TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2011-09-19, n. 201107363
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N. 07363/2011 REG.PROV.COLL.
N. 08492/1994 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8492 del 1994, proposto da:
Scamporrino A A, rappresentato e difeso dall'avv. U G, con domicilio eletto presso U G in Roma, p.zza Adriana, 11;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'accertamento del diritto
-ad essere inquadrata nella qualifica funzionale VII, prof. professionale n. 2, mansioni di collaboratore professionale, come da sua richiesta del 25/5/1992;
-al maggiore trattamento economico e giuridico corrispondente alle mansioni effettivamente svolte ed assegnate;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 giugno 2011 il cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame, la ricorrente chiede accertarsi il proprio diritto:
-ad essere inquadrata nella qualifica funzionale VII, prof. professionale n. 2, mansioni di collaboratore professionale, come da sua richiesta del 25/5/1992;
-al maggiore trattamento economico e giuridico corrispondente alle mansioni effettivamente svolte ed assegnate;
In punto di fatto, ella espone:
-di essere dipendente del ministero della difesa;
-di essere inquadrata ai sensi dell’art. 4, c. VIII della legge n. 312/1980 nel profilo professionale n. 4 della V qualifica funzionale;
-di espletare sin dal 1974 le mansioni inerenti il superiore livello;
-lo svolgimento di tali mansioni risulta da atti formali provenienti dalla P.A. quali la scheda relativa all’indagine conoscitiva, le note di qualifica, la dichiarazione del superiore preposto e dal decreto del Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica.
L’interessata fonda le proprie pretese sull’art. 4 della legge n. 312/1980 nonché sugli artt. 36 Cost., 2103 e 2126 Cod. civ.. .
Ella, altresì, eccepisce, in via pregiudiziale, l’incostituzionalità dell’art. 57 del D.Lvo n. 29/1993 in relazione all’art. 3 Cost. nella parte in cui, in deroga all’art. 2103 c.c., prevede che l’esercizio temporaneo di mansioni superiori non attribuisca al dipendente il diritto all’assegnazione definitiva delle stesse.
Il ricorso è infondato.
L’art. 4 della legge n. 312/1980 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato) così recita(va) al comma 10^ (comma abrogato dall'art. 74, D.Lvo 3 febbraio 1993, n. 29;abrogazione confermata dall'art. 72, D.Lvo 30 marzo 2001, n. 165:
“Il personale che ritenga di individuare in una qualifica funzionale superiore a quella in cui è stato inquadrato le attribuzioni effettivamente svolte da almeno cinque anni può essere sottoposto, a domanda da presentarsi entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente legge e previa favorevole valutazione del consiglio di amministrazione, ad una prova selettiva intesa ad accertare l'effettivo possesso della relativa professionalità”.
La prescrizione del termine di 90 giorni era già stata abrogata dall'art. 4, L. 7 luglio 1988, n. 254.
Come si evince dal testo della norma in esame, l’avvio del procedimento di inquadramento in qualifica superiore era subordinato alla seguenti condizioni:
-domanda da parte dell’impiegato;
-valutazione favorevole da parte del consiglio di amministrazione dell’ente;
-sottoposizione a prova selettiva.
A fronte di un così articolato iter procedimentale, l'amministrazione non aveva un preciso obbligo di provvedere sulle istanze di inquadramento, ciò in quanto l'inquadramento dei pubblici dipendenti corrispondeva, alla luce del quadro normativo di riferimento, ad un'attività discrezionale (ancorché di natura tecnica in ordine alla verifica di corrispondenza delle mansioni al profilo professionale o qualifica funzionale) rispetto alla quale non erano ravvisabili diritti soggettivi (al preteso inquadramento) bensì interessi legittimi tutelabili con l'impugnativa o degli atti di inquadramento ritenuti invalidi nel termine di decadenza oppure del rifiuto/silenzio dall’amministrazione opposto all’istanza di inquadramento.
Riprova della natura discrezionale (tecnica) del potere conferito all’amministrazione si ha ove si consideri, sotto altro profilo, che la deliberazione della Commissione paritetica, con la quale furono determinati i criteri concreti che perfezionavano i presupposti della fattispecie dell'inquadramento, venne adottata soltanto il successivo 28 settembre 1988;fu da questa data che l’attività amministrativa divenne priva, a quel punto, di connotati di discrezionalità ed autoritatività fino a quel momento non essendo in grado, l’amministrazione, di ascrivere i dipendenti al profilo professionale corrispondente alla qualifica precedentemente rivestita in base ad atto formale, adottando provvedimenti di inquadramento definitivo dei singoli dipendenti.
Va soggiunto, che nessuna delle due condizioni sopra descritte (valutazione favorevole e sottoposizione a prova selettiva) si era, comunque, verificata perché il ricorrente potesse vantare, in punto di fatto e di diritto, l’azionata pretesa.
Quest’ultima, ad ogni modo, risulta definitivamente sbarrata sia dall’abrogazione dei commi 10 e 11 dell’art. 4, L. n. 312/1980 ad opera dell'art. 74, d.lg. 3 febbraio 1993, n. 29 - abrogazione confermata dall'art. 72, d.lg. 30 marzo 2001, n. 165 – che dal sopravvenuto art. 52 del d. lgs. n. 165/01 (applicabile, ratione temporis, anche alla fattispecie in esame non risultando in atti esaurito il dedotto rapporto) il quale, con disposizione di carattere imperativo ed a regime, stabilisce che “in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore”.
Per quanto sin qui argomentato, la domanda di riconoscimento del diritto al superiore inquadramento è destituita di giuridico fondamento e non può, pertanto, essere accolta.
Parte ricorrente chiede, altresì, ai sensi dell’art. 2103 c.c., il riconoscimento del diritto alla qualifica superiore anche in ragione del consolidamento dell’assegnazione, da parte dell’amministrazione, allo svolgimento di mansioni superiori;quest’ultime assertivamente comprovate, in punto di fatto, dalla scheda relativa all’indagine ricognitiva.
In via gradata, chiede il riconoscimento del maggior trattamento economico ai sensi dell’art. 2126 Cod. civ..
Anche queste domande sono infondate.
I presupposti per il riconoscimento del diritto del pubblico dipendente alla retribuzione per lo svolgimento delle funzioni superiori (Cfr Cons. Giust. Amm. n. 583, del 9/10/02) sono i seguenti:
1) la sostituzione del titolare dell’ufficio da parte dell’inferiore gerarchico deve avvenire in occasione di assenze non temporanee;
2) il posto cui le mansioni si riferiscono deve essere necessariamente vacante o disponibile in pianta organica;
3) l’adibizione a mansioni superiori deve avvenire con incarico promanante dagli organi dell’Amministrazione.
Nel caso in esame, nessuna delle tre condizioni si era verificata nei confronti del ricorrente.
Segnatamente, l’assenza nel caso di specie dei prefati presupposti e circostanze impedisce - per effetto del carattere formale che contrassegna l’organizzazione della p.a., in sintonia con i principi di legalità e di buon andamento - il riconoscimento a fini giuridici e retributivi di pretese fondate su iniziative libere (recte, su atti causalmente nulli per violazione di norme imperative), assunte da soggetti che, seppure interni all’apparato dell’amministrazione, risultano privi della potestà di immutazione dello status del dipendente anziché sulla base di provvedimenti adottati dagli organi istituzionalmente competenti, titolari della potestà organizzatoria dell’ente.
La Sezione, aderendo ad un ormai consolidato insegnamento della giurisprudenza amministrativo, non può che ribadire nell’ambito del pubblico impiego l’irrilevanza, sia ai fini economici che a quelli di progressione di carriera, dello svolgimento da parte del dipendente, ancorché con attribuzione per atto formale, di mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica funzionale posseduta in base al provvedimento di nomina o di inquadramento.
L’attribuzione delle mansioni ed il relativo trattamento economico trovano, infatti, il loro indefettibile presupposto nel provvedimento di nomina o di inquadramento ad eccezione del caso in cui una norma speciale non disponga altrimenti (C. Stato, Ad. Plen. 18.11.1999, n. 22;C. Stato, Ad. Plen. 28.1.2000, n. 10).
In particolare, per quanto concerne la scheda personale relativa all’indagine conoscitiva, la dichiarazione del superiore preposto e le note di qualifica si tratta di atti di natura meramente ricognitiva (il terzo – note di qualifica – neppure allegato al ricorso), non attributivi di status, come tali giuridicamente e fattualmente inidonei, proprio alla luce di quanto sopra esposto, a precostituire il diritto al superiore inquadramento ovvero a percepire le differenze economiche di livello.
Quanto ai due decreti del Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica (datati aprile e settembre 1987), il Collegio ne rileva la loro inattendibilità., sotto il profilo del regime delle presunzioni semplici, a costituire idoneo elemento di prova e/o indiziario circa lo svolgimento delle mansioni superiori.
Con essi, infatti, viene disposta la mera assegnazione provvisoria della ricorrente al Gabinetto del Ministro per lo svolgimento, esattamente, delle funzioni relative alla IV qualifica funzionale (cfr tenore testuale dei due decreti), senza che sia stato allegato dall’interessata il benché minimo principio di prova in ordine allo svolgimento di compiti diversi e superiori rispetto a quelli risultanti per tabulas dai citati documenti.
Il Collegio, dunque, non ravvede motivi per cui discostarsi dal prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale, prima della definitiva privatizzazione del pubblico impiego (ed escluso il campo sanitario), le mansioni superiori non erano di regola riconoscibili sotto il profilo giuridico ed economico (cfr. C.d.s. Sez. V - 21/1/02). Il principio dell'irrilevanza giuridica ed economica dello svolgimento, in tutte le sue forme, di mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego - salvo che tali effetti derivino da un’espressa previsione normativa - è un dato acquisito alla giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.s. IV Sez., 17 maggio 1997 n. 647;C.G.A.R.S. 27 maggio 1997 n. 197;C.d.s. V Sez., 30 aprile 1997 n. 429, 24 marzo 1997 n. 290, 28 gennaio 1997 n. 99;VI Sez., 26 giugno 1996 n. 860 e 10 febbraio 1996 n. 189).
Nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento, infatti, consente la retribuibilità, in via di principio, delle mansioni superiori comunque svolte nel campo dell’impiego alle dipendenze della pubblica amministrazione.
Anzi, dalla disciplina di settore si ricava esattamente un opposto principio: l'art. 33 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 stabilisce, infatti, che il dipendente dello Stato (rectius, impiegato pubblico) ha diritto allo stipendio ed agli assegni per carichi di famiglia « nella misura stabilita dalla legge ».
Neppure può trovare applicazione alla fattispecie l’invocato art. 2126 Cod. civ. in virtù del “principio della prestazione di fatto”.
Ed invero, il prefato articolato disciplina l’ipotesi, affatto diversa, del rapporto di lavoro dichiarato “nullo” (poiché costituitosi in violazione dei divieti legali) attribuendo rilevanza alle prestazioni di fatto comunque effettuate in esecuzione dello stesso: la norma opera, dunque, in funzione di conservazione dei valori giuridici ed economici del negozio colpito da un giudizio di disvalore ordinamentale.
Va soggiunto, che l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita contrasta con il buon andamento e l’imparzialità dell'Amministrazione nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari. Ed invero, la posizione di chi svolge mansioni superiori non può essere assimilata (sotto il profilo giuridico-economico) a quella di colui che il medesimo incarico ricopre sulla base di una qualificazione professionale oggettivamente accertata all’esito di procedure selettive e/o concorsuali (art. 97, comma III, Cost.).
L'affidamento di mansioni superiori a pubblici dipendenti, invece, avviene spesso con criteri che non garantiscono l'imparzialità dell'Amministrazione (A.p. 22/99).
Nell’esercizio dei propri poteri d'organizzazione (art. 97, comma I Cost.) l’amministrazione potrebbe, per esigenze particolari di buon andamento dei servizi, prevedere in sede regolamentare - anche - la possibilità d'assegnazione temporanea di dipendenti a mansioni superiori alla loro qualifica senza, però, diritto a variazioni del trattamento economico (cfr. Ap., dec. 4/9/97, n. 20).
Le considerazioni che precedono inducono a ritenere, concordemente a quanto sostenuto dall’Alto Consesso, che “nell’ambito del pubblico impiego è la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l’assetto rigido della Pubblica amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch’esso, secondo il paradigma dell'art. 97, ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica” (sentenza 22/99, citata).
Pertanto, l’Amministrazione è tenuta a corrispondere la retribuzione propria della qualifica superiore solo quando una norma speciale preveda tale assegnazione e consenta la relativa maggiorazione retributiva (come accade nel campo sanitario – cfr. D.P.R. n. 761/79): circostanza, quest’ultima, che non ricorre affatto nel caso di specie.
In conclusione, il ricorso in esame non è meritevole di accoglimento e va, pertanto, respinto mentre le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.