.

La censura, come detto, dev’essere disattesa.

Al pari di quanto precisato dal Consiglio di Stato, sez. III, 02/08/2021, n. 5371, ai fini dell'adozione di un DASPO è sufficiente una dimostrazione fondata su elementi di fatto gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico improntato a una elevata attendibilità e, quanto alla identificazione dei responsabili, sono sufficienti i rilievi e i riscontri effettuati dalla autorità di pubblica sicurezza, a prescindere da accertamenti più approfonditi, anche in altra sede.

Il DASPO, infatti, costituisce una misura di prevenzione atipica applicabile a categorie di persone che versino in situazioni sintomatiche della loro pericolosità per l'ordine e la sicurezza pubblica, non in generale, ma con riferimento ai luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive, desunte dalle circostanze di tempo e di luogo inerenti i fatti e gli eventi posti a base della misura, dalla condotta tenuta dall'interessato nella circostanza, e da altri elementi oggettivi: invero (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 07/04/2020, n. 2313), il divieto di accesso agli impianti sportivi può essere imposto non solo nel caso di accertata lesione, ma anche in caso di pericolo di lesione dell'ordine pubblico, come nel caso di semplici condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo.

Detto potere si connota infatti di un'elevata discrezionalità, in considerazione delle finalità di pubblica sicurezza cui è diretto. Il DASPO può, dunque, essere disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulti aver tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva a episodi tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse, e non solo nel caso di accertata lesione, in ottica di repressione, ma anche in caso di pericolo di lesione dell'ordine pubblico, secondo un evidente scopo di prevenzione, come appunto nel caso di condotte che comportino o agevolino situazioni di allarme o di pericolo (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 14/02/2019, n. 2033).

Nel caso in esame, il provvedimento de quo è stato adottato a seguito dei fatti occorsi, come sopra descritti, che avevano evidenziato, sia anteriormente che successivamente allo svolgimento della competizione sportiva, una condotta intimidatoria tenuta dai tifosi della squadra ospite, finalizzata, dapprima, ad accedere all’impianto sportivo nonostante il mancato possesso dei tagliandi e, successivamente, ad intraprendere uno scontro con l’avversa tifoseria, evitato esclusivamente dall’intervento delle forze dell’ordine.

A fronte di tale puntuale ricostruzione della vicenda, come riportata nella depositata relazione di servizio, appare del tutto implausibile l’alternativa versione fornita dai ricorrenti, secondo cui il contatto con gli agenti preposti al servizio d’ordine sarebbe stato dettato dall’intenzione di negoziare la possibilità di consentire l’accesso all’impianto sportivo ai minori presenti nel gruppo di tifosi mediante l’acquisto di tagliandi a prezzo ridotto, apparendo evidente sia come la competenza ad assumere un simile decisione non poteva essere rimessa alle forze dell’ordine, sia la sua evidente contrarietà alle ordinarie e notorie regole che disciplinano l’accesso alle competizioni sportive.

Pur non essendosi resi personalmente protagonisti di uno specifico atto di violenza, è indubbio che i ricorrenti abbiano tenuto, nell'ambito del gruppo di tifosi soggetto a controllo, una condotta partecipativa che ha posto in potenziale pericolo la pubblica sicurezza o, comunque, turbato l'ordine pubblico, essendo l’atteggiamento tenuto volto a creare, durante le operazioni di controllo sia propedeutiche che successive allo svolgimento dell’incontro, una complessiva situazione perturbativa della sicurezza e della regolarità della manifestazioni sportiva.

In tal senso, la pericolosità dei comportamenti posti in essere deriva proprio dalla natura plurisoggettiva della fattispecie.

Come posto in evidenza dall'Avvocatura erariale, è insito nella plurisoggettività della condotta il maggiore disvalore giuridico e sociale realizzatosi (sul punto, cfr., ex plurimis T.A.R. Lazio – Latina, Sent., 01/03/2017, n. 135;
T.A.R. Umbria, Sent., 23/03/2016, n. 268;

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