TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2020-08-18, n. 202009252

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2020-08-18, n. 202009252
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202009252
Data del deposito : 18 agosto 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/08/2020

N. 09252/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01225/2015 REG.RIC.

N. 11275/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1225 del 2015, proposto da
A S, rappresentato e difeso dagli avvocati A P e F C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A P in Roma, Piazzale Clodio, 8;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato U G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avvocatura Comunale in Roma, via del Tempio di Giove 21;



sul ricorso numero di registro generale 11275 del 2018, proposto da
A S, Mattea Lupano, Aldo Saliola, Nicola Saliola e A.L.D.O. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall'avvocato Davide Angelucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato U G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avvocatura Comunale in Roma, via del Tempio di Giove 21;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 1225 del 2015:

della determinazione dirigenziale n. Q1/1437/2014 del 7/10/2014, reiezione della istanza di condono per abusi edilizi e conseguente assoggettamento alla normativa repressiva ex l. 47/1985;.

quanto al ricorso n. 11275 del 2018:

per l'annullamento

della determinazione dirigenziale di ingiunzione a rimuovere o demolire le opere abusive realizzate in via Appia Antica 32 - n. prot. CM/69495/2018 del 21 giugno 2018 notificata in data 11 luglio 2018.


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 luglio 2020 la dott.ssa Ofelia Fratamico;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso RG 1225/2015 il sig. S A ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, la determinazione dirigenziale di Roma Capitale prot. n. QI/150936/2014 del 7.10.2014 di rigetto dell’istanza di condono prot. n. 0/522105 sot. 0 del 30.04.2004 ed ogni altro atto consequenziale, presupposto e/o comunque connesso.

Deducendo di aver presentato il 30.04.2004 un’istanza di condono per alcuni tendoni con intelaiatura a struttura mobile, di superficie di mq 145,31, installati in via Appia Antica n. 32, il ricorrente ha lamentato i seguenti vizi del provvedimento: 1) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 commi 26 e 27 del d.l. n. 269/2003, conv. in l.n. 326/2003, eccesso di potere per errore e travisamento dei presupposti, illogicità e irragionevolezza manifesta, disparità di trattamento e malgoverno;
2) violazione e falsa applicazione dell’art.3 l.n. 241/1990, difetto di istruttoria e motivazione;
3) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della l.n. 47/1985.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con ordinanza n. 1127/2015 del 13.03.2015 il Tribunale ha respinto l’istanza cautelare.

Con un successivo ricorso RG 12275/2018 il sig. S A e i signori L M, S A, S A e S N e la A.L.D.O. s.r.l. hanno chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, la determina dirigenziale di Roma Capitale prot. n. CM/69495/2018 del 21.06.2018 di demolizione delle opere abusivamente realizzate in via Appia Antica n. 32, in una zona gravata da vincoli paesaggistici, sita all’interno del Parco dell’Appia Antica.

A sostegno della loro domanda, i ricorrenti hanno dedotto i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 3 e 97 Cost. e dell’art. 1 della l.n. 241/1990, difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, inesistenza della motivazione, invalidità derivata;
2) violazione e/o falsa applicazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, buon andamento dell’azione amministrativa, nonché di buona fede e correttezza nei rapporti con gli amministrati, contraddittorietà, illogicità, difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti in fatto e in diritto, lesione del legittimo affidamento;
3) difetto di motivazione ex art. 3 l.n. 241/1990, in quanto l’ordinanza non sarebbe stata assistita da idonea motivazione con riferimento alla sussistenza dell’interesse pubblico alla rimozione delle opere idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato, atteso il notevole lasso di tempo trascorso dalla realizzazione dei manufatti;
4) difetto di motivazione ex art 3 l.n. 241/1990, poiché l’ordinanza non sarebbe stata assistita da idonea motivazione con riferimento alla mancata ponderazione in sede di emissione dell’ordinanza ingiunzione degli effetti della demolizione sulle parti legittimamente realizzate dai ricorrenti;
5) violazione di legge, mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 7 l.n. 241/1990;
6) violazione di legge, in quanto la determinazione dirigenziale 1336/2018 sarebbe stata frutto di travisamento dei fatti e di istruttoria lacunosa, dal momento che nella specie si trattava della realizzazione di tettoie aperte, finalizzate alla più funzionale utilizzazione dell’area e per il ricovero di automezzi e materiali, da un lato configurabili quali pertinenze urbanistiche e pertanto sottratte al regime del permesso di costruire e, dall’altro, rientranti nelle opere pertinenziali non dotate di propria autonomia strutturale e funzionale, ma di meri elementi necessari allo smaltimento delle acque piovane.

Anche in tale giudizio si è costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con ordinanza n. 6818/2018 del 9.11.2018 il Tribunale ha accolto in parte l’istanza cautelare.

Con sentenza parziale n. 588/2020 del 17.01.2020 il Tribunale ha rigettato il ricorso “per la parte relativa all’ordine di demolizione di tutti i manufatti diversi da quelli oggetto dell’istanza di condono prot. 0/522105 sot. 0 del 30.04.2004 e della determinazione dirigenziale di Roma Capitale prot. n. QI/150936/2014 del 7.10.2014”, stabilendo che la restante parte del ricorso, per la cui decisione era pregiudiziale l’esame dell’impugnazione del diniego di condono del 2014, fosse “trattata congiuntamente al ricorso RG 1225/2015”.

All’udienza pubblica dell’8.07.2020 le due cause RG 1225/2015 e RG 11275/2018 sono state, infine, trattenute in decisione.

DIRITTO

Deve essere, in primo luogo, disposta la riunione tra il procedimento RG n. 1225/2015 e la causa RG n. 11275/2018 per connessione oggettiva e parzialmente soggettiva.

Con il primo ricorso il sig. A S ha lamentato l’illegittimità del diniego di condono delle strutture realizzate in via Appia Antica n. 32, nel quale l’Amministrazione Comunale avrebbe “errato nel considerare non sanabili le opere contestate…” corrispondenti, in realtà, ad “opere minori”, costituite da “semplici tendoni”, condonabili anche se edificate in zona sottoposta a vincolo ambientale e paesaggistico, all’interno del Parco dell’Appia Antica.

Il provvedimento di rigetto del condono avrebbe, inoltre, omesso di indicare “in maniera compiuta e puntuale le ragioni per cui l’Amministrazione (aveva)… ritenuto di opporre il contestato diniego”, non esplicitando “alcun concreto riferimento allo stato dei luoghi ed alla natura delle opere eseguite e non motiva(ndo) sulla mancata applicazione dell’art. 32 del d.l. n.269/2003.

Il provvedimento sarebbe stato, infine, tanto generico da comportare “la materiale impossibilità (per il sig. Saliola) … di procedere alla demolizione ed evitare l’acquisizione del bene e dell’area di sedime da parte del Comune”.

Tali censure non sono fondate e devono essere respinte.

Nell’ambito di applicazione dell’art. 32 comma 26 lett. a) della l.n. 326/2003, che permette la sanatoria edilizia anche nel caso di immobili soggetti a vincolo di cui all’art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47” limitatamente, però, alle “tipologie di illecito di cui all’allegato 1, numeri 4, 5 e 6”, e, dunque, alle opere cd. “minori” (di restauro e risanamento conservativo - tipologia 4 e 5 - o di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume - tipologia 6), non possono rientrare certamente strutture come quelle in questione, che, consistendo in tendoni con intelaiature mobili per mq 145,31, comportanti un rilevante aumento di volumetria, non possono che costituire nuove costruzioni.

Parimenti non meritevoli di accoglimento sono le doglianze di difetto di istruttoria e di motivazione del diniego impugnato, provvedimento, in realtà, del tutto obbligato per l’Amministrazione e sufficientemente motivato con l’esposizione degli elementi essenziali della fattispecie, costituiti dall’indicazione delle opere abusive e del vincolo paesaggistico-ambientale (Parco dell’Appia Antica) gravante sull’area nella quale esse sono state realizzate.

Come evidenziato, in verità, dalla costante giurisprudenza amministrativa, da un lato, “per la sanatoria delle opere abusive, in base al combinato disposto dei commi 26 e 27 dell' art. 32, d.l. n. 269 del 2003 , è necessaria la concorrente sussistenza delle seguenti condizioni: a) che si tratti di opere realizzate prima dell'imposizione del vincolo;
b) che si tratti di opere conformi alle prescrizioni urbanistiche;
c) che si tratti di opere minori rientranti nelle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) del richiamato d.l. n. 269 del 2003 , senza quindi aumento di superficie;
d) che vi sia il parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Ne consegue che, per un intervento ampliativo rientrante nella tipologia 1 di illecito in zona vincolata, il richiamo al comma 26, lett. a) dell'art. 32 è già di per sé sufficiente a giustificare il diniego di sanatoria” (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III , 6.04.2020 , n. 1329), dall’altro lato, “in presenza di una zona soggetta a vincolo paesaggistico e di abusi non riconducibili ad abusi minori, di cui alle tipologie n n. 4, 5 e 6 dell'Allegato 2 alla l. n. 326 del 2003 , correttamente l'Amministrazione nega il condono edilizio, in applicazione dell' art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269/2003” (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II bis, 7.01.2020, n. 90).

Nei provvedimenti in questione sono, poi, precisamente individuati gli immobili privi di titolo, oggetto del successivo ordine di demolizione.

Anche tale provvedimento, emesso da Roma Capitale il 21.06.2018, si rivela, alla luce della legittimità del diniego di condono delle strutture de quibus, correttamente adottato dall’Amministrazione Comunale, con conseguente infondatezza del ricorso RG 12275/2018 anche nella parte non decisa dalla sentenza parziale n. 588/2020.

Come già affermato da questo Tribunale nella sentenza parziale, tutte le costruzioni in questione, infatti, in ragione del loro numero, della loro natura e delle loro dimensioni, non appaiono certo qualificabili come strutture “facilmente amovibili… realizzate al solo fine di soddisfare … (un’) esigenza transitoria”, come dedotto da parte ricorrente, risultando, invece, stabilmente utilizzate (da oltre trent’anni, come dedotto, del resto, anche dai ricorrenti) per la normale attività di carrozzeria e riparazioni svolta nell’officina e, come tali, non possono che essere considerate abusive perché realizzate senza alcun titolo edilizio.

Anche le doglianze svolte in rapporto alla pretesa superfluità del titolo edilizio per la natura di semplici “pergolati” o “semplici tettoie” delle opere in questione non possono, come detto, essere condivise: come evidenziato dalla costante giurisprudenza amministrativa, “gli interventi consistenti nella realizzazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parte di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o i ripari di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire solo ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredi o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell'immobile cui accedono. Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni – come nell’ipotesi di specie - sono di entità tali da arrecare una visibile alterazione dell'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando per la loro consistenza dimensionale, non possono ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono” (cfr. ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 28.12.2018, n.7383).

Né i tendoni de quibus, che ricoprono rilevanti estensioni di terreno (mq 145,31) e finiscono inevitabilmente per incidere sull’assetto dei luoghi di causa, possono essere considerati semplici “pertinenze” dal punto di vista urbanistico ed edilizio: “la nozione di pertinenzialità ai fini urbanistici ed edilizi ha connotati diversi da quelli civilistici, avendo rilievo determinante non tanto il legame materiale tra pertinenza e immobile principale, quanto che la prima non abbia autonoma destinazione e autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico e che vengano in rilievo manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio” (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 27.02.2019, n. 2594). Oggetto dell’ordine di demolizione sono invece, in questo caso, manufatti distinti ed autonomi da quelli legittimamente edificati (o condonati), di rilevanti dimensioni e di autonoma funzione di riparo per gli autoveicoli dell’autocarrozzeria.

Nessun legittimo affidamento potevano, poi, maturare i ricorrenti sulla legittimità dei manufatti de quibus, chiaramente costruiti senza alcun titolo;
al riguardo può ribadirsi che “il provvedimento di repressione degli abusi edilizi, costituendo atto dovuto della P.A., riconducibile ad esercizio di potere vincolato, non richiede una particolare motivazione… né è necessaria una previa comparazione dell'interesse pubblico alla repressione dell'abuso, che è in re ipsa, con l'interesse del privato proprietario del manufatto;
e ciò anche se l'intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, ove il medesimo non sia stato oggetto di sanatoria in base agli interventi legislativi succedutisi nel tempo”(T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 10.06.2019, n.3146) e che “l'attività sanzionatoria degli abusi edilizi è imprescrittibile, in quanto la realizzazione e la permanenza dell'opera abusiva realizza un vulnus permanente e il decorso del tempo - fatta salva ovviamente l'ipotesi di successivo condono o accertamento di conformità - non determina l'insorgere in capo al responsabile - proprietario di alcun legittimo affidamento, difettando anzitutto il presupposto della buona fede” (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I , 19.06.2019, n. 1070).

Su tali conclusioni non può del resto incidere, come già evidenziato dal Tribunale in sede di parziale rigetto della sospensiva, il processo di delocalizzazione citato dai ricorrenti a sostegno delle loro argomentazioni: i relativi piani elaborati dall’Amministrazione per favorire la delocalizzazione delle imprese il cui esercizio risulta incompatibile con la zona protetta, pur volti a preservare la continuità delle attività economiche, non possono, infatti, determinare, allo stato, il mantenimento tout court degli abusi edilizi accertati, dinanzi anche alla reiterata assunzione da parte dei responsabili dell’impegno all’eliminazione di numerosi abusi, spesso non osservato, come rilevato dalla Polizia Municipale nel corso dei sopralluoghi espletati.

In relazione al preteso difetto di istruttoria in rapporto al possibile pregiudizio alla parti legittimamente edificate, si deve invece precisare che “la facoltà di irrogare una sanzione pecuniaria in luogo di quella della demolizione, già prevista dall'art. 12 cpv., l. n. 47 del 1985 e oggi trasfusa nell'art. 34, cpv d.P.R. n. 380 del 2001, è prevista unicamente per gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, non nel caso quindi caratterizzato… della mancanza di qualsivoglia titolo abilitante all'edificazione. Inoltre, l'applicabilità della sanzione pecuniaria è subordinata all'impossibilità, nel caso di specie non allegata né dimostrata, di eseguire la demolizione senza pregiudizio per la parte eseguita in conformità;
valutazione da effettuarsi, peraltro, in sede esecutiva” (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 1.02.2019, n. 542).

Quanto, infine, alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, questa appare ai sensi dell’art. 21 octies della l.n. 241/1990, non in grado di incidere sulla legittimità dell’ordine di demolizione, non potendo, del resto, elementi come il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’illecito o la pretesa contraddittorietà dell’agire dell’Amministrazione (in realtà insussistente) – che i ricorrenti avrebbero inteso rappresentare a Roma Capitale – incidere sul carattere del tutto vincolato del provvedimento di repressione degli abusi edilizi e condurre ad una determinazione diversa dalla rimozione dei manufatti privi di titolo, realizzati tutti in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e destinata a Parco.

In conclusione, il ricorsi RG 1225/2015 e RG 12275/2018, per la parte non ancora decisa, relativa all’ordine di demolizione dei manufatti oggetto dell’istanza di condono prot. 0/522105 sot 0 del 30.04.2004 e della determina dirigenziale prot. n. QI/150936/2014 del 7.10.2014, devono essere integralmente respinti.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

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