TAR Torino, sez. I, sentenza 2023-07-31, n. 202300735

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. I, sentenza 2023-07-31, n. 202300735
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202300735
Data del deposito : 31 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/07/2023

N. 00735/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01085/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1085 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-ricorrente- s.r.l.s., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato O O, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Massimo D'Azeglio 114;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore , Ufficio Territoriale del Governo di Torino, in persona del Prefetto pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via Arsenale, 21;

per l'annullamento

per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- del decreto del Prefetto di Torino reso nel procedimento prot. n. -OMISSIS- Area I bis – Ant. con cui si rigetta l'istanza di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all'art. 1, comma 52 della legge 190/2012 tenuto dalla Prefettura UTG della provincia di Torino, presentata dalla -ricorrente- S.r.l.s., con contestuale cancellazione dagli elenchi, provvedimento datato -OMISSIS- e trasmesso a mezzo PEC il 23.08.2017.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dalla società ricorrente il 20 maggio 2022:

- del decreto del Prefetto di Torino reso nel procedimento prot. n. -OMISSIS- Area I bis – Ant. con cui si rigetta l'istanza di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all'art. 1, comma 52 della legge 190/2012 tenuto dalla Prefettura UTG della provincia di Torino, presentata dalla -ricorrente- - -ricorrente S.r.l.s., con contestuale cancellazione dagli elenchi, provvedimento datato -OMISSIS- e trasmesso a mezzo PEC il 23.08.2017;

nonché del successivo decreto del Prefetto di Torino reso nel procedimento prot. n. -OMISSIS- Area I bis – Ant. del -OMISSIS- notificato mezzo PEC il 3.05.2022 con cui si conferma l'interdittiva nei confronti del medesimo operatore economico che “sussistono elementi che fanno ritenere possibili tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata tendenti a condizionarne le scelte e gli indirizzi, pur non sussistendo nei confronti degli attuali titolari ed amministratori cause di decadenza previste dall'art. 67 del d.lgs. 6/9/2011, n. 159”;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Torino;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 luglio 2023 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

La società ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale le è stata negata l’iscrizione nella cosiddetta white list .

Ha dedotto che il titolare -T- ha acquisito il ramo d’azienda dalla ditta del padre, -C-, con il quale aveva in precedenza instaurato un rapporto di lavoro subordinato;
la ditta paterna aveva a sua volta iniziato un procedimento di iscrizione in white list, nel cui contesto procedimentale venivano evidenziati i rapporti, anche di affari, intrattenuti da -C- con il fratello (e dunque zio del ricorrente) -S-;
effettuati più accessi agli atti dell’istruttoria procedimentale il padre decideva di abbandonare la procedura e chiudeva l’impresa, trasferendo appunto il ramo d’azienda al figlio.

La cessione tra padre e figlio rispondeva, secondo parte ricorrente, ad una ordinaria logica di trasmissione aziendale intergenerazionale ed era principalmente consistita nel trasferimento dell’unico mezzo per trasporto terra acquisito in leasing; la base commerciale delle due imprese sarebbe stata tuttavia differente ed alcuni degli appalti che il padre aveva in corso in Lombardia sarebbero anche stati interrotti.

Già nelle more del procedimento di iscrizione in white list relativo all’odierna ricorrente, esitato nei termini qui contestati, l’impresa si vedeva comunque richiedere dai committenti la suddetta iscrizione e i rapporti commerciali ne soffrivano, non potendo la società disporre del documento.

L’amministrazione avrebbe negato l’iscrizione adducendo: che l’attività appare prosecuzione di quella del padre, che vi sarebbero stati rapporti con lo zio -S-, noto pregiudicato, e che ulteriori controindicazioni potevano trarsi anche dal matrimonio con -T-, a sua volta cugina di -N- e nipote di esponenti della famiglia -Alfa-, anch’essi coinvolti in problematiche di criminalità organizzata.

Lamenta parte ricorrente l’eccesso di potere per violazione dell’art. 1 commi 52, 52 bis e 53 della l. n. 190/2012, degli artt. 92 e 93 del d.lgs. n. 159/2011, travisamento di fatti, errore di valutazione, violazione di legge, il tutto in relazione all’art. 3 della l. n. 241/90, contraddittorietà della motivazione;
le controindicazioni rilevanti per la normativa antimafia non sarebbero desumibili dalla mera condizione socio-ambientale dell’imprenditore in assenza di specifiche condotte direttamente addebitabili;
i rapporti economici più significativi intrattenuti dal padre -C- sarebbero stati con le ditte dei cugini -C- e -T- -C- ma non sarebbe rilevante che anche la ditta -C- sia stata colpita da interdittiva;
ribadisce poi parte ricorrente come non vi fosse con lo zio -T- alcun rapporto, se non di parentela, ed assume che altrettanto dovrebbe dirsi tra il di lui padre, -C-, e il medesimo -T-. Anche il rapporto di coniugio con -T-, già titolare della -Beta- (ditta a sua volta colpita da interdittiva) e nipote di altro soggetto arrestato per reati di criminalità organizzata sarebbe privo di rilievo alcuno. Ancora anche la cugina del padre, -C-, sarebbe stata titolare di ditta anch’essa colpita da interdittiva antimafia ma non avrebbe avuto rapporti con l’odierno ricorrente.

Né sarebbe rilevante che le varie ditte di famiglia abbiano talvolta partecipato insieme ai medesimi appalti. Neppure avrebbe rilievo alcuno l’identità di sede tra l’attività del ricorrente e quella della moglie.

In definitiva ha contestato la validità dei presupposti in fatto posi a base del diniego.

Si è costituita l’amministrazione resistente, contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo.

Con ordinanza n. 534/2017 di questo TAR l’istanza cautelare è stata respinta;
con ordinanza n. 1506/18 il Consiglio di Stato sez. III ha respinto l’appello cautelare.

Con atto di motivi aggiunti depositato in data 20.5.2022 parte ricorrente ha impugnato il provvedimento dell’aprile 2022 con il quale, in seguito a richiesta inoltrata alla Prefettura di Torino dalla Camera di Commercio, veniva emessa comunicazione antimafia negativa nei confronti dell’impresa. Ha dedotto di avere, nelle more, fatto richiesta di applicazione di misure amministrative di prevenzione collaborativa come previsto dell’art. 94 bis del d.lgs. n. 159/2011. In relazione a tale nuovo provvedimento ha dedotto di avere adottato, nel tempo, misure di self cleaning che non sarebbero state adeguatamente valutate.

Ha lamentato la violazione dell’art. 3 della l. n. 241/90 e il difetto di motivazione, la violazione del principio comunitario di proporzionalità, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e illogicità, la violazione dell’art. 91 comma 6 del d.lgs. n. 159/2011 e dell’art. 94 bis del medesimo decreto e contestato nuovamente le argomentazioni poste a base del provvedimento.

Contestualmente la difesa di parte ricorrente ha chiesto rinviarsi l’udienza di discussione già fissata per consentire alla controparte il rispetto dai termini a difesa in relazione ai motivi aggiunti di ricorso.

Fissata nuova udienza di discussione parte ricorrente ha formulato ulteriore istanza di rinvio con atto depositato in data 9.12.2022, documentando di avere depositato presso il Tribunale ordinario di Torino istanza ai sensi dell’art. 34 bis del d.lgs. n. 159/2011, con udienza di discussione già fissata al 10.1.2023.

Accordato nuovo rinvio parte ricorrente ha reiterato istanza di differimento udienza documentando che il provvedimento negativo del Tribunale di Torino nelle more adottato in relazione alla sua richiesta di misure di prevenzione collaborativa era stato oggetto di appello e che la società era in attesa della pubblicazione della decisione di secondo grado.

La difesa erariale ha insistito per il passaggio in decisione della causa.

All’udienza del 5.7.2023 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Deve premettersi che, secondo quanto recentemente statuito dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 8/2023, che ha risolto un pregresso contrasto di giurisprudenza, è escluso qualsivoglia rapporto di pregiudizialità necessaria tra il giudizio avverso i provvedimenti antimafia negativi (interdittiva o comunicazione) e l’eventuale richiesta di controllo giudiziario a domanda previsto dall’art. 34 bis del d.lgs. n. 159/2011, in quanto nessuno degli effetti previsti da suddetto articolo presuppone la pendenza del giudizio avverso l’interdittiva antimafia e ciò in quanto “ la funzione risanatrice del controllo giudiziario muove dal presupposto accertato dal Prefetto in sede di informazione antimafia, ma si basa su un’autonoma valutazione prognostica del Tribunale della prevenzione penale che si propone di pervenire al suo superamento, quando il grado di condizionamento mafioso non sia considerato a ciò impeditivo ”. Per altro l’istanza di controllo non determina acquiescenza rispetto all’interdittiva e non comporta, quale che sia l’esito del controllo, la necessaria caducazione dell’interesse dell’impresa a veder definito il giudizio amministrativo con ipotetici esiti anche favorevoli, posto che l’atto di prevenzione antimafia ha comunque determinato, per la sua vigenza, uno stigma della compagine aziendale. A maggior ragione l’interesse permane se la misura non vien accordata come allo stato risulta essere accaduto alla ricorrente.

Premesso quindi che non sussistono ragioni giuridiche o sostanziali per procrastinare oltre la presente decisione, visto che, quale che sia l’esito del parallelo procedimento di controllo, la ricorrente (tanto più se, come pare allo stato, il controllo resterà negato) non perderà necessariamente interesse alla definizione del giudizio, esigenze di ragionevole durata del processo impongono il passaggio in decisione della causa.

Venendo al merito, occorre una preliminare ricostruzione dei complessi rapporti familiari in cui quasi esclusivamente si inserisce l’attività economica della società del ricorrente.

L’impresa è stata costituita in data -OMISSIS- ed ha iniziato formalmente la propria attività l’-OMISSIS- per cessione di ramo d’azienda dalla ditta del padre -C-.

Si evince al doc. 25 di parte ricorrente che l’attività ha avuto effettivo inizio l’-OMISSIS-;
la società ha un inconsistente capitale sociale pari a 500,00 €, un unico proprietario, socio e amministratore, -T-.

Per ammissione dello stesso ricorrente la presunta “organizzazione aziendale” trasferita con il ramo d’azienda è consistita nella licenza per l’esercizio dell’attività di autotrasporto e in un solo mezzo gravato da canone di leasing.

Dai bilanci si evince come non vi siano dipendenti, non vi siano oneri per prestiti bancari e l’attività di fatto sia organizzata sulla base del solo mezzo proveniente dalla ditta del padre. Appare per altro alquanto forzata la tesi di parte ricorrente secondo la quale la necessaria onerosità della cessione si determinerebbe per il fatto che il ricorrente si è assunto l’onere di continuare a pagare il canone di leasing sino al riscatto;
dal punto di vista economico ne deriva che non vi era alcun consistente ramo d’azienda o organizzazione aziendale, essendosi il tutto tradotto nel trasferimento di una licenza e di un camion.

Come dedotto dallo stesso ricorrente la nuova società si basa unicamente sul lavoro personale del ricorrente, ha prodotto nel tempo bassissimi compensi per l’amministratore (€ 8.900 per il 2016 ipotesi definita dalla stessa difesa di parte ricorrente, di “mera sussistenza”, che avrebbe reso più appetibile un semplice lavoro subordinato) ed espone alla voce “costi per servizi”, sempre per sua stessa indicazione, i soli compensi dell’amministratore.

Con esposizione talvolta faticosa in ricorso si tenta di contestare la valenza problematica del rapporto lavorativo/imprenditoriale con il padre.

Deve premettersi che il padre è fratello di -S-, soggetto posto in custodia cautelare in data -OMISSIS- e quindi condannato ad otto anni di reclusione per il reato di cui all’art. 416 bis c .p., nonché colpito da misura di sorveglianza di pubblica sicurezza nel 2019;
dall’ordinanza di custodia cautelare si evince la descrizione di una figura di spicco della ‘ndrangheta piemontese, in particolare coinvolto in attività di riciclaggio e controllo di attività economiche, con specifica attenzione al settore edilizio e di movimento terra. -S- risulta altresì collegato con la famiglia -Gamma-, di origine siciliana ed operante nelle province di Novara e Vercelli, i cui componenti vantano precedenti per associazione di tipo mafioso e traffico di stupefacenti. Il padre del ricorrente, -C-, è stato pacificamente attivo in due società insieme al fratello -S-, la -Delta- s.n.c., di cui è stato socio, e la -Lambda- s.r.l., di cui è stato preposto sino al 2011.

Come evidenziato dall’amministrazione, è incontestato che il ricorrente, oltre ad avere acquisito il ramo d’azienda paterno (acquisendone anche i crediti maturati, l’unico mezzo di trasporto e le qualifiche), in precedenza è stato collaboratore nella ditta paterna, maturando lì la sua apparentemente unica pregressa esperienza nel settore.

Non solo ma la stessa difesa di parte ricorrente riconosce come, all’inizio dell’impresa di -T-, il padre vi abbia assunto il ruolo di preposto, non avendo il figlio maturato i necessari requisiti professionali.

Non può al proposito che osservarsi come, vista la natura solo ed esclusivamente familiare dell’impresa del ricorrente, ove si fosse, come si tenta di accreditare in ricorso, trattato di una fisiologica successione padre-figlio risulta poco comprensibile come tale successione sia stata in tutta fretta organizzata in un momento in cui il padre, richiesta l’iscrizione alla white list e fatti plurimi accessi agli atti procedimentali dai quali emergeva che i rapporti anche economici con un soggetto criminale della acclarata caratura del fratello avrebbero ragionevolmente condotto ad un diniego, ha organizzato un trasferimento di azienda che consentisse di porre un ulteriore “salto” di parentela tra il familiare più pesantemente colpito da condanne e l’attività di impresa, il tutto benché all’epoca l’odierno ricorrente non avesse neppure i prescritti requisiti professionali, non disponesse di capitali autonomi e lo stesso padre non avesse alcuna intenzione di cessare l’attività nel settore, essendo, per stessa ammissione di parte ricorrente, immediatamente dopo andato a lavorare presso la -Epsilon- s.p.a., altra impresa del settore.

-T- è poi coniugato con -Sempronia-, già titolare della -Beta- di -T-, impresa anch’essa operativa nell’autotrasporto per conto terzi, ditta destinataria di un diniego di iscrizione in white list impugnato con ricorso definitivamente respinto con sentenza Tar Piemonte n. 80/2019. La -Beta-, tra l’altro, acquisiva alcuni dei propri mezzi da società gravitanti nell’ambito della già menzionata famiglia -Gamma-.

-T- è inoltre cugina di -N-, affiliato alla cosca -Alfa-, condannato per associazione a delinquere di tipo mafioso, omicidio, estorsione e la -Beta- ha avuto tra i suoi dipendenti Fabio -Alfa-, condannato per rapina ed estorsione connotati da aggravante mafiosa. -T- vanta per altro svariate altre relazioni di parentela con soggetti di rango della criminalità, in quanto condannati ai sensi dell’art. 416 bis c.p.

La sede della ditta di -T- e dell’odierna ricorrente è anche stata per un certo tempo coincidente, se si aggiungono la sovrapponibilità di attività e la commistione familiare dei componenti è facile presumere la possibile gestione unitaria dei servizi. Ciò è tanto più verosimile in quanto, rispetto alla moglie -T-, la stessa difesa di parte ricorrente riconosce, nell’atto di ricorso per motivi aggiunti che, pur non emergendo dalla visura (circostanza già di per sé poco comprensibile, se non per il deliberato sforzo di rendere il rapporto non trasparente), nell’impresa odierna ricorrente, ella stessa ha avuto il ruolo di responsabile tecnico nel 2016 allo scopo di consentire all’impresa l’iscrizione nell’Albo Nazionale gestori ambientali, iscrizione la cui delicatezza per l’esercizio dell’attività risulta autoevidente.

Ancora -T- è cugino di -C-, il cui padre è stato ucciso in un agguato mafioso, anch’essa titolare di impresa nel medesimo settore e destinataria di diniego di iscrizione in white list . L’impresa di -C- e l’impresa della moglie del ricorrente hanno operato insieme in taluni appalti (casello autostradale Carmagnola sud), unitamente ad altre imprese orbitanti intorno alle famiglie -OMISSIS- ed ugualmente colpite da diniego di iscrizione white list.

Tutte le suddette circostanze sono evidenziate nei provvedimenti impugnati e non sono sostanzialmente contestate da parte ricorrente che si limita a sostenere come l’intera e complessa vicenda familiare, che palesemente avvolge l’inconsistente impresa del ricorrente, sarebbe del tutto irrilevante a fini antimafia in quanto il ricorrente non è direttamente attinto da pregiudizi penali e non risulta direttamente coinvolto in specifici episodi criminali.

E’ tuttavia evidente come l’intensità ed assoluta costanza della tipologia dell’attività, dei rapporti solo intrafamiliari, del progressivo ma ben visibile sforzo di allontanare le attività economiche dai familiari più direttamente attinti dalle problematiche penali, pur restando evidentemente saldamente legati alla complessiva organizzazione, portano a concludere che non si tratta, nel presente caso, di sanzionare il ricorrente per una mera parentela occasionalmente interferente con ila sua attività, quanto piuttosto di prendere atto del suo organico e sistematico operare nell’ambito di un ben strutturato sistema familiare.

Né vale lo sforzo di contestare i singoli elementi addotti dall’amministrazione, parcellizzandoli, essendo evidente come sia proprio il quadro di insieme che restituisce l’evidente pericolo di infiltrazione che, si rammenta, si basa legittimamente su meri quadri indiziali e sulla logica del “più probabile che non”, certamente integrata nel caso di specie.

D’altro canto che il settore edilizio, e in specifico il movimento terra, fosse uno dei contesti elettivi dei clan cui pacificamente sono rapportabili gran parte dei parenti del ricorrente (zio, cugini, moglie) emerge dai provvedimenti giudiziari che hanno interessato costoro. Il ricorrente in poco o nulla si è discostato dalle dinamiche familiari da cui la sua attività ha tratto esclusiva origine.

La difesa di parte ricorrente afferma infatti che l’impresa avrebbe una base commerciale totalmente differente dall’impresa del padre;
al di là della già evidenziata circostanza delle minime dimensioni aziendali, che ne fanno necessariamente un’impresa con ristretta cerchia di committenti, le fatture depositate in giudizio relative all’impresa paterna per il 2015 e all’impresa del ricorrente per il 2016 dimostrano, se mai, il contrario, essendo ricorrenti (e quindi continuative) tra le due compagini aziendali la presenza come clienti delle imprese -Zeta- s.r.l., -Kappa- e -Omega-;
che poi negli anni successivi le committenze possano essersi evolute (anche per il già evidenziato fisiologico dato della esigua struttura aziendale che non consente evidentemente molto più che la gestione di pochi cantieri per volta) non elude il dato della continuità in avviamento, che ha costituito di fatto l’unica base di partenza dell’impresa del ricorrente.

E’ poi del tutto evidente che il punto non è certo se -T- possa in prima persona esercitare una influenza sui propri clienti ma, al contrario, se la sua impresa sia potenzialmente permeabile ad influenze di tipo criminale;
l’intrinseca debolezza aziendale (evidente anche dai dati di bilancio ed organizzativi) su cui la stessa difesa di parte ricorrente ampiamente insiste è appunto valida ragione per ritenere la facile permeabilità di una struttura fragile a fronte di un contesto familiare indubbiamente saldamente organizzato su basi criminali.

Ne consegue nel complesso la più che condivisibile valutazione effettuata dall’amministrazione circa un serio rischio di infiltrazione criminale e l’infondatezza del ricorso principale.

Quanto alla comunicazione impugnata con i motivi aggiunti la stessa, oltre a vedere richiamato e corroborato l’intero e corposo quadro indiziario già ricostruito con riferimento al provvedimento del 2017, si esprimeva anche in relazione alle asserite misure di self-cleaning che, secondo la difesa di parte ricorrente, avrebbero dovuto giustificare una diversa valutazione decorso un determinato lasso di tempo.

Le presunte novità sono state così illustrate in sede procedimentale dalla difesa del ricorrente:

a) non sarebbero emersi, a distanza di alcuni anni, significativi fatti nuovi.

Il dato depone se mai, per la connotazione del caso specifico, contro il ricorrente posto che, essendo stata acclarata una potenziale sensibilità alla permeabilità mafiosa per il fitto e strutturale intreccio di rapporti familiari da cui l’impresa ha tratto le sue stesse origini, e non trattandosi quindi di un mero e magari episodico contatto con ambiti criminali, il semplice decorso del tempo, in assenza di significativi mutamenti degli assetti strutturali e/o di contesto o di chiare scelte del titolare non dimostra certo che la permeabilità sia venuta meno ma, al massimo, certifica la permanenza in suddetto contesto. Se è infatti vero che, pacificamente, le misure antimafia sono soggette a periodica revisione in ragione della possibile evoluzione favorevole delle condizioni aziendali è evidente come tale periodica revisione non possa fondarsi sul mero decorso del tempo (che è il contrario di una evoluzione) ma presupponga, appunto, chiari indici del venir meno delle ragioni originariamente fondanti i provvedimenti interdittivi indici che, nel caso di specie, non sono in alcun modo ravvisabili;

b) non sarebbero state comprovate interferenze della moglie nell’attività di impresa, là dove si è ben visto come, per stessa ammissione di parte ricorrente, la moglie è stata indispensabile per l’acquisizione dell’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali, requisito nevralgico per il tipo di attività esercitata;
resta poi, nelle difese del ricorso per motivi aggiunti, indicata mera “intenzione” quella di sostituire la moglie nel ruolo di preposto, indicazione che in questi termini, se mai, conferma il preesistente assetto;

c) in seguito alla rinnovata comunicazione negativa il ricorrente si è dichiarato “disponibile” ad adottare modelli di gestione e controllo periodicamente monitorati;
la mera “disponibilità” costituisce intenzione e non fatto nuovo e di tale fatto nuovo non vi è in atti prova alcuna.

Neppure rileva l’astratta disquisizione presente nelle difese di parte e relativa alle misure da adottarsi ai sensi del d.lgs. n. 231/01, là dove in atti non si documenta alcunché al proposito.

Pare in definitiva del tutto evidente come, a fronte della pochezza delle “novità” indicate in fase procedimentale, e della specificità di contesto in cui l’azienda ha operato già ampiamente evidenziata, resti corretta la scelta dell’amministrazione di confermare il solido impianto dell’originario provvedimento di diniego di iscrizione in white list.

Risulta infine inconferente, rispetto all’impugnazione della comunicazione antimafia, l’ampia disquisizione su natura e funzione di altre misure (art. 34 bis d.lgs. n. 159/2011, art. 94 bis d.lgs. n. 159/2011) che possono al più essere valutate nel contesto delle pertinenti istanze.

Anche il ricorso per motivi aggiunti deve pertanto essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

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