TAR Trento, sez. I, sentenza 2022-10-19, n. 202200176
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Pubblicato il 19/10/2022
N. 00176/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00273/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento
(Sezione Unica)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 273/2003, originariamente proposto da A H e riassunto da M H, in qualità di erede/coerede per un sesto della relativa comunione ereditaria incidentale relativa al defunto A H, rappresentato e difeso dall’avvocato S D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la Provincia Autonoma di Trento, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato V B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, Piazza Dante n. 15, presso il Servizio Legale della Provincia;
il Comune di Caldonazzo, non costituito in giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento del Direttore del Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio della Provincia Autonoma di Trento n. 2837/03 in data 26 maggio 2003, nella parte in cui è stata respinta la domanda di condono edilizio, presentata dal signor Hess August ai sensi della legge provinciale 2 settembre 1985, n. 16, per le seguenti opere: abitazione in muratura contraddistinta dalla p.ed. 1284 C.C. Caldonazzo, abitazione in muratura contraddistinta dalla p.ed. 1285 C.C. Caldonazzo (in aderenza alla darsena), darsena contraddistinta dalla p.ed. 1286 C.C. Caldonazzo e muretti e recinzione sulla p.f. 5525/30 e pp.edd. 1284, 1285 e 1286 C.C. Caldonazzo;nonché di ogni ulteriore atto presupposto, infraprocedimentale, connesso e conseguente, ivi compresi: il verbale di determinazione n. 779 in data 24 giugno 2002 della Commissione dei dirigenti generali di cui all’art. 5 della legge provinciale 18 aprile 1995, n. 5, la determinazione non definitiva della Conferenza dei Servizi n. 1907 in data 12 dicembre 2001, il verbale di determinazione della Commissione dei dirigenti generali n. 779 bis in data 24 giugno 2002, e le determinazioni della Conferenza dei Servizi n. 1907 bis, n. 1907 ter e n. 1907 quater in data 12 dicembre 2001;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia autonoma di Trento;
Vista la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2022, n. 30;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2022 il dott. C P e uditi, per le parti, gli avvocati S D e V B;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I fatti di causa - come diffusamente illustrati nella motivazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2022, n. 30, nonché dalla Provincia di Trento nella memoria depositata in data 29 luglio 2022 - possono essere sintetizzati come segue.
2. Il signor A H ha presentato al Comune di Caldonazzo una domanda di condono edilizio, ai sensi della legge provinciale n. 16/1985, avente ad oggetto opere abusivamente realizzate, consistenti in due casette in muratura, con annessi darsena, muretti e recinzione, in posizione prospiciente al lago di Caldonazzo. Tuttavia in data 26 maggio 2003 il direttore del Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio della Provincia, recependo le determinazioni adottate nella Conferenza di servizi del 12 dicembre 2001, nonché le determinazioni della Commissione dei dirigenti generali di cui all’art. 5 della legge provinciale n. 5/1995, ha respinto tale domanda di condono in ragione della presenza di numerosi vincoli nell’area ove insistono le opere in questione.
3. Il provvedimento di diniego del condono e tutti gli atti ad esso presupposti sono stati impugnati dinanzi a questo Tribunale con il ricorso in epigrafe indicato. In particolare il signor A H ha dedotto le seguenti censure:
I) Violazione dell’art. 27 della legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23, per omessa valutazione delle osservazioni formulate dal ricorrente, nonché del D.M. Lavori pubblici 16 dicembre 1967, n. 729;
II) Violazione degli articoli 2 e 3 del R.D. 1° dicembre 1895, n. 726, dell’art. 950 cod. civ. e dell’art. della legge provinciale n. 18/1976 , posto che la domanda di sanatoria relativa alle casette, alla darsena e a parte dei muretti di recinzione è stata rigettata prendendo erroneamente a riferimento un c.d. confine idrico demaniale illegittimamente e unilateralmente individuato e «sovrapposto» al confine apparente stabilito con la deliberazione della Giunta provinciale 9 gennaio 1976, n. 466/8-8, e con apposizione dei capisaldi attualmente esistenti a demarcazione del confine demaniale idrico, nonché per aver individuato tale c.d. confine idrico demaniale senza utilizzare all’uopo ogni mezzo di prova, bensì prendendo ad esclusivo riferimento «mappe ottocentesche» , in contrasto con la richiamata normativa codicistica e provinciale;eccesso di potere per contraddittorietà con la deliberazione della Giunta provinciale 9 gennaio 1976, n. 466/8-8, che aveva già stabilito il confine idrico demaniale con apposizione dei capisaldi (cippi), e per sviamento di potere, essendo la pretesa ed unilaterale modifica del limite di demanio idrico strumentalmente preordinata al rigetto dell’istanza di sanatoria, oltre che per disparità di trattamento, errata rappresentazione della realtà e contraddittorietà;
III) Violazione degli articoli 1 e 7 della legge provinciale n. 5/1995, dell’art. 3 della legge n. 241/1990 e dell’art. 4 della legge provinciale n. 23/1992, per motivazione contraddittoria e viziata, nonché per eccesso di potere per contraddittorietà con la deliberazione della Giunta provinciale 13 ottobre 1995, n. 11403 , essendo stato espresso parere negativo alla sanatoria per tutte le casette ancorché esse insistono fuori dal demanio ed oltre la fascia da 0 a 4 mt dal limite idraulico; ulteriore violazione delle norme innanzi richiamate per motivazione contraddittoria e viziata, nonché per eccesso di potere per contraddittorietà con la deliberazione della Giunta provinciale 13 ottobre 1995, n. 11403 , essendo stato espresso parere negativo alla sanatoria per la parte di recinzione che insiste nella fascia da 0 a 4 mt, pur trattandosi di minima parte del manufatto per il resto completamente estraneo al vincolo idraulico;
IV) Violazione dell’art. 6, comma 2, della legge provinciale n. 5/1995, essendosi formato il silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria per le casette alla maturazione del termine ivi previsto dalla presentazione dell’istanza in data 5 ottobre 1989 , in quanto i manufatti, prendendo a riferimento il limite idrico come stabilito con la deliberazione della Giunta provinciale 9 gennaio 1976, n. 466/8-8, risultano del tutto estranei ai vincoli richiamati dal comma 3 dell’art. 6 della legge provinciale n. 5/1995.
4. Questo Tribunale con la sentenza non definitiva 1° agosto 2006, n. 284, ha respinto il ricorso - nella parte relativa al diniego di sanatoria relativo alla realizzazione della darsena, dei muretti e delle recinzioni –in ragione della acclarata non superabilità del vincolo paesaggistico-ambientale esistente su tali manufatti, peraltro insistenti su demanio provinciale (e sul punto la statuizione di questo Tribunale è stata confermata dal Consiglio di Stato, Sez. II, con la sentenza 6 agosto 2020, n. 4964). Invece, con riferimento al diniego di sanatoria relativo alle due casette in muratura, questo Tribunale con la predetta sentenza - avuto riguardo alla pendenza di un giudizio promosso, tra gli altri, dal signor A H innanzi al Tribunale Regionale per le Acque Pubbliche (di seguito TRAP) di Venezia - ha rilevato la pregiudizialità di tale giudizio, ai fini dell’accertamento della demanialità, o meno, del sedime degli immobili in questione, e per l’effetto ha disposto la sospensione del presente giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c..
5. Nel frattempo il signor A H, unitamente ai proprietari di altre unità abitative realizzate sulla sponda est del lago di Caldonazzo, ha impugnato, con il separato ricorso n. 120/2007 di R.G., i provvedimenti di reiezione, da parte del Comune di Caldonazzo, delle osservazioni presentate avverso i preavvisi di diniego sulle domande di condono, contestando - tra l’altro - la natura demaniale delle aree di sedime dei due immobili per cui è causa. Tuttavia tale ricorso è stato respinto da questo Tribunale con la sentenza 23 novembre 2009, n. 289, e per effetto di tale sopravvenienza questo stesso Tribunale con la sentenza 24 luglio 2013, n. 253, ritenute non più sussistenti le ragioni che nel 2006 avevano determinato la parziale sospensione del giudizio, ha disposto la revoca di tale sospensione ed ha respinto in ricorso in epigrafe indicato anche per la parte relativa alle due casette.
6. In particolare nella motivazione della sentenza n. 253 del 2013 si legge che nella sentenza n. 289 del 2009 sono stati fissati i seguenti punti fermi: «In primo luogo, si evidenzia che, dapprima la legge 5 gennaio 1994, n. 37 ha espressamente valorizzato il prevalente valore ambientale e sociale del demanio idrico, poi le disposizioni contenute nel nuovo codice ambientale di cui gli artt. 115 e ss. del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ne hanno ribadito, consolidandolo, l’interesse generale ambientale. In secondo luogo, va osservato che, mentre l’affermazione della demanialità non è affatto condizionata dalla definizione di alcun procedimento amministrativo, assumendo rilievo la mera situazione di fatto anche nel profilo ambientale, all’opposto la cessazione della demanialità è sempre subordinata allo specifico procedimento di sdemanializzazione avente pertanto carattere costitutivo. In terzo luogo, occorre sottolineare che il vincolo idraulico preesisteva rispetto all’edificazione abusiva, posto che l’articolo 96, primo comma, lettera f), del regio decreto 25.7.1904, n. 523 ha introdotto il divieto assoluto di costruire a distanza minore di 10 metri dalle sponde, divieto poi reso derogabile dall’articolo 7 della legge provinciale 8.7.1976, n. 18, la quale ha però previsto che le eventuali deroghe “potranno essere concesse fino alla distanza di metri 4”. Aggiungasi che il Lago di Caldonazzo è iscritto nell’elenco delle acque pubbliche della Provincia di Trento approvato con R.D. 15.1.1942 e che pertanto rientra fra i beni appartenenti al demanio idrico sia per quanto riguarda l’acqua che per quanto concerne il terreno che la stessa ricopre durante le piene ordinarie. Di conseguenza, con riferimento ai beni realizzati su area (in quel momento) compresa nel demanio idrico, ex se avente valore ambientale, è stato ritenuto insussistente il nesso di pregiudizialità (necessario e/o facoltativo) fra giudizi di cui alla richiesta di sospensione ex art 295 c.p.c.: la causa promossa innanzi al Tribunale delle Acque di Venezia ha ad oggetto la parziale rivendica delle aree di sedime;quella edilizia, lo scrutinio di legittimità dell’atto entro la cornice della situazione giuridica sussistente al momento dell’adozione dell’atto impugnato. Infine, la citata sentenza n. 285 del 2009 ha concluso che gli immobili in questione “... insistono su aree comprese nell’ambito delle zone destinate dal PRG a spiaggia, assoggettate ad inedificabilità assoluta, sicché, l’eventuale auspicato esito favorevole del giudizio di rivendica da essi promosso, comportante al più una diversa perimetrazione della delimitazione del demanio idrico, in considerazione della disposizione urbanistica appena richiamata che estende il vincolo di inedificabilità alla fascia contigua demaniale, sarebbe comunque ininfluente ai fini del condono, confermando l’insussistenza di alcun vincolo di pregiudizialità fra giudizi”».
7. Il signor A H ha, quindi, proposto appello la predetta sentenza n. 253 del 2013, ma nel corso del giudizio egli è deceduto. Pertanto il giudizio di appello è stato riassunto dal signor M H, figlio dell’originario appellante, nella sua qualità di coerede (per un sesto della relativa comunione ereditaria incidentale), e il Consiglio di Stato con la predetta sentenza n. 30 del 2022, in applicazione del c.d. «principio della ragione più liquida» , ha accolto il motivo di appello incentrato sull’illegittimità della revoca della sospensione del giudizio a suo tempo disposta con la sentenza non definitiva n. 284 del 2006. In particolare nella motivazione della sentenza n. 30 del 2022 si legge che con la sentenza di questo Tribunale n. 253 del 2013 «si è radicalmente modificata l’impostazione seguita fino a quel momento, volta ad escludere la pregiudizialità non in ragione della sua ritenuta insussistenza, bensì avuto riguardo all’esistenza di autonome ragioni di diniego oltre quelle rivenienti dal vincolo idraulico, tali da rendere superfluo comprendere la portata di quest’ultimo. In maniera in verità più assertiva che motivata, infatti, si è affermata la natura ontologica della demanialità in presenza dei relativi presupposti accertati da soggetto qualificato;e tuttavia tale elemento (la demanialità, appunto), non ha comunque assunto rilievo ex se, ma in quanto intersecante vincoli di tipo diverso (in particolare, quello paesaggistico-ambientale), nonché l’incompatibilità urbanistica, tale peraltro da mantenere il procedimento in ambito comunale, senza necessità di attivare il diverso livello di governo preposto alla tutela degli ulteriori interessi pubblici in gioco» . Per l’effetto, il Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a. ha annullato la sentenza n. 253 del 2013 ed ha rimesso la causa a questo Tribunale.
8. Nelle more della definizione del giudizio di appello relativo alla predetta sentenza n. 253 del 2013 il TRAP di Venezia con la sentenza 3 giugno 2016, n. 1293, ha rigettato il ricorso dei proprietari di fondi ed edifici ubicati sul lago di Caldonazzo, volto alla definizione dei limiti demaniali, ed il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (di seguito TSAP) con la sentenza 4 febbraio 2019, n. 54, ha rigettato l’appello proposto avverso la sentenza n. 1293 del 2013, statuendo che «il limite demaniale è rimasto e rimane integro nel modo già delimitato in via amministrativa ovvero con delibera n. 9274 del 1979» . Di seguito la sentenza n. 54 del 2019 è stata impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione che, però, con la sentenza 30 settembre 2020, n. 20868, ha dichiarato inammissibile il ricorso limitatamente al signor M H e ad un altro ricorrente e lo ha rigettato per il resto.
9. Da ultimo il signor M H, nella dichiarata qualità di «erede/coerede per un sesto della relativa comunione ereditaria incidentale» relativa al defunto padre A H, in data 31 marzo 2022 ha depositato, ai sensi degli articoli 80 e 105, comma 1, cod. proc. amm., un’istanza di fissazione dell’udienza ai fini della prosecuzione del giudizio instaurato con il ricorso in epigrafe indicato, riservandosi di instaurare il contraddittorio nei confronti degli altri coeredi. Quindi lo stesso M H con memoria depositata in data 21 luglio 2022 ha chiesto l’assegnazione di un termine per poter integrare il contraddittorio nei confronti degli altri coeredi, come identificati nell’atto notarile n. 281/2021, versato in atti.
10. La Provincia di Trento con memoria depositata in data 29 luglio 2022 ha preliminarmente eccepito: A) la carenza di legittimazione processuale del signor M H, osservando innanzi tutto che questi non dimostrato il suo status di erede, ciò in quanto tale onere non può ritenersi adempiuto mediante il mero deposito del certificato di morte del signor Hess August, né dell’atto sostitutivo di notorietà ai fini dell’ottenimento di un certificato di successione europeo;B) la mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi, ciò in quanto, ai sensi dell’art. 784 c.p.c., «la comunione tra eredi comporta la necessità di instaurazione di un litisconsorzio necessario nei loro confronti, allorché si controverta su beni oggetto di successione ereditaria» ;C) l’inammissibilità dell’istanza di fissazione dell’udienza ai fini della prosecuzione del presente giudizio, sia perché il decesso della parte costituita produce ex lege l’interruzione del processo ai sensi degli articoli 299 e ss. c.p.c. e, nel caso di prosecuzione, «esso va riassunto entro il termine di 90 giorni dall’evento interruttivo (art. 305 c.p.c.), con atto di riassunzione notificato alle altre parti» , com’è avvenuto nel giudizio d’appello, nel quale il signor M H a seguito della morte del padre ha provveduto alla riassunzione mediante la notifica del relativo atto alla Provincia, sia perché, «venuta meno la revoca della sospensione del giudizio, la prosecuzione di quest’ultimo a seguito della rimessione della causa al giudice di primo grado ex art. 105 comma 1 c.p.c., operata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 30/2022, non poteva che avvenire tramite formale atto di riassunzione notificato alle altre parti processuali ai sensi del medesimo art. 105, comma 3, e dunque nel termine di 90 giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza del Consiglio di Stato medesimo» , mentre il signor M H, «ritenendo erroneamente applicabile l’art. 80, comma 1, c.p.a. relativo alla sospensione del giudizio, si è limitato a depositare istanza di fissazione di udienza» .
11. Nel merito la Provincia di Trento ha comunque eccepito l’infondatezza del presente ricorso osservando quanto segue: A) «L’originaria p.f. 5525/1 c.c. Caldonazzo risulta intavolata sin dal 1958 (GN876) a nome “Demanio pubblico dello Stato – Ramo acque”, poi diventata con il passaggio dei beni demanio idrico della P.A.T. Sul presupposto di tale qualificazione originaria (lago) è poi scaturita la p.f. 5525/30 su cui sono realizzate le costruzioni oggetto del presente ricorso che riguarda il contestato diniego della sanatoria richiesta. È quindi evidente come l’intervento manomissivo ed abusivo intervenuto nel tempo (modificazione morfologiche di origine antropica) comunque dopo gli anni ‘50 abbia comportato una modifica del profilo naturale del lago. In particolare per quel che qui importa, la p.ed. 1284 insiste in gran parte sul demanio;la p.ed. 1285 risulta in aderenza alla darsena ed insiste quindi anch’essa sul demanio idrico» ;B) sulla questione del limite demaniale del Lago di Caldonazzo, sponda est, si sono espressi il TRAP, con la sentenza n. 1293 del 2016, il TSAP con la sentenza n. 54 del 2019 e, da ultimo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 20868, sposando la tesi sostenuta dalla Provincia;C) in particolare il TSAP ha statuito che «il limite demaniale è rimasto e rimane integro nel modo già delimitato in via amministrativa ovvero con delibera n. 9274 del 1979 (poi integrata dalla delibera n. 3760 del 10 aprile 1998 in riferimento ai confini demaniali del lago nella parte dell’area del Comune di Calceranica)» , mentre le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto valida ed efficace la delimitazione dei confini attuata con la delibera della Giunta provinciale n. 9274 del 1979, «comprendendo nel demanio lacuale anche le porzioni di immobili derivanti da interventi antropici» .
12. Il signor M H con memoria depositata in data 9 settembre 2022 ha replicato alle suddette eccezioni processuali ed ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
13. Alla pubblica udienza del 13 ottobre 2022 il ricorso è stato chiamato e trattenuto per la decisione.
14. In via preliminare il Collegio ritiene fondata l’ultima, assorbente, eccezione processuale sollevata dalla Provincia di Trento con la memoria depositata in data 29 luglio 2022, alla luce delle seguenti considerazioni. L’art. 105 c.p.a., nel disciplinare l’istituto della rimessione al primo giudice all’esito del giudizio di appello, dispone al comma 1 che il Consiglio di Stato “rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l’ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio” , e tale circostanza si verificata nel caso in esame. Difatti il Consiglio di Stato, avuto riguardo alla revoca della sospensione del presente giudizio, disposta da questo Tribunale con la sentenza n. 253 del 2013, ha precisato quanto segue: «la revoca extra legem della sospensione possa essere assimilata quoad effectum all’erroneo diniego della stessa: in un caso, infatti, il potenziale nocumento alla parte consegue ab origine alla decisione del giudice che trattenga la causa che avrebbe dovuto sospendere;nell’altro, il medesimo effetto consegue alla riattivazione del processo decisionale sospeso, nonostante non ve ne fossero i presupposti. In sintesi, ciò che rileva nell’odierno giudizio non è la fondatezza o meno del giudizio di pregiudizialità, ma la illegittimità della sua modifica a situazione in fatto e in diritto sostanzialmente immutata. Poiché dunque il riscontrato vizio della sentenza appellata va qualificato come un difetto di procedura che si è risolto nella sostanziale violazione del diritto di difesa, sotteso alla disciplina della riattivazione ad iniziativa di parte del processo sospeso, l’accoglimento dell’appello comporta l’annullamento dell’impugnata sentenza di primo grado, con rinvio dell’esame della controversia al Tribunale amministrativo competente» . Ciò posto, non v’è dubbio che nel caso in esame la riassunzione del giudizio innanzi a questo Tribunale avrebbe dovuto essere effettuata a norma dell’art. 105, comma 3, c.p.a., secondo il quale le parti “devono riassumere il processo con ricorso notificato nel termine perentorio di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della sentenza o dell’ordinanza” . Ciononostante il signor M H, invece di notificare a tutte le parti necessarie del giudizio un ricorso in riassunzione, si è limitato a depositare (in data 31 marzo 2022) una semplice istanza di fissazione dell’udienza, peraltro invocando erroneamente l’art. 80 c.p.a., che si riferisce ai casi di sospensione del giudizio. Difatti il signor M H non ha considerato che, per effetto della predetta sentenza n. 253 del 2013, la sospensione del giudizio disposta con la precedente sentenza n. 284 del 2006 era definitivamente venuta meno e, quindi, non residuava alcuno spazio applicativo per l’art. 80 c.p.a. (il quale, per l’appunto, ai fini della riassunzione del giudizio non richiede la notifica dell’atto di riassunzione, bensì la presentazione di una semplice “istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno la causa della sospensione” ).
15. Ne consegue che il giudizio deve essere dichiarato estinto ai sensi del combinato disposto dell’art. 35, comma 2, lett. a), con l’art. 105, comma 3, cod. proc. amm., non avendo il signor M H ritualmente provveduto alla riassunzione dello stesso nel termine di legge.
16. Fermo restando quanto precede, solo per completezza il Collegio osserva che - anche dopo la definizione del giudizio promosso innanzi al TRAP dal signor A H, unitamente ad altri, al fine di accertare il limite demaniale del lago di Caldonazzo, secondo la configurazione oggetto della delibera Giunta provinciale di Trento 9 gennaio 1976, n. 466/8-8 - non sarebbe stato comunque possibile pervenire a conclusioni dissimili da quelle esposte da questo Tribunale nella sentenza n. 253 del 2013, ove si afferma che il rigetto della domanda di condono relativa ai due immobili per cui è causa si configura come un atto dovuto, insistendo tali immobili su aree demaniali, e quindi sono palesemente infondate anche tutte le censure di natura formale dedotte con il presente ricorso. Difatti l’impugnato provvedimento in data 26 maggio 2003 si configura come un atto plurimotivato, adottato per l’appunto anche sul presupposto che tali immobili insistono su aree demaniali (cfr. al riguardo anche la sentenza di questo Tribunale n. 285 del 2019, ove si afferma che i due immobili, «alla stregua dell’estratto cartografico prodotto in atti dall’Amministrazione resistente, insistono su aree comprese nell’ambito delle zone destinate dal PRG a spiaggia» ). Pertanto anche la censura incentrata sull’intervenuta formazione del silenzio-assenso è priva di fondamento, perché muove dall’erroneo presupposto che gli immobili non insistano su aree demaniali. In particolare, come correttamente evidenziato dalla Provincia nella memoria depositata in data 29 luglio 2022, dalla motivazione (cfr. il punto 5.1) della sentenza del TSAP n. 54 del 2019 con riferimento ai due immobili per cui è causa non risulta nulla di diverso rispetto alle determinazioni assunte dalla Giunta provinciale con le deliberazioni n. 9274 del 1979 e n. 3760 del 1988 (ossia gli atti generali con i quali sono stati fissai i confini demaniali del lago in base alla quota di m. 448,92 s.l.m. e che prevedono, tra l’altro, l’insanabilità dei fabbricati realizzati sul demanio o a distanza compresa tra 0 e 4 m dalla linea di piena ordinaria del lago). Inoltre, come altrettanto correttamente evidenziato in memoria dalla Provincia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 20868 del 2020 - oltre a dichiarare inammissibile il ricorso proposto dal signor M H avverso la sentenza del TSAP n. 54 del 2019 - con riferimento alla posizione di altri proprietari di fondi ed edifici ubicati sul lago di Caldonazzo, sul presupposto della «necessità di includere nel demanio lacuale anche le porzioni di immobili derivanti da interventi antropici» , hanno confermato in motivazione (cfr. il punto 12) la validità la delimitazione dei confini attuata con la predetta deliberazione n. 9274 del 1979.
18. Le spese del presente giudizio, quantificate nella misura indicata nel dispositivo in ragione della definizione in rito del presente giudizio, devono essere poste a carico della parte ricorrente. Nulla si deve disporre per le spese con riferimento al Comune di Caldonazzo, che non si è costituito in giudizio.