TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2022-06-28, n. 202208823
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Pubblicato il 28/06/2022
N. 08823/2022 REG.PROV.COLL.
N. 11131/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11131 del 2020, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M D G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia
del -OMISSIS- comminata dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare in data 1 ottobre 2020 (M_D E24476 REG2020 0045705 01-10-2020 - M_D GMIL REG 2020 0348472), notificato in data 5 ottobre 2020.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 aprile 2022 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Caporal Maggiore (oggi in congedo) -OMISSIS- nell’ottobre del 2016 veniva coinvolto in un -OMISSIS-, con i benefici di legge.
Il reato ascritto era quello di lesioni personali aggravate commesso il 26 ottobre 2016 nei confronti di un -OMISSIS-. La stessa sentenza assolveva invece il medesimo imputato dal reato di lesioni personali aggravate ascrittogli con riferimento ad altro fatto, commesso in una data imprecisata della seconda meta di ottobre 2016, “perché il fatto non sussiste”.
Successivamente, a seguito dell’appello proposto dall’imputato, la Corte di Appello Militare riformava la sentenza di primo grado e dichiarava che l'azione penale non doveva essere iniziata per difetto della richiesta di procedimento penale da parte del Comandante di Corpo (sentenza Corte di Appello Militare n. 99/2019 pronunciata il 29.10.2019 e depositata il 19.11.2019, in atti).
A tale conclusione il Giudice di secondo grado perveniva dopo avere accertato che, rispetto alle lesioni personali inflitte alla persona offesa, non poteva dirsi raggiunta né la prova testimoniale (vedi le dichiarazioni rese in dibattimento dalla persona offesa e dall’ufficiale medico della caserma dove la stessa persona offesa era in servizio), né la prova documentale (certificati medici acquisiti al fascicolo) adeguati ad evidenziare “[…]con un sufficiente e idoneo grado di certezza, che la malattia derivata al-OMISSIS-dalla condotta violenta tenuta dall'imputato in data 26 ottobre 2016, abbia avuto una durata superiore ai dieci giorni e sia, quindi, inquadrabile nella fattispecie descritta al 1^ comma dell'art. 223 c.p.m.p., piuttosto che in quella, procedibile a richiesta del Comandante di Corpo, di cui al 2^ comma dello stesso articolo. La mancanza in atti di tale necessaria condizione di procedibilità impone la declaratoria di non doversi procedere…” (doc. 2 ric.).
La sentenza è divenuta irrevocabile in data 14 gennaio 2020 (doc. 2 ric.).
Successivamente, per motivi non inerenti ai fatti di causa, il ricorrente veniva collocato in congedo.
L’Amministrazione della Difesa acquisiva la sentenza della Corte di Appello Militare in data 23 gennaio 2020 e, il successivo 5 marzo 2020, il Comandante Militare della Capitale disponeva l’inchiesta formale nei confronti del graduato, al termine della quale la medesima Autorità, dopo avere acquisito la relazione dell’Ufficiale inquirente, con atto in data 22.6.2020 proponeva di definire la posizione disciplinare del graduato con la sospensione dalle funzioni del grado.
Il procedimento si concludeva quindi con il decreto n. M_D-OMISSIS-, notificato all’interessato in data 5.10.2020, con il quale la Direzione Generale per il Personale Militare ha inflitto al militare la sanzione della sospensione dalle funzioni del grado per mesi tre, avendo accertato che:
“il Graduato dell'Esercito, in data 26 ottobre 2016, all'interno delle camerate della -OMISSIS-, usava -OMISSIS-. Tale comportamento è censurabile sotto l'aspetto disciplinare, in quanto in contrasto con i doveri attinenti al giuramento prestato, al grado rivestito, al senso di responsabilità e al contegno esemplare che il militare deve tenere in ogni circostanza”;
- la condotta disciplinarmente rilevante addebitata all'inquisito è risultata acclarata in sede d'inchiesta formale;
- non si presentava ineccepibile il pregresso quadro disciplinare del graduato, con particolare riferimento alla pregressa sospensione disciplinare dall'impiego per mesi uno inflitta il 22 marzo 2018;
- poteva ritenersi congrua, rispetto all'entità della condotta acclarata, la sanzione della sospensione disciplinare dalle funzioni del grado per mesi tre, alla luce dei principi di gradualità e proporzionalità che informano l'Ordinamento Militare.
Il provvedimento sanzionatorio è stato impugnato dal ricorrente dinnanzi a questo TAR, con ricorso tempestivamente notificato e depositato in data 21.12.2020, nel quale vengono svolte le seguenti censure ai fini dell’annullamento:
I)
- violazione dell’art. 1398, comma 5, del Codice dell’Ordinamento Militare laddove prevede l’obbligo di motivazione dei provvedimenti disciplinari: il decreto impugnato risulterebbe del tutto apodittico ed illogico nella sua formulazione in quanto non espone il percorso logico-giuridico che ha portato l’Amministrazione ad irrogare la sanzione inflitta;il mero richiamo ad atti esterni come la sentenza della Corte di Appello Militare sopracitata non sarebbe sufficiente allo scopo, anche perché la sentenza contiene una mera declaratoria procedurale a favore del ricorrente e ha ritenuto preclusa “ogni ulteriore valutazione riguardante il merito dei fatti di causa” (pag. 21 sent. cit.);
- mancherebbe dunque, allo stato, un provvedimento che abbia accertato la responsabilità del Monteferri;
- il provvedimento disciplinare, poi, non richiama alcuna istruttoria sull’episodio e dimostra che essa non è stata svolta dall’Autorità disciplinare e, in definitiva, l’atto amministrativo sarebbe stato emesso sull’erroneo presupposto di un episodio in realtà non provato;
II)
- del pari immotivata sarebbe l’entità della sanzione irrogata che non appare proporzionata alla gravità dei fatti ascritti.
Il Ministero della Difesa si è costituito con comparsa di stile in data 21.12.2020.
In vista della camera di consiglio cautelare il ricorrente ha dichiarato la propria rinuncia alla sospensiva (atto dep. 21.12.2020).
In vista dell’udienza di merito il ricorrente ha chiesto il passaggio in decisione.
All’esito della pubblica udienza del 22 aprile 2022 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
Il ricorso, ad avviso del Collegio, non è fondato e va, pertanto, respinto.
Il provvedimento impugnato, infatti, deve ritenersi motivato “per relationem” in quanto richiama espressamente:
- la -OMISSIS-, richiamando, in tal modo, per intero il contenuto di essa comprensivo dell’ampia motivazione che la caratterizza;
- gli atti dell’inchiesta formale e, in particolare, la relazione finale dell’Ufficiale inquirente;
- le controdeduzioni articolate dall’incolpato nel corso del procedimento.
Deve osservarsi anche che il provvedimento riporta nella parte dispositiva la descrizione del fatto sanzionato, la quale, nella sua sinteticità, appare idonea a fornire le necessarie coordinate spazio-temporali della fattispecie concreta (e la sua corrispondenza ai fatti oggetto di imputazione in sede penale): “Graduato dell'Esercito, in data 26 ottobre 2016, all'interno delle camerate della -OMISSIS-, usava -OMISSIS-.”
Segue alla descrizione del fatto, la valutazione finale di esso da parte dell’Autorità militare: “Tale comportamento è censurabile sotto l'aspetto disciplinare, in quanto in contrasto con i doveri attinenti al giuramento prestato, al grado rivestito, al senso di responsabilità e al contegno esemplare che il militare deve tenere in ogni circostanza”.
Sul piano della motivazione questo Collegio ritiene adeguato e pregnante il richiamo alla sentenza di secondo grado la quale, sebbene si concluda con una pronuncia di rito (improcedibilità), per difetto della richiesta di procedimento penale da parte del Comandante di Corpo (art. 223, comma 2, codice penale militare di pace), espone tuttavia in modo dettagliato i fatti oggetto di imputazione per come accertati dalla sentenza di primo grado.
Si deve, infatti, osservare che in nessun passaggio la sentenza della Corte di Appello Militare pone in dubbio la realtà dell’episodio occorso in data 26.10.2016 all’interno Caserma “-OMISSIS-” di-OMISSIS-, nel quale l’odierno ricorrente-OMISSIS-.
La sentenza di secondo grado, al contrario, partendo da tale base incontestata, svolge poi una lunga disamina sul materiale probatorio acquisito in primo grado al fine di accertare se si potesse considerare raggiunta la prova della sussistenza di lesioni guaribili in più di dieci giorni, pervenendo alla conclusione che la prova era stata raggiunta, mediante il certificato di pronto soccorso della persona offesa, limitatamente ad un tempo di gg. 5.
Questo è il substrato fattuale che ha condotto a riformare la sentenza di primo grado in punto di procedibilità in quanto, ai sensi del citato art. 223, comma 1, c.p.m.p., da leggere in combinato disposto con l’art. 260, comma 2 dello stesso codice, i reati, per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi (e tra questi ci sono le lesioni personali che abbiano causato una malattia di durata non superiore a 10 giorni, ai sensi dell’art. 223 cit.) “sono puniti a richiesta del comandante del corpo o di altro ente superiore, da cui dipende il militare colpevole, o, se più sono i colpevoli e appartengono a corpi diversi o a forze armate diverse, dal comandante del corpo dal quale dipende il militare più elevato in grado, o a parità di grado, il superiore in comando o il più anziano”.
Per il resto la sentenza di secondo grado non pone in dubbio quanto accertato dal Giudice di primo grado e, in ogni caso, i fatti accertati in primo grado sono ampiamente riportati anche nella motivazione della sentenza della Corte di Appello Militare la quale, significativamente, non ha ravvisato “…la sussistenza in limine di evidenze probatorie tali da determinare una pronuncia più favorevole all’imputato legata all’insussistenza del fatto, al non averlo egli commesso, al non costituire il fatto contestato reato, o, infine, al non essere esso previsto come reato dalla legge, in ipotesi rilevanti e per gli effetti di cui all’art. 129 c.p.p., secondo l’interpretazione invalsa di tale disposizione ad opera dei supremi Giudici di Legittimità (vds. Cass. Pen. SS.UU. n. 28954 del 9 giugno 2017 e Cass. Pen. Sez. V, n. 2623 del 22 gennaio 2018)”.
Deve dunque escludersi che nella specie vi sia stata assoluzione dell’imputato in sede penale ed essendo la sentenza irrevocabile di mero rito la stessa non precludeva né impediva all’Amministrazione di attingere, in sede disciplinare, al materiale probatorio raccolto in sede penale ed ampiamente esposto nelle sentenze del Giudice Penale Militare (arg. ex art. 1393, comma 2, C.o.m.).
Emerge dalla esposizione dei fatti contenuti nella sentenza di secondo grado una ricostruzione della vicenda che conduce a ritenere accertato l’episodio oggetto della contestazione disciplinare. L’avere richiamato tale sentenza costituisce quindi motivazione “per relationem” sui fatti emersi in sede dibattimentale in primo grado, nel senso che, senza necessità di riprodurre l’esposizione dei fatti già narrati in sentenza nel corpo del provvedimento finale, essi possono ritenersi “presenti” nel provvedimento stesso mediante il semplice richiamo alla pronuncia giudiziale.
Ciò costituisce legittima tecnica motivazionale ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 241 del 1990 che, in generale, prevede (al comma 3) che “3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama.”.
Trattandosi nella specie di sentenza relativa allo stesso ricorrente, non ci possono esservi dubbi circa la conoscenza e disponibilità di essa da parte del graduato.
Nel testo del decreto sanzionatorio, peraltro, sono anche menzionati gli atti dell’istruttoria disciplinare e, in particolare, la Relazione Finale dell’Ufficiale istruttore, atti che, deve ritenersi, sono stati messi a disposizione dell’incolpato il quale, in ogni caso, aveva l’onere (e il diritto) di acquisirli e, quindi, di contestarli, ove lo avesse voluto.
Si deve anche osservare che i fatti oggetto di imputazione penale (e, principalmente, l’episodio del 26.10.2016) non sono stati oggetto di contestazione in punto di fatto da parte del ricorrente, il quale, come visto, si limita ed eccepire il difetto di istruttoria e di motivazione senza tuttavia entrare nel merito dei fatti addebitatigli.
Quanto all’entità della sanzione, la stessa è contestata in termini alquanto generici dal ricorrente. In ogni caso l’Amministrazione mostra di avere considerato, in modo congruo e proporzionale, la gravità dell’episodio in sé (il compimento di un atto violento e volontario ai danni di un commilitone, inferiore in grado, all’interno di una caserma) e la sussistenza di un precedente disciplinare.
Si ritiene in conclusione che il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Le spese processuali, tuttavia, possono esser interamente compensate tra le parti, considerata la costituzione dell’Amministrazione con comparsa di stile.