TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2015-08-04, n. 201510646

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2015-08-04, n. 201510646
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201510646
Data del deposito : 4 agosto 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 16780/2014 REG.RIC.

N. 10646/2015 REG.PROV.COLL.

N. 16780/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 16780 del 2014, proposto da:
S.r.l. Fed, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti A M, V C I e F M, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Cerulli Irelli - Lorizio e Ass in Roma, Via Dora, 1;

contro

Comune di Anzio, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. C A M, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, viale Bruno Buozzi, 87;
Regione Lazio;

nei confronti di

Marco Pistelli, n.c.;

per l'ottemperanza

al giudicato formatosi sulla sentenza n. 4485/10 del TAR del Lazio - sez. II bis - reso sul procedimento rg 9885/08;

con contestuale dichiarazione di nullità/annullamento

della nota del 7°U.O. Politiche del Territorio del medesimo comune, prot. 52793 del 24 novembre 2014, che negava nuovamente il rilascio del permesso di costruire per l’installazione dell’impianto di distribuzione di carburanti, oggetto della richiamata pronunzia passata in giudicato e della nota della Regione Lazio – Direzione Regionale del Territorio, Urbanistica, Mobilità e Rifiuti, area Autorizzazioni Paesaggio e Valutazione Ambientale strategica, prot. n. 29143/2013 del 10 giugno 2014;

e per la nomina di un Commissario ad acta nel caso di ulteriore inerzia dell’Amministrazione comunale;

nonché per il risarcimento del danno derivante dalla mancata esecuzione del giudicato.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Anzio;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2015 il Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I – Con il ricorso indicato in epigrafe, la Società istante, premesso di essere proprietaria di un’area situata nel territorio di Anzio, adiacente alla strada provinciale n. 601 Ostia-Anzio Km 34,222 fg. 31 – p.lla 1297, di superficie pari a mq. 4.0003, esponeva di aver presentato nel 2003 istanza per il rilascio dell’autorizzazione petrolifera e della concessione edilizia per la realizzazione sul terreno di proprietà di un impianto di distribuzione di carburanti, munito dei necessari pareri, tra i quali l’autorizzazione paesaggistica del 24 settembre 2003, rilasciata dalla Regione Lazio Dipartimento del Territorio, n. 55/C/2;
ricordava la Società che perdurando l’inerzia dell’amministrazione, aveva reiterato la propria domanda (eguale alla precedente) nel 2006;
tuttavia, essendo rimasto ancora inerte il Comune, aveva adito il TAR, che con sentenza n. 769 del 2008 dichiarava l’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione e l’obbligo di provvedere.

A seguito della predetta sentenza il Comune provvedeva in data 1 agosto 2008, tuttavia illegittimamente rigettando la domanda di permesso di costruire in ragione del fatto che la superficie da adibire a distributore riportata in progetto, parti a 3.639 mq, risultava superiore a quella graficizzata sul _PRG approvato.

Tale provvedimento era ulteriormente gravato, sicché il TAR, con sentenza n. 4485 del 2010 accoglieva il ricorso, affermando che “gli impianti stradali di distribuzione di carburanti” – costituendo un servizio – “che secondo i noti parametri di ragionevolezza…ed in conformità al generale principio comunitario e nazionale di libera concorrenza, necessitano di una diffusione a rete lungo le principali vie di comunicazione” ed evidenziava che “nella fattispecie non risulta né la sussistenza di..vincoli né la violazione di ..prescrizioni, mentre la variante di P.R.G. tuttora vigente aveva previsto nell’area considerata la realizzazione di un impianto che secondo le prescrizioni statali, regionali e comunali, non può …avere…dimensioni inferiori a quelle del progetto in esame”.

Esponeva, ancora la Società ricorrente che, pur dopo la proposizione dell’appello, il Comune vi rinunziava, dichiarando di voler prestare acquiescenza alla sentenza, sicché il ricorso in appello era dichiarato estinto e la sentenza del Tribunale n. 4485 del 2010 passava in giudicato.

Tuttavia, il Comune avviava un nuovo procedimento, ritenendo di dover acquisire nuovamente i pareri ritenuti necessari per l’approvazione del progetto;
sicché avendo la società istante adempiuto producendo una relazione sulla presenza dei gas ed una perizia sul’identità del progetto al primo proposto, l’istante diffidava il Comune.

Di seguito la Società evidenziava che il Comune medesimo aveva interrotto i rapporti con la stessa e, poi, inaspettatamente, con la nota anch’essa gravata in questa sede quale elusiva del giudicato formatosi, del 24 novembre 2014, richiamando una nota della Regione Lazio del 10 giugno 2014, con la quale l’Amministrazione regionale aveva rilevato che la procedura da seguire in questi casi risultava essere quella della variante urbanistica, sostanzialmente rigettava nuovamente la domanda.

Pertanto, con il presente ricorso, la Società denunziava l’inottemperanza del Comune alla sentenza del TAR Lazio sopra richiamata, deducendo l’obbligo del Comune di rilasciare il permesso e la nullità dei menzionati provvedimenti – comunale e regionale – per elusione del giudicato.

Formulava, iunoltre, istanza di risarcimento dei danno per illegittimo diniego e successiva colpevole inerzia del Comune, per un ammontare complessivo di euro 1.327.500,00, pari al quanto derivante dalla mancata vendita di carburante nell’impianto progettato e agli ulteriori ricavi per la locazione dell’annesso bar e dell’impianto di lavaggio auto, detratto quanto la Società medesima avrebbe pagato per tassazione, approvvigionamento di energia elettrica, acqua e spese di manutenzione.

In via gradata, la Società chiedeva la condanna del Comune al risarcimento dei danni generatisi a partire dal 2010 (e cioè dal momento in cui la sentenza n. 4485/2010 ha sancito l’obbligo del Comune di assentire il progetto della Società).

Deduceva, ancora che il ritardo dell’Amministrazione continuava a provocare danni alla Società, in quanto essa non poteva addivenire alla conclusione di negozi di vendita o locazione dell’impianto, come da proposte ricevute nelle more.

Si costituiva il Comune per resistere, sottolineando che dagli atti risulterebbe la diversità dei progetti presentati (2003 e 2006), nonché la necessità di adempiere al procedimento indicato dalla Regione ai fini del rilascio dell’autorizzazione.

Eccepiva l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione della dichiarazione di improcedibilità della domanda di autorizzazione paesaggistica, anche con riferimento ai limiti soggettivi del giudicato, stante la nota già più volte indicata, proveniente dalla Regione.

Con relazione del Responsabile del Servizio Urbanistica, l’Amministrazione ribadiva di essere tenuta a rispettare quanto indicato dalla Regione con la nota del 10 giugno 2014.

La parte ricorrente produceva memoria di replica per la camera di consiglio del 22 aprile 2015, con cui rilevava l’illegittimità dell’avvio di nuovo procedimento pur a seguito del formarsi del giudicato sulla sentenza n. 4485 del 2010.

La causa era, dunque, trattenuta in decisione.

II – Osserva il Collegio che il ricorso è fondato e deve essere accolto nei termini di seguito specificati.

Appare con tutta evidenza, infatti, che la sentenza di cui si chiede l’ottemperanza, pronunziandosi precipuamente sul rigetto dell’istanza volta ad ottenere il permesso di istallazione dell’impianto di distribuzione di cui trattasi, pur dopo la dichiarazione già intervenuta dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione sulla domanda della ricorrente, ha statuito espressamente da un lato l’insussistenza di vincoli “ambientali, paesistici e storico culturali” e la non violazione “di prescrizioni di sicurezza e pubblica salute ed incolumità”, dall’altro, affermando “l’obbligo del Comune di assentire il progetto” proprio alla luce dei principi di diffusione sul territorio del servizio di distribuzione affermato in sentenza e di mancanza di alcun vincolo o disposizione urbanistica contrari.

Va, infatti, rilevato che la predetta sentenza, proprio al fine di realizzare un’adeguata tutela in presenza del comportamento dell’Amministrazione comunale, non si limitava ad affermare l’obbligo del Comune di provvedere, ma si pronunziava sul merito della questione, ritenendo nell’accogliere il ricorso, di statuire l’obbligo dell’Amministrazione stessa di assentire il progetto.

Ne consegue che deve essere dichiarato nullo - per elusione del giudicato - ogni ulteriore atto (tra cui la nota comunale impugnata in questa sede) con cui l’Amministrazione, al posto di conformarsi al giudicato ha riavviato il procedimento – subordinando l’assenso all’acquisizione di ulteriori pareri. Ne deriva che il parere regionale deve considerarsi tamquam non esset (ed è nullo anch’esso), poiché proposto in un procedimento che non aveva ragione di essere riavviato, dovendo unicamente l’Amministrazione concludere con il provvedimento espresso l’iter iniziato con la prima istanza della parte ricorrente.

Devono, dunque, respingersi le eccezioni di inammissibilità formulate dall’Amministrazione. Il contrario avviso dell’Amministrazione parte dall’errata interpretazione della domanda di parte ricorrente che non mirava a censurare in via indipendente l’ulteriore corso dell’attività amministrativa, ma ad evidenziare che l’accertamento giurisdizionale aveva avuto ad oggetto determinati presupposti della pretesa sostanziale dedotta in sede cognitoria, in relazione ai quali si doveva ritenere esteso l’effetto del giudicato, con conseguente esistenza in proposito di un vero e proprio vincolo per la riedizione dell’azione amministrativa. E tale vincolo era stato infranto dalla susseguente attività amministrativa, che avrebbe in pratica eluso il decisum mediante una riedizione del procedimento e la richiesta di pronunzia sulla sussistenza di vincoli e la necessità di nulla osta da parte della Regione.

Orbene, va rilevato che l'obbligo dell'Amministrazione di conformarsi al giudicato non ammette dicotomie tra difformità dai vincoli del giudicato e illegittimità degli atti emessi in violazione e dopo il giudicato. In vero, si è detto che il giudizio di ottemperanza è ammissibile non solo nell'ipotesi di elusione del giudicato, in quanto ogni comportamento che non costituisce attuazione puntuale della decisione è inadempimento sanzionabile con il rimedio dell'ottemperanza. Tale strumento è stato, infatti, predisposto al fine di assicurare che l'Amministrazione dia puntuale esecuzione al giudicato: sono, pertanto, sanzionabili tutti gli atti di inottemperanza, ad eccezione degli atti che non sono in contrasto con il contenuto precettivo della decisione in quanto posti in essere per motivi esterni all'esecuzione del giudicato ed estranei alle statuizioni contenute nel giudicato stesso.

Nella specie, peraltro, la nota emessa dall’Amministrazione comunale, con la quale si disponeva il nuovo avvio dell’iter procedimentale è evidentemente adottata in elusione del giudicato, in quanto da esso derivava un obbligo puntuale – come già specificato – il cui contenuto era desumibile nei suoi tratti essenziali direttamente dalla sentenza (secondo i canoni elaborati dalla prevalente giurisprudenza, ex multis, C.d.S., sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3223;
sez. VI, 3 maggio 2011, n. 2601;
7 giugno 2011, n. 3415).

III – Per quanto sin qui considerato, deve essere accolto il ricorso per l’ottemperanza al giudicato e, per l’effetto – previa dichiarazione della nullità della nota prot. n. 52793 del 2014 e della nota regionale del 10 giugno 2014 per violazione dell’art. 21-septies , l. n. 241 del 1990 – e, per l’effetto deve ordinarsi al Comune di Anzio di procedere al rilascio del permesso di costruire, come richiesto, in esecuzione della sentenza n. 4485 del 2010, nel termine di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza.

IV – E’ nominato, sin d’ora, nel caso di perdurante inerzia dell’amministrazione, il Prefetto della Provincia di Roma, con facoltà di subdelega, perché accertato l’eventuale protrarsi dell’inottemperanza provveda, nell’ulteriore termine di giorni 30 (trenta), su mera richiesta della parte, alla emanazione del provvedimento sopra specificato, al posto dell’Amministrazione comunale.

V – Per quanto concerne la domanda risarcitoria, esperita unitamente all’azione di ottemperanza, secondo quanto disposto dall’art. 112, co. 3, c.p.a per il risarcimento dei danni connessi alla violazione e/o elusione del giudicato, deve precisarsi che – come si è sin qui affermato – solo dalla emissione della sentenza per cui si procede è disceso l’accertamento della spettanza del permesso di cui si discute, avendo il TAR esaminato la sussistenza dei presupposti per il suo rilascio. In effetti, la stessa domanda della parte ricorrente, in questa sede, pur facendo decorrere la pretesa in via principale dalla data della prima domanda di concessione, vanta nei confronti del Comune il pregiudizio patito per mancata ottemperanza alla sentenza n. 4485 del 2010.

Sicchè stante la necessaria convergenza dell’elemento soggettivo e dell’elemento oggettivo ai fini dell’accertamento della responsabilità, deve essere accolta la domanda svolta in via subordinata dalla parte, ovvero tesa ad ottenere il ristoro del danno patito dal mancato rilascio a decorrere dalla formazione del giudicato (cfr. del resto in proposito la stessa richiesta risarcitoria epigrafata in ricorso) sulla sentenza che ha sancito l’obbligo di assentimento.

In vero, dunque, non si verte nella specie, in un’ipotesi di pretesa risarcitoria da ritardo mero (anch’essa ormai ammessa dalla giurisprudenza amministrativa;
cfr. Consiglio Stato, sez. VI, sent. 15 aprile 2003, n. 1945, laddove si era ammesso che la responsabilità potesse sanzionare anche l'inadempimento di quel generico dovere sorto in relazione al "contatto procedimentale", cosicché il danno potesse consistere nelle perdite economiche subite in conseguenza della scorrettezza del comportamento tenuto dalla amministrazione a prescindere dalla spettanza del bene della vita), poiché ciò che si lamenta nel caso che occupa è l’inerzia dell’amministrazione pur a seguito dell’accertamento del bene della vita.

Si è, dunque, in presenza di un interesse pretensivo della parte ricorrente, che peraltro, potrà conseguire in futuro il permesso o attraverso l’adempimento da parte del Comune alla presente pronunzia resa in sede di ottemperanza ovvero tramite l’intervento sostitutivo della parte del Commissario ad acta.

Ed allora, si tratta di verificare la risarcibilità per equivalente del danno patito per il mancato rilascio del permesso a decorrere dalla formazione del giudicato per cui si procede ad oggi, stante l’inequivoca sussistenza dell’elemento psicologico della colpa, per aver omesso l’Amministrazione di dare esecuzione alla sentenza del Tar n. 4485 del 2010, peraltro non sospesa, e successivamente passata in giudicato nel 2013 ad esito dell’estinzione del giudizio d’appello per rinunzia dell’Amministrazione.

Fermo restando l'inquadramento della fattispecie di responsabilità all'interno della responsabilità extracontrattuale, pur non essendo configurabile una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'Amministrazione, la giurisprudenza ha precisato che possono operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie. Nella specie in esame, il privato danneggiato ha invocato l'illegittimità della condotta posta in essere dal’Amministrazione, in quanto chiaramente elusiva e, posta in violazione dell’obbligo sancito dal giudice di prime cure.

Di contro, non vale per l'Amministrazione a dimostrare che si sia trattato di un errore scusabile, invocare la nota regionale in un procedimento che non doveva essere riavviato, per avere la sentenza di cui si chiede l’ottemperanza, sancito in modo inequivoco, la spettanza della pretesa (come evincibile anche dalla condotta processuale dell’amministrazione in sede di appello).

Infatti, la domanda risarcitoria ben può essere correttamente proposta in sede di ottemperanza in quanto, in coerenza con il disposto dell’art. 112, comma 3, del codice del processo amministrativo, ha ad oggetto solo il pregiudizio cagionato dalla mancata esecuzione del giudicato e la tutela reintegratoria di cui a detta ultima norma ha quale presupposto il dato oggettivo della mancata attuazione della statuizione giurisdizionale. Mentre, come già rilevato, il risarcimento di tutti i danni lamentati, che si riferiscano al periodo precedente al giudicato, deve essere richiesto nell’ambito di un giudizio cognitorio da proporsi dinanzi al giudice di primo grado (come espressamente sancito dall’art. 112, comma 3 c.p.a.).

VI - Svolte le siffatte precisazioni sull’ambito temporale della pretesa e sull’elemento soggettivo, la domanda risarcitoria formulata da parte ricorrente si appalesa fondata, stante la comprovata illegittimità sul piano oggettivo della “omissione” amministrativa (rectius: mancata esecuzione del giudicato amministrativo in esame), anche in considerazione del fatto che altrimenti non residuerebbe alcuna forma di tutela in favore dell’odierna ricorrente in ragione della durata del processo amministrativo (mentre è principio generale dell’ordinamento giuridico quello secondo cui la durata del processo non può rivolgersi a danno della parte che ha ragione).

Indubbi sono pertanto la sussistenza del fatto illecito “omissivo” posto in essere dalla P.A. e del nesso di causalità con il danno poiché è evidente che la mancata esecuzione del giudicato amministrativo ha cagionato un pregiudizio economico alla ricorrente. Altrettanto chiaro è l’elemento soggettivo, valutato alla stregua dei criteri elaborati dalla giurisprudenza per il giudizio sulla colpa dell’amministrazione, sopra menzionati.

L’esperita domanda risarcitoria, proposta in connessione con la domanda tesa all’ottemperanza, si iscrive perfettamente nel contesto del carattere propriamente esecutivo del giudizio in oggetto, avendo lo stesso ad oggetto particolarmente l’esecuzione della sentenza.

VII - Per quanto concerne la quantificazione del danno, l’onere probatorio appare correttamente soddisfatto dalla parte attraverso la produzione del prospetto relativo alla stima dei ricavi derivanti dalla vendita di carburante nell’impianto progettato e degli ulteriori ricavi derivanti dalla locazione dell’annesso bar e dell’impianto di lavaggio delle auto (secondo l’allegato 10 in ricorso), i cui valori non sono stati contestati dalla parte resistente, che si è limitata a dedurre l’inammissibilità della pretesa, previa detrazione delle spese della gestione quantificate forfettariamente nella misura del 50% degli introiti.

VIII - Tuttavia la somma vantata in ricorso deve essere limitata agli ultimi anni in ragione di quanto si è sin qui detto.

Nella fattispecie all’esame di questo Collegio il risarcimento del danno deve pertanto essere commisurato alla media dei valori dei ricavi dal passaggio in giudicato della sentenza (a seguito della dichiarazione di estinzione del giudizio di appello con pronunzia del Consiglio di Stato del 4 aprile 2013), ovvero per due anni di mancata attività (da aprile 2013 ad oggi) quantificabili in euro 530.000,00 (cfr. tabella 10 allegata al ricorso euro 265.000,00 x 2 anni), cui va applicata la riduzione del 50% per le spese di tassazioni, approvvigionamento, spese generali e manutenzione, a carico del proprietario.

Ciò premesso, la complessiva somma dovuta al ricorrente a titolo di risarcimento del danno da illecito aquiliano è individuata in euro 265.000,00 che, trattandosi di debito di valore, dovrà essere rivalutata anno per anno secondo gli indici ISTAT con decorrenza dalla data dell’illecito (data di formazione del giudicato amministrativo non eseguito dalla P.A.), oltre interessi legali sulla somma non rivalutata, oltre gli interessi legali sugli importi annui della svalutazione, dalla relativa maturazione (cioè dalla scadenza di ogni anno successivo alla consumazione dell’illecito secondo il cosiddetto criterio “a scalare” individuato dalla Suprema Corte con la sentenza a Sezioni Unite n. 1712/1995) sino al soddisfo.

Il Comune di Anzio è pertanto condannato al pagamento della somma sopra indicata, che dovrà avvenire nel termine di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza.

IX - Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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