TAR Catania, sez. I, sentenza 2023-05-03, n. 202301457

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. I, sentenza 2023-05-03, n. 202301457
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202301457
Data del deposito : 3 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/05/2023

N. 01457/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00972/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 972 del 2014, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato L C, con domicilio eletto presso lo studio Pietro Maria Mela in Catania, viale A. De Gasperi n. 93;

contro

Comune di -OMISSIS-, Ufficio Tecnico del Comune di -OMISSIS-, non costituiti in giudizio;

nei confronti

-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato D R, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via Messina, 223/A;

per l'annullamento

- dell’ordinanza n. 9 del 10/12/2013, con la quale il Dirigente dell’U.T del Comune di -OMISSIS- ha ingiunto al ricorrente, nella qualità di conduttore - e alla controinteressata, quale proprietaria - “di demolire e ripristinare lo stato originario dei luoghi” in relazione “al fabbricato censito in catasto al foglio 8 particella 160, realizzato abusivamente in assenza di concessione edilizia sul fondo di proprietà dell’-OMISSIS-”;

- di ogni alto atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi incluso, ove occorra, il verbale di sopralluogo redatto in data 3/7/2013, richiamato nella premessa dell’ordinanza sopra indicata, non conosciuto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’-OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 13 febbraio 2023 il dott. Salvatore Accolla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il ricorrente esponeva di essere socio della cooperativa agricola “-OMISSIS-, la quale ha in conduzione un fondo agricolo sito in agro di -OMISSIS-, contrada Bosco, di proprietà dell’-OMISSIS-.

Proprio in forza della propria qualità di socio della predetta cooperativa, egli era a sua volta conduttore di una porzione di tale fondo agricolo, su cui era stato costruito un fabbricato privo di concessione edilizia, per cui aveva conseguentemente presentato, nel 1995, istanza di condono edilizio ex l. 724/1994.

Lamentava che, proprio quando sarebbe sembrata prossima la definizione in senso positivo del procedimento, con l’ordinanza impugnata, senza alcun preavviso, il Dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di -OMISSIS- “ viste le note con cui questo Comune ha più volte richiesto l’integrazione documentale ”, “ accertato che la documentazione sino ad oggi prodotta risulta incompleta ”, e “ accertato altresì la mancata autorizzazione ad edificare da parte dell’ente proprietario del fondo, nonché di un qualsiasi titolo di proprietà ” aveva intimato la demolizione del manufatto e il ripristino dello stato dei luoghi.

Riteneva il provvedimento illegittimo per i seguenti motivi.

Affermava, anzitutto, che in considerazione del regolare deposito della documentazione richiesta, dell’adempimento degli oneri fiscali, dell’acquisizione del parere dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Enna e del compimento dei ventiquattro mesi previsti per legge, la domanda di condono edilizio avrebbe dovuto considerarsi accolta, già dal 1999, per silenzio-assenso: a fronte di tale situazione giuridica, il Comune, avrebbe potuto tutt’al più emanare un provvedimento di autotutela e non già, come effettivamente avvenuto, il provvedimento di demolizione impugnato.

Precisava, in proposito, che, diversamente da quanto indicato nel provvedimento, il Comune non avrebbe richiesto ulteriore documentazione dopo la produzione effettuata nell’agosto 1996, sicché, per lo meno a partire da tale data, sarebbe cominciato a decorrere il termine per la maturazione del silenzio-assenso.

Aggiungeva che, ove pure, in ipotesi, avesse voluto qualificarsi il provvedimento quale atto di autotutela, sarebbe comunque emerso il difetto di motivazione in ordine all’interesse pubblico compromesso e alla valutazione dell’incidenza del tempo trascorso sul consolidamento della sfera giuridica dell’interessato.

A questo proposito evidenziava come il lungo lasso di tempo intercorso, l’intera ultimazione della res abusiva , la modesta entità della stessa e la sua conformità alla disciplina urbanistica avrebbero contribuito a consolidare la posizione giuridica dello stesso ricorrente, sì da rendere necessaria una attenta motivazione in ordine all'interesse pubblico alla demolizione del manufatto, nella specie, a suo parere, del tutto assente.

Con un secondo motivo di ricorso evidenziava che, secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché unanime, la pendenza del procedimento di sanatoria avrebbe comunque impedito l’adozione dell’ordinanza di demolizione, data la previsione, ai sensi dell’art. 38 della legge n. 47/1985, della sospensione dei procedimenti sanzionatori, a seguito della presentazione delle istanze di condono.

D’altra parte, l’ordinanza di demolizione non avrebbe potuto avere il valore di un diniego tacito dell’istanza di sanatoria. L’Amministrazione, infatti, avrebbe semmai dovuto dare contezza dell’esito del procedimento di condono, indicando le motivazioni di un eventuale diniego.

In un terzo motivo di ricorso metteva in rilievo che, anche a voler considerare il provvedimento come un diniego implicito dell’istanza di condono, esso sarebbe stato comunque illegittimo, in quanto, trattandosi di provvedimento adottato all’esito di un procedimento ad istanza di parte, l’Amministrazione avrebbe dovuto, comunque, dare preventiva comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda.

In particolare, asseriva che, ove avesse potuto partecipare al procedimento, avrebbe potuto evidenziare la perfetta ammissibilità della presentazione della domanda di condono in qualità di soggetto titolare di un diritto personale di godimento, essendo sufficiente, a tal fine, il consenso del proprietario, reso anche in forma implicita.

Nel caso di specie, tale consenso sarebbe stato ricavabile dalla documentazione relativa alla procedura di mediazione promossa dall’-OMISSIS- per la risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico del 23 ottobre 2023, e, in particolare, dall’accordo - avente, a dire dello stesso ricorrente, efficacia di contratto preliminare - per l’acquisto dei terreni da parte della Cooperativa -OMISSIS- (direttamente o in persona dei suoi soci) per un importo, il cui ammontare, a suo modo di vedere, avrebbe evidentemente tenuto conto dell’insistenza dei manufatti sui terreni interessati;
circostanza, quest’ultima, da cui, secondo lo stesso ricorrente, sarebbe stato desumibile che la stessa Opera avrebbe sempre avuto conoscenza dell’esistenza degli immobili abusivi e ne avrebbe (implicitamente) autorizzato la successiva regolarizzazione.

Per le predette ragioni chiedeva, in conclusione, l’annullamento degli atti impugnati.

Si costituiva in giudizio l’-OMISSIS- -OMISSIS- la quale, in via preliminare, sottolineava come la realizzazione dei fabbricati sul fondo in questione, così come la presentazione delle richieste di concessione in sanatoria, sarebbero state realizzate senza il suo consenso: proprio per poter esercitare ogni azione a tutela dei propri diritti, aveva, infatti, presentato, in relazione a tali istanze, richiesta di accesso agli atti.

In ogni caso, diversamente da quanto affermato dalla ricorrente, la procedura di mediazione non si sarebbe conclusa con la sottoscrizione di un preliminare di vendita, come erroneamente affermato dalla ricorrente, bensì, considerate le specifiche procedure che l’Ente, per la sua natura pubblica, sarebbe stato tenuto ad osservare per la stipula di qualsiasi contratto, con una semplice intesa di massima ancora non vincolante.

Per il resto, nulla osservava sugli altri motivi di ricorso ed aggiungeva solamente che con autonomo ricorso aveva anch’essa impugnato il provvedimento.

Il Comune di -OMISSIS-, benché destinatario di regolare notificazione del ricorso, non si costituiva in giudizio.

All’udienza di smaltimento del 13 febbraio 2023, udita la discussione delle parti, il ricorso veniva posto in decisione.

DIRITTO

Il ricorrente impugna il provvedimento con cui il Comune di -OMISSIS- ha contestualmente rigettato l’istanza di sanatoria ed ordinato la demolizione dei manufatti presenti su un fondo, di proprietà dell’Ente odierno controinteressato, di una cui porzione il ricorrente è conduttore.

Nel ricorso si sostiene, in sintesi, che il provvedimento sarebbe stato tardivamente emanato, dal momento che l’immobile sarebbe stato sanato grazie all’intervenuto silenzio assenso sulla relativa istanza presentata al Comune dallo stesso ricorrente.

Nel secondo motivo di ricorso, si sostiene, invece, che l’ordinanza di demolizione sarebbe stata illegittima in quanto adottata prima della conclusione del procedimento di sanatoria.

Infine, il ricorrente lamenta che la mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda di sanatoria gli avrebbe impedito di dimostrare la sua piena legittimazione alla presentazione dell’istanza di condono in qualità di conduttore autorizzato dallo stesso proprietario dell’area all’attivazione di tale procedimento.

Queste essendo, in estrema sintesi, le censure formulate dal ricorrente, deve ritenersi, per le ragioni che si vanno ad esporre, che il ricorso sia infondato.

Emerge, anzitutto, l’intima contraddittorietà tra i primi due motivi di ricorso. Mentre il primo si fonda, infatti, sull’assunto che la conclusione del procedimento di sanatoria per silenzio assenso avrebbe fatto venir meno l’abuso edilizio e, pertanto, lo stesso presupposto per l’emanazione dell’ordinanza di demolizione impugnata - da ritenersi, pertanto, quanto meno tardiva - nel secondo è sviluppata, invece, la tesi opposta, ovvero che il provvedimento ripristinatorio sarebbe illegittimo proprio perché emesso in violazione del divieto di adozione di tali provvedimenti in pendenza del procedimento di sanatoria.

Alla luce di tale contraddittoria prospettazione dei fatti risulta necessario verificare se il procedimento di sanatoria avviato dallo stesso ricorrente possa ritenersi effettivamente concluso per silenzio assenso.

La giurisprudenza ha ripetutamente messo in rilievo che per la formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono è necessario che il richiedente abbia provveduto ad allegare alla domanda tutta la documentazione, necessaria per l’esame da parte dell’Amministrazione, indicata nell’art. 35 comma 3 l. 47/85 (cfr. Consiglio di Stato n. 4540/2020, n. 3241/2019, n. 6899/2018, n. 753/2018. n. 187/2017).

In caso contrario il silenzio non può ritenersi significativo e non produce effetto ed è pienamente giustificato dall’impossibilità per l’Amministrazione di valutare la fondatezza (o meno) dell’istanza a causa della carenza documentale. Al riguardo il Consiglio di Stato ha recentemente ribadito che: « Questo Consiglio ha infatti avuto occasione di affermare che, anche in caso di area non sottoposta a vincoli, “In tema di condono edilizio, stante quanto previsto dall’art. 35 della L. 47/1985, deve rilevarsi come solo nel caso in cui la domanda di sanatoria edilizia presentata sia connotata dai requisiti soggettivi e oggettivi per essere accolta, può applicarsi la disciplina del silenzio-assenso” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2018, n. 6899) e che “L’art. 35, commi 1 e 3, l. 28 febbraio 1985, n. 47, nel disciplinare il procedimento per la sanatoria, prevede che la domanda di concessione edilizia sia corredata dalla prova dell’eseguito versamento dell’oblazione e che alla stessa debbano essere allegati i documenti che vengono specificamente indicati;
da tale norma emerge come il silenzio assenso si possa formare soltanto in presenza di tutti i presupposti da essa indicati e, in particolare, in presenza di una documentazione completa degli elementi richiesti;
il termine di prescrizione può decorrere soltanto nel caso in cui si sia formato un atto tacito di condono. Pertanto, il decorso dei termini fissati dall’art. 35 comma 18, l. 28 febbraio 1985, n. 47 presuppone in ogni caso la completezza della domanda di sanatoria, accompagnata in particolare dall’integrale pagamento di quanto dovuto a titolo di oblazione per quanto attiene la formazione del silenzio-accoglimento
” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 753).

Nel caso di specie, non vi è prova che il ricorrente abbia adempiuto tempestivamente ed in maniera completa alle richieste di integrazione documentale provenienti dal Comune di -OMISSIS-.

A dispetto di quanto affermato dallo stesso ricorrente riguardo alla presunta completezza della documentazione allegata all’istanza, negli atti versati in giudizio si rinviene solamente una “dichiarazione sullo stato dei lavori” priva della data di ultimazione della struttura e di completamento delle finiture interne ed esterne;
non vi è prova, inoltre, dell’effettivo deposito o invio di tale dichiarazione, così come della “Relazione tecnica e descrizione opere abusive” al Comune di -OMISSIS-: tale Relazione è infatti datata 10/7/1996 mentre l’unico avviso di ricevimento di raccomandata A/R rinvenibile in atti risale ad un momento precedente (cfr. allegati 2 e 5 del ricorso).

D’altra parte, nella premessa del provvedimento si dà atto dell’incompletezza della documentazione allegata all’istanza di sanatoria pur a seguito “ delle diverse note con cui questo Comune ha più volte richiesto l’integrazione documentale della suddetta pratica ” e dell’accertamento della “ mancata autorizzazione ad edificare da parte dell’ente proprietario del fondo, nonché di qualsiasi titolo di proprietà ”.

In sostanza, nel provvedimento si prende atto dell’assenza di una valida domanda di condono per il difetto della documentazione necessaria e per l’assenza di un titolo di proprietà e dell’autorizzazione ad edificare da parte del proprietario del fondo.

In definitiva, in assenza di concreti elementi che possano comprovare la completezza della documentazione offerta in comunicazione dall’odierno ricorrente a Comune convenuto, la tesi, su cui si basa il primo motivo di ricorso, dell’intervenuta formazione del silenzio assenso sull’istanza di sanatoria presentata, deve ritenersi priva di fondamento.

Infondato, tuttavia, è anche l’assunto, alla base del secondo (contraddittorio) motivo di ricorso, secondo cui l’ordine di demolizione contenuto nel provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto impartito in pendenza del procedimento di sanatoria: tale ricostruzione non corrisponde all’effettiva formulazione del provvedimento impugnato che contiene, contestualmente, e del tutto legittimamente, anche il diniego di condono del medesimo immobile.

La prima parte del provvedimento, infatti, fa espresso riferimento all’istanza di sanatoria esaminata ( Vista la richiesta di sanatoria edilizia presentata in data 1/4/1995 … dal sig. -OMISSIS-..;
Viste le diverse note con cui questo Comune ha richiesto l’integrazione documentale della suddetta pratica;
Accertato che la documentazione sino ad oggi prodotta risulta incompleta
”).

Nella seconda parte del provvedimento si dispone la demolizione degli abusi (“Visto il verbale di sopralluogo… “Accertato, altresì, la mancata autorizzazione ad edificare da parte dell'ente proprietario del fondo, nonché di un qualsiasi titolo di proprietà”… "Ritenuto che ricorrono i presupposti in fatto ed in diritto per ingiungere la demolizione del fabbricato censito in catasto al fg. 8 particella 160 realizzato abusivamente in assenza di concessione edilizia” ).

Dunque, all’atto dell’emanazione dell’ordinanza di demolizione non poteva dirsi pendente alcun procedimento di sanatoria che, invece, era stato contestualmente esaminato e definito.

Seppur in termini stringati, il rigetto dell’istanza di sanatoria non solo è espressamente indicato nella parte finale del provvedimento (“ Ritenuto di dover rigettare la richiesta avanzata ”) ma è anche motivato nei termini sopra indicati, che qui si ripetono: “ Accertato che la documentazione sino ad oggi prodotta risulta incompleta ”.

Privo di fondamento è, pertanto, ogni riferimento ad un presunto diniego “tacito” dell’istanza di sanatoria (il diniego, come si è detto, è espresso) e ad un difetto di motivazione del diniego (che è, invece, dipeso, secondo le indicazioni del provvedimento, dalla mancata integrazione documentale).

Quanto alle censure formulate nel terzo motivo di ricorso deve rilevarsi che, in relazione al tipo di istanze di cui qui si discute, non è configurabile, per consolidata giurisprudenza, alcun obbligo di comunicazione all'interessato dei motivi ostativi all'accoglimento delle richieste del privato.

Il diniego di condono edilizio, in quanto provvedimento vincolato, non richiede, infatti alcuna comunicazione preventiva dei motivi ostativi all'accoglimento della relativa istanza (Consiglio di Stato sez. IV, 18/8/2017, n. 4032) sia in quanto la violazione dell'art. 10-bis l. 7 agosto 1990, n. 241 non è invocabile per atti vincolati, sia perché questa norma non è applicabile a procedimenti connotati da specialità (Consiglio di Stato sez. VI, 17/12/2013, n. 6042).

In concreto, poi, emerge chiaramente come il ricorrente non avrebbe potuto fornire alcun utile apporto in merito alla propria legittimazione alla presentazione dell’istanza di condono, che appare, invero, insussistente. Ed infatti, benché, in termini generali, l’istanza di autorizzazione edilizia in sanatoria possa essere certamente presentata da chiunque vi abbia interesse – e, dunque, anche dal titolare di un diritto di godimento sull’immobile – è altresì vero, come sottolineato dalla prevalente giurisprudenza, che per il rilascio del provvedimento è necessario il riscontro dell’assenso, al mantenimento e alla stessa sanatoria delle opere, da parte del proprietario dell'immobile, analogamente a quanto previsto per il rilascio del permesso di costruire.

E’, dunque, pacifica la necessità dell’acquisizione della prova del consenso, quanto meno implicito, del proprietario del bene (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4776).

Deve altresì rilevarsi che una tale soluzione si evince anche dal contenuto dell’art. 1590 c.c., secondo cui il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 22/05/2018, n. 3049;
T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 30/08/2021 n. 9411). Da tale norma si desume, infatti, che, in tanto è possibile realizzare un immobile su un fondo preso in affitto, restituendolo, poi, con una tale modifica ed aggiunta, in quanto tale iniziativa sia stata comunque consentita o approvata dal proprietario-locatore.

In termini conformi a tale ricostruzione si è già espresso, d’altra parte, questo Tribunale, che ha appunto statuito che la posizione giuridica del titolare di un diritto personale di godimento rende ammissibile la presentazione di una domanda di condono ma “ non consente di per sé il rilascio della conseguente concessione edilizia in sanatoria, che presuppone il consenso, quantomeno implicito, del legittimo proprietario del bene interessato dalle opere edilizie ” (T.A.R. Catania, (Sicilia) sez. I, 8/7/2010, n. 2911).

Nel caso di specie, il ricorrente, consapevole della necessità di tale consenso, quanto meno implicito, del proprietario del fondo su cui è stata realizzata la costruzione abusiva, ha tentato di dimostrare, nel terzo motivo di ricorso, che tale consenso sarebbe desumibile dal verbale di mediazione intervenuto tra la Cooperativa conduttrice dei fondi e l’Opera odierna controinteressata e, in particolare, dalla disponibilità manifestata da quest’ultima ad alienare i terreni alla Cooperativa stessa o ai suoi soci.

E’, tuttavia, evidente che tale disponibilità, in realtà, non è andata oltre un’intesa di massima priva di alcuna vincolatività, dal momento che per la sua ratifica sarebbe stato necessario il consenso, di cui non vi è traccia in atti, degli organi interni competenti dell’Ente: deve pertanto ritenersi priva di fondamento la tesi, sostenuta dal ricorrente, secondo cui, all’esito del predetto procedimento di mediazione, sarebbe stato concluso un vero e proprio contratto preliminare.

In secondo luogo è evidente come l’argomentazione della ricorrente sia affetta da un non sequitur , dal momento che, anche a voler ammettere, in via puramente ipotetica, la conclusione del predetto contratto preliminare (come tale avente solo effetti obbligatori e non reali), da ciò non sarebbe comunque ricavabile un consenso dell’Opera, proprietaria dei fondi, alla presentazione dell’istanza di condono, trattandosi di questioni del tutto distinte.

Neanche le altre censure formulate nel ricorso colgono nel segno.

Non è affatto richiesta una “ motivazione in ordine all’interesse pubblico alla demolizione del manufatto ” – come ancora affermato dal ricorrente – considerato che, come anche di recente ribadito dalla giurisprudenza (praticamente unanime sul punto) “ l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico e tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione ” (Consiglio di Stato sez. VI, 01/09/2022, n.7621).

Sempre per giurisprudenza consolidata è irrilevante il lasso di tempo, eventualmente lungo, trascorso tra la realizzazione dell’abuso e l’ingiunzione dell’ordine di demolizione “ atteso che per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, lo stesso non richiede alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata”. Per tali provvedimenti non è, infatti, necessario “nemmeno un confronto dell'interesse pubblico con gli interessi privati coinvolti ” (cfr. da ultimo, tra gli altri, Consiglio di Stato sez. VI, 03/01/2022, n. 8 e Consiglio di Stato sez. II, 20/01/2020, n. 466).

Infine la ridotta entità dell’abuso deve essere compiutamente dimostrata dal privato, non essendo sufficiente la sua mera deduzione priva di alcun principio di prova, come accaduto nel caso di specie.

In conclusione, per tutte le ragioni indicate, il ricorso deve essere rigettato.

Nulla deve pronunciarsi sulle spese in relazione alla posizione del Comune di -OMISSIS- che, pur destinatario di regolare notificazione del ricorso, non si è costituito in giudizio.

Le spese di causa devono essere invece compensate in relazione alla posizione dell’-OMISSIS- intervenuta in giudizio in considerazione della sua qualità di codestinataria dell’ordine di demolizione e del tenore, in molti passaggi generico, delle difese formulate dallo stesso Ente.

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