TAR Perugia, sez. I, sentenza 2024-01-31, n. 202400048

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Perugia, sez. I, sentenza 2024-01-31, n. 202400048
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Perugia
Numero : 202400048
Data del deposito : 31 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/01/2024

N. 00048/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00770/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 770 del 2021, proposto da
G A, M B, L B P, M B, R B, R B, D C, A C, A C, A C, R C, F D S, A D C, S D M, W D V, R E, S F, G C, L G, F G, F H, W L, C L, M L, M L, M M, P M, M N, D R, D E G R, G S, T T, M V, rappresentati e difesi dall'avvocato E L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Difesa, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via degli Offici, 14;

per l’accertamento

del diritto dei ricorrenti al risarcimento del danno per la mancata istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni, nonché per la condanna delle Amministrazioni intimate ai danni conseguenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero della Difesa e del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2023 la dott.ssa E D e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti – tutti originari componenti del Corpo Forestale dello Stato trasferiti dal 1 gennaio 2017 all’Arma dei Carabinieri ruolo forestale, con assegnazione della corrispondente qualifica militare – agiscono per il risarcimento dei danni nascenti dalla mancata istituzione della previdenza complementare dal d.lgs. 124 del 1993 e successive modifiche.

Espongono di essere entrati in servizio dopo il 1995, ovvero di non aver ancora maturato in tale data i richiesti 18 anni di contribuzione, così da essere assoggettati al sistema previdenziale misto ovvero al solo contributivo: per tale motivo costoro vantano un’aspettativa qualificata all’istituzione della previdenza integrativa, che avrebbe, per i relativi dipendenti pubblici, la finalità di colmare la differenza economica tra l’importo delle ultime buste paga e le rate di pensione calcolate con il sistema contributivo.

2. Nello specifico i ricorrenti individuano il danno ingiusto asseritamente sofferto in conseguenza della mancata istituzione del fondo di previdenza complementare in una triplice componente: a) nella mancata corresponsione della quota parte del fondo di spettanza delle Amministrazioni di appartenenza;
b) nel mancato risparmio in termini di tassazione IRPEF in riferimento alle somme che sarebbero state devolute dal dipendente al fondo per la propria quota –parte;
c) infine nella mancata possibilità di destinare al fondo tutto o parte del trattamento di fine rapporto, al fine di ottenerne un rendimento.

3. Con un primo motivo i dipendenti pubblici interessati richiamano la legislazione di riferimento - in particolare il d.lgs. 195 del 1995 - che per il personale non contrattualizzato del comparto sicurezza e difesa affida alle procedure di concertazione tramite i Comitati centrali di rappresentanza la fase prodromica alla predisposizione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri di uno schema di provvedimento concordato da approvarsi dal Consiglio dei Ministri. La fase finale sarebbe infine coincisa con l’emanazione di apposito D.P.R. che disciplinasse compiutamente il sistema di previdenza complementare di comparto. In buona sostanza dal corpus normativo di cui alla legge n. 448 del 1998, al D.P.R. n. 254 del 1999 ed infine al d.lgs. 252 del 2005 emergerebbe in capo alle Amministrazioni coinvolte un obbligo di provvedere all’istituzione del fondo più volte nominato, obbligo che, se inadempiuto, legittimerebbe il diritto al risarcimento del danno.

4. Con un secondo motivo si sostiene che la mancata implementazione del sistema di previdenza integrativa violerebbe l’art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla CEDU - sotto il profilo della mancata acquisizione in capo ai ricorrenti di un credito rientrante nel concetto di proprietà in senso ampio - nonché l’art. 12 della Carta sociale europea e il relativo divieto di discriminazione nascente dall’intervenuta attivazione della previdenza complementare per altre categorie di lavoratori pubblici.

5. In vista della pubblica udienza di discussione si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri intimati, i quali, in prima battuta, hanno eccepito il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti per carenza di interesse attuale, diretto e concreto rispetto alla mancata implementazione di un sistema che sarebbe di pertinenza dei soli enti esponenziali di riferimento (i Comitati centrali di rappresentanza);
secondariamente veniva sollevato il difetto di legittimazione passiva del Ministero della difesa e del Ministero dell’Agricoltura che sarebbero estranei alle procedure di concertazione e conseguentemente dai danni richiesti per l’inadempimento dei correlati obblighi di legge.

Nel merito la pretesa sarebbe comunque infondata per l’assenza di alcun obbligo di legge rimasto inadempiuto, bensì di una mera facoltà in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di procedere all’implementazione di forme di previdenza complementare la cui mancata integrale attuazione dipenderebbe comunque anche dall’inerzia delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative. La difesa erariale segnalava in ultima analisi l’impossibilità di riconoscere un danno ai dipendenti interessati perché l’effettiva esistenza di un pregiudizio in capo a ciascuno di essi non potrebbe prescindere dalla verifica della legislazione effettivamente vigente al momento del collocamento a riposo del singolo dipendente.

6. All’udienza pubblica del 21 novembre 2023 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

7. Il ricorso è inammissibile per difetto di legittimazione attiva.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, “i dipendenti pubblici destinatari dell’attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse “finale” e del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all’avvio e conclusione dei procedimenti “negoziali” in questione, appartenenti - semmai - in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia a ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali d'interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia a ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali. Più esattamente, la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell’obbligo di adozione di provvedimenti amministrativi, anche attraverso la speciale procedura di impugnazione del silenzio inadempimento, appartiene in via generale ai soli soggetti titolari dell’interesse, concreto ed attuale, direttamente riguardato dalla norma attributiva del potere autoritativo, i quali proprio in ragione di tale titolarità sono dunque legittimati a partecipare al relativo procedimento amministrativo. L’odierno appellante è viceversa portatore di un interesse soltanto indiretto in relazione all’effettiva entrata in vigore del nuovo regime pensionistico e contributivo, in quanto potenziale destinatario delle misure da adottarsi anche all’esito del procedimento di concertazione di cui lamenta la mancata attuazione: e ciò in ragione della natura assodatamente normativa dell’atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego;
ma – per l’appunto – egli non è legittimato a partecipare al relativo procedimento, non essendo titolare in proposito di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni competenti
” (Cons. Stato, sez. IV, 24 ottobre 2011, n. 5698, id. Sez. II, 20 dicembre 2021, n. 8440, Tar Umbria, 17 maggio 2022 n. 294, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. IV, 19 maggio 2022, n. 6502, T.A.R. Piemonte, 8 luglio 2022 n. 64, T.A.R. Marche, 16 novembre 2022 n. 685, Tar Lazio Roma, sez, IV, 26 maggio 2023 n. 8940).

I militari interessati sono quindi carenti di legittimazione attiva a far valere il mancato adempimento delle previsioni normative in tema di implementazione del sistema di previdenza complementare, in quanto costoro sono solo potenziali destinatari finali di un procedimento che coinvolge numerosi attori istituzionali con specifiche funzioni (di iniziativa, di collaborazione) da cui dipende il buon esito del procedimento e l’istituzione del fondo di riferimento. I ricorrenti sono privi di prerogative in materia - potendo solo conferire mandato agli organismi esponenziali - e sono incisi dall’inadempimento alle previsioni di legge in maniera analoga rispetto a tutti gli altri dipendenti pubblici, senza che la loro posizione sia in qualche modo differenziata rispetto agli altri.

8. In ogni caso è opportuno precisare che il sistema della previdenza complementare è stato dal legislatore integralmente devoluto alle procedure di negoziazione e di concertazione, con la conseguenza che le Amministrazioni intimate non hanno alcun autonomo obbligo di provvedere, non potendo unilateralmente disciplinare la materia, né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare, tali da poter configurare un eventuale danno da ritardo.

L’art. 26 comma 20 della legge 448 del 1998 ha previsto che “ai fini dell’armonizzazione al regime generale del trattamento di fine rapporto e dell’istituzione di forme di previdenza complementare dei dipendenti pubblici, le procedure di negoziazione e di concertazione previste dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, potranno definire, per il personale ivi contemplato, la disciplina del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’articolo 2, commi da 5 a 8, della legge 8 agosto1995, n. 335, e successive modificazioni, nonché l’istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni. Per la prima applicazione di quanto previsto nel periodo precedente saranno attivate le procedure di negoziazione e di concertazione in deroga a quanto stabilito dall’articolo 7, comma 1, del citato decreto legislativo n. 195 del 1995 .”.

Ai sensi dell’art. 3, c. 2, del d.lgs. n. 252/2005 – che all’art. 21 ha disposto l’abrogazione del d.lgs. 124 del 1993 – “ per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo2001, n. 165, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite mediante i contratti collettivi di cui al titolo III del medesimo decreto legislativo. Per il personale dipendente di cui all’articolo 3, comma 1, del medesimo decreto legislativo, le forme pensionistiche complementari possono essere istituite secondo le norme dei rispettivi ordinamenti ovvero, in mancanza, mediante accordi tra i dipendenti stessi promossi da loro associazioni. ”.

Da entrambe le norme sopra menzionate emerge che non sussiste alcuna previsione di obbligo (le forme pensionistiche “possono essere istituite” e non “devono essere istituite”) ma solo una facoltà, peraltro condizionata alla collaborazione di diversi soggetti, il cui esito è per definizione incerto.

Come ritenuto dal Consiglio di Stato, “ da tale disciplina risulta evidente che non sussiste alcun autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e, nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi del d.lgs. 195 del 1995. Non può essere, peraltro, neppure accolta la ricostruzione difensiva che ritiene sussistente in capo alle Amministrazioni intimate l’obbligo di avviare il procedimento di concertazione, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 195 del 1995.

In primo luogo, si tratterebbe eventualmente di un obbligo di avvio del procedimento e non di conclusione dello stesso, da cui non potrebbe derivare, quindi, né la possibilità di agire con il rito del silenzio né una responsabilità, ai sensi dell’art. 2 bis della legge n. 241 del 1990. (…) Nel caso di specie, quindi, la tutela dei singoli passa necessariamente attraverso le loro eventuali istanze all’interno degli organi di rappresentanza sindacale. ” (Cons. Stato, n. 8440/2021, cit.).

9. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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