TAR Roma, sez. I, sentenza breve 2023-05-15, n. 202308246

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza breve 2023-05-15, n. 202308246
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202308246
Data del deposito : 15 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/05/2023

N. 08246/2023 REG.PROV.COLL.

N. 05481/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 5481 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, anche quale esercente la potestà sui minori -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato N P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Barnaba Tortolini n. 34;

contro

Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 1;

per l'annullamento

dell’ordinanza di sgombero n. 77182 del 23.11.2022 ex art. 2 decies, comma 2, della legge n. 575/1965 (oggi trasfuso nell'art.47, comma 2, del decreto legislativo 6.9.2011, n.159) emessa dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata - sede secondaria di Reggio Calabria - entro il termine perentorio di 120 giorni dalla data di notifica del provvedimento, dell'immobile sito in -OMISSIS-, identificato al fg. 40 p.lla 350 sub 2, nonché di tutti gli atti connessi, presupposti, precedenti e conseguenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2023 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


Con il ricorso in epigrafe è stata impugnata l’ordinanza di sgombero emessa il 23.11.2022 dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata con riferimento all'immobile sito in -OMISSIS-, identificato al fg. 40 p.lla 350 sub 2.

La ricorrente ha dedotto di essere coniugata con -OMISSIS-, con il quale a partire dal 2007 aveva fissato la residenza della famiglia in -OMISSIS-, in una casa costruita su terreno di sua proprietà;
nell’ambito di un procedimento penale iniziato a carico del coniuge per l'applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali, era stato disposto il sequestro anche dei beni della ricorrente, tra cui la casa coniugale e l’azienda agricola;
tali beni venivano confiscati con decreto n.100/2018 del 7.11.2018 del Tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, confermato dapprima dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria e poi dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 2467 del 20 gennaio 2022.

La ricorrente aveva quindi proposto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, eccependo la violazione da parte dello Stato Italiano dell'art. 1 del Primo protocollo addizionale alla CEDU e dell'art.7 CEDU.

In data 25 gennaio 2023 le era stato notificato il provvedimento impugnato, per l’annullamento del quale sono state proposte le seguenti censure:

1.Violazione dell'art.3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n.176/1991, difetto di assoluto di motivazione, violazione dell’art. 3 legge n. 241/90, non essendo stato considerato il fatto che l'immobile confiscato era abitato anche dalle tre figlie minorenni della ricorrente;

2. Violazione dell'art. 47 del d.lgs. n.159 del 2011. Violazione degli artt.3, 7 e 10 della legge 241/1990, eccesso di potere per difetto di motivazione, violazione dell'art. 823 c.c., essendo stati concessi unicamente 120 giorni per lo sgombero del bene, peraltro in assenza di contraddittorio con la ricorrente;

3. Eccesso di potere, violazione dell’art. 97 Cost., manifesta ingiustizia, irragionevolezza del termine per adempiere, violazione del legittimo affidamento.

Si è costituita l’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata resistendo al ricorso.

Alla camera di consiglio del 19 aprile 2023, previo rituale avviso alle parti ex art. 60 c.p.a., il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato.

Deve rilevarsi, al riguardo, che l'adozione dell'ordinanza di sgombero di immobile confiscato alla criminalità organizzata costituisce, per l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, un atto dovuto strettamente consequenziale rispetto alla confisca definitiva, atteso che per effetto di quest’ultima il bene acquisisce un'impronta rigidamente pubblicistica, che non consente di distoglierlo, anche solo temporaneamente, dal vincolo di destinazione e dalle finalità pubbliche, il che determina l'assimilabilità del regime giuridico del bene confiscato a quello dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 1499/2019;
2993/2016;
2682/2016);
il carattere dovuto e vincolato del provvedimento rende irrilevante “la mancata partecipazione del privato al procedimento di sgombero di un immobile requisito e confiscato .. anche ai sensi dell'art. 21-octies, l. 7 agosto 1990, n. 241” (così Cons. Stato, sez. III, n. 1499/2019 e 3324/2016);
la cognizione del giudice amministrativo è limitata all’ordinanza di sfratto e non può certo estendersi alla disamina dei vizi della confisca, sicché in nessun caso i vizi del sequestro e della successiva confisca possono farsi valere dinanzi al giudice amministrativo o ripercuotersi sulla validità dell’ordinanza di rilascio dell’immobile ed essere conosciuti in sede di cognizione di quest’ultima (Cons. St., sez. III, n. 926/2020 e 2464/2019).

Spetta dunque al giudice penale (nel corso del procedimento principale per l’applicazione di una misura di prevenzione o, nel caso di opposizione di un terzo, in un successivo incidente di esecuzione) l'accertamento degli esatti confini del provvedimento di confisca e della eventuale estraneità del terzo in buona fede il cui diritto di proprietà sia stato pregiudicato dal provvedimento patrimoniale (cfr. Cass. pen., sez. II, n. 10471/2014).

Alla stregua dei richiamati principi, nella fattispecie le doglianze proposte con riferimento alla partecipazione procedimentale e al termine assegnato, stabilito dalla legge, risultano infondate.

Deve poi osservarsi che l’ordinanza di sgombero impugnata non si pone in contrasto né con la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, né con le disposizioni della CEDU.

Come già affermato da questa Sezione, infatti, con la sentenza n. 11711 del 12 novembre 2021, la mera pendenza del ricorso giurisdizionale dinanzi alla Corte di Strasburgo non può avere effetti invalidanti del provvedimento impugnato nel presente giudizio.

La presentazione del ricorso alla CEDU, invero, non ha effetti sospensivi;
solo se all’esito del giudizio la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa (art. 41 della Carta EDU), imponendosi la decisione della Corte all’osservanza degli Stati membri ai sensi dell’art. 46 della Carta.

Pertanto, non sussiste alcuna ragione per dubitare della legittimità del decreto di sgombero, la cui definitività (giuridica e fattuale) è il risultato dell’esaurimento delle vie di ricorso interno, che non può essere messo in discussione in ragione della presentazione di un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla luce delle norme di funzionamento della Corte EDU, come sopra richiamate.

Tale impostazione è stata recentemente confermata anche dal Consiglio di Stato, che ha avuto modo di precisare come la pendenza del giudizio dinanzi alla Corte Europea dei Diritti Umani, proposto avverso la confisca dei beni sequestrati alla criminalità organizzata, non incide sulla possibilità di procedere allo sgombero del bene ed alla sua destinazione ad altro;
gli artt. 45 e 45 bis, d.lgs. n. 159 del 2011, laddove fanno riferimento al «provvedimento definitivo di confisca», alludono al provvedimento di confisca che sia da ritenersi «definitivo» in base alle norme dell'ordinamento italiano, e quindi al provvedimento di confisca in relazione al quale non possa essere esperito un rimedio impugnatorio interno. Qualora poi la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dovesse riconoscere fondatezza al ricorso presentato, non per tale ragione verrebbe meno, automaticamente, la validità del decreto di confisca, dovendo in tale circostanza lo Stato italiano adottare misure idonee a porre i ricorrenti in una situazione simile a quella in cui si sarebbero trovati ove non vi fosse stata inosservanza alcuna della Convenzione, e tali misure non necessariamente dovrebbero comportare la restituzione della proprietà dell'immobile (Cons. Stato, Sez. III, 10/12/2020, n. 7866).

Deve rilevarsi, altresì, che la Corte di Strasburgo ha già avuto modo di pronunciarsi sulla legittimità della confisca disposta quale misura di prevenzione antimafia, affermando in particolare che: la confisca, come misura di prevenzione, non solo non confligge con le norme della CEDU, ma anzi è una misura indispensabile per contrastare il crimine (sentenza 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia, in causa 12954/87;
decisione 4 settembre 2001, Riela c. Italia, in causa 52439/09);
la confisca deve essere, in ogni caso, conforme alle prescrizioni dell'art. 1, primo paragrafo, del Protocollo n. 1 alla Convenzione, ed a tal fine deve rispettare due limiti: deve, cioè, essere irrogata sulla base di una espressa previsione di legge e deve realizzare il giusto equilibrio tra l'interesse generale e la salvaguardia del diritti dell'individuo (sentenza 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. c. Italia, in causa 75909/01);
per la Corte inoltre non costituisce di per sé violazione né della CEDU, né del Protocollo n. 1, l'inversione dell'onere della prova, in base al quale è il prevenuto a dover dimostrare l'origine lecita dei beni di cui dispone (decisione 5 luglio 2001, Arcuri c. Italia, in causa 52024/99 che ha affermato che "la presunzione d'innocenza non è assoluta"), fermo restando, ovviamente, il diritto incoercibile del prevenuto a fornire con ogni mezzo la prova contraria (sentenza 23 dicembre 2008, Grayson e Barnham c. Regno Unito, nelle cause riunite 19955/05 e 15085/06, 40, 41 e 45 della motivazione);
la Corte, con riferimento all'ipotesi di confisca ai danni di un terzo, diverso dal reo o dal prevenuto, ha, in varie occasioni, affermato che il requisito del giusto equilibrio è rispettato quando al terzo proprietario dei beni confiscati sia data la possibilità di un ricorso giurisdizionale (per es. decisione 26 giugno 2001, C.M. c. Francia, in causa 28078/95).

La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, dunque, non riconosce un diritto prevalente del soggetto, al quale è stato confiscato il bene in sede di prevenzione, a conservare la sua proprietà e a permanere nell’immobile confiscato con la propria famiglia, non potendo il soggetto, al quale è stata legittimamente confiscato l’immobile, vantare in contrapposizione al legittimo interesse pubblico un diritto inviolabile al proprio domicilio (Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 8310 del 26 settembre 2022).

Del resto la ricorrente, durante la fase del sequestro disposto dall’autorità giudiziaria, ha avuto la possibilità di permanere nell’immobile, e nel frattempo di ricercare un’altra soluzione abitativa, senza attendere la definitività della confisca, che l’avrebbe definitivamente e legittimamente privata del bene, secondo quanto prevede in modo chiaro la legislazione italiana in materia di prevenzione patrimoniale, in un equilibrato contemperamento dei contrapposti interessi.

Anche sotto tale profilo, pertanto, il ricorso risulta infondato e deve essere respinto.

La peculiarità della vicenda controversa giustifica, comunque la compensazione delle spese di lite.

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