TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-03-09, n. 202303898

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2S, sentenza 2023-03-09, n. 202303898
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202303898
Data del deposito : 9 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/03/2023

N. 03898/2023 REG.PROV.COLL.

N. 13710/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13710 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati A V e B B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ivass - Istituto di Vigilanza sulle Assicurazioni, in persona del Presidente pro tempore , rappresentato e difeso dagli Avvocati A S e M B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Generali Italia Spa, in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato Francesco Ferroni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- previa incidentale sospensiva, della nota IVASS del 26.09.2018 con la quale si comunica la sanzione disciplinare della radiazione dal RUI – Registro degli Intermediari Assicurativi e Riassicurativi di cui all’art. 109 del D. Lgs. 209/2005;

- di ogni atto antecedente e presupposto, ivi compresa la deliberazione del Collegio di garanzia sui procedimenti disciplinari – I Sezione del 26.6.2018, costituente la motivazione della sanzione disciplinare, con riserva di proporre motivi aggiunti e domanda di risarcimento dei danni.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Generali Italia S.p.A. e di Ivass;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 3 marzo 2023 il dott. M T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’odierno ricorso ritualmente notificato e depositato presso la segreteria di questo TAR, il ricorrente – premesso di aver operato per lungo tempo in qualità di agente assicurativo di Generali Italia S.p.A. e di essersi sempre contraddistinto per la correttezza del suo operato – agisce per l’annullamento del provvedimento IVASS del 26 settembre 2018, prot. n. -OMISSIS-, con cui gli è stata irrogata la sanzione disciplinare della radiazione dal RUI (Registro degli intermediari Assicurativi e riassicurativi di cui all’art. 109 del D. Lgs. 209/2005), radiazione disposta a seguito dell’avvenuto accertamento dei seguenti illeciti:

- violazione dell’art. 62, comma 2, lett. A, punto 4, del Reg.to Isvap nr. 5/2006, “ per non essere state rimesse all’impresa preponente somme dovute dagli assicurati a titolo di premio ”;

- violazione dell’art. 183 D. Lgs. 209/2005 in combinato disposto con l’art. 47 Reg.to Isvap n. 5/2006, “ per non essersi comportato con diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti dei contraenti e degli assicurati, e non aver osservato le disposizioni legislative e regolamentari nonché le istruzioni dell’impresa, ciò in relazione alle rilevate mancate rimesse di premi nonché aver implementato i necessari controlli sulla rete distributiva ”.

A sostegno dell’azione annullatoria parte ricorrente formula plurime censure (alcune delle quali raggruppate sotto un unico motivo) che possono compendiarsi nei termini che seguono:

(i) prima censura : illegittimità del provvedimento di radiazione per avere l’IVASS omesso di considerare che la risoluzione del rapporto di agenzia intercorso tra il ricorrente e la compagnia assicurativa (Generali Italia S.p.A.) non è derivata dall’atto di recesso di quest’ultima, bensì dal recesso dello stesso ricorrente dell’11 aprile 2017 ai sensi dell’art.12, comma II, punto 4, dell’ANA 2003 (o in subordine ex art. 17 dell’ANA 2003 per il superamento del limite di età), recesso che il ricorrente ha intimato per il venir meno del rapporto di fiducia con Generali Italia S.p.A.;

(ii) seconda censura : illegittimità del provvedimento di radiazione per avere l’IVASS trascurato che la condotta contestata al ricorrente (e cioè il trattenimento dei premi assicurativi a titolo di compensazione del credito agenziale che lo stesso ricorrente aveva maturato a titolo di indennità di fine rapporto) sarebbe stata perfettamente lecita, trovando tale compensazione fondamento nell’art. 34 dell’Accordo Nazionale Agenti del 2003 (ANA 2003), nonché nella generale disciplina dell’art. 1460 c.c.;

(iii) terza censura : violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza della sanzione per non avere l’IVASS considerato plurimi fattori attenuanti che avrebbero dovuto condurre l’Istituto all’irrogazione di una sanzione più lieve rispetto a quella della radiazione, come ad esempio le condotte infedeli dei dipendenti e collaboratori del ricorrente (indi di soggetti diversi rispetto a quello attinto dal provvedimento di radiazione), nonché la condotta dello stesso ricorrente, il quale avrebbe prontamente contabilizzato e versato alla compagnia assicurativa alcune delle somme indebitamente trattenute (limitandosi a trattenere soltanto quelle oggetto di compensazione con le indennità di fine rapporto);

(iv) quarta censura : violazione dei termini di difesa per avere l’IVASS superato il termine di 120 giorni (cfr. art. 331 del Codice delle Assicurazioni, nonché il Regolamento ISVAP n. 2/2013) entro cui l’Istituto può – una volta conclusi gli accertamenti – notificare al soggetto interessato l’atto di contestazione degli addebiti;
sostiene in particolare parte ricorrente che la notifica della comunicazione dell’avvio del procedimento disciplinare sarebbe avvenuta soltanto il 10 novembre 2017 , quindi ben oltre il termine di 120 giorni dalla data di conclusione dell’accertamento ( 23 giugno 2017 ). Parte ricorrente soggiunge, al riguardo, che: (a) il termine di contestazione degli addebiti avrebbe dovuto essere peraltro pari a 90 giorni (anziché 120), essendo tale minor termine previsto dai principi generali di cui all’art. 3 del Regolamento Isvap nr. 6/2006 (anche se poi successivamente abrogato dal regolamento Isvap 2/2013); (b) il Regolamento Isvap 2/2013 prevede che la comunicazione degli addebiti avvenga per il tramite di una raccomandata con avviso di ricevimento ovvero, nei casi o nelle forme previste, anche presso la casella di posta elettronica certificata, senonché nel caso di specie l’atto di avvio del procedimento disciplinare è stato comunicato a mezzo PEC in data 10.11.2017 all’indirizzo di proprietà della compagnia assicurativa, già nel frattempo oscurato e non più visibile da parte dello stesso ricorrente.

L’IVASS e Generali Italia S.p.A. si sono ritualmente costituite in giudizio, instando per la reiezione del gravame.

Con successiva ordinanza cautelare di rigetto n. 7629 del 14 dicembre 2018, la sezione Seconda Ter di questo TAR ha respinto l’istanza cautelare di sospensiva sotto il profilo del fumus boni juris , sulla scorta delle seguenti argomentazioni:

“- le somme trattenute dal ricorrente si riferiscono ad un periodo successivo a quello concernente gli ammanchi addebitabili ai collaboratori infedeli;

- la ritenzione di tali somme non è giustificabile con l’invocata compensazione che non è applicabile alla fattispecie stante il principio di separatezza che caratterizza il patrimonio costituito dalle rimesse da destinare alla mandante (TAR Lazio n. 7219/16) ed il disposto dell’art. 23 comma 8 dell’Accordo Nazionale Agenti;

- la pluralità e la gravità delle condotte contestate, desumibili anche dall’entità delle somme trattenute, giustificano, sotto il profilo della proporzionalità, la sanzione irrogata;

- nella fattispecie risulta osservato il termine di 120 giorni per la contestazione delle violazioni che è stata comunicata con pec del 16/10/17 laddove l’accertamento dei fatti risale al 23/06/17;

- l’indirizzo pec a cui è stata trasmessa la contestazione è il medesimo indicato dal ricorrente al momento dell’iscrizione nella sezione B del RUI;

- vi è autonomia tra procedimento disciplinare e procedimento penale di talché la sospensione del primo in attesa della definizione del secondo non è necessaria ”.

Successivamente, in vista dell’udienza straordinaria calendarizzata in data 3 marzo 2023, seguiva il deposito dei documenti e delle memorie ex art. 73, comma 1, c.p.a.

Per quanto di rilievo, con deposito del 20 gennaio 2023, parte ricorrente versava in atti la sentenza del 19 dicembre 2022 con cui il Tribunale Civile di Napoli, Sezione XII, si è pronunziato sulla causa civile (R.G. -OMISSIS-) instaurata dall’odierno ricorrente contro la compagnia assicurativa privata per l’accertamento della legittimità del recesso dal contratto di agenzia e per la condanna della convenuta al pagamento delle indennità di fine rapporto dovutegli in seguito al suo recesso dal rapporto contrattuale per giusta causa ex art. art 12, comma 2, n 4, dell’Accordo Nazionale Agenti (ANA) 2003.

Con la summenzionata sentenza, il Tribunale Civile di Napoli ha:

(i) accertato e dichiarato che la risoluzione del rapporto di agenzia intercorso tra il ricorrente e la compagnia assicurativa è giuridicamente dipesa dall’atto di recesso del ricorrente ex art. 17 dell’ANA 2003;

(ii) condannato la compagnia assicurativa a versare - al netto del credito che essa ha maturato nei confronti dell’ex agente a titolo di premi assicurativi indebitamente trattenuti (pari ad € 638.615,95) – una somma complessiva di € 289.803,50 (oltre interessi legali dalla domanda al saldo) a titolo di indennità di fine rapporto.

All’udienza straordinaria del 3 marzo 2023 il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato, dovendo quindi il Collegio confermare la prognosi di infondatezza già formulata da questo TAR in sede cautelare.

Quanto alla prima censura sollevata dal ricorrente, è assolutamente irrilevante il fatto che la formale cessazione del rapporto di agenzia intercorso tra l’odierno ricorrente e la compagnia assicurativa sia giuridicamente ascrivibile al recesso del primo piuttosto che al recesso della seconda.

Nel presente giudizio non si controverte, infatti, dell’atto di recesso dal rapporto di agenzia tra il ricorrente e la compagnia assicurativa e delle relative conseguenze civilistiche in termini di risarcimento dei danni e di indennità di fine rapporto, bensì del distinto profilo della legittimità della sanzione pubblicistica della radiazione dal RUI irrogata dall’IVASS al ricorrente.

Il thema probandum consiste, pertanto, non già nell’individuazione del soggetto a cui va giuridicamente imputata la risoluzione del rapporto agenziale, bensì nell’effettiva sussistenza degli illeciti sulla base dei quali è stata irrogata la sanzione della radiazione, ovverossia la violazione dell’art. 62, comma 2, lett. A, punto 4, del Reg.to Isvap nr. 5/2006 (“ per non essere state rimesse all’impresa preponente somme dovute dagli assicurati a titolo di premio ”) e la violazione dell’art. 183 D. Lgs. 209/2005 in combinato disposto con l’art. 47 Reg.to Isvap n. 5/2006 (“ per non essersi comportato con diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti dei contraenti e degli assicurati, e non aver osservato le disposizioni legislative e regolamentari nonché le istruzioni dell’impresa, ciò in relazione alle rilevate mancate rimesse di premi nonché aver implementato i necessari controlli sulla rete distributiva ”).

Ciò chiarito, risulta per tabulas che:

- il ricorrente ha indebitamente trattenuto un’ingente somma (che egli aveva dapprima riscosso dai clienti a titolo di premi assicurativi e poi non versato alla ditta mandante) non soltanto nella prima decade di aprile 2017, ma anche nella seconda decade di aprile 2017;

- le somme trattenute dal ricorrente si riferiscono ad un periodo (prime due decadi di aprile 2017) pacificamente successivo rispetto a quello concernente gli ammanchi addebitabili ai collaboratori infedeli;

- l’indebita ritenzione dei premi assicurativi risulta vieppiù confermata dalla stessa sentenza del Tribunale Civile di Napoli depositata in atti dal ricorrente (sentenza che si è pronunziata, come visto, sulle sole conseguenze civilistiche del rapporto agenziale), a rigore della quale “ per quanto riguarda, invece, i premi che l’agente ha riscosso per conto della compagnia assicurativa e non versati, non vi è stata alcuna contestazione del credito vantato dalla convenuta. Come indicato dalla società convenuta il versamento dei premi da parte dell’Agenzia doveva avvenire per la prima decade di aprile entro il 19.4.2017, per la seconda decade entro il 2.5.2017 e per la terza decade entro il 9.5.2017, come da circolare e allegato calendario rimesse che si produce. L’art. 9, lettera d), del succitato capitolato speciale allegato alla lettera di nomina (doc. 6), fa poi espresso divieto all’agente di “trattenere importi per compensarli con pretesi suoi diritti”. Ne deriva che la società convenuta è titolare di un credito di euro € 638.615,95 pari alla somma dei premi non ancora versati, oltre oneri a partire dalla scadenza del credito al soddisfo ”.

Non è revocabile in dubbio, pertanto, che l’illecito di indebita ritenzione di premi assicurativi – sulla base del quale l’IVASS ha irrogato la sanzione della radiazione – è stato effettivamente commesso.

Né ha pregio la doglianza di parte ricorrente secondo cui detta ritenzione di premi assicurativi sarebbe giustificata dall’esistenza di un credito maturato dal ricorrente nei confronti della compagnia assicurativa a titolo di indennità di fine rapporto.

Il Collegio osserva che l’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 209/2005, prevede che “sul conto separato non operano le compensazioni legale e giudiziale e non può essere pattuita la compensazione convenzionale rispetto ai crediti vantati dal depositario nei confronti dell’intermediario” .

Sul punto, già il Consiglio di Stato ha stabilito che commette una grave violazione dei propri obblighi contrattuali l’intermediario che opponga in compensazione crediti che assuma di avere nei confronti della compagnia, atteso che “le somme riscosse come premi assicurativi non sono di proprietà dell’agenzia, ma esclusivamente della compagnia di assicurazioni, pertanto non è possibile alcuna compensazione” (cfr. Consiglio di Stato, sez. I, n.1477/2018 e più di recente, nello stesso senso, Consiglio di Stato, sez. I, n. 1332 del 2021).

Orbene, la mandataria commette una grave violazione se omette o ritarda il versamento alla mandante dei premi riscossi dagli assicurati, dovendosi considerare la ricezione dei relativi importi quale deposito per conto del terzo (la compagnia, appunto), il quale deve tempestivamente ricevere quanto riscosso dall’agenzia.

Del resto, la stessa sentenza del Tribunale Civile di Napoli depositata in atti dal ricorrente afferma che pure gli accordi individuali in essere tra lo stesso ricorrente e la compagnia assicurativa prevedevano – a conferma dell’obbligo generale stabilito ex lege – il divieto di compensazione sopra enunciato (il Tribunale Civile ha infatti statuito che “ l’art. 9, lettera d), del succitato capitolato speciale allegato alla lettera di nomina (doc. 6), fa poi espresso divieto all’agente di “trattenere importi per compensarli con pretesi suoi diritti” ) .

Né a diverse conclusioni può giungersi in base all’art. 34 dell’Accordo Nazionale Agenti del 2003, dal ricorrente evocato per affermare il presunto diritto dell’agente a compensare i premi assicurativi con le indennità di fine rapporto.

L’interpretazione del summenzionato art. 34 dell’accordo collettivo nazionale elaborata da parte ricorrente – in quanto contrastante con la disposizione imperativa di legge dell’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 209/2005 – appare evidentemente inficiata da nullità.

Acclarato, dunque, che esiste la prova dell’indebita ritenzione da parte del ricorrente dei premi assicurativi, il Collegio rileva che sussiste anche la prova dell’omesso controllo sui suoi collaboratori infedeli.

Ed infatti, dal verbale delle verifiche di audit effettuate dalla compagnia assicurativa nel periodo 21 novembre 2016 - 17 febbraio 2017, è emerso l’omesso controllo dell’operato di alcuni collaboratori e, in particolare, del subagente -OMISSIS-, non titolare di conto separato, in relazione all’emissione di assegni per € 15.412,50 a copertura di titoli incassati, nonché per la mancata comunicazione di incasso, per l’importo di premi pari a € 37.039,76, di numerosi titoli in sospeso, non reperiti in agenzia.

In proposito, corre l’obbligo di richiamare il principio generale secondo cui l’imprenditore che esercita la propria attività secondo una diligenza qualificata risponde dei comportamenti assunti dai suoi dipendenti (cfr. in argomento Consiglio di Stato, sez. I, n. 1332 del 2021) in ossequio alla regola generale scolpita nell’art. 1228 c.c.

In tal senso, la stessa sentenza del Tribunale Civile di Napoli depositata in atti dal ricorrente afferma – condivisibilmente - che “ ai sensi dell’art. 1228 c.c. l’agente è chiamato a rispondere delle condotte dei terzi di cui si avvale per l’esecuzione del contratto. Invero l’art. 1228 c.c. prevede, ormai per orientamento consolidato, una responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario, la quale trova fondamento nell’assunzione del rischio dei danni che possono derivare al creditore dall’utilizzazione dei terzi nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale. Ne deriva che alcuna rilevanza, ai fini della esclusione dell’inadempimento, potrebbe attribuirsi alla circostanza, invocata dall’attore, che la Compagnia fosse già venuta a conoscenza delle appropriazioni di somme da parte dei collaboratori infedeli e che l’agente avesse prontamente informato le autorità, anche nell’interesse della società assicurativa, affinché venisse avviato un procedimento a carico di tali soggetti ”.

Né può sottacersi la rilevanza dell’art. 119, comma 3, d.lgs. n. 209/2005, il quale stabilisce espressamente che “l’intermediario iscritto alla sezione del registro di cui all’articolo 109, comma 2, lettere a), b) o d), è responsabile dell’attività di intermediazione assicurativa svolta dai soggetti iscritti nella sezione del registro di cui all’articolo 109, comma 2, lettera e)” e può essere sanzionato, anche per fatto del terzo incaricato, secondo la disciplina di cui all’articolo 324 del medesimo provvedimento legislativo (Consiglio di Stato, sez. I, n. 1026/2020) .

Il Collegio ritiene, pertanto, che gli illeciti sulla base dei quali l’IVASS ha irrogato il provvedimento sanzionatorio impugnato sono effettivamente sussistenti e documentati.

Né può essere positivamente valutata la censura con cui parte ricorrente si duole di una presunta violazione del principio proporzionalità e adeguatezza della sanzione.

Al riguardo, il Collegio rileva che il provvedimento impugnato appare solido ed adeguatamente motivato, con riferimento all’analisi e valutazione di tutti gli atti e documenti prodromici alla sua assunzione, anche tenendo conto delle particolari cautele che l’amministrazione deve adottare in un procedimento afflittivo come quello in esame, attesa la sua natura sostanzialmente penale (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1393/2021).

Dagli atti di causa emerge in tutta evidenza che la sanzione irrogata sia adeguata agli illeciti commessi dal ricorrente e che non sia censurabile alla luce della consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento” (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1858/2017).

Nel caso di specie, come già visto, sono state commesse gravi violazioni degli obblighi gravanti sull’intermediario nei suoi rapporti con la compagnia mandante e con i clienti.

Il solo fatto di aver trattenuto e non versato premi assicurativi in due successive decadi del mese di aprile 2017 per l’ingente somma complessivamente pari ad € 638.615,95 – così come peraltro accertato dal Tribunale Civile di Napoli con la sentenza depositata in atti dallo stesso ricorrente – costituisce circostanza di indubbia gravità, circostanza rispetto alla quale il provvedimento di radiazione non appare – ad avviso del Collegio – manifestamente irragionevole o sproporzionato.

Ciò a fortiori ove si consideri il consolidato orientamento del Consiglio di Stato a rigore del quale “ il comportamento di colui che ha trattenuto premi riscossi, anziché versarli secondo il regime pubblicistico che li concerne, non è giustificabile per nessuna ragione, in quanto tali premi costituiscono somme indisponibili, a destinazione vincolata e che, per il regime pubblicistico che le contraddistingue, non possono essere distratte a tale destinazione. La garanzia di affidabilità richiesta all’intermediario di assicurazione consiste, in primo luogo, nella capacità di assolvere ai propri obblighi, ed in particolare a quelli che attengono al deposito e alla gestione del denaro altrui. In tale quadro, la diligenza richiesta all’agente non è limitata alla mera assenza di comportamenti dolosi, volta ad appropriarsi indebitamente, o comunque a trattenere per un tempo superiore al dovuto, somme delle quali è depositario, ma si estende alla diligenza necessaria ad assicurare la sollecita consegna delle suddette somme agli aventi diritto;
vulnerando in radice la mancata rimessa dei premi assicurativi riscossi l’equilibrio economico-finanziario delle imprese assicurative e, con essa, la possibilità del pagamento integrale degli indennizzi dovuti
” (cfr. Cons. Stato, VI, 16-8-2017, n. 4012).

Ciò chiarito, resta a questo punto da scrutinare la censura con cui parte ricorrente si duole di una presunta violazione dei termini di difesa, per avere l’IVASS in tesi superato il termine di 120 giorni (cfr. art. 331 del Codice delle Assicurazioni, nonché il Regolamento ISVAP n. 2/2013) entro cui l’Istituto può – una volta conclusi gli accertamenti – notificare al soggetto interessato l’atto di contestazione degli addebiti.

Anche tale doglianza va disattesa, posto che la contestazione di addebiti è stata comunicata al ricorrente con PEC del 16/10/17, laddove l’accertamento dei fatti risale al 23/06/17.

L’indirizzo PEC a cui è stata trasmessa la contestazione è il medesimo indicato dal ricorrente al momento dell’iscrizione nella sezione B del RUI.

Dal doc. n. 5 versato in atti dalla resistente emerge con chiarezza che alla data del 16 ottobre 2017 l’atto di contestazione “è stato accettato dal sistema ed inoltrato ” (è invero in atti la ricevuta di avvenuta consegna della PEC del 16 ottobre 2017).

Né ha pregio l’eccezione di parte ricorrente secondo cui la PEC in quei giorni non sarebbe stata accessibile, non avendo il ricorrente fornito alcun principio di prova a sostegno di tale generica ed apodittica affermazione.

Al riguardo, peraltro, l’IVASS ha puntualmente dedotto che “ non constano, al là di mere e non documentate affermazioni ricorsuali, prove contrarie rispetto alla prova acquisita dall’amministrazione idonea a dimostrare che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario (cfr. Cass. n. 9368 del 2018;
Cass. n. 26773 del 2016)
” (cfr. pag. 29 della memoria IVASS).

Va da sé che l’IVASS – contrariamente a quanto da ultimo affermato dal ricorrente – non ha assunto alcun contegno processuale da cui possa evincersi un implicito riconoscimento del fatto che la casella PEC del ricorrente sarebbe stata inaccessibile in data 16 ottobre 2017.

Si aggiunga che la modalità dell’invio via PEC è espressamente prevista dal Regolamento IVASS n. 2/2013 (adottato ai sensi dell’art. 331, comma 3 del CAP), all’art. 4, comma 7, secondo cui: “ La contestazione degli addebiti può avvenire anche, nei casi e nelle forme previsti dalle disposizioni vigenti, presso la casella di posta elettronica certificata (PEC) indicata dagli interessati ai fini delle comunicazioni con l’IVASS ”.

Né può dirsi che il termine di contestazione degli addebiti avrebbe dovuto essere quello di 90 giorni (anziché 120 giorni) previsto dall’art. 3 del Regolamento ISVAP n. 6/2006 (pag. 13 del ricorso), atteso che detto minor termine - come rilevato dallo stesso ricorrente - è stato sostituito dal diverso termine di 120 giorni previsto dal Regolamento ISVAP n. 2/2013, il quale ha introdotto la disciplina di riferimento del procedimento disciplinare de quo .

Conclusivamente, quindi, il ricorso va respinto in quanto infondato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore delle parti resistenti.

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