TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2022-09-16, n. 202200614

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Cagliari, sez. II, sentenza 2022-09-16, n. 202200614
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Cagliari
Numero : 202200614
Data del deposito : 16 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/09/2022

N. 00614/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00377/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO I

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 377 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
IN.PRO.MAR. S.r.l. rappresentata e difesa dagli avvocati D P e S S, con domicilio eletto presso il loro studio, in Cagliari, via Sonnino n.84;

contro

- Unione Comuni Valle del Cedrino Struttura, rappresentata e difesa dagli avvocati B B e D S, con domicilio eletto presso lo studio B B in Cagliari, corso Vittorio Emanuele n.76;

- Ministero per i Beni e le Attività culturali e Soprintendenza per i Beni Archeologici di Sassari e Nuoro, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Cagliari, domiciliataria ex lege in Cagliari, via Dante 23;

- Regione Autonoma della Sardegna, rappresentata e difesa dagli avvocati R M e F I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento:

con il ricorso introduttivo:

- della determinazione n. 7 del 5 febbraio 2015, pervenuta alla società ricorrente il 13 febbraio 2015, con la quale il Responsabile della Struttura delegata all'esercizio delle funzioni paesaggistiche della Unione dei Comuni Valle del Cedrino, nel riconoscere la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate dalla IN.PRO.MAR. S.r.l. nell'esercizio dell'attività di coltivazione della cava posta nel territorio del Comune di Orosei, località Canale Longu, in (presunta) assenza di preventiva autorizzazione paesaggistica, ha determinato la sanzione di cui all'art. 167 del D. Lgs. 42/2004 e ss.mm.ii. in €. 263.168,91 - corrispondente alla maggior somma tra il danno arrecato e l'utile conseguito - calcolata, secondo i criteri stabiliti nella Direttiva n. 2 adottata, ai sensi dell'art. 4 della L.r. 12 agosto 1998 n. 28, con DAPI n. 785 dell'8 maggio 2000, così come modificata in ultimo con

D.G.R. n. 33/64 del 30 settembre 2010;

- di ogni altro atto presupposto, conseguenziale o comunque connesso, anche allo stato non conosciuto, ed in ispecie, per quanto occorra:

- della nota prot. 518 del 7 giugno 2014, con la quale il Responsabile della Struttura delegata all'esercizio delle funzioni paesaggistiche dell'Unione dei Comuni intimata ha richiesto alla Soprintendenza BAPPSAE di esprimere parere vincolante sull'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica presentata dalla IN.PRO.MAR., dal medesimo valutata favorevolmente a condizione che la ditta osservi le prescrizioni dettate dalla D.G.R. n. 39/35 del 15 luglio 2008 e provveda con risorse proprie al recupero ambientale in conformità al progetto approvato nell'ambito della procedura di VIA e nel rispetto delle indicazioni impartite dall'Assessorato degli Enti Locali in fase di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica;

- della relazione istruttoria e della proposta di accoglimento dell'istanza di accertamento di compatibilità paesistica predisposte dalla Struttura delegata all'esercizio delle funzioni paesaggistiche dell'Unione dei Comuni Valle del Cedrino;

- del parere favorevole al rilascio della compatibilità paesaggistica alle condizioni proposte dalla Struttura delegata espresso dalla Soprintendenza con nota prot. 9141 del 2 luglio 2014;

- della nota prot. n. 702 del 14 luglio 2014, con la quale il menzionato Responsabile della

Struttura delegata all'esercizio delle funzioni paesaggistiche ha comunicato che la competente Soprintendenza aveva espresso parere positivo ai finì dell'accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere in parola ed ha invitato l'IN.PRO.MAR. a depositare apposita perizia giurata, ai fini della quantificazione della sanzione pecuniaria secondo i criteri indicati dalla citata

Direttiva n. 2, così come modificata con D.G.R. 33/64 del 30 settembre 2010, anche per i materiali di cava estratti dopo il 31 dicembre 2010;

- della Direttiva n. 2 adottata, ai sensi dell'art. 4 della L.r. 12 agosto 1998 n. 28, con DAPI n. 785 dell'8 maggio 2000, così come modificata dapprima con D.G.R. 29/32 del 29 luglio 2010 e poi con D.G.R. n. 33/64 del 30 settembre 2010;

- della D.G.R a 45/20 del 12 novembre 2012, laddove possa ritenersi che imponga alle ditte esercenti l'attività di coltivazione di predisporre ulteriori progetti per il proseguimento dell'attività estrattiva al fine di conseguire l'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 146 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio;

con i motivi del 18 febbraio 2022:

- degli stessi atti impugnati con il ricorso introduttivo;

- del verbale n. 13 della seduta del 22 luglio 2021 del Comitato Tecnico intimato nella parte concernente la ridelimitazione dei confini del vincolo paesaggistico apposto con D.M. 25 gennaio 1968;

- di tutti gli atti connessi e presupposti, ed in particolare:

- dei verbali del Gruppo di lavoro (ex art. 3 del Protocollo d'Intesa del 22 marzo 2021), s.n. della seduta del 23 luglio 2018, n. 6 della seduta del 27 agosto 2018, n. 11 della seduta del 22 febbraio 2021, n. 12 del 27 aprile 2021, sempre nelle parti relative al vincolo di cui al D.M. 25 gennaio 1968;

- del fascicolo del Comitato Tecnico NU092_D3.7_AT13 e delle sue risultanze nelle parti meglio precisate di seguito;

- dello Shapefile del perimetro validato relativo al D.M. 25 gennaio 1968 AT13_NU092_Orosei_SHP.zip;

- per quanto possa occorrere, del Protocollo d'Intesa in data 23 marzo 2011 e dei suoi allegati e del Disciplinare Tecnico in data 1° marzo 2013.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati.

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Unione Comuni Valle del Cedrino, del Ministeri per i Beni e le Attività culturali, della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Sassari e Nuoro e della Regione Autonoma della Sardegna.

Visti tutti gli atti della causa.

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 luglio 2022 il dott. A P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La In.Pro.Mar. S.r.l. (da qui in poi soltanto “Inpromar”) gestisce dagli anni ’70 del secolo scorso una cava in Comune di Orosei, loc. Canale Longu, ove sono presenti anche altri impianti analoghi.

A seguito dell’entrata in vigore della legge Regione Sardegna 7 giugno 1989, n. 30, recante una prima disciplina sistematica delle attività di cava, con provvedimento regionale del 16 maggio 1990 Inpromar era stata provvisoriamente autorizzata alla prosecuzione dell’attività di cava, secondo quanto previsto dall’art. 42, comma 3, della stessa legge regionale.

Successivamente il Comune di Orosei, essendo il suo territorio sottoposto a vincolo paesaggistico in forza del d.m. 25 gennaio 1968, aveva predisposto uno Studio di compatibilità paesistico ambientale, poi approvato dalla Giunta regionale con deliberazione 25 luglio 2000, n. 32/25, con cui aveva proposto il rilascio dell’autorizzazione definitiva in favore delle attività di cava esistenti a condizione che realizzassero alcune misure di mitigazione del loro impatto ambientale e paesaggistico, nonché inserito l’area interessata in Zona Urbanistica D, mediante apposita variante del Piano di fabbricazione;
successivamente lo stesso Comune aveva approvato tre distinti strumenti di pianificazione attuativa incidenti sulle aree e le infrastrutture di cava, sui quali si era espresso positivamente il Servizio regionale di Tutela del Paesaggio di Sassari e Nuoro, con deliberazioni 21 novembre 2000, nn. 6709, 6710 e 6711, precisando, però, che “ tutte le opere di urbanizzazione e residenziali previste dal Piano dovranno essere specificamente autorizzate ai sensi dell’art. 151” del d.lgs. 209 ottobre 1999, n. 490.

Con legge 9 agosto 2002, n. 15, la Regione Sardegna aveva stabilito che le autorizzazioni all’attività di cava rilasciate in assenza di VIA o verifica preliminare ambientale, dopo l’entrata in vigore del

DPCM

3 settembre 1999 e della legge regionale n. 1/1999, avrebbero dovuto sottoporsi ai relativi procedimenti di tutela ambientale.

Pertanto in data 16 novembre 2002 Inpromar aveva presentato la relativa richiesta, che il Comune di Orosei, aveva, poi, recepito in un redigendo Piano di recupero ambientale dell’intera area interessata, con cui la stessa Amministrazione comunale aveva inteso coordinare tutti i progetti redatti dai singoli operatori. Dopo l’invio del suddetto Piano al S.A.V.I. dell’Assessorato regionale all’Ambiente, che aveva curato l’istruttoria sulla procedura di verifica preliminare di cui all’art. 10 del d.p.r. 12 aprile 1996, con deliberazione 15 luglio 2008, n. 39/35, la Giunta regionale aveva deciso di non sottoporre a V.I.A. i progetti inseriti nel Piano stesso, compreso quello inerente alla cava gestita da Inpromar, dettando alcune prescrizioni di tenore ambientale e paesaggistico in termini conformi a quanto proposto dal S.A.V.I.

In data 28 ottobre 2009 Inpromar aveva, comunque, sottoposto agli uffici regionali il proprio progetto di recupero e coltivazione dell’area di cava, dopo averlo aggiornato alle previsioni dettate nel sopra citato Piano comunale di recupero.

Nelle more dell’esame di tale richiesta la Giunta regionale -dapprima con deliberazione 29 luglio 2010, n. 29/32 e poi con deliberazione 30 settembre 2010, n. 33/64- aveva modificato la Direttiva regionale n. 2, originariamente adottata con decreto assessoriale 8 maggio 2000, n. 785 e recante i criteri di dettaglio per la determinazione delle sanzioni pecuniarie applicabili, ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (originariamente art. 164 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490), agli autori di opere su beni paesaggisticamente tutelati in difetto della necessaria autorizzazione.

Nel gennaio del 2011 la stessa Inpromar ha, infine, presentato al Comune di Orosei e al Servizio Regionale di Tutela del Paesaggio di Nuoro una richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica sulle relative infrastrutture di cava.

Poiché l’art. 3, comma 2 bis, della legge Regione Sardegna 12 agosto 1998, n. 28, aveva, nel frattempo, delegato ai comuni le funzioni in materia di accertamento di compatibilità paesaggistica e applicazione delle relative sanzioni, con deliberazione 12 novembre 2012, n. 45/20, la Giunta regionale ha individuato l’Unione dei Comuni della Valle del Cedrino (da qui in poi soltanto “Unione”) quale ente competente allo svolgimento delle stesse in territorio di Orosei.

In data 7 giugno 2014 l’Unione -nell’esprimere una prima valutazione positiva sull’istanza formulata da Inpromar, a condizione che la stessa provvedesse al recupero ambientale dell’area di cava e alla mitigazione dell’impatto paesaggistico e ambientale prodotto- ha trasmesso gli atti alla Soprintendenza per i Beni architettonici paesaggistici storici artistici ed etnoantropologici per le province di Sassari e Nuoro (da qui in poi soltanto “Soprintendenza”), ai fini del parere di compatibilità paesaggistica di sua competenza.

In data 2 luglio 2014 la Soprintendenza ha espresso tale parere in termini positivi.

Con nota del 14 luglio 2014 l’Unione -ai fini della quantificazione della sanzione pecuniaria prevista a carico degli autori di opere non autorizzate su beni paesaggisticamente tutelati- ha chiesto a Inpromar di inviare una perizia giurata indicante il danno prodotto e il profitto scaturito dall’attività di cava;
tale perizia è stata, poi, trasmessa con l’indicazione di un danno ambientale pari a euro 154.984 e di un profitto dell’attività di cava pari a euro 263.168,91, per cui, con determinazione 5 febbraio 2015, n. 7, l’Unione ha accolto la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica presentata da Inpromar e contestualmente applicato a suo carico una sanzione di euro 263.168,91, pari al maggiore tra i due importi sopra indicati.

Con il ricorso introduttivo del presente giudizio Inpromar ha chiesto l’annullamento in parte qua di tale determinazione e dei relativi atti presupposti, contestando l’ an e il quantum della sanzione, sul presupposto, in sintesi, che l’attività di cava dovesse considerarsi già da tempo autorizzata (anche) sotto il profilo paesaggistico in virtù dei numerosi atti comunali e regionali che avevano dettato le misure ritenute necessarie ai fini della prosecuzione dell’attività stessa.

Si sono costituiti in giudizio la Regione Sardegna, l’Unione e la Soprintendenza sollevando eccezioni di rito e di merito.

Con successive difese la ricorrente ha, qui in sintesi, disconosciuto il fatto che il vincolo paesaggistico applicato incida effettivamente sull’area di cava, precisando di avere appreso tale circostanza solo recentemente, per cui il Collegio, con ordinanza 8 luglio 2021, n. 531, ha ritenuto opportuno aggiornare “la trattazione della causa all’udienza del 12 gennaio 2022, ai fini di un nuovo esame in contraddittorio delle risultanze processuali, ai sensi dell’art. 63, comma 1, c.p.c., anche alla luce dell’esito della predetta istruttoria ministeriale, previo deposito, nei termini di legge, se del caso, di ulteriori memorie e documenti utili sugli aspetti sopra descritti” .

Con successive memorie difensive le controparti hanno eccepito l’inammissibilità della nuova prospettazione di parte ricorrente perché avente a oggetto un aspetto sul quale la stessa -dopo avervi prestato acquiescenza, omettendo di impugnare il vincolo paesaggistico pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nell’anno 1968 e successivamente proponendo istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica- non aveva mai sollevato contestazioni, neppure nel gravame introduttivo del presente giudizio.

Inoltre le controparti hanno depositato documentazione volta a smentire nel merito la nuova prospettazione della ricorrente, tra cui il decreto ministeriale 25 gennaio 1968 applicativo del vincolo e gli allegati tecnici allo stesso (doc. 5 prodotto in giudizio dalla difesa dell’Unione), un estratto del verbale (e il relativo fascicolo istruttorio: docc. 4 e 5 prodotti dalla difesa regionale) della seduta del Comitato tecnico ministeriale che -a seguito di richieste avanzate da alcune società interessate, tra cui la stessa Inpromar in data 13 ottobre 2020- ha confermato l’insistenza del vincolo sull’area oggetto dell’attività estrattiva.

Con motivi aggiunti notificati il 31 gennaio 2022 la ricorrente ha esteso l’impugnazione anche a tali atti del Comitato Tecnico, ritenendo che quest’ultimo -anziché limitarsi a precisare l’area di incidenza del vincolo- l’abbia indebitamente estesa sino a ricomprendervi la cava di suo interesse, che sarebbe, invece, collocata all’esterno del vincolo stesso.

Con successive memorie le controparti hanno contestato i motivi aggiunti con eccezioni di rito e di merito.

All’esito della pubblica udienza del 10 luglio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il Collegio preliminarmente evidenzia che -alla luce dell’infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti, per le ragioni che saranno illustrate fra breve- si può prescindere dall’esame dell’eccezioni di rito sollevate dalle difese pubbliche, in favore di un’analisi della controversia sotto il profilo del merito.

La relativa analisi seguirà l’ordine degli scritti difensivi di parte ricorrente e, pertanto, comincerà dalle censure esposte nel gravame introduttivo, relative ai presupposti “formali e procedimentali” della contestata sanzione pecuniaria, per poi concentrarsi sull’estensione materiale del vincolo paesaggistico, oggetto dei motivi aggiunti.

Con le prime due censure e con la quarta censura del ricorso introduttivo, tra loro collegate, Inpromar sostiene che la sanzione contestata sia priva di fondamento sostanziale, essendo tutte le attività di cava presenti in territorio di Orosei da considerarsi paesaggisticamente autorizzate sin dal 1993 o, quanto meno, dal 2000, quando la Giunta regionale, con deliberazione 25 luglio 2000, n. 32/25, aveva approvato lo Studio di compatibilità paesistico ambientale predisposto dal Comune di Orosei, ove erano indicate le misure ritenute necessarie per mitigare l’impatto ambientale e paesaggistico dell’attività di cava (vedi supra );
a tutto voler concedere, poi, l’illecito paesaggistico non potrebbe essere proseguito oltre l’anno 2008, quando -con deliberazione 15 luglio 2008, n. 39/35, a conclusione del relativo procedimento di verifica preliminare- la Giunta regionale aveva escluso che le attività di cava in discussione dovessero essere sottoposte a valutazione di impatto ambientale.

Tale prospettazione difensiva non è fondata, ove si consideri che:

- nessuno dei provvedimenti citati in ricorso contiene un dispositivo, neppure latamente, implicante il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica sulla singola attività di cava, né può ipotizzarsi che la stessa sia venuta alla luce in forma di atto amministrativo implicito, essendo tale figura notoriamente residuale e implicante presupposti stringenti, nel caso di specie non ravvisabili, tra cui la completezza dell’iter motivazionale, la piena e autonoma competenza del soggetto pubblico procedente e l’assenza di fattori escludenti la sua ipotizzata volontà implicita;

- nel caso in esame, infatti, gli atti richiamati dalla ricorrente, a seconda dei casi, hanno contenuto estraneo ai profili squisitamente paesaggistici della vicenda ovvero sono meramente “propedeutici” al successivo rilascio delle vere e proprie autorizzazioni paesaggistiche, ove si consideri che lo Studio approvato nel 1993 si riferiva ai (poi abrogati) piani territoriali paesistici, e perciò non aveva certamente a oggetto gli specifici interventi estrattivi, mentre lo “ Studio di compatibilità paesistico ambientale ” predisposto dal Comune di Orosei e approvato dalla Regione nel 2000 si poneva in un’ottica meramente istruttoria rispetto all’esercizio delle competenze paesaggistiche affidate agli altri enti coinvolti nel relativo procedimento di autorizzazione, in primo luogo la Soprintendenza (vedi supra );

- l’assunto della ricorrente trova, poi, formale smentita in diversi passaggi del procedimento, peraltro mai contestati, con cui è stata espressamente esclusa la volontà degli enti procedenti di rilasciare sin da allora una (all’epoca mai richiesta, peraltro) autorizzazione paesaggistica: si fa riferimento alla nota del 3 dicembre 2014, con cui l’Assessorato regionale degli Enti Locali aveva chiaramente evidenziato la necessità, a tal fine, di un successivo e apposito procedimento di autorizzazione paesaggistica (cfr. doc. 3 prodotto alla difesa dell’Unione), alla deliberazione 15 luglio 2008, n. 39/35, con cui la Giunta Regionale, nel definire i (soli) profili ambientali della vicenda (vedi supra e infra ) aveva precisato che tra le varie società esercenti l’attività di cava soltanto la Daino Marmi S.r.l. era munita di autorizzazione paesaggistica, nonché alla deliberazione 12 novembre 2012, n. 45/20 (doc. 3 prodotto dalla difesa regionale), con cui la stessa Giunta Regionale aveva dato per scontata la necessità di regolarizzare l’attività sino a quel momento esercitata “in assenza delle autorizzazioni paesaggistiche” ;

- non a caso è stata, poi, la società odierna ricorrente a richiedere, nell’anno 2010, il rilascio di un’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, implicitamente riconoscendo la pregressa inesistenza di tale titolo autorizzativo benché all’epoca fossero stati già da tempo adottati gli atti che ora la stessa Inpromar assume contengano un’autorizzazione paesaggistica in forma implicita;

- per converso la mancata presentazione di una richiesta di autorizzazione paesaggistica in via preventiva rispetto all’adozione dei suddetti atti ulteriormente smentisce la prospettazione della ricorrente, ove si consideri che le autorizzazioni paesaggistiche sono rilasciabili esclusivamente su istanza del privato interessato;

- né, infine, può attribuirsi valenza paesaggistica a provvedimenti amministrativi, come la deliberazione della Giunta regionale 15 luglio 2008, n. 39/35, volti alla regolamentazione dei profili ambientali della vicenda, restando i due aspetti ben distinti, come, peraltro, la stessa Regione Sardegna aveva chiarito nel corso del procedimento con la nota 31 agosto 2015, n. 37375 (doc. 11 prodotto dalla difesa regionale), mai impugnata dalla ricorrente, ove si legge che “il procedimento della VIA non può sostituire l’autorizzazione paesaggistica prevista dall’articolo 146 del DLgs 42/04. Infatti tale autorizzazione è disciplinata dallo stesso articolo 146 e prevede, nel corso del procedimento, il parere vincolante della Soprintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio ed il Patrimonio Storico e Artistico e Etnoantropologico per le Province di Sassari e Nuoro. La competenza per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per il proseguimento dell’attività estrattiva è di questo Servizio, come previsto dalla L.R. 28/98 e ss. mm. ii. e dall’atto di indirizzo della Giunta Regionale (Deliberazione n. 45/20 del 12.11.2012)”.

Privo di pregio è, infine, l’assunto relativo al preteso effetto di annullamento in autotutela che la deliberazione della 20 ottobre 2009, n. 47/18, della Giunta regionale avrebbe prodotto sulla deliberazione della Giunta regionale 15 luglio 2008, n. 39/35, richiamata nella motivazione dell’atto impugnato.

In primis perché la deliberazione n. 47/18 del 2009 presenta le caratteristiche tipiche di un atto di indirizzo, come tale, per definizione, non incidente su un provvedimento, viceversa, di contenuto puntuale e di dettaglio, quale la deliberazione n. 39/35 del 2008.

In secondo luogo perché quest’ultima, ancorché richiamata nel preambolo dell’impugnato provvedimento sanzionatorio, non ha direttamente inciso sui presupposti della sanzione paesaggistica impugnata nella presente sede -i quali risiedono, invece, in una specifica disciplina di rango primario, come ora si vedrà- avendo a oggetto profili di tutela ambientale da considerarsi, come detto, ontologicamente distinti rispetto a quelli di tutela paesaggistica.

Con il terzo motivo del gravame introduttivo la ricorrente contesta il quantum della sanzione che le è stata comminata -pari a euro 263.168,91- reputando irragionevole la previsione, dettata dalla Direttiva regionale n. 2 (anch’essa impugnata quale atto presupposto), di un tetto sanzionatorio forfettario massimo (pari a euro 26.000) in favore delle sole cave ubicate a una distanza dal mare superiore ai 2.000 metri, mentre a carico delle altre attività estrattive, tenute alla presentazione di apposita perizia giurata per la quantificazione della sanzione, è previsto che l’importo di quest’ultima corrisponda (senza limiti) alla somma maggiore tra il danno provocato e il profitto ricavato dalla cava, tanto è vero che all’odierna ricorrente è stata applicata una sanzione di 263.168,91 euro, pari alla misura del profitto dell’attività di cava come quantificata nella perizia giurata prodotta nel corso del procedimento.

Tale doglianza non è condivisibile.

Prima di tutto perché alle attività poste al di fuori della fascia di 2.000 dal mare può presuntivamente attribuirsi un impatto paesaggistico inferiore rispetto a quelle comprese all’interno della stessa, per cui le due situazioni non sono paragonabili ai fini di un sindacato sulla ragionevolezza dei criteri di determinazione delle rispettive sanzioni.

E poi perché, comunque, non sussiste realmente il presupposto stesso della censura, cioè l’esistenza di un insuperabile tetto sanzionatorio di euro 26.000 in favore degli abusi esterni alla fascia dei 2000 m. dal mare “privi di perizia”, posto che la disciplina dettata dal Paragrafo 7 dell'impugnata Direttiva n. 2 deve essere diversamente interpretata rispetto a quanto sostiene al ricorrente.

Il Collegio, infatti, condivide la tesi espressa sul punto dalla difesa regionale, secondo cui:

- il predetto limite sanzionatorio deve, in primo luogo, essere correttamente riferito ai soli casi di abusi sui quali le autorità competenti, al momento dell’entrata in vigore della direttiva regionale, avessero già espresso il parere di competenza sulle relative istanze di sanatoria, potendo solo questa peculiare evenienza -implicante la necessità di una rapida definizione della procedura- giustificare l’introduzione di una sanzione quantificata forfetariamente e perciò del tutto diversa da quella prevista generale, come detto parametrata alla maggior somma tra il danno provocato e il profitto dell’attività abusiva stimati in apposita perizia giurata, ai sensi dell’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004;

- quel valore forfettario di euro 26.000 deve essere, inoltre, considerato alla stregua di criterio meramente indicativo, che perciò non preclude all’Amministrazione procedente, alla luce della gravità dell’abuso di volta in volta riscontrato, la possibilità di quantificare più severamente la sanzione, sulla scorta degli appositi “criteri di adeguamento” dettati dal Paragafo 7.3 della Direttiva n. 2 ovvero del sopra descritto criterio generale avente a oggetto la maggior somma tra l’importo del danno arrecato e il profitto dell’attività di cava;

- tale interpretazione, infatti, si impone, se non altro, per evitare che la Direttiva regionale n.

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