TAR Venezia, sez. II, sentenza 2017-07-18, n. 201700692

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. II, sentenza 2017-07-18, n. 201700692
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201700692
Data del deposito : 18 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2017

N. 00692/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00880/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 880 del 2016, proposto da:
P S e G S, rappresentati e difesi dagli avvocati R B e M A, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. C G in Venezia - Mestre, via Einaudi, 15;

contro

Comune di Arzergrande, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato V D, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F Z in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22;

nei confronti di

Regione Veneto non costituito in giudizio;

per l'annullamento

- della d. C.C. n. 28 del 30/04/2016 recante "approvazione variante parziale n. 6 al vigente piano degli interventi", nella parte in cui assoggetta a contributo straordinario nonchè a decadenza quinquennale l'edificabilità ivi riconosciuta al mappale n. 1290 del foglio 4 di proprietà dei ricorrenti;

- della d. C.C. n. 29 del 30/04/2016 recante "determinazione del contributo straordinario ai sensi dell'art. 16, comma 4 lett. d-ter del DPR 380/2001;

- della nota prot. n. 3249 del 9/05/2016 recante "comunicazione di inizio procedimento amministrativo art.

7-8 L. 241/1990" e contestuale comunicazione dell'attribuzione ai terreni della natura di "area fabbricabile" ai sensi dell'art. 31, comma 20 legge 289/2002, in quanto impositiva di contributo straordinario e di decadenza quinquennale a carico del mappale n. 1290 del foglio 4, di proprietà dei ricorrenti;

- dell'atto che prevede "che decorsi cinque anni dall'entrata in vigore della variante urbanistica di localizzazione dei lotti a volumetria predefinita e le costruzioni esistenti non più funzionali all'esigenza dell'Azienda Agricola individuate negli elaborati grafici del PI in scala 1:5000 decadano le previsioni relative all'edificabilità di quei lotti ed edifici per cui non sia stata presentata richiesta di permesso di costruire o nel caso in cui il permesso di costruire non sia stato rilasciato entro sei anni dall'entrata in vigore della medesima variante urbanistica ai sensi del comma 11°, art. 46 Norme Tecniche Operative del Piano degli Interventi";

- della d. C.C. n. 3 del 15/02/2016 recante "adozione variante parziale n. 6 al vigente piano degli interventi";

nonché per l'accertamento:

a) dell'insussistenza dei presupposti per assoggettare gli interventi relativi al mappale n. 1290 del foglio 4, di proprietà dei ricorrenti, al versamento del contributo straordinario ex art. 16, comma 4, lett. d-ter DPR 380/2001;

b) del fatto che l'edificabilità "diretta" del mappale n. 1290 del foglio 4 non è soggetto a decadenza alcuna.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Arzergrande;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2017 il dott. S M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I ricorrenti sono proprietari di un terreno nel Comune di Arzergrande il quale, per effetto del piano regolatore approvato con deliberazione della Giunta regionale n. 3287 del 6 giugno 1989, è stato interessato da un vincolo preordinato all’esproprio per la realizzazione di attrezzature scolastiche decaduto e successivamente più volte reiterato.

I ricorrenti con istanza del 24 luglio 2015 hanno presentato una domanda di riclassificazione dell’area affinché la stessa fosse qualificata come edificabile.

Tale istanza è stata accolta dal Comune che, con deliberazione consiliare n. 28 del 30 aprile 2016, ha approvato una variante al Piano degli interventi, estendendo alla predetta area la limitrofa zona territoriale omogenea C1/23, localizzando entro la stessa di circa 1855 mq due lotti con una volumetria predefinita di 800 mc per ciascuno, subordinando tuttavia l’intervento al pagamento del contributo straordinario previsto dall’art. 16, comma 4, lett. d-ter), del DPR 6 giugno 2001, n. 380, aggiunto dall’art. 17, comma 1, lettera g), del decreto legge 11 settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164, come determinato dalla deliberazione del Consiglio comunale n. 29 del 30 aprile 2016, e prescrivendo che, in caso di mancata richiesta del rilascio del permesso di costruire entro il termine di cinque anni dall’entrata in vigore della variante, la previsione di edificabilità sarebbe decaduta.

I ricorrenti, ritenendo che all’area dovrebbe essere riconosciuta una maggiore volumetria come zona territoriale omogenea di tipo B di completamento perché in posizione centrale del paese, direttamente confinante con una strada pubblica, e già dotata di tutte le urbanizzazioni, con il ricorso in epigrafe contestano l’edificabilità prevista dal Comune, l’assoggettamento al versamento del contributo straordinario di urbanizzazione e la previsione della decadenza entro il quinquennio in caso di mancata attuazione per le seguenti censure:

I) illegittimità della pretesa di versamento del contributo straordinario di urbanizzazione per illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter), e comma 5, del DPR 6 giugno 2001, n. 380, aggiunto dall’art. 17, comma 1, lettera g), del decreto legge 11 settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164, per contrasto con gli artt. 3, 23, 42 e 117 della Costituzione e dell’art. 1 della Convenzione EDU;

II) violazione dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter) del DPR 6 giugno 2001, n. 380, carenza di presupposto, difetto di istruttoria e di motivazione nonché contraddittorietà perché nel caso di specie difetta il presupposto richiesto dalla norma per l’applicazione del contributo straordinario, in quanto, trattandosi di zona bianca a causa di un vincolo decaduto, il riconoscimento dell’edificabilità non consegue propriamente ad una variante rispetto ad una precedente previsione, ma equivale ad una prima attribuzione dell’edificabilità;

III) violazione, sotto altro profilo, dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter) del DPR 6 giugno 2001, n. 380, dell’art. 3 della Cost. e dell’art. 42 del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267, irragionevolezza e disparità di trattamento in ordine all’ammontare del contributo straordinario, perché la relativa deliberazione consiliare dispone che la determinazione del contributo venga fissata volta per volta dal Responsabile del settore edilizia, attribuendogli un potere che dovrebbe essere esercitato dal Consiglio stesso in via generale ed astratta;

IV) violazione dell’art. 18, comma 7 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, sviamento, difetto di istruttoria e di motivazione, ed insussistenza di presupposto relativamente alla previsione di una decadenza in caso di mancata attuazione dell’intervento nel quinquennio, propria delle zone di espansione, nonostante l’area già urbanizzata per una corretta classificazione richieda il riconoscimento dell’edificabilità propria della zona B, dato che, in base al DM 2 aprile 1968, n. 1444, la classificazione delle aree è ancorata a precisi parametri, e non è rimessa all’arbitrio dei Comuni;

V) violazione dell’art. 24 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, dell’art. 2 del DM 2 aprile 1968, n. 1444, difetto di motivazione ed illogicità perché nel vigente sistema di classificazione urbanistica delle aree non è più contemplata, secondo il tradizionale zoning, la zona C;

VI) violazione dell’art. 18, comma 7, del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267, degli artt. 2 e 39 del Dlgs. 14 marzo 2013, n. 33, difetto di motivazione ed illogicità perché viene prevista un’ulteriore e non meglio specificata ipotesi di decadenza.

Si è costituito in giudizio il Comune di Azergrande replicando alle censure proposte e concludendo per la reiezione del ricorso.

Alla pubblica udienza del 15 giugno 2017, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Con il primo motivo la parte ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter), e comma 5, del DPR 6 giugno 2001, n. 380, aggiunto dall’art. 17, comma 1, lettera g), del decreto legge 11 settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164, per contrasto con gli artt. 3, 23, 42 e 117 della Costituzione e dell’art. 1 della Convenzione EDU.

Il Collegio, tenuto conto degli argomenti proposti, ritiene manifestamente infondate le questioni sollevate.

In sostanza la parte ricorrente sostiene che vi è violazione dell’art. 23 della Costituzione che prevede una riserva di legge in materia di prestazioni imposte perché viene demandato al Consiglio comunale il compito di determinare, in via transitoria fino all’intervento normativo della Regione in modo sostanzialmente arbitrario e autonomo, l’ammontare di un tributo.

La norma di legge, in quest’ottica, sarebbe costituzionalmente illegittima perché non detta i parametri per la sua quantificazione.

Sotto un’ulteriore profilo, la norma violerebbe l’art. 3 della Costituzione perché lascerebbe l’arbitrio di stabilire l’acquisizione da parte dell’Amministrazione dell’intero plusvalore, o di lasciarlo per intero al privato, in ciò comportando una ingiustificata disparità di trattamento.

Inoltre un ulteriore profilo di incostituzionalità sarebbe da rinvenire nell’attestazione dell’interesse pubblico prevista dalla norma, che viene correlato non, come sarebbe logico, alla cura degli interessi di tipo urbanistico volti ad assicurare un logico e razionale assetto del territorio, ma a procurare un introito alle casse del Comune.

Infine, secondo la parte ricorrente, deve parimenti ritenersi incostituzionale la previsione di poter destinare i contributi alla realizzazione di standard urbanistici in qualunque parte del territorio comunale anziché in prossimità dell’intervento, facendo venir meno il nesso di compensazione territoriale che connota gli oneri di urbanizzazione.

Tali rilievi non possono essere condivisi.

Sul punto va premesso che con l’art. 17, comma 1, lettera g), del decreto legge 11 settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164 (c.d. “sblocca Italia”), il legislatore ha realizzato un’integrazione delle norme sugli oneri di urbanizzazione volta “al recupero del patrimonio edilizio esistente e alla riduzione del consumo di suolo” (così testualmente il primo alinea dell’art. 17, comma 1, cit.), prevedendo incentivi economici in termini di minori oneri per i casi di ristrutturazione, e disincentivi in termini di maggiori oneri per gli interventi di nuova edificazione che, conseguendo ad una variante urbanistica in deroga o con cambio di destinazione d’uso, comportino consumo del suolo.

Che tale sia la finalità della legge è reso palese dalle modifiche apportate all’art. 16, comma 10, secondo periodo, del DPR 6 giugno 2001, n. 380, dove è stata aggiunta la previsione secondo cui “al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni”.

La norma, alla luce della ratio volta a ridurre progressivamente il consumo di suolo non ancora urbanizzato, in una comparazione tra gli interessi privati e la tutela di beni di sicuro rilievo costituzionale quali l’ambiente ed il paesaggio, appare pertanto rientrare nell’ambito della discrezionalità del legislatore senza che emergano profili di violazione dei principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Quanto al contenuto normativo della disposizione, va osservato che, come è noto, il contributo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale di natura impositiva qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico che trova la propria ratio giustificatrice nell'incremento patrimoniale e nei benefici che il titolare del titolo edilizio ritrae dall’intervento, avvantaggiandosi delle urbanizzazioni già presenti.

Trattandosi di una prestazione patrimoniale imposta la determinazione del contributo di costruzione deve pertanto necessariamente avvenire in base a norme di legge ai sensi dell’art. 23 della Costituzione.

La norma in esame, conformemente a tutte le altre norme che riguardano la determinazione del contributo di costruzione (sia nella sua componente del costo di costruzione che in quella degli oneri di urbanizzazione), detta disposizioni che si limitano a delineare i criteri direttivi e le linee generali che disciplinano e circoscrivono la discrezionalità amministrativa e necessita di un intervento di integrativo dettaglio della Regione o dei singoli Comuni per poter essere in concreto applicata.

Infatti la norma individua in modo sufficientemente preciso il fatto rivelatore di capacità contributiva nel “maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso”, circoscrive i criteri in ordine al quantum laddove afferma che “tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest'ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario” e, contrariamente a quanto afferma la parte ricorrente, non è vero che ammette l’utilizzo da parte del Comune delle risorse così ricavate in qualsiasi parte del territorio, ma espressamente precisa che il versamento finanziario è “vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche”.

A giudizio del Collegio una siffatta disciplina pur non raggiungendo un livello di dettaglio sufficiente ad essere autoapplicativa e pur necessitando di un’attività integrativa da parte della Regione e dei Comuni, rispetta comunque la sopra menzionata riserva relativa di legge di cui all’art. 23 della Costituzione in quanto consente di individuare gli elementi fondamentali ed essenziali della prestazione dovuta circoscrivendo sufficientemente le potestà pubblicistiche di carattere applicativo

L’attività integrativa demandata alla Regione e ai Comuni caratterizza infatti tutte le norme che disciplinano il contributo di costruzione, sia nella componente del costo di costruzione che in quella degli oneri di urbanizzazione, perché i Comuni per poter applicare tali norme devono sempre adottare regolamenti, deliberazioni di dettaglio o specifici criteri applicativi (volti a stabilire, ad esempio, l'incidenza degli oneri di urbanizzazione in base alle tabelle parametriche previste dalla Regione o in quale percentuale del costo documentato di costruzione debba essere applicata la componente relativa al costo di costruzione: cfr. artt. 16 e 19 del DPR 6 giugno 2001, n. 380) e, come è stato affermato nella giurisprudenza della Corte Costituzionale “è pur possibile che i criteri direttivi, di natura oggettiva o tecnica, atti a vincolare la determinazione quantitativa dell'imposizione, si desumano dall'insieme della disciplina considerata e ciò può verificarsi, in particolare, quando la prestazione imposta costituisca il corrispettivo di un'attività il cui valore economico sia determinabile sulla base di criteri tecnici, e il corrispettivo debba per legge essere determinato in riferimento a tale valore” (cfr. sentenze 9 aprile 1969, n. 72;
5 maggio 1988, n. 507;
15 maggio 2015, n. 83).

Le questioni di costituzionalità sollevate appaiono pertanto manifestamente infondate.

Per completezza va soggiunto che eventuali profili di incostituzionalità per la mancata fissazione di un limite massimo dell’aliquota del contributo straordinario, che il legislatore fissa nella misura non inferiore al 50 per cento del maggior valore generato dall’intervento senza indicare la misura massima, è priva di rilevanza nella fattispecie in esame, atteso che il Comune si è attenuto a quella minima.

Il primo motivo deve pertanto essere respinto.

2. Con il secondo motivo la parte ricorrente sostiene che la predetta disciplina sul c.d. contributo straordinario di urbanizzazione non sarebbe applicabile alla fattispecie in esame in cui è stata resa edificabile una zona bianca.

Secondo tale prospettazione, trattandosi di fatto di un lotto non pianificato, la deliberazione consiliare dovrebbe essere qualificata come idonea ad apportare una prima classificazione e non una variazione di una previsione preesistente.

La censura non può essere accolta perché, al fine dell’applicazione della norma sul contributo straordinario di urbanizzazione, non rileva la precedente destinazione dell’area, ma l’esito che si determina in termini di maggior valore generato dagli interventi che sono previsti per effetto di una nuova disciplina urbanistica che abbia reso edificabile un’area che prima non lo era.

Nel caso all’esame il Comune con la deliberazione consiliare n. 29 del 30 aprile 2016, ha individuato in via generale ed astratta le fattispecie che, generando una tale incremento di valore, rientrano nella tipologia indicata dalla norma, e tra queste vi è anche l’individuazione di nuovi lotti a volumetria predefinita nelle zone B, C e C1, ed è questa l’evenienza che, prescindendo dalla precedente destinazione dell’area, costituisce il fatto rivelatore di capacità contributiva.

Il secondo motivo deve pertanto essere respinto.

3. Il terzo motivo, con il quale la parte ricorrente lamenta che è demandato al dirigente l’esercizio di compiti propri del Consiglio è infondato in fatto, perché le fattispecie alle quali è applicabile il contributo sono dettagliatamente indicate nella deliberazione consiliare, che àncora a criteri predeterminati anche la definizione del maggior valore individuandolo in una misura fissa che si basa su parametri oggettivi (il valore di mercato del fabbricato tratto dalla banca dati dell’Agenzia delle entrate e dell’OMI ed il costo complessivo dell’opera stabilito dal computo metrico estimativo presentato al momento della richiesta del permesso di costruire) con la conseguenza che, contrariamente a quanto dedotto, al dirigente è demandato solamente il compito di svolgere tutte le operazioni necessarie per definire in concreto l’ammontare del contributo.

4. Con il quarto motivo la parte ricorrente lamenta che erroneamente non è stata riconosciuta all’area l’edificabilità propria delle zone territoriali omogenee di tipo B, i cui caratteri sono presenti nel lotto, e che è stata illegittimamente prevista una decadenza dalla facoltà edificatoria nel caso di mancata attuazione nel quinquennio ripetendo sostanzialmente quest’ultima censura anche nel sesto motivo.

Tali censure non possono essere condivise, perché l’Amministrazione comunale, come è noto, in materia di pianificazione urbanistica gode di un’amplissima discrezionalità, e nel caso di specie non emergono profili di illogicità o irragionevolezza né di violazione del DM 2 aprile 1968, n. 1444, nell’aver esteso all’area dei ricorrenti, per omogeneità territoriale, le medesime facoltà edificatorie previste per le aree limitrofe classificate come C1/23 a volumetria predefinita.

Ciò premesso, la previsione della decadenza costituisce la conseguenza vincolata alla predetta classificazione come zona C, atteso che l’art. 18, comma 7, della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, prevede che “decorsi cinque anni dall’entrata in vigore del piano decadono le previsioni relative alle aree di trasformazione o espansione soggette a strumenti attuativi non approvati, a nuove infrastrutture e ad aree per servizi per le quali non siano stati approvati i relativi progetti esecutivi”.

Anche il quarto ed il sesto motivo devono pertanto essere respinti.

5. Il quinto motivo, con il quale la parte ricorrente sostiene che è illegittima l’estensione della zona C all’area di loro proprietà perché nella nuova legge regionale urbanistica non vi è più un esplicito riferimento alle tradizionali zone territoriali omogenee è privo di fondamento, perché la mancanza di tale riferimento non implica che vi sia un divieto al loro perdurante utilizzo.

Infatti il paragrafo 2.2 dell’atto di indirizzo di cui alla lett. b), dell’art. 50 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, approvato con deliberazione della Giunta regionale n. 3178 dell8 ottobre 2004, recante “i criteri per la suddivisione del territorio comunale in zone territoriali omogenee”, si limita ad affermare che “per l’approvazione dei nuovi PI i Comuni potranno provvedere, nel rispetto dei criteri di cui al presente atto di indirizzo, ad una suddivisione del territorio comunale diversa da quella prevista dal DM 2.4.1968 n.1444”, senza imporre alcun obbligo.

Anche il quinto motivo deve pertanto essere respinto.

In definitiva il ricorso deve essere respinto.

Nonostante l’esito della lite, tenuto conto delle peculiarità della controversia e della complessiva vicenda pregressa caratterizzata dalla ripetuta reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio, le spese di giudizio possono essere integralmente compensate.

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