TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2022-11-18, n. 202215299

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2022-11-18, n. 202215299
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202215299
Data del deposito : 18 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/11/2022

N. 15299/2022 REG.PROV.COLL.

N. 13340/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13340 del 2014, proposto da
G M, rappresentato e difeso dall'avvocato L P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Milizie, 114;

contro

Banca D'Italia, in persona del Governatore legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati P C, G L, con domicilio in Roma, via Nazionale, 91;

per l’accertamento

della natura di " fringe benefit " e conseguentemente retributiva dell'alloggio sito in Roma, via Lorenzo il Magnifico n. 114, concesso in locazione al ricorrente dalla Banca D'Italia.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Banca D'Italia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 14 ottobre 2022 il dott. S G C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente è dipendente della Banca d’Italia in forza presso l’Amministrazione centrale con sede in Roma, inquadrato nella carriera operativa con il grado di Coadiutore nel Ruolo Unificato del

CCNL

Banca D’Italia.

In tale qualità, espone di aver preso parte alla procedura – indetta dall’Istituto con comunicazione del 18.11.2004 – di assegnazione di immobili abitativi di proprietà della stessa Banca (domanda del 14.12.2004).

Specifica che la procedura era rivolta a “ dipendenti della banca in attività di servizio (anche se a contratto) che prestino stabilmente la loro opera presso le strutture organizzative dell'amministrazione centrale o presso le filiali di Roma ovvero che siano trasferiti in via definitiva con esplicito provvedimento dell'Istituto ”.

Precisa che il regolamento per l’assegnazione degli alloggi (03.06.2004), prevedeva che: " i dipendenti in servizio possono richiedere soltanto alloggi che siano ubicati nella città ove essi prestino stabilmente la loro opera ovvero vi siano stati trasferiti con provvedimento dell'Istituto ".

Conseguito l’alloggio nel 2005 (immobile sito in Roma alla Via Lorenzo il Magnifico), sottoscriveva il contratto di locazione ad uso abitativo in data 01.04.2005, per importo annuo concordato in euro 7.896,00 – pari a rate mensili di euro 658,00 - con durata di anni 4 (inizio 01.04.2005 e termine il 31.03.2009), rinnovabile per un periodo di anni quattro in assenza di esercizio – da parte del locatore – della facoltà di diniego di rinnovo ai sensi e con le forme di cui all’art. 3 della l. n. 431/1998.

La Banca inviava al ricorrente disdetta del contratto in data 27.07.2012, contestata dal ricorrente con raccomandata AR del 21.01.2013, nella quale rappresentava che l’attribuzione al dipendente dell’alloggio costituiva una componente della retribuzione in quanto connessa al rapporto di lavoro ed alla posizione lavorativa dello stesso assegnatario.

All’esito di ulteriore corrispondenza intercorsa tra le parti, l’assegnatario odierno ricorrente adiva il Tribunale Ordinario di Roma (nr. RG 29912/13) per “ i) sentir dichiarare la natura di fringe benefit dell'alloggio concessogli dalla Banca d'Italia, la natura retributiva del godimento dell'alloggio e la conseguente computabilità ai fini del calcolo del TFR;
ii) veder condannare la convenuta al pagamento di un'indennità mensile compensativa o sostitutiva del valore equivalente al canone di locazione mensile di euro 736,13 e, a decorrere dal maggio 2013, pari al controvalore dell'indennità di occupazione di euro 744,96 mensili, ovvero all'importo ritenuto di giustizia;
iii) veder condannare la convenuta al pagamento delle spese di trasloco, dell'agenzia per il reperimento di un nuovo alloggio in locazione e del valore degli arredi acquistati su misura per l'alloggio, da quantificarsi in corso di causa mediante CTU
”.

Il Tribunale dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con sentenza n. 3149 del 20.03.2014.

L’odierno ricorrente ha quindi riproposto il giudizio nella odierna sede, ma non già in applicazione dell’art. 11 del c.p.a., bensì in via autonoma, essendosi nel frattempo verificati fatti sopravvenuti che, nelle more, hanno mutato la fattispecie controversa.

Riferisce, in tal senso, che Banca d’Italia, nell’esecuzione del contratto di locazione, continuava, dopo la disdetta, a trattenere mensilmente dalle competenze del sig. Maddaloni le somme corrispondenti al canone di locazione e degli oneri accessori.

Inoltre, l’Istituto procedeva al rinnovo del contratto di locazione per ulteriori quattro anni, giusta registrazione effettuata in data 18.11.2013, contraddittoriamente richiedendo, in data 20.11.2013, che fosse notificata al Sig. Maddaloni l'intimazione di sfratto, che non iscriveva al ruolo generale del Tribunale competente.

Con decorrenza 01.01.2014, la Banca d'Italia trasferiva la proprietà dell'immobile locato alla società SIDIEF S.p.a., di cui detiene la totalità delle partecipazioni e, suo tramite, il controllo dell'immobile, provvedendo alla comunicazione di tale operazione in data 29.11.2013.

Il Sig. Maddaloni veniva a conoscenza della registrazione del contratto di locazione solo in data 11.2.2014, con fattura emessa dalla società SIDIEF, per l'addebito pro quota della relativa imposta.

Secondo il ricorrente, quindi, la resistente avrebbe convenuto sulla spettanza dell’alloggio all’assegnatario, non potendosi configurare più alcuna fattispecie di occupazione senza titolo.

Cionondimeno, il ricorrente si duole che Banca d’Italia non abbia proceduto all’inquadramento dell’alloggio nella categoria dei “fringe benefit”, da ciò derivando per il ricorrente stesso conseguenze pregiudizievoli a livello economico sulle quali si diffonde.

A tal fine chiede che questo TAR, nell’esercizio della sua giurisdizione esclusiva in materia di pubblico impiego non contrattualizzato, proceda all’accertamento ed alla declaratoria di “fringe benefit” dell’alloggio meglio identificato in atti, per articolate ragioni in diritto.

Deduce che la natura di “fringe benefit” della locazione discenderebbe dalla circostanza che il ricorrente stesso, a fronte del pagamento all’Istituto di un canone notevolmente inferiore a quello di mercato, può usufruire dell’immobile oggetto di contratto;
tale condizione è intimamente connessa alla posizione lavorativa del ricorrente, come confermerebbe la disciplina regolamentare speciale in vigore (tra cui il presupposto che gli appartamenti possono essere richiesti da dipendenti in servizio nella città dove hanno l’effettiva residenza;
che l’assegnazione avviene su punteggi alcuni legali alla sfera familiare del dipendente, altri in base alla posizione lavorativa, come l’anzianità di servizio, il trasferimento d’ufficio, la riassegnazione dell’alloggio dopo un periodo di aspettativa per assunzioni di impiego all’estero);
nel contratto di affitto è stato pattuito che: " il conduttore dichiara che l'appartamento sarà adibito ad abitazione ed effettiva residenza propria e delle persone con lui attualmente conviventi " (cfr. art. 2 comma 1 contratto di locazione) e che: " l'immobile viene concesso in locazione ad uso esclusivo di abitazione con espresso divieto di ogni altra destinazione. Il cambiamento della destinazione convenuta, anche se parziale, comporta la risoluzione di diritto del presente contratto ai sensi dell'art. 1456 e.e. " (cfr. art. 2 comma 4 contratto di locazione).

Deporrebbe nel senso indicato dal ricorrente anche il peculiare ruolo della Commissione deputata all’assegnazione degli alloggi, che è composta anche da rappresentanti del personale designati dalle OOSS.

Tali relazioni implicherebbero la superfluità di una previsione contrattuale ad hoc .

Si sofferma poi sulle conseguenze dell’inquadramento della locazione entro il novero dei c.d. “fringe benefit”, per evidenziare come l’interesse ad ottenere tale accertamento presenta conseguenze in ordine alla posizione reddituale, previdenziale e di trattamento di fine rapporto.

Si è costituita Banca d’Italia che resiste al ricorso del quale chiede il rigetto.

Ritualmente chiesta e sollecitata la fissazione dell’udienza da parte del ricorrente (02.12.2015;
14.03.2016;
17.10.2018;
07.11.2019) anche ai fini di cui all’art. 82 bis del c.p.a. (01.12.2021), le parti hanno scambiato memorie e documenti.

Riferisce Banca d’Italia (memoria del 7.9.2022) che il ricorrente ha stipulato con la SIDIF contratto di locazione (4 anni rinnovabile) in data 9.3.2017 (tutt’ora in corso, con scadenza attuale al 2025);
sarebbe sorta una nuova fattispecie negoziale che renderebbe privi di rilievo gli argomenti del ricorrente (stante la natura privata della SIDIF e la sua diversità dal datore di lavoro);
non potrebbe in ogni caso riconoscersi, nel rapporto locativo originario, la natura di “fringe benefit” in quanto esso non era (e non risulta a tutt’oggi) previsto nel contratto di lavoro.

Il Regolamento del personale di Banca d’Italia non contempla alcuna norma che preveda la possibilità o l’obbligo per l’Istituto di riconoscere al dipendente, in tutto o in parte, una retribuzione in natura mediante la concessione in godimento per finalità abitative di un immobile.

Tutte le componenti della retribuzione dei dipendenti della Banca d’Italia, incluso quindi il sig. Maddaloni (Coadiutore principale ex art. 3 del Regolamento del Personale doc. 9a), sono indicate negli artt. 110 - 131 del Regolamento del Personale (doc. 9b): esse riguardano voci costituenti corrispettivi, premi, indennità, assegni, maggiorazioni (prestazioni notturne etc.) e speciali compensi (lavoro straordinario (art. 120), specifici compiti (art. 131), tutti erogati, per disposizione espressa, in danaro, con le modalità di cui all’art. 111 Reg. cit.

Unica eccezione era costituita dall’assegnazione ai custodi (personale inquadrato nei servizi generali e di sicurezza) degli alloggi di servizio, con obbligo di alloggiarvi per assicurare la sicurezza degli accessi e la sorveglianza dei locali (non era previsto un canone di locazione);
istituto abrogato dal 1.1.2009 in esito a specifici accordi sindacali (26.11.2008).

Inoltre, Banca d’Italia afferma l’inesistenza di connessioni tra la posizione lavorativa del Sig. Maddaloni e il godimento dell’immobile, salva la circostanza che egli, in quanto dipendente dell’Istituto ha potuto partecipare ad apposita procedura di gara;
l’assegnazione di alloggi in locazione ai dipendenti e ai pensionati della Banca d’Italia risulta, invece, disciplinata in appositi regolamenti che sono stati emanati dalle competenti strutture della Banca stessa nel 2004 e nel 2012 (docc. nn. 11 e 12): essa non costituirebbe una modalità di erogazione o di adeguamento della retribuzione, mediante soddisfazione in natura delle esigenze abitative del dipendente, bensì una modalità per porre a reddito gli immobili di proprietà della Banca d’Italia, che fanno parte degli “accantonamenti a garanzia del trattamento di quiescenza del personale” (doc. citt.) e sono dati in godimento, a titolo di locazione, ai dipendenti e pensionati dell’Istituto.

L’estraneità della disciplina dettata per l’assegnazione degli immobili in locazione rispetto a quella del rapporto di impiego con la Banca emergerebbe dal fatto che l’immobile di via Lorenzo il Magnifico in Roma, locato al ricorrente, fa parte di un asset immobiliare ‘a reddito’, interamente conferito dalla Banca d’Italia alla società per azioni SIDIEF, secondo quanto comunicato agli inquilini con la citata nota del 29 novembre 2013.

A ulteriore prova dell’insussistenza del nesso funzionale tra rapporto di impiego e attribuzione dell’alloggio evidenzia l’Istituto come non tutti i dipendenti in attività di servizio e i pensionati della Banca abbiano diritto a godere di un alloggio di proprietà dell’Istituto, ma siano soltanto ammessi a partecipare ad apposita procedura di selezione per l’ottenimento in locazione dell’immobile, con richiesta scritta in cui provino di versare in particolari situazioni personali e reddituali, previamente stabilite (del tutto eterogenee tra loro, che devono essere verificate dall’apposita Commissione istituita per l’assegnazione, quali il numero dei familiari conviventi, il reddito annuale complessivo, l’anzianità di servizio, il trasferimento d’ufficio, la riassegnazione dopo un periodo di aspettativa per assunzione di impegni all’estero, la prima destinazione in sede di assunzione, l’assenza, a determinate condizioni, di immobili in proprietà, l’intimazione di sfratto, la separazione legale del coniuge, la situazione di handicap e così via, cfr. Reg. del 2004, lettera c), art. 1 – 10 e Reg. del 2012, lettera c), art. 22, lett. a)-h), docc. 11 e 12 citt.).

Osserva, infine, l’Istituto che gli immobili non assegnati all’esito di due gare consecutive sono concessi in locazione non più a dipendenti né pensionati dell’Istituto, bensì a terzi (art. 12 del Reg. del 2004 e art. 14 del Reg. del 2012), il che renderebbe ulteriormente evidente come il godimento degli immobili anzidetti non sia necessariamente connesso al rapporto di impiego con la Banca, ma al corrispettivo negoziale in quanto tale.

Peraltro, quest’ultimo non sarebbe “notevolmente” inferiore ai canoni di mercato: nel contratto di locazione (stipulato il 1° aprile 2005) il canone annuo veniva convenuto in € 7.896,00, pari a rate mensili di € 658,00 a fronte del godimento di un appartamento di tre stanze ed accessori;
con il contratto attualmente in vigore tale importo è stato anche aumentato a € 8.946,92 annuali e € 745,68 mensili oltre rivalutazione (art.4, comma 2, doc. 8 cit.).

Anche in materia tributaria l’art. 51, comma 4, lettera c del TUIR (D.p.R.917/86) prevede espressamente i requisiti in base alla quale canoni di locazione modesti possano far ritenere che la concessione dell’immobile abbia natura retributiva. Al riguardo, infatti, si prevede che debba considerarsi ‘reddito’ ‘la differenza tra la rendita catastale del fabbricato aumentata di tutte le spese inerenti il fabbricato stesso, comprese le utenze non a carico dell'utilizzatore e quanto corrisposto per il godimento del fabbricato stesso.

Visto che la rendita catastale relativa all’immobile in via Lorenzo il Magnifico in Roma è pari a euro 1477,07, questa, divisa per 12 mensilità, corrisponde ad un importo mensile di 118 euro che, anche se incrementato da eventuali spese, è ben lontano dal canone mensile pattuito e pagato dal ricorrente. Il corrispettivo della locazione è, inoltre, fissato dall’Istituto (ora SIDIF) in base alla tipologia ed ubicazione dello stesso, in linea con lo scopo sotteso all’assegnazione degli alloggi di cui si tratta, che è quello, come detto, di produrre reddito che viene destinato agli accantonamenti a garanzia per il trattamento di quiescenza del personale della Banca, restando con ciò escluso che possa avere carattere meramente simbolico. Si sofferma, da ultimo, sull’erroneità del calcolo del beneficio in termini di fringe benefit ai fini della retribuzione e della posizione fiscale e contributiva del ricorrente.

Parte ricorrente ha replicato con memoria del 23.09.2022, insistendo nell’accoglimento del gravame.

Nella pubblica udienza straordinaria del 14 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.

In linea di principio, nella giurisprudenza gius-lavoristica si considera “fringe benefit” ogni prestazione “collegata” al rapporto di lavoro, ma non finalizzata alla esecuzione della prestazione lavorativa, bensì alla soddisfazione di esigenze personali del lavoratore (Tribunale , Siena , sez. lav. , 30/10/2020 , n. 190, in materia di alloggio;
Tribunale , La Spezia , 16/07/2019 , n. 256, secondo cui “ il fringe benefit si definisce un vantaggio accessorio dato dal datore di lavoro al lavoratore sulla scorta di determinati accordi e che, pertanto, in tale categoria può rientrare la stipula di un’assicurazione a favore dei dipendenti ”;
cfr. anche Tribunale , Milano , sez. lav. , 06/05/2014 , n. 1449, secondo cui “ l'uso promiscuo dell'auto aziendale costituisce un fringe benefit costitutivo della retribuzione fondamentale del dipendente (nella specie, di società partecipata dall'ente locale), sicché la richiesta di restituzione del veicolo da parte del datore di lavoro non può comportare la riduzione del trattamento economico, stante il principio di irriducibilità della retribuzione ”) che concorre, come tale, a determinare la base imponibile ai fini delle imposte sul reddito (cfr. Comm. trib. reg. , Campobasso , sez. II , 05/11/2015 , n. 353, in materia di sconto sulla bolletta elettrica da parte dell’ENEL ai propri dipendenti, anche in pensione - Comm. trib. prov.le , Modena , sez. II , 20/01/2011 , n. 21, considerata come “fringe benefit”).

Secondo alcune indicazioni che sin rinvengono nella giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale di Firenze , 26/01/2007) “ il “fringe benefit” concesso dall’azienda al dipendente è remunerazione che fa parte della retribuzione lavorativa (quantificato forfetariamente in busta paga) e si sostanzia normalmente nella concessione in uso personale, ma non esclusivo, di un bene. Pertanto il contributo prestato dal dipendente per l’acquisto del bene non è elemento sufficiente, da solo, per ritenerlo comproprietario del bene stesso e, in caso di revoca del “fringe benefit”, il dipendente non potrà essere qualificato, in ragione della sua partecipazione all’acquisto del bene, come un comproprietario pro-quota, con conseguente applicazione della normativa sullo scioglimento della comunione dei beni comuni ex art.1111, 1116 c.c ”.

Tuttavia, nell’odierna fattispecie, tali orientamenti non sorreggono l’azione del ricorrente.

Invero, nel regime di pubblico impiego non contrattualizzato (soggetto al principio di tipicità della causa del contratto, connotata da un regime di supremazia speciale) affinchè una determinata prestazione da parte del datore di lavoro nei confronti di propri dipendenti possa considerarsi “fringe benefit” è necessario il concorso di due elementi qualificanti, ossia la sussistenza di un nesso causale diretto tra il servizio prestato ed il beneficio assentito (nei termini tali da considerare quest’ultimo come retribuzione in natura);
e la previsione di tale beneficio, in termini di controprestazione, nella struttura contrattuale del rapporto.

Quanto al primo aspetto, il collegamento (sinallgmatico) tra beneficio e prestazione lavorativa comporta una serie di conseguenze, ovvero che l’erogazione del premio deve essere sensibile all’inadempimento completo o parziale della prestazione (ciò implicherebbe una sorta di diritto di rilascio dell’immobile in locazione in caso di inadempimento o scarso rendimento della prestazione lavorativa da parte del dipendente, che non è compatibile con la locazione ordinaria, così come sottoscritta tra le parti);
la qualificabilità della prestazione come “ datio in solutum ” di uno o più elementi di tipo negoziale (ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2099, comma 3 del cod.civ.), che discende dalla natura retributiva dell’assegnazione del bene, ovvero la corrispondenza (stabilita ex ante o comunque accertabile sulla base di elementi di fatto scaturenti dal contratto di lavoro, singolo oppure aziendale) ad elementi patrimoniali della prestazione a carico del datore di lavoro (dei quali la datio possa considerarsi solutoria) che può essere denotata dalla natura gratuita della prestazione che ha ad oggetto l’assegnazione del beneficio (come nel caso di un’assegnazione gratuita di un cespite aziendale o a prezzi solo simbolici);
infine, l’uniformità dell’assegnazione del bene a tutti i dipendenti nelle medesime condizioni di fatto e di qualifica che definiscono la prestazione lavorativa alla quale l’assegnazione del bene è collegata come elemento retributivo o comunque la selezionabilità degli stessi in forza di strumenti o parametri di tipo lavorativo o comunque collegati alla prestazione ed al rendimento.

In mancanza di tali elementi, la fattispecie nella quale il datore di lavoro pubblico eroga prestazioni in natura a favore di propri dipendenti finalizzata a consentire la soddisfazione di loro esigenze o bisogni personali (quindi non direttamente correlati allo svolgimento delle mansioni) può ancora risultare caratterizzata da un collegamento negoziale (anche se non funzionale) tra il contratto di lavoro e l’assegnazione (come ad esempio nel caso di mutui agevolati), ma solo laddove esso risulti causalmente giustificato in maniera essenziale dal vantaggio derivante all’impresa (o all’Ente pubblico) dal c.d. “welfare” aziendale, ossia da quella incrementalità specifica della produttività derivante (non già dalle condizioni e dall’organizzazione dei fattori produttivi, ma) dal benessere dei dipendenti o loro congiunti (quindi non già ispirata da fini di mera filantropia o di liberalità in quanto tale).

Nel caso di specie, non si rinviene nessuna delle suddette condizioni.

Invero, l’assegnazione in locazione di un immobile (già) di proprietà dell’Istituto (poi di proprietà di un Ente comunque strumentale) scaturisce da una procedura selettiva interna, affidata, tra i diversi criteri, ad elementi attinenti la condizione soggettiva del prestatore d’opera e del suo nucleo familiare, quindi indipendenti dalla prestazione lavorativa in sé, tant’è che non è prevista la decadenza o la revoca della locazione in casi di inadempimento della prestazione di lavoro (come accennato);
il riferimento al rapporto lavorativo è dunque estraneo all’assetto causale e funzionale del negozio, risolvendosi solo in un criterio di legittimazione soggettiva alla partecipazione alla procedura di assegnazione.

In altri termini, il rapporto di lavoro non è causa, ma solo occasione (non essenziale) dell’assegnazione dell’unità abitativa al ricorrente (infatti gli immobili in esame sono stati locali anche ad altri soggetti non appartenenti al personale dell’Istituto).

Se ne deve trarre la conclusione che sono fondate le eccezioni e gli argomenti difensivi della difesa di Banca d’Italia, anche come meglio articolate in atti e riassunte in parte narrativa, che il Collegio condivide ed alle quali può rinviare per quanto qui non espressamente trattato o riproposto, non essendo contraddette dalle repliche formulate dalla difesa del ricorrente, sostanziandosi queste ultime solo nella sostanziale riproposizione delle censure già articolate.

In particolare, deve condividersi la deduzione difensiva di Banca d’Italia secondo cui l’assegnazione in locazione dell’immobile al ricorrente è sorretta da una causa autonoma dal rapporto di lavoro, che risponde ad un interesse dell’Istituto costituito dalla messa a rendita del proprio patrimonio immobiliare ed all’interesse dell’assegnatario di reperire un alloggio a condizioni convenienti (per posizione e per valore);
va dunque escluso che il cespite sia assegnato a titolo gratuito o a prezzi notevolmente inferiori al valore di mercato, tanto da poter configurare un negozio prevalentemente gratuito o a causa mista che potrebbe porre un problema di qualificazione del godimento dell’immobile come parte della controprestazione lavorativa;
correttamente l’Istituto rimarca come nel contratto stipulato dal sig. Maddaloni, il prezzo della locazione abbia effettivamente natura di corrispettivo per il godimento del cespite e non costituisce una controprestazione meramente simbolica.

Il ricorso va respinto, sebbene con giuste ragioni, rese palesi dall’esposizione che precede, per disporre la piena compensazione delle spese di lite tra le parti.

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