TAR Milano, sez. I, sentenza 2014-12-03, n. 201402884
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N. 02884/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01981/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1981 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avv. G A, con domicilio eletto in Milano, Largo Zandonai, 3
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Milano, Via Freguglia, 1
per l'annullamento
del provvedimento del Questore della Provincia di Milano del 12.3.14 e del 2.4.2014, con cui si è disposto, ai sensi dell’art. 6. della legge 401/1989 come modificata dal D.L. 717/1994, convertito nella legge 45/1995 e dal D.lgs. 377/014, il divieto agli odierni ricorrenti di accedere a tutti gli impianti sportivi sul territorio nazionale in cui si disputino allenamenti e incontri di basket, ivi comprese le amichevoli, i campionati professionistici e dilettantistici, i tornei internazionali, la Coppa Italia, i tornei amichevoli e le partite della nazionale italiana, per la durata di 1 anno;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D.lgs. 30.6.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2014 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso ritualmente proposto i signori -OMISSIS- hanno impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del Questore della Provincia di Milano del 12.3.14 e del 2.4.2014, con cui si è disposto, ai sensi dell’art. 6. della legge 401/1989 come modificata dal D.L. 717/1994, convertito nella legge 45/1995 e dal D.lgs. 377/014, il divieto agli odierni ricorrenti di accedere a tutti gli impianti sportivi sul territorio nazionale in cui si disputino allenamenti e incontri di basket, ivi comprese le amichevoli, i campionati professionistici e dilettantistici, i tornei internazionali, la Coppa Italia, i tornei amichevoli e le partite della nazionale italiana, per la durata di 1 anno.
I fatti all’origine dell’emissione dell’impugnato decreto riguardano un allenamento della società di basket Olimpia Milano, tenutosi in data 11.2.2014, nel corso del quale alcuni tifosi, tra i quali i ricorrenti, “ incuranti dei reiterati inviti da parte del personale della Digos ”, erano entrati nella “ palestra mentre era in corso la riunione tecnica pre-allenamento ed occupavano il campo da gioco ”, e ciò al fine di impedire “ lo svolgimento degli allenamenti e concorrendo in tal modo a portare a termine l’intervento non autorizzato del leader della tifoseria, che, con un lungo discorso, dai toni minacciosi ed intimidatori, contestata al generale manager e agli atleti le recenti vicissitudini della squadra nel corrente campionato ”.
A fondamento dell’impugnazione sono stati dedotti i seguenti motivi:
1°) violazione dell’art. 6, comma 1 della legge 401/1989 e dell’art. 2 bis, comma 1 della legge 377/2001 in relazione al collegamento dei fatti con la manifestazione sportiva;
2°) violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 1 della legge 401/1989;difetto di motivazione;eccesso di potere per travisamento dei fatti;
3°) violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 1 della legge 401/1989, dell’art. 2 bis della legge 41/2007, sotto il profilo della non riconducibilità della condotta attribuita ai ricorrenti all’elenco di cui al citato art. 6;
4°) illegittima estensione del divieto d’accesso anche agli allenamenti;
5°) violazione, sotto altro profilo, dell’art. 6 della legge 377/2001;eccesso di potere per indeterminatezza dei presupposti.
I ricorrenti hanno, inoltre, proposto questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 401/1989 per contrasto con gli artt. 3 e 10 della Costituzione, e ciò al fine di censurare l’estensione dell’impugnato divieto alle manifestazioni da svolgersi all’estero, in quanto “ verrebbero in tal modo svilite le norme del diritto internazionale che prevedono la territorialità delle leggi ” (cfr. pag. 19).
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno (2.7.2014), che, nella memoria del 17.7.2014, ha opposto che “ l’intenzione del legislatore di non limitare la nozione di “manifestazioni sportive” alle sole competizioni si ricava agevolmente dal fatto che lo stesso decreto legge n. 336/2001, con il comma 1-bis dell’art. 1, ha sostituito le parole “competizioni agonistiche” che ricorrevano nella legge n. 401/1989, con le parole “manifestazioni sportive”, rendendo evidente che il significato attribuito a quest’ultima locuzione è senz’altro più ampio di quello precedente ” (cfr. pag. 3).
Con ordinanza n. 1024 del 24.7.2014 la Sezione ha accolto la domanda cautelare, in quanto “ come già rilevato dalla Sezione in identico e precedente giudizio (R.G. 1770/2014), l’episodio descritto nella parte motiva del provvedimento impugnato non può dirsi avvenuto “in occasione o a causa di una manifestazione sportiva” (secondo la nozione offerta dall’art. 2 bis, comma 1 del d.l. 336/2001, per cui si intendono tali le competizioni che si svolgono nell’ambito delle attività previste dalle federazioni sportive e dagli enti e organizzazioni riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano), bensì di un allenamento infrasettimanale (restando, ovviamente, impregiudicata l’eventuale sussumibilità della condotta in questione in fattispecie illecite di altro genere) ” (cfr. ordinanza 26 giugno 2014, n. 863) ”.
In vista dell’udienza di discussione nel merito, fissata per il 19.11.2014, l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria (17.10.2014) con cui ha ribadito le argomentazioni precedentemente illustrate, mentre i ricorrenti hanno richiamato, nella memoria del 25.10.2014, alcuni precedenti della giurisprudenza circa l’applicabilità della misura del “ DASPO ” nel caso di manifestazioni diverse da quelle strettamente definibili come competitive.
All’udienza del 19 novembre 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
La disciplina legislativa speciale prevede che il divieto di accesso alle manifestazioni sportive può essere applicato nei confronti di coloro che abbiano “ preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza ” (art. 6, comma 1 della legge 401/1989), a ciò dovendosi aggiungere l’’interpretazione autentica che il Legislatore ha fornito con l’art. 2 bis del D.L. 336/2001 (convertito nella legge 377/2001), secondo cui:
a) “ per manifestazioni sportive (…) si intendono le competizioni che si svolgono nell’ambito delle attività previste dalle federazioni sportive e dagli enti e organizzazioni riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) ”;
b) “ per incitamento, inneggiamento e induzione alla violenza deve intendersi la specifica istigazione alla violenza in relazione a tutte le circostanze indicate nella prima parte del comma ”.
La cognizione sulla legittimità del provvedimento impugnato non può, dunque, prescindere da una concreta verifica circa l’attendibilità della valutazione delle condotte che avrebbero sostanziato l’applicata misura restrittiva.
Sul punto, il Collegio ritiene decisiva l’analisi del video allegato in atti da entrambe le parti, che fedelmente rappresenta il contesto fattuale e il clima emotivo che hanno caratterizzato l’episodio dell’11.2.2014, da inquadrarsi cronologicamente alcuni giorni dopo la sconfitta dell’Olimpia nel quarto di finale della Coppa Italia, giocata nell’occasione proprio a Milano.
In particolare, pur rilevandosi toni concitati nella conversazione tra i tifosi e la squadra, non si è riscontrata, tuttavia, nessuna condotta di carattere minaccioso o violento, quanto, piuttosto, un franco e reciproco confronto sulle cause che avrebbero determinato un calo del rendimento sportivo, imputato sia alla mancanza di determinazione e attaccamento ai colori sociali, sia a distrazioni legate alla vita privata dei giocatori.
Dopo il discorso pronunciato dal leader della tifoseria (non ricompreso tra gli odierni ricorrenti), inframmezzato dialetticamente da osservazioni e repliche da parte di alcuni giocatori, è stato, in particolare, il coach Luca Banchi a prendere la parola, il quale si è rapportato in modo diretto ai tifosi, spiegando loro la condizione fisica e psicologica vissuta dalla squadra in quella fase della stazione agonistica, ma ciò all’evidente fine di ripristinare un clima di ritrovata coesione e non certo per evitare che la situazione contingente, rimasta sempre sotto controllo (vista, tra l’altro, la presenza di personale delle Forze dell’Ordine), degenerasse nel corso di quello specifico allenamento.
Si è trattato, in altri termini, di un chiarimento e, al tempo stesso, di una sollecitazione ai giocatori a profondere il massimo impegno, che non sarebbero mai potuti intervenire in occasione delle partite, bensì in un diverso contesto, quale, appunto, una seduta di allenamento.
Ad avviso del Collegio, quella verificatasi è una situazione molto comune nello sport agonistico, e a maggior ragione in quello professionistico, che non ha affatto integrato gli estremi dell’aggressione fisica, di minacce o di intimidazioni, tanto e vero che l’Olimpia Milano, dopo essere stata eliminata dalla final eight di Coppa Italia, ha sensibilmente migliorato le proprie prestazioni fino al punto di vincere il campionato nazionale di basket dopo ben diciotto anni: il che denota una tensione positiva tra squadra e tifoseria.
È, quindi, fondato il secondo motivo di ricorso, con cui è stato censurato l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, inidonei, nel caso di specie, a sostanziare la tassativa previsione di cui al citato art. 6 della legge 401/1989, non essendo stata raggiunta la soglia di allarme (cioè il pericolo di una lesione, anche solo potenziale, dell’ordine pubblico, cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 16 dicembre 2010, n. 9074), che l’Amministrazione, nei propri scritti, ha richiamato come presupposto necessario a giustificare la misura in questione (cfr. pag. 2 della memoria del 17.7.2014).
Sono, conseguentemente, assorbiti:
- il primo e quarto motivo, entrambi concernenti la definizione di “ manifestazione sportiva ”, riguardo alla quale il Collegio non ravvisa motivi per disattendere le statuizioni espresse in sede cautelare, tenuto conto che, dalle immagini esaminate, fondatamente emerge che il fine dei tifosi sia stato quello di parlare con lo staff tecnico e con i giocatori, non quello di genericamente contestare la squadra né, tantomeno, di commettere atti di violenza;
- il terzo motivo, con cui si è dedotta l’illegittima riconduzione delle condotte sanzionate nel reato di violenza privata di cui all’art. 610 del codice penale (il cui accertamento, se del caso, potrà avvenire nell’ambito della diversa giurisdizione penale e fondare l’applicazione della relativa pena);
- il quinto motivo, afferente alla specificazione di “ quali siano i luoghi ” interdetti all’accesso dei ricorrenti (cfr. pag. 13), in tale censura, inoltre, dovendosi comprendere la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 401/1989, che il Collegio, tuttavia, non stima necessaria ai fini del decidere.
In conclusione, il ricorso va accolto.
Quanto alle spese processuali, si ritiene che la peculiarità delle circostanze materiali e la complessa interpretazione delle disposizioni legislative speciali integrino sufficienti ragioni per disporne l’integrale compensazione tra le parti.