TAR Napoli, sez. I, sentenza 2018-12-07, n. 201807005

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. I, sentenza 2018-12-07, n. 201807005
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201807005
Data del deposito : 7 dicembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/12/2018

N. 07005/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01797/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1797 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da
S S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati C G, M F ed A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S in Napoli via San Nicola alla Dogana, n. 15;

contro

Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A A, Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, E C, B C, A C, A I F, G P, B R, G R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Napoli, p.zza Municipio, P.zzo San Giacomo;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Soc. Votiva Flamma S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Como, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, viale A. Gramsci, n. 16;

per l'annullamento

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- della determinazione dirigenziale n. 1 del 23.03.2018 del Comune di Napoli, Direzione Centrale Patrimonio, Servizio Cimiteri Cittadini, recante oggetto “gara mediante procedura aperta e con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 83 del D.Lgs. 163/2006 e s.m.i., per l'affidamento della concessione di servizi di illuminazione ambientale e votiva e dei servizi connessi nei cimiteri del Comune di Napoli mediante finanza di progetto. Revoca in autotutela – ai sensi dell'art. 21 quinquies della legge 241/1990 e s.m.i. – dell'aggiudicazione definitiva e della procedura aperta di project financing, ai sensi dell'art. 7 e seguenti della legge 241/1990 e s.m.i. CUP: B66G15001470005 - CIG: 6534762033 ”;

- di ogni altro atto presupposto, consequenziale e connesso.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da SELAV S.P.A. il 19\7\2018 :

- della nota PG/2018/509681 in data 5.06.2018 del Comune di Napoli, Direzione Centrale Patrimonio, Servizi Cimiteri Cittadini, recante oggetto “attività conseguenziali al procedimento di revoca dell'aggiudicazione definitiva, giusta Determinazione Dirigenziale n. 1 del 23.03.2018 (DETDI/2018/67)”;

- di ogni altro atto presupposto, consequenziale e connesso.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli e di Flamma Votiva s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2018 il dott. D D F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Nelle diverse strutture cimiteriali in esercizio nel comune di Napoli, la fornitura di energia elettrica per l’illuminazione di viali, palazzi, chiese, impianti e servizi cimiteriali (spogliatoi, seppellitori, sale mortuarie, ecc.) è stata assicurata negli anni mediante concessioni a terzi ed in particolare con concessione rilasciata all’E.A.V. s.r.l. (Ente Autonomo Volturno) – soggetto interamente di proprietà della Regione Campania - con convenzione del 1987 e scaduta nel luglio 2007 e per il solo Cimitero di Santa Maria del Pianto, che si trova all’interno del Parco cimiteriale di Poggioreale, con concessione alla SELAV s.p.a. con scadenza 31 gennaio 2011.

Entrambe le convenzioni riconoscevano al Comune unicamente un canone commisurato al consumo di energia elettrica di tutti gli spazi cimiteriali (circa 50.000 euro annui).

Con deliberazione n. 504 del 7 luglio 2014, la Giunta comunale del Comune di Napoli ha emesso un atto d’indirizzo con cui ha manifestato l'esigenza di indire una procedura di gara per l'affidamento in concessione del servizio di illuminazione nei cimiteri cittadini che assicurasse una maggiore remuneratività per l’Amministrazione, la realizzazione di sistemi di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e l’accollo da parte del concessionario del presumibile esborso del valore non ammortizzato delle immobilizzazioni e forniture riferibili ai precedenti concessionari.

A seguito di tale delibera, l’Amministrazione comunale ha predisposto gli atti di gara per l’affidamento mediante procedura di evidenza pubblica.

In data 29 ottobre 2014, la SELAV S.p.A. ha presentato una proposta di project financing per l’affidamento della concessione del servizio di illuminazione votiva e ambientale nei cimiteri del Comune di Napoli, ai sensi dell’art. 278 d.P.R. n. 207/2010.

Con delibera 358/2015 la Giunta Comunale ha approvato la proposta di project financing presentata dalla SELAV s.p.a., stimando in 300.000 il numero dei “punti luminosi” degli impianti in esercizio e stabilendo, comunque, di censire tali punti in modo più preciso nei primi 12 mesi dell’appalto.

Con Determinazione Dirigenziale n. 61 del 23 dicembre 2015, pubblicata sulla GURI n. 1 del 4 gennaio 2016 e sulla GUCE n. 2016/S 001-000645 del 2 gennaio 2016, il Comune di Napoli ha quindi bandito la “ gara di appalto mediante procedura aperta di project financing, ai sensi dell’art. 30 del D. Lgs. n. 163/2006 e dell’art. 278 del D.P.R. n. 207/2010 per l’affidamento della concessione del servizio di illuminazione ambientale e votiva e per i servizi connessi nei cimiteri comunali mediante finanza di progetto ”, invitando anche la SELAV nella qualità di soggetto promotore e, con provvedimento prot. n. PG/2016/546256 del 29 giugno 2016, l’Amministrazione comunale ha disposto, quindi l’affidamento in via d’urgenza alla SELAV del servizio di illuminazione votiva cimiteriale, con decorrenza dal 15 luglio 2016, in attesa del completamento della verifica del possesso dei requisiti, che dava esito positivo e a cui pertanto seguiva l’aggiudicazione definitiva con determinazione dirigenziale del 1° agosto 2016, a cui però non seguiva la stipulazione del contratto.

In data 19 febbraio 2018 veniva notificato al legale rappresentante della SELAV un avviso di conclusione indagini ex at. 415bis c.p.p. per i delitti di turbata libertà degli incanti e falso, in esito ad indagini scaturite dalla denuncia proposta dalla Votiva Flamma S.r.l. che, in esecuzione di accordi con la EAV s.r.l. precedente concessionaria, gestiva di fatto la precedente concessione.

Con nota del 2 marzo 2018 (prot. n. 211799) il Comune di Napoli avviava il procedimento di “ ritiro in autotutela dell’aggiudicazione definitiva e/o della procedura aperta di project financing, di cui alla determinazione dirigenziale n. 61 del 23/12/2015 del servizio cimiteri cittadini, ai sensi dell’art. 7 e ss. della l. n. 241/1990 e s.m.i. ”.

Secondo quanto dettagliato nella comunicazione, l’Amministrazione ha appreso da notizie di stampa dell’emissione di avvisi di garanzia per “ falso e turbativa d’asta riguardanti la procedura di affidamento del servizio di illuminazione votiva in esame ” e ha poi conosciuto il contenuto dell’avviso di conclusione indagini comunicato dalla Procura della Repubblica di Napoli al responsabile unico del procedimento che lo ha trasmesso a sua volta al Comune insieme alle proprie dimissioni.

Secondo quanto specificato nella comunicazione di avvio del procedimento di ritiro in autotutela, dall’esame dell’avviso di conclusione indagini emergerebbe “ una ricostruzione dei fatti, condotta dagli organi inquirenti, che rileva in ordine alla sussistenza di gravi reati correlati alla turbativa d’asta ed al falso;
ciò con addebiti a carico degli indagati, tra cui figura il legale rappresentante della Società aggiudicataria, invero afferibili a condotte fraudolente in danno di questa Pubblica Amministrazione, donde una totale compromissione, altresì alla radice – visto anche l’ter cronologico delle condotte ivi evidenziate -, del rapporto di carattere fiduciario tra Ente ed aggiudicatario
”.

In data 13 marzo 2018 la SELAV s.p.a. presentava le proprie deduzioni scritte che, tuttavia, con Determinazione dirigenziale del 23 marzo 2018 l’Amministrazione riteneva non utili ad una “ diversa valutazione delle ragioni che hanno indotto ad avviare ” il procedimento di autotutela che pertanto si concludeva con la revoca ai sensi dell'art. 21 quinquies della legge n. 241/1990 dell'aggiudicazione definitiva effettuata e della stessa procedura aperta di project financing , ai sensi dell’art. 30 del D.lgs. 163/2006 e dell’art. 278 del D.P.R. n. 207/2010, per l'affidamento della “ concessione del servizio di illuminazione ambientale e votiva e Servizi connessi nei cimiteri comunali mediante finanza di progetto ”, nei confronti della società SELAV S.p.A..

Il provvedimento di revoca, oltre a confutare quanto dedotto dalla SELAV nell’ambito del contraddittorio procedimentale e ribadire le considerazioni espresse nella comunicazione di avvio del procedimento, rilevava anche che le circostanze emergenti dal procedimento penale in corso hanno determinato il venir meno dell’elemento fiduciario che deve ispirare i rapporti tra Amministrazione e aggiudicatari concessionari.

Avverso tale provvedimento, la SELAV ha proposto ricorso notificato in data 23 aprile 2018 e depositato il successivo 7 maggio, chiedendone l’annullamento previa sospensione degli effetti, sulla base dei seguenti motivi:

I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990;
violazione e falsa applicazione dell’art. 38, lett. b) e c) del d.lgs. 163/2006;
violazione e falsa applicazione dell’art. 46, co. 1bis del d.lgd. n. 163/2006;
eccesso di potere per difetto dei presupposti, irragionevolezza, sproporzione, sviamento della causa tipica.

Secondo parte ricorrente le procedure di evidenza pubblica contemplano, già a monte nell’ambito della fase di partecipazione, una verifica dell’affidabilità morale, con la conseguenza che i poteri di autotutela non possono essere esercitati nei casi non previsti. Inoltre l’art. 21 quinquies prevede che la revoca possa essere disposta solo per: i) sopravvenuti motivi di interesse pubblico;
ii) mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento;
iii) nel caso di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, salvo i provvedimenti di autorizzazione o attribuzione di vantaggi.

Nel caso della gravata revoca non ricorrerebbe alcuna di tali fattispecie, in quanto la mera modifica di un giudizio soggettivo sarebbe irrilevante, diversamente sarebbe come ammettere una sorta di facoltà di ripensamento da parte della stazione appaltante/committente non ammesso e lesivo dell’affidamento dell’operatore economico.

Peraltro, l’introduzione di una ragione di revoca per la sola emissione di un avviso di garanzia determinerebbe l’introduzione surrettizia di un requisito di partecipazione non previsto, sulla base peraltro di un accertamento penale non definitivo.

Diversamente opinando, dovrebbe essere sollevata la questione pregiudiziale in ordine alla compatibilità di una siffatta causa di revoca con le direttive appalti che prevedono solo il controllo sul possesso dei requisiti di moralità.

II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21quinquies della l. n. 241/1990;
violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990;
violazione del principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost.;
eccesso di potere per difetto dei presupposti, irragionevolezza, sproporzione, sviamento della causa tipica.

Il provvedimento di revoca sarebbe illegittimo in quanto privo di qualunque autonoma valutazione da parte dell’Amministrazione che si sarebbe limitata ad elencare i fatti emergenti dall’avviso di conclusione indagini, senza operare alcuna propria valutazione e senza spiegare per quale ragione il mero clamore mediatico varrebbe ad incidere sulla fiducia, con la conseguenza che il provvedimento gravato sarebbe esclusivamente rivolto a preservare l’immagine dell’Amministrazione. Il provvedimento conclusivo delle indagini, inoltre, non conterrebbe alcun accertamento in quanto atto processuale esclusivamente prodromico all’instaurazione di un giudizio e privo quindi qualunque forza accertativa.

Sarebbe poi carente l’istruttoria procedimentale, che si fonda sull’automatismo della perdita di fiducia derivante dal procedimento penale e senza che siano state valutate le deduzioni prodotte dalla ricorrente. Difetterebbe infine ogni comparazione tra interessi che invece sarebbe preliminare all’adozione del provvedimento di revoca.

Con atto depositato in data 9 maggio 2018 si è costituito in giudizio il Comune di Napoli.

Con atto di intervento ad opponendum depositato in data 18 maggio 2018 si è costituita in giudizio la società Votiva Flamma s.r.l., deducendo di gestire il servizio di illuminazione presso i cimiteri napoletani di cui l’Ente Autonomo Volturno era concessionario sulla base di un accordo con quest’ultimo, rinnovato per la durata di vent’anni nel 1989 e poi, in base ad ulteriori proroghe, fino al momento dell’aggiudicazione della procedura oggetto di causa.

La Votiva Flamma s.r.l. ha affermato di essere legittimata all’intervento in quanto attuale gestore del servizio e potenziale aspirante all’aggiudicazione dello stesso e che non avrebbe potuto partecipare alla procedura di project financing , in quanto il business plan oggetto della procedura di affidamento si fondava su un numero di “punti luce” sensibilmente superiore a quello effettivo.

Con memoria depositata il 18 maggio 2018 il Comune di Napoli ha argomentato l’infondatezza del ricorso, evidenziando, tra l’altro, che parte ricorrente ha incentrato le proprie difese sulla violazione della disciplina in materia di requisiti nelle gare di appalto senza, tuttavia, entrare nel merito dei gravi addebiti sussistenti a proprio carico nell’’ambito dell’inchiesta penale e della loro attitudine ad incidere sul rapporto con l’Amministrazione comunale.

Con ordinanza del 23 maggio 2018 n. 763 questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare ritenendo prevalente l’interesse di parte resistente. A seguito di tale ordinanza il Comune di Napoli con provvedimento (PG/2018/509681) del 5 giugno 2018 ha invitato e diffidato la SELAV a:

I) riconsegnare i locali allo stato detenuti all'interno dei cimiteri cittadini;
II) far pervenire entro il termine di giorni quindici tutta la documentazione tecnica/amministrativa fornita da E.A.V. S.r.l. e trasmessa in occasione della consegna degli impianti cimiteriali;
tutta la documentazione tecnica/amministrativa relativa agli impianti esistenti nel Cimitero di Santa Maria del Pianto, già detenuta dalla stessa S S.p.A.;
la banca dati anagrafica dei contratti sottoscritti, su supporto informatico;
III) corrispondere l'importo pari ad €5.907.945,21 oltre iva, interessi moratori ed importi incassati in assenza di idoneo titolo.

Con ordinanza del 28 giugno 2018, n. 2980, il Consiglio ha accolto l’istanza cautelare, riformando la decisione cautelare di questo Tribunale, ritenendo prevalente l’interesse di parte ricorrente in quanto attuale gestore del servizio.

Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 5 luglio 2018 e depositato il successivo 19 luglio la SELAV S.p.A. ha impugnato la predetta nota del 5 giugno 2018 con cui il Comune di Napoli aveva chiesto, tra l’altro, la restituzione delle somme incassate dalla data della revoca.

La SELAV ha premesso che la predetta ordinanza n. 2980/2018 del Consiglio di Stato ha autorizzato l’interinale continuazione del servizio e ha proposto i seguenti motivi a supporto del proprio gravame:

I) Invalidità derivata per i medesimi motivi già articolati con il ricorso introduttivo del presente giudizio.

A tal fine parte ricorrente ripropone tutte le censure proposte con il ricorso introduttivo, invocando appunto l’invalidità derivata dell’impugnata delibera.

Parte ricorrente propone poi censure autonome avverso il provvedimento in questione così di seguito rubricate.

II) Eccesso di potere per difetto dei presupposti, irragionevolezza, sproporzione – Violazione del principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.

Il Comune avrebbe rifiutato sistematicamente di sottoscrivere la concessione sicché difetterebbe il titolo in base al quale il Comune potrebbe richiedere alcuna restituzione, senza considerare che in assenza di tale titolo, la ricorrente ha gestito il servizio in forza dell’ordinanza del Consiglio di Stato. Analoga mancanza di titolo legittimante ricorrerebbe per la richiesta relativa alla consegna della documentazione relativa alla banca dati anagrafica.

In vista dell’udienza pubblica le parti hanno insistito nelle proprie deduzioni ed eccezioni.

In particolare la ricorrente ha confutato l’attendibilità delle contestazioni mosse nell’avviso di conclusione indagine poi trasfuse nella richiesta di rinvio a giudizio.

All’udienza pubblica del 24 ottobre 2018 le parti hanno chiesto la pubblicazione anticipata del dispositivo ai sensi dell’art. 120, co. 9 del c.p.a. avvenuta in data 29 ottobre 2018.

Preliminarmente deve ritenersi ammissibile l’intervento in giudizio della Flamma Votiva s.p.a. che, quale operatore economico operante nel settore oggetto della concessione, ha un interesse obiettivo alla riedizione della procedura eventualmente su presupposti finanziari diversi.

Seguendo l’ordine logico delle censure e degli atti gravati, occorre muovere dallo scrutinio del ricorso introduttivo avverso la revoca dell’aggiudicazione per poi passare all’esame dei motivi aggiunti con cui parte ricorrente ha censurato la diffida del Comune di Napoli del 5 giugno 2018.

Con il primo e il secondo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto obiettivamente connessi, parte ricorrente si duole nella sostanza del fatto che disponendo la revoca dell’aggiudicazione per l’adozione di un rinvio a giudizio si finisce per introdurre surrettiziamente una causa di esclusione diversa da quelle tassativamente indicate nel codice, con conseguente eventuale necessità di proporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per verificare la coerenza con la direttiva appalti di siffatto provvedimento. Inoltre la revoca non conterrebbe alcuna valutazione autonoma da parte dell’Amministrazione e si fonderebbe sul mero clamore mediatico. Sarebbe poi carente l’istruttoria che ipotizzerebbe la perdita di fiducia derivante dal procedimento penale ma senza aver valutato le deduzioni prodotte dalla ricorrente. Difetterebbe infine ogni comparazione tra interessi che invece sarebbe preliminare all’adozione del provvedimento di revoca.

I rilievi non meritano condivisione.

Appare opportuno premettere alcune considerazioni circa l’inquadramento giuridico della fattispecie in esame, richiamando un precedente di questa Sezione che, con la sentenza n. 4214/2013 del 10 settembre 2013, ha affermato che: << in materia di appalti pubblici, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 11.7.2012, n. 4116), anche dopo l’intervento dell’aggiudicazione definitiva, non è precluso all’amministrazione appaltante di revocare l’aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, del quale occorre dare atto nella motivazione del provvedimento di autotutela, alla stregua dei principi generali dell’ordinamento giuridico, i quali, oltre che espressamente codificati dall’art. 21 quinquies della l. 241/90, trovano fondamento negli stessi principi costituzionali predicati dall’art. 97 della Costituzione, ai quali deve ispirarsi l’azione amministrativa. L’esercizio di tale potere, peraltro, tenuto conto delle preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse che lo giustificano, non è subordinato al ricorrere di ipotesi tipiche, tassativamente predeterminate dal legislatore, ma è rimesso alla valutazione ampiamente discrezionale della stazione appaltante >>, aggiungendo che << in tale prospettiva, si è ritenuto legittimo l’esercizio della potestà di autotutela allorquando soci o amministratori dell’impresa aggiudicataria siano stati anche solo indagati per gravi comportamenti commessi in danno della pubblica amministrazione (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 5.4.2013, n.425;
T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 14.5.2012, n. 975)
>>;
ed ha, quindi, così concluso: << Nel caso di specie, il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione è stato adottato dall’ASL NA 1 per il venir meno del rapporto fiduciario con l’impresa aggiudicataria, in conseguenza di gravi fatti di rilevanza penale conosciuti dalla stazione appaltante solo in data successiva all’aggiudicazione. La revoca dell’aggiudicazione non è stata disposta, quindi, in funzione sanzionatoria, ma a presidio dell'elemento fiduciario che deve necessariamente connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali di appalto pubblico >>.

Il Collegio ritiene di dover tener fermo l’orientamento appena esposto che riflette pienamente la distinzione tra requisiti tipizzati di partecipazione e presupposti del rapporto che si instaura tra l’Amministrazione aggiudicatrice e l’appaltatore.

Nondimeno occorre dare conto di un successivo orientamento giurisprudenziale che, senza stravolgere l’impostazione appena riportata, ha manifestato maggiore attenzione verso le istanze e posizioni soggettive dell’affidatario, rilevando di non << considerare astrattamente legittima una revoca sol perché a posteriori si perda la fiducia nell’impresa vincitrice della gara in ragione di fatti, il cui accertamento è in itinere, che riguardano la persona dell’amministratore o del legale rappresentante>> diversamente sarebbe appunto come <<introdurre surrettiziamente un requisito di partecipazione ex post, la cui valutazione è rimessa all’arbitrio assoluto della stazione appaltante, peraltro prima ancora che i fatti possano trovare conferma o meno in sede penale >>;
nondimeno, anche secondo l’orientamento giurisprudenziale in discorso, deve trovare applicazione l’impostazione più “rigorosa”, allorché i fatti di reato ipotizzati nelle risultanze delle indagini penali << avessero riguardato specificamente la gara alla quale ha partecipato la ricorrente >>, come è avvenuto nel caso di specie (Cfr. TAR Campania, sez. IV, 15 ottobre 2014, n. 5321).

Alla luce degli orientamenti così maturati, ritiene il Collegio che il potere di addivenire alla revoca dell’aggiudicazione per la pendenza di un procedimento penale deve considerarsi comunque sussistente, senza che ciò contraddica il numerus clausus delle cause di esclusione dalla gara ovvero determini alcuna violazione della direttiva che non esclude, ma anzi presuppone, la sussistenza di un rapporto fiduciario tra l’Amministrazione aggiudicatrice e l’affidataria del servizio.

Le cause di esclusione tipizzate dal legislatore comunitario, non precludono infatti alla stazione appaltante di ravvisare motivi ostativi alla prosecuzione del rapporto allorchè emergano fatti in grado di incidere sull’affidabilità dell’appaltatore e sul rapporto fiduciario.

Nondimeno, << per far sì che la revoca dell’aggiudicazione per motivi collegati all’impresa (quindi, latu sensu, soggettivi) si configuri come esercizio di un potere discrezionale che non trascenda nel mero arbitrio>> occorre << una motivazione ritagliata sul caso di specie, e convincente sotto il profilo della perdita della fiducia nella moralità o nelle capacità organizzative dell’impresa in relazione alla singola gara oppure in relazione al suo complessivo operato nell’ambito della partecipazione alle gare pubbliche, a condizione che ciò sia chiaramente evincibile dal provvedimento (vedi, sul punto, T.A.R. Veneto, sez. I 19 settembre 2012 n. 1202, laddove la revoca dell’aggiudicazione è stata ritenuta legittimamente fondata su una rivalutazione dell'interesse pubblico originario alla luce di fatti sopravvenuti alla aggiudicazione definitiva ma incidenti sulla stessa capacità organizzativa e idoneità tecnica della aggiudicataria a divenire affidataria definitiva per l'intero servizio di raccolta differenziata dei rifiuti previsto nel bando di gara) ”.

Nel caso di specie, le condotte descritte nell’avviso di conclusione indagini e poi trasfuse nella richiesta di rinvio a giudizio versati in atti sarebbero state poste in essere proprio con riguardo alla procedura di project finanincing oggetto di causa, sicchè esse avrebbero avuto una diretta incidenza nell’affidamento del servizio in questione. La gravità dei delitti contestati (falso e turbata libertà degli incanti) assume in re ipsa una spiccata significatività ove si consideri che sono state ipotizzate condotte che sarebbero state poste in essere al fine di alterare le stesse modalità di svolgimento della selezione degli operatori economici, in spregio alle regole di concorrenza fissate dalle stesse direttive europee e volte alla tutela del mercato unico.

E infatti, l’incidenza delle ipotesi di reato formulate sul rapporto procedimentale intercorso tra concessionario/promotore del servizio ed ente comunale è evidente e non necessita di particolari spiegazioni, dovendosi anzi ritenere che l’intensità del potere di accertamento delle autorità inquirenti penali costituisca un limite della discrezionalità dell’Amministrazione nei casi, come quello di specie, in cui siano state formulate ipotesi di reato che riguardano proprio la procedura oggetto di gara.

In altre parole, le risultanze fattuali di un procedimento penale concernente la gara oggetto del procedimento oggetto di autotutela, pur necessitando di un apprezzamento proprio della stazione appaltante, non possono tuttavia essere rilette in modo del tutto eccentrico rispetto a quello dell’Autorità Giudiziaria penale, almeno con riguardo alla loro oggettiva consistenza.

Ed infatti, nel caso oggetto del presente giudizio, il comportamento penalmente rilevante sarebbe consistito, secondo l’avviso di conclusione indagini, in condotte tenute dall’impresa e dai funzionari che gestivano la gara, che avrebbero determinato un’artificiosa quantificazione del numero dei “punti luminosi” oggetto della concessione, con la conseguente alterazione dei dati relativi alla remuneratività e sostenibilità dell’offerta e, dall’altro lato, anche in un’alterazione dell’integrità materiale della stessa offerta che sarebbe stata ammessa, in assenza della prescritta voce economica.

Né può ritenersi fuori luogo il riferimento, pure operato nella gravata revoca, al pregiudizio all’immagine dell’Amministrazione conseguente al mantenimento della concessione, atteso che il rilievo mediatico dato all’inchiesta penale ben potrebbe incidere sulla credibilità dell’ente, che costituisce un valore primario da tutelare, prevalente anche sull’affidamento maturato dalla concessionaria.

Sotto questo profilo può ritenersi, quindi, che effettivamente il disposto rinvio a giudizio costituisca un fatto nuovo che l’amministrazione ha il potere - dovere di riesaminare nell’esercizio di un potere valutativo discrezionale scrutinabile in sede giurisprudenziale nei noti limiti della irragionevolezza e illogicità manifeste, di cui nel caso di specie non si colgono gli indici.

Il Collegio peraltro ha ben presente che le condotte ascritte agli imputati potrebbero essere ritenute insussistenti all’esito dell’accertamento dibattimentale, trovando spiegazione in errori materiali, come ipotizzato dalla ricorrente, ovvero non dipendere da un comportamento volontario;
la stessa “erronea” quantificazione del numero di utenze votive ipotizzata dall’Amministrazione potrebbe trovare una spiegazione nella mancata realizzazione dell’anagrafe dei rapporti con l’utenza (oggetto di autonoma obbligazione da parte del concessionario).

Ciò nonostante deve convenirsi con l’Amministrazione sulla circostanza che allo stato essa non dispone di elementi idonei a stabilire che i reati ipotizzati negli atti della procura siano insussistenti e, considerato l’importo e la durata della concessione, la scelta di revocare la concessione non pare irragionevole e, anzi, risulta rispondente all’interesse pubblico.

Del resto, sotto il profilo del lamentato difetto di contemperamento degli interessi, non può ritenersi maturato un intenso affidamento da parte della SELAV, tenuto anche conto che alla data delle revoca non era stato ancora stipulato alcun contratto, la cui sottoscrizione era stata rinviata dalla stessa Amministrazione per ragioni, già note alla ricorrente, attinenti proprio alla determinazione del numero dei punti luminosi e quindi afferenti ad una delle condotte criminose ipotizzate nell’avviso di conclusione indagini.

Il medesimo provvedimento gravato, poi, contiene l’espressa confutazione degli argomenti principali proposti in sede procedimentale da parte ricorrente, con la conseguenza che nemmeno può ravvisarsi una violazione del contraddittorio con l’Amministrazione, che invece risulta correttamente instaurato.

Ravvisata la legittimità della gravata revoca, deve altresì escludersi la configurabilità di una legittima tutela dell’aspettativa all’indennizzo in capo alla ricorrente, atteso che la ragione essenziale dell’intervento in autotutela consiste anche nello scongiurare il rischio che, qualora le ipotesi di reato ravviste risultassero fondate, parte ricorrente possa giovarsi di una posizione di vantaggio ottenuta attraverso condotte delittuose, con la conseguenza che l’indennizzo non può – quanto meno allo stato - essere riconosciuto in ipotesi come quella di specie.

In giurisprudenza si afferma, infatti, che ricorrono i presupposti per il riconoscimento dell’indennizzo ex art. 21 quinques della L. n. 241/1990 in presenza di un << un comportamento sostanzialmente "incolpevole" del privato, soggetto che non deve aver dato causa all'adozione del provvedimento in autotutela (revoca) >>
(TAR Emilia Romagna, Parma, TAR Sardegna, Sez. I, 8 giugno 2018, n. 154;
2 maggio 2016, n. 385).

Ravvisata l’infondatezza del ricorso principale può passarsi allo scrutinio dei motivi aggiunti con i quali la ricorrente ha impugnato la nota precedentemente dettagliata con la quale il Comune di Napoli ha ingiunto alla SELAV di: i) restituire il locali detenuti all’interno dei cimiteri cittadini entro il termine di dieci giorni;
ii) far pervenire tutta la documentazione tecnica/amministrativa fornita da E.A.V. (precedente concessionario) al momento della consegna degli impianti inclusa la banca dati dei contratti sottoscritti su supporto informatico;
iii) corrispondere l’importo pari ad euro 5.907.945,21 oltre IVA e interessi per gli importi incassati in assenza di idoneo titolo.

Il ricorso per motivi aggiunti censura la predetta nota del Comune, oltre che per invalidità derivata, anche per vizi propri, richiamando a tale ultimo proposito la statuizione cautelare con cui il Consiglio di Stato ha mantenuto la situazione di fatto e la gestione della SELAV s.p.a..

La censura è fondata nei limiti in cui l’ordinanza del Consiglio di Stato ha legittimato di fatto la SELAV a proseguire nella gestione dei cimiteri cittadini, ponendo in essere un’attività che ha effettivamente arrecato un vantaggio all’utenza e a fronte della quale i compensi percepiti risultano obiettivamente giustificati, con la conseguenza che se la ricorrente fosse tenuta a restituire il compenso percepito si realizzerebbe un’attribuzione senza causa consistente in un’erogazione gratuita che non può essere ammessa in assenza di un intento di liberalità.

Risultano legittime, invece, le ulteriori richieste dell’Amministrazione, consistenti nella consegna dei locali e della documentazione cartacea e informatica (quella esistente), che attengono invece al cambio della gestione della concessione e che sono la diretta conseguenza della ravvisata legittimità della revoca dell’affidamento e della conseguente cessazione degli effetti del provvedimento cautelare reso dal Consiglio di Stato.

In definitiva il ricorso introduttivo deve essere respinto, mentre il ricorso per motivi aggiunti deve essere accolto nei limiti di cui sopra.

Le spese seguono la soccombenza nei confronti dell’amministrazione, mentre devono essere compensate nei confronti dell’interventrice in considerazione della limitata attività defensionale posta in essere.

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