TAR Ancona, sez. I, sentenza 2010-04-20, n. 201000191
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N. 00191/2010 REG.SEN.
N. 00938/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 938 del 2008, proposto da:
A P, rappresentato e difeso dagli avv. C C', G M, con domicilio eletto presso C C' Avv. in Ancona, corso Garibaldi, 110;
contro
Comune di Sirolo, rappresentato e difeso dall'avv. A M, con domicilio eletto presso A M Avv. in Ancona, corso Garibaldi, 124;
nei confronti di
M L;
per l'annullamento
dell'ordinanza del responsabile della III U.O. Servizi Tecnici prot. n. .7578 n. 40, notificata in data 11.09.2008, con cui è stata ingiunta la demolizione di opere abusive, nonché di ogni atto presupposto, connesso e conseguente.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sirolo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 marzo 2010 il dott. Gianluca Morri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La ricorrente impugna l’ordinanza 10.9.2008 n. 40 con cui viene disposta la demolizione di alcune opere realizzate senza titolo, sull'arenile o in prossimità di esso, a servizio dell'attività balneare (manufatto bar, tettoia, pergolato, gazebo, strutture in ferro, cabine, piattaforma). I manufatti ricadono in zona paesaggistica vincolata e viene contestato anche l'omesso l'ottenimento dei relativi titoli autorizzatori.
Al riguardo vengono dedotte censure di violazione dell’art. 10 del DPR n. 380/2001, dell’art. 3 della Legge n. 241/1990, dell'art. 159 del D.Lgs. n. 42/2004 nonché eccesso di potere sotto svariati profili.
In particolare la ricorrente evidenzia:
- che si tratta di strutture precarie e provvisorie che vengono installate soltanto durante la stagione estiva a servizio dello stabilimento balneare;
- che le opere in contestazione sono state realizzate nel 1960 dalla dante causa della ricorrente come accertato dal Tribunale Civile di Ancona con sentenza 2.10.2006 n. 1272. Inoltre il Comune, dall'anno 1966, ha sempre concesso alla ricorrente e alla sua dante causa, la licenza per l'attività di stabilimento balneare esercitata attraverso i manufatti in oggetto oltre a concedere la correlata licenza per la somministrazione di bevande al pubblico;
- che il Comune ha illegittimamente omesso ogni indicazione delle ragioni di pubblico interesse considerato che le opere esistono dal 1960 e sono sempre state tollerate;
- che non era necessario munirsi dell'autorizzazione paesaggistica ex art. 159 D.Lgs. 42/2004 perché le opere sono state realizzate prima dell'imposizione del vincolo (intervenuto con DM 4.2.1966).
Si è costituito il Comune di Sirolo per contestare, nel merito, le deduzioni di parte ricorrente chiedendone il rigetto.
All’udienza del 24.3.2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato.
In via preliminare va ricordato che la natura precaria di un intervento edilizio deve essere valutata in relazione non ai connotati della struttura realizzata e, ancora, ai materiali utilizzati, ma alle esigenze ed all'utilità che la struttura stessa è destinata obiettivamente a soddisfare.
Nel caso in esame la ricorrente sostiene che i manufatti risultano essere stati costruiti nel 1960.
Nulla tuttavia riferisce circa la rimozione degli stessi al termine della stagione balneare, per cui si presume che essi non vengano rimossi, tanto è vero che viene impugnato il provvedimento che ne ordina la rimozione.
Non si tratta, quindi, di strutture funzionalmente connesse a specifiche e ben individuate esigenze di carattere transitorio, idonee a rivelare un utilizzo precario e temporaneo per fini contingenti e cronologicamente determinati, ma rappresentano nuove strutture destinate a dare un'utilità prolungata nel tempo e a modificare stabilmente il territorio.
Del resto se si trattasse effettivamente di strutture precarie (cioè realizzate per esigenze temporanee legate alla stagione estiva e poi rimosse a fine stagione), allora l'ordinanza impugnata non procurerebbe alcun pregiudizio alla ricorrente, perché disporrebbe semplicemente un adempimento che sarebbe stato comunque effettuato dalla stessa al momento opportuno.
Relativamente all'epoca di realizzazione delle opere, va osservato che la citata sentenza del Tribunale civile accerta semplicemente che sull'area esiste “dagli anni ’60” una “costruzione smontabile avente carattere stagionale” senza fornire ulteriore specificazione. La stessa sentenza, inoltre, parla di costruzione abusiva (ossia priva di titolo), cioè di una situazione illegittima che fu la causa del contratto di comodato sottoscritto con il Sig. Lanari.
Va pertanto rilevato che non vi è certezza sull'effettiva data di realizzazione delle opere, poiché si parla genericamente dell'anno 1960 (anzi, “degli anni ’60) e di opere (anzi, di costruzione) sorta inizialmente come precaria, cioè destinata ad uso stagionale e quindi rimossa a fine esercizio.
La ricorrente non ha invece offerto alcuna prova o principio di prova per individuare, con certezza, il momento in cui le opere in esame, da effettivamente precarie (cioè rimosse al termine delle esigenze stagionali) si sono trasformate in definitive (sempre utilizzate per la stagione balneare, ma presenti in sito per l'intero anno);trasformazione che segna anche la data da cui avrebbe dovuto essere acquisito il necessario titolo edilizio oltre all'autorizzazione paesaggistica trattandosi di vincolo esistente dal 1966 cioè dallo stesso anno in cui la ricorrente allega essere intervenuto il primo rilascio dell'autorizzazione ad esercitare l'attività di stabilimento balneare.
Dall'esame degli atti di causa emerge, quindi, una situazione diversa da quella prospettata in ricorso.
Certamente esisteva da tempo un'attività di sfruttamento della spiaggia di San Michele attraverso l'affitto di ombrelloni, sdrai e brandine oltre alla somministrazione al pubblico di bevande. Altrettanto certamente questa attività si avvaleva di strutture edilizie di supporto.
Non emerge però alcuna data certa di inizio dell'attività e di realizzazione delle necessarie strutture di supporto, poiché si rilevano elementi imprecisi e contrastanti.
I provvedimenti autorizzativi versati in atti, tutti di natura temporanea e stagionale, partono dall'anno 1992 senza inoltre coprire tutti gli anni successivi. Nell'autorizzazione 8/95 del 14.7.1995 si prende atto della dichiarazione resa, nello stesso anno, dalla dante causa della ricorrente (Sig.ra Massaccesi) di aver posseduto l'area in questione da più di venti anni, il che sposta indietro nel tempo la vicenda solo fino al 1975, poiché non vi è alcun ulteriore elemento per valutare con certezza un tempo più lungo, fatta eccezione dell’attestato sindacale 1.6.1977 che riferisce di una prima licenza risalente al maggio 1966.
Nessuna certezza sussiste, inoltre, sulla esatta configurazione delle strutture nel corso del tempo. Al contrario, emerge invece una vicenda in evoluzione;vicenda partita (da un momento imprecisato degli anni ’60 ma formalmente autorizzata solo nel 1966) con una o più strutture minime ed essenziali per l'esercizio dell'attività balneare, poi ampliate o integrate nel corso del tempo per offrire un migliore servizio all'utenza.
Va infine osservato che risultano ininfluenti le varie licenza per attività commerciali e per l'esercizio dell'attività balneare, poiché queste non possono produrre effetti anche urbanistici e paesaggistici. Peraltro si tratta di licenze temporanee che, quindi, presuppongono la precarietà dell’esercizio e delle relative strutture.
Riguardo alla pretesa omessa indicazione dell'interesse pubblico alla rimozione delle opere, considerato il lungo tempo trascorso dalla loro realizzazione, è sufficiente osservare che le stesse ricadono in area paesaggisticamente vincolata. Inoltre parte di esse ricadono in zona demaniale. Si tratta quindi di circostanze che rendono in re ipsa la sussistenza dell'interesse pubblico, alla rimozione, prevalente sull’interesse privato alla conservazione dell’opera abusiva.
Il ricorso va quindi respinto.
La particolarità della controversia costituisce giusto motivo per disporre la compensazione delle spese tra le parti.