TAR Roma, sez. II, sentenza breve 2014-01-30, n. 201401177
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N. 01177/2014 REG.PROV.COLL.
N. 12891/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 12891 del 2013, proposto dalla società PES Srl, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati A L e M G, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 187;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato S S, con il quale è domiciliato presso gli uffici dell’Avvocatura comunale, in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
nei confronti di
società Gregor Srl, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
dei provvedimenti prot. n. 22239, 22241, 22246, 22249, 22251, 22255, 22256 e 22264, ricevuti in data 28 marzo 2013 con i quali Roma Capitale, ha comunicato alla società ricorrente il rigetto delle istanze dalla stessa presentate, ai sensi della Delibera di C.C. n. 31/09, per la definizione di liti pendenti relative a tributi comunali;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2014 il dott. C P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Roma Capitale con sette degli otto provvedimenti impugnati (n. 22239, 22241, 22246, 22249, 22255, 22256 e 22264) ha rigettato le istanze presentate dalla società ricorrente evidenziando in motivazione quanto segue: A) «La Cassazione con numerose sentenze (cfr ad es. nn. 12675/12, 12676/12, 12677/12 e 12679/12) ha enunciato principi di carattere generale, conformi all’ordinamento giuridico in materia tributaria, che evidenziano l’applicabilità della Deliberazione n. 31/09 solo in concomitanza di entrambi i seguenti presupposti stabiliti dall’art. 13, comma 3, della Legge 289/02: a) che si tratti di obblighi tributari precedenti all’entrata in vigore della Legge;b) che alla data di entrata in vigore della predetta legge, le procedure di accertamento o i procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale fossero stati instaurati»;B) non sussistono i presupposti stabiliti dall’art. 13, comma 3, della Legge 289/02 per l’applicazione della Deliberazione n. 31/09 perché le domande di definizione presentate dalla società ricorrente si riferiscono ad atti emessi per il recupero delle imposte relative agli anni 2003, 2004, 2005 e 2006. Con il provvedimento n. 22251 è stata rigettata un’ulteriore istanza presentata dalla società ricorrente, perché «presentata il 02.07.2012, quando la lite non era più pendente».
2. La società ricorrente: A) con ricorso straordinario al Capo dello Stato ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti in epigrafe indicati, ma Roma Capitale, con atto di opposizione notificato in data 25 settembre 2013, ha chiesto la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale;B) con il presente ricorso insiste per l’annullamento dei provvedimenti impugnati, richiamandosi integralmente a quanto dedotto con il ricorso straordinario al Capo dello Stato.
3. Roma Capitale con memoria depositata in data 17 gennaio 2014 ha eccepito il difetto di giurisdizione di questo Tribunale, evidenziando che la presente controversia rientra nella giurisdizione del Giudice tributario.
4. Alla camera di consiglio del 22 gennaio 2014 le parti sono state avvisate della possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata.
5. In via preliminare, il Collegio ritiene che la presente controversia esuli dalla giurisdizione del giudice amministrativo, alla luce delle seguenti considerazioni.
Innanzi tutto occorre rammentare che: A) l’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 546/1992 ricomprende nella giurisdizione delle Commissioni tributarie “tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio”, mentre l’art. 19, comma 1, lettera h), del medesimo decreto legislativo include tra gli atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie i provvedimenti di “rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari”;B) secondo l’art. 24, comma 1, del decreto legislativo n. 507/1993, come modificato dall’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 203/1998 (a decorrere dal 1° aprile 1998), “il comune è tenuto a vigilare sulla corretta osservanza delle disposizioni legislative e regolamentari riguardanti l’effettuazione della pubblicità. Alle violazioni di dette disposizioni conseguono sanzioni amministrative per la cui applicazione si osservano le norme contenute nelle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689, o, per le violazioni delle norme tributarie, quelle sulla disciplina generale delle relative sanzioni amministrative salvo quanto previsto nei successivi commi;C) l’art. 13 della legge n. 289/2009 dispone - al comma 1 - che “con riferimento ai tributi propri, le regioni, le province e i comuni possono stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse loro dovute, nonché l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, non inferiore a sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell’atto, i contribuenti adempiano ad obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti”, e - al comma 2 - che “le medesime agevolazioni di cui al comma 1 possono essere previste anche per i casi in cui siano già in corso procedure di accertamento o procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale. In tali casi, oltre agli eventuali altri effetti previsti dalla regione o dall’ente locale in relazione ai propri procedimenti amministrativi, la richiesta del contribuente di avvalersi delle predette agevolazioni comporta la sospensione, su istanza di parte, del procedimento giurisdizionale, in qualunque stato e grado questo sia eventualmente pendente, sino al termine stabilito dalla regione o dall’ente locale, mentre il completo adempimento degli obblighi tributari, secondo quanto stabilito dalla regione o dall’ente locale, determina l’estinzione del giudizio”.
In base a tale quadro normativo la giurisprudenza (Cass. civ., Sez. Un., 11 marzo 2004, n. 5040;T.A.R. Sicilia Catania, Sez. II, 14 giugno 2011, n. 1497) afferma che la giurisdizione sulle controversie relative alle sanzioni amministrative per violazioni riguardanti l’effettuazione della pubblicità è suddivisa, a decorrere dal 1° aprile 1998, ai sensi del decreto legislativo n. 507/1993, come modificato dall’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 203/1998, tra il Giudice ordinario (davanti al quale il procedimento è regolato dalla legge 24 novembre 1981, n. 689) e, in caso di “violazioni delle norme tributarie”, le Commissioni tributarie.
Inoltre la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella sentenza 20 luglio 2012, n. 12679 (richiamata nella motivazione dei provvedimenti impugnati), ha posto in rilievo quanto segue: «la possibilità per il contribuente di conseguire la sospensione del giudizio in corso - ipotesi ricorrente nel caso di specie - è ancorata, dalla L. n. 289 del 2002, art. 13, alla concomitante presenza di due specifici presupposti: a) che si tratti di obblighi tributari precedenti l’entrata in vigore della legge in questione;b) che, alla data di entrata in vigore della predetta legge, le procedura di accertamento o i procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale fossero già stati instaurati. Né l’uno, né l’altro dei due presupposti summenzionati è, tuttavia, da ritenersi ricorrente nel caso di specie, trattandosi di imposta sulla pubblicità per l’anno 2003 (successivo all’entrata in vigore della legge in questione), ed essendo stato - di conseguenza - il relativo contenzioso instaurato nel successivo anno 2004 (giudizio n. 18024/04), come si evince dal ricorso per cassazione del Comune di Roma. Se ne deve necessariamente inferire l’illegittimità del condono di cui alla Delib. Consiliare n. 31 del 2009, poiché adottata in violazione della L. n. 289 del 2009, art. 13, che delimitava temporalmente - mediante il visto riferimento agli obblighi non adempiuti dal contribuente prima dell’entrata in vigore di detta legge, ed alla necessità che, a tale data, fossero già pendenti i procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale - il potere dei Comuni di stabilire condoni sui tributi propri, potere non esercitabile, dunque, sine die dall’amministrazione comunale».
Tenuto conto di quanto precede - e, in particolare della sentenza 20 luglio 2012, n. 12679, della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, che ritiene la giurisdizione in relazione ad una controversia relativa all’applicazione della Deliberazione n. 31/2009 - il presente ricorso, in accoglimento dell’istanza sollevata dall’Amministrazione resistente, deve essere dichiarato inammissibile, trattandosi di controversia avente ad oggetto provvedimenti con i quali l’Amministrazione comunale rigetta istanze per la definizione, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 289/2009, di liti pendenti relative a “violazioni delle norme tributarie” in materia di imposta sulla pubblicità (da qualificare come provvedimenti di “rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari”) e, quindi, devoluta alla giurisdizione delle Commissioni tributarie per effetto del combinato disposto dell’art. 24, comma 1, del decreto legislativo n. 507/1993, con gli articoli 2, comma 1, e 19, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 546/1992.
6. Le spese del presente giudizio, quantificate nella misura indicata nel dispositivo, devono essere poste a carico della parte ricorrente.