TAR Palermo, sez. III, sentenza 2015-10-28, n. 201502741
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Testo completo
N. 02741/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00946/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 946 del 2013, proposto da:
Gaetano Cafa', E C, Crocifissa Cafa’, Maria Grazia Cafa’, rappresentati e difesi dall'avv. I E, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. S R sito in Palermo, piazza G. Amendola n. 31;
contro
Comune di Gela in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avv. V I, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M M in Palermo, Via Isidoro La Lumia 11;
per ottenere, previo riconoscimento del diritto
la condanna del Comune di Gela al risarcimento dei danni e alle indennità accessorie, oltre interessi e rivalutazione, derivanti dall’occupazione illegittima del terreno di proprietà dei ricorrenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Gela in persona del Sindaco pro tempore ;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2015 la dott.ssa L M B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Oggetto della controversia è la domanda risarcitoria formulata dai ricorrenti, comproprietari di un terreno sito in Gela, distinto in catasto al foglio di mappa n. 141, particella 420, in relazione alla procedura espropriativa avviata dal Comune intimato e non conclusasi, decorso il termine quinquennale di occupazione legittima del terreno, con l’adozione di un valido provvedimento di esproprio.
I ricorrenti rappresentano che in conseguenza dell’immissione in possesso del terreno, avvenuta a seguito dell’ordinanza n. 407/2004, sono state realizzate opere di urbanizzazione primaria e secondaria e chiedono il risarcimento del danno per la perdita della proprietà del bene, oltre il pagamento dell’indennizzo dovuto per il periodo di occupazione legittima. Fanno presente che, al fine di comporre in via extra-giudiziale la controversia, hanno fatto preliminarmente ricorso a un procedura di conciliazione, non risoltasi positivamente per l’impossibilità di trovare un accordo con il Comune di Gela sul valore del bene oggetto di risarcimento.
Si è costituito in giudizio il Comune di Gela, che ha contestato anche con memoria scritta l’entità della pretesa risarcitoria formulata dai ricorrenti.
Preliminarmente, rileva il Collegio la parziale inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione in ordine alla domanda di condanna al pagamento dell’indennità per il periodo di occupazione legittima.
Invero, costituisce ius receptum il principio che esula dalla giurisdizione amministrativa, per spettare a quella del giudice ordinario, ogni domanda tesa ad ottenere il riconoscimento degli indennizzi per il periodo di occupazione legittima (e, comunque, per ogni altra indennità espropriativa di legge, ivi compresa quella da espropriazione parziale) in relazione alla quale continua a valere a tutti gli effetti la riserva al giudice ordinario disposta dall'art. 53, c. 2, d.P.R. n. 327 del 2001 (ora, art. 133 comma 1, lett. g), c.p.a.).
Per quanto riguarda le ulteriori domande formulate nel ricorso introduttivo, non risulta che il Comune abbia avviato in concreto alcuna attività per l’acquisizione del bene.
Pertanto, in assenza di una determinazione adottata dal Comune sul punto, va dichiarata la sussistenza l’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo l’immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto realizzato.
La realizzazione di un intervento pubblico su un fondo illegittimamente occupato costituisce, infatti, un mero fatto, non idoneo a determinare il trasferimento della proprietà, che può conseguire solo da un formale atto di acquisizione dell’Amministrazione e non anche da atti o comportamenti anche di tipo rinunziativo o abdicativo ( ex plurimis Consiglio di Stato, VI, 10 maggio 2013, n. 2259).
Ciò chiarito, il Collegio deve, tuttavia, interrogarsi sulla valenza e gli effetti dell’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, laddove si stabilisce che, valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
Orbene, come ritenuto nella condivisa decisione della IV sezione del Consiglio di Stato n. 1514 del 16 marzo 2012, tale disposizione regola in termini di autonomia i rapporti tra potere amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di annullamento, consentendo l'emanazione del provvedimento dopo che “sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio” od anche, “durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti citati, se l'amministrazione che ha adottato l'atto impugnato lo ritira”. Ne deriva che ove il giudice, in applicazione dei principi generali, condannasse l'amministrazione alla restituzione del bene, il vincolo del giudicato eliderebbe irrimediabilmente il potere sanante dell'amministrazione (salva ovviamente l'autonoma volontà transattiva delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi avuti a riferimento dal legislatore.
In tale decisione si è, pertanto, condivisibilmente addivenuti alla conclusione che i principi desumibili dalla norma succitata e le possibilità insite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna, ex art. 34 lett. c) c.p.a., impongano una limitazione della condanna all'obbligo generico di provvedere ex art. 42 bis.
La soluzione prospettata ha, recentemente, ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale nella sentenza n. 71 del 30 aprile 2015 che, nel dichiarare la compatibilità con il dettato costituzionale della norma de quo , ha positivamente valutato le soluzioni elaborate finora dalla giurisprudenza amministrativa per reagire all’inerzia della pubblica amministrazione autrice dell’illecito, tra le quali è annoverato il potere del giudice amministrativo di assegnare all’amministrazione un termine per scegliere tra l’adozione del provvedimento di cui all’art. 42-bis e la restituzione dell’immobile.
L’applicazione di tali principi alla fattispecie in esame comporta che, accertata l'assenza di un valido titolo di esproprio, nonché la modifica del fondo e la sua utilizzazione, rimane impregiudicata la discrezionale valutazione in ordine agli interessi in conflitto da parte del Comune intimato, il quale, ove ritenga di non restituire il fondo ai legittimi proprietari previa riduzione nel pristino stato, potrà in via alternativa disporre la sua acquisizione. Qualora decida per l'acquisizione, dovrà liquidare in favore dei ricorrenti il valore venale del bene al momento dell'emanazione del provvedimento, aumentato del 10% a titolo di forfettario ristoro del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale arrecato, nonchè il 5% del valore che l'immobile aveva in ogni anno successivo alla scadenza della occupazione legittima (avvenuta per decorrenza del termine quinquennale dalla immissione in possesso) a titolo di occupazione sine titulo , detratto, ovviamente, quanto già corrisposto a vario titolo alla ricorrente, subordinando, come per legge, l'effetto traslativo all'effettivo pagamento delle somme. L’ultima posta risarcitoria indicata dovrà essere corrisposta anche nel caso in cui l'amministrazione dovesse optare per la restituzione. In quest'ultimo caso, ove le somme già ricevute dai ricorrenti si rivelassero superiori al danno da occupazione, esse dovranno essere restituite per l'eccedenza.
Ai sensi dell'art. 34 lett. c) del c.p.a. è opportuno disporre che il provvedimento, qualunque sia il suo dispositivo, venga emanato entro 60 giorni dalla comunicazione o notificazione della presente decisione;tempestivamente notificato alla proprietaria e trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell'amministrazione procedente, nonchè comunicato alla Corte dei Conti.
In conclusione, il ricorso in parte deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e per la restante parte accolto nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Con riferimento alla parte dichiarata inammissibile va rilevata l’applicabilità dell’art. 11 del cod. proc. amm., laddove si statuisce che quando viene declinata la giurisdizione a favore di quella di altro giudice nazionale (nella specie giudice ordinario), ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia, che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Per quanto riguarda la richiesta formulata dai ricorrenti di restituzione delle spese sostenute per la procedura di mediazione, il Collegio ritiene, atteso l’esito della controversia e la peculiarità del giudizio, che sussistono eccezionali ragioni, ai sensi dell’art. 13, comma 2 del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, per escluderne la ripetizione.