TAR Roma, sez. 5S, sentenza 2024-08-20, n. 202415871
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Pubblicato il 20/08/2024
N. 15871/2024 REG.PROV.COLL.
N. 02335/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2335 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del decreto del Ministro dell’Interno n. K10/-OMISSIS- datato 4 luglio 2019 e notificato in data 14 gennaio 2020, con cui è stata rigettata la domanda di concessione della cittadinanza italiana.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 28 giugno 2024 la dott.ssa Ida Tascone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con l’odierno ricorso parte ricorrente ha impugnato il decreto del 4 luglio 2019 n. K10/-OMISSIS-, con il quale il ministero ha respinto l’istanza presentata in data 7 luglio 2014 volta alla concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9 comma 1 lett. f) della legge n. 91 del 1992.
Per quanto di interesse, il ministero ha denegato il richiesto provvedimento concessorio in ragione dell’assenza del prescritto requisito reddituale, rivelatosi “ inferiore ai parametri di riferimento adottati e in vigore (pari a € 8.263,31 richiesti per nucleo familiare composto da una persona, incrementato fino a € 11.362,05 di reddito imponibile in presenza del coniuge a carico ed in ragione di ulteriori € 516,00 per ogni figlio a carico ”.
Sulla base di tali presupposti - previo rituale espletamento del sub-procedimento disciplinato dall’art. 10 bis della l. n. 241/1990 - il ministero ha denegato il richiesto provvedimento concessorio, in ragione della non coincidenza tra l’interesse del richiedente e quello pubblico all’allargamento della platea della comunità nazionale.
Il decreto è stato quindi gravato con due mezzi gravame (cumulativamente valutabili), nell’ambito del quale il ricorrente ha eccepito la violazione dell’art. 8, comma 2, della legge n. 91 del 1992, essendo decorso il termine biennale previsto per l’esercizio del potere amministrativo esercitato, e il vizio di eccesso di potere ed insufficiente motivazione, in quanto il ministero non avrebbe valutato i redditi effettivamente conseguiti, ciò anche alla luce della circostanza che - in data 24 giugno 2015 - è divenuto socio della Euro Edilizia s.r.l.s., che rappresenta la fonte di reddito dello stesso.
Si è costituito formalmente in giudizio il ministero mediante la difesa erariale.
A seguito dell’ordinanza istruttoria del 28 aprile 2020 n. 3302, il ministero ha depositato documenti e memorie attraverso i quali ha testualmente contestato la ricostruzione fornita dal ricorrente sui propri requisiti reddituali, all’uopo precisando che in sede di presentazione dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana il medesimo ha autocertificato di aver percepito negli anni 2011, 2012 e 2013 redditi, rispettivamente, di € 17.069,26, € 21.830,93 e di € 13.991,05, sennonché le suddette dichiarazioni non sono state confermate dagli accertamenti effettuati presso il sistema Punto Fisco dell’Agenzia delle Entrate.
L’illustrata situazione ha indotto l’amministrazione a valutare negativamente l’istanza e di ciò è stata data comunicazione all’interessato con ministeriale in data 18 febbraio 2019 ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/90.
All’udienza straordinaria del 28 giugno 2024 la causa è stata introitata per la decisione rimanendo, peraltro, non contestati i documenti e le allegazioni prodotti dall’avvocatura erariale.
Il ricorso è infondato.
L’assenza del prescritto requisito reddituale è comprovata in atti e tra le parti ed è sufficiente a fondare il diniego del richiesto provvedimento concessorio, senza che possa assumere portata decisiva la successiva situazione reddituale del ricorrente.
In proposito il Collegio rammenta che – in assenza di una determinazione di una “soglia minima” di reddito mediante una norma di rango primario – il ministero degli interni ha da tempo ritenuto di fissare ex ante dei parametri minimi indefettibili di reddito - in ragione di una valutazione a monte circa la congruità degli stessi a garantire l’autosufficienza economica del richiedente - facendo riferimento a quelli che, ai sensi dell'art. 3 del d.l. 25.11.89 n. 382, consentono di ritenere esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria i titolari di pensione di vecchiaia con reddito imponibile fino a € 8.263,31, incrementato fino a € 11.362,05 di reddito complessivo in presenza del coniuge a carico e in ragione di ulteriori € 516,00 per ogni figlio a carico.
Tale soglia - espressamente richiamata nell’ambito del procedimento al centro del presente giudizio – è stata ritenuta congrua dalla giurisprudenza in materia proprio in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere in modo idoneo e continuativo sé e la famiglia, senza gravare negativamente sulla comunità nazionale (Cons. Stato, sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3958).
Il parametro appena riportato costituisce quindi un requisito minimo indefettibile, per cui l'insufficienza del reddito dichiarato può costituire - ex se - causa idonea a giustificare il diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro (la persistenza di tale situazione è comunque assicurata dal permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo UE).
La legittimità della suddetta valutazione è stata affermata anche dalla giurisprudenza costante in materia, condivisa anche da questa Sezione (Tar Lazio, sez. V bis, n. 1590/22;1698/22;1724/22;sez. I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;6 settembre 2019, n. 10791;Tar Lazio, sez. II quater, 2 febbraio 2015, n. 1833;13 maggio 2014, n. 4959;3 marzo 2014, n. 2450;18 febbraio 2014, n. 1956, 10 dicembre 2013, n. 10647;Cons. Stato sez. I, parere n. 240/2021;parere n. 2152/2020;Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).
Nella fattispecie in esame, il ministero ha comprovato – dovendo anche essere rispettato il carattere della continuità della propria posizione reddituale – l’assenza del requisito reddituale riferita all’anno 2015 dove i redditi dichiarati ammontavano ad € 7.791,00, nel 2016 nulla risultava, nel 2017 risultavano pari a € 331,00, nel 2018 i redditi dichiarati risultavano pari ad € 17.485,00, mentre nel 2019 ammontano ad € 9.249,00.
In proposito, la medesima amministrazione chiariva come per un nucleo composto da 4 persone il reddito complessivo non potesse essere inferiore ad € 12.910,00, essendo presenti una moglie e 3 figli a carico.
Per l’effetto, le generiche considerazioni operate non sono idonee a superare l’elemento ostativo rilevato dall’amministrazione, con conseguente infondatezza del ricorso, il quale deve essere respinto con compensazione integrale delle spese in ragione della peculiarità della lite.