TAR Perugia, sez. I, sentenza 2010-04-16, n. 201000241

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Perugia, sez. I, sentenza 2010-04-16, n. 201000241
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Perugia
Numero : 201000241
Data del deposito : 16 aprile 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00221/2009 REG.RIC.

N. 00241/2010 REG.SEN.

N. 00221/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 221 del 2009, proposto da:
N F, rappresentato e difeso dagli avv. A D G, A N, con domicilio eletto presso T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni, 3;

contro

Universita' degli Studi di Perugia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Perugia, via degli Offici, 14;

nei confronti di

S P, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Alberto Franchi, con domicilio eletto presso C A F in Perugia, via XX Settembre, 76;

per l'annullamento

del Decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Perugia del 10.03.09 n.549 con il quale venivano approvati gli atti della procedura di valutazione comparativa per la copertura di n. 1 posto di ricercatore universitario per il settore scientifico-disciplinare FIS/02 — Fisica teorica, modelli e metodi matematici — presso la Facoltà di Scienze MM.FF.NN dell’Università degli Studi di Perugia, da cui risulta dichiarato vincitore il candidato Dott. S P pubblicato mediante avviso nella Gazzetta Ufficiale e di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali..


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Universita' degli Studi di Perugia e di S P;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 aprile 2010 il Pres. P G L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente dott. N F ha partecipato al concorso indetto dall’Università degli Studi di Perugia per la copertura di un posto di ricercatore nella Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, settore scientifico-disciplinare FIS/02 Fisica teorica, modelli e metodi matematici.

All’esito del concorso è risultato vincitore il controinteressato dott. S P.

Ciò a seguito di motivate valutazioni comparative nelle quali il dott. P è stato giudicato “ottimo” in ciascuna delle categorie di giudizio – rispettivamente: titoli, due prove scritte, prova orale – mentre il dott. F ha riportato il giudizio di “molto buono” quanto ai titoli, “buono” per la prima prova scritta, “molto buono” per la seconda prova scritta, “buono” per la prova orale.

2. Il dott. F impugna l’esito del concorso deducendo vari motivi di legittimità

Resistono al ricorso l’Università degli Studi di Perugia ed il controinteressato dott. P.

3. Con il primo motivo del ricorso il ricorrente sostiene che la commissione giudicatrice avrebbe violato il bando di concorso omettendo, in apertura dei lavori, di formulare e pubblicare i criteri di massima che si proponeva di osservare.

In verità, dal punto di vista formale, l’adempimento è stato eseguito: i criteri di massima risultano enunciati e pubblicati con l’atto prodotto dall’Avvocatura dello Stato come doc. 19 nel fascicolo di parte.

Di tale adempimento, del resto, dà atto anche il ricorrente. Egli però deduce che in tale occasione la commissione si è limitata a riprodurre pedissequamente i criteri indicati dal regolamento emanato con d.P.R. n. 117/2000 e ulteriormente riprodotti nel bando;
dunque la prescrizione risulterebbe sostanzialmente disattesa.

Le controparti replicano che in realtà la commissione ha introdotto alcune specificazioni relative ad aspetti particolari, e che per il resto i criteri indicati dalle disposizioni regolamentari sono articolati a sufficienza, sicché non si può considerare un vizio averli riprodotti.

Il Collegio condivide le controdeduzioni delle parti resistenti.

Va premesso che il problema sollevato dal ricorrente si riferisce unicamente ai criteri per la valutazione dei titoli, che in effetti la commissione ha integralmente mutuato (peraltro aggiungendo qualche specificazione ed integrazione, come dedotto dalle parti resistenti) dall’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 117/2000. Peraltro quest’ultima disposizione appare precisa e minuziosa, sicché potrebbe apparire persino difficile e/o inutile andare oltre.

Conviene ricordare che il Consiglio di Stato, sez. VI, decisione n. 2125/2008, ha respinto una censura sostanzialmente analoga alla presente osservando che «l'autonomia universitaria e quella delle singole Commissioni giudicatrici opera all'interno dei criteri stabiliti nel regolamento. La formula di cui all'art. 4, comma 1, D.P.R. n. 117/2000 - "le commissioni giudicatrici predeterminano i criteri di massima e le procedure della valutazione comparativa dei candidati" - non deve essere intesa quale delega alle Commissioni giudicatrici della individuazione di "criteri generali" ai fini della valutazione comparativa, bensì quale possibilità per la Commissione di specificare i criteri nel rispetto di quanto sancito dalle disposizioni di rango primario e secondario».

In altre parole, considerata la specificità dei criteri regolamentari, una (eventuale) ulteriore specificazione è rimessa alla discrezionalità della commissione.

Tutto questo, come già detto, si riferisce unicamente ai criteri per la valutazione dei titoli. Per quanto riguarda invece i criteri per la valutazione delle prove scritte e di quelle orali, invece, il regolamento nulla dispone ed era dunque questo lo spazio lasciato libero alla commissione per scegliere le modalità di svolgimento delle prove e formulare i criteri di massima. Nella fattispecie la commissione lo ha fatto, ed il ricorrente non muove alcuna critica a questa parte delle operazioni.

Si può aggiungere che, per comune opinione, la preventiva fissazione dei criteri serve ad integrare la motivazione dei singoli giudizi valutativi, tanto più quando essi vengano espressi in forma numerica.

Ora, nel caso in esame, come del resto nella generalità dei concorsi per posti di docente e di ricercatore universitario, i singoli giudizi valutativi sono stati articolatamente motivati: anzi, come di consueto, ciascuno dei tre commissari ha espresso un motivato giudizio individuale e poi è stato formulato il giudizio collegiale, altrettanto motivato. Ciò è stato fatto, relativamente a ciascun candidato, distintamente per i titoli, per l’una e per l’altra delle prove scritte e infine per la prova orale.

Nel contesto dell’intera procedura, dunque, i criteri predeterminati si possono considerare più che sufficienti e, come tali, legittimi.

In conclusione questo motivo di ricorso va respinto.

4. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia il fatto che alcuni candidati, fra i quali il vincitore P, hanno presentato le rispettive pubblicazioni sotto forma di estratti fotocopiati, autocertificandone (come prescritto) la conformità all’originale ma omettendo di indicare, insieme agli altri dati essenziali, il “luogo” della pubblicazione. Questa indicazione peraltro era richiesta dal bando.

Il Collegio osserva che l’insieme delle indicazioni richieste dal bando a proposito delle pubblicazioni non prodotte in originale risponde evidentemente allo scopo di consentire alla commissione di reperire facilmente la fonte e così controllare direttamente la veridicità di quanto dichiarato.

In questo contesto, la richiesta di indicare il “luogo” della pubblicazione riflette verosimilmente una vecchia prassi della letteratura scientifica riguardo al modo di citare le opere di altri autori, indicando l’autore, il titolo dell’opera, il luogo (città) e la data della pubblicazione e omettendo invece il nome dell’editore (questa vecchia prassi è tuttora osservata, ad esempio, dalla Enciclopedia del Diritto ;
al contrario, un noto manuale di illustre autore che insegna come si fa una tesi di laurea la critica ritenendo più utile l’indicazione della casa editrice che quella della città).

Tuttavia questo vale per i libri. Per gli scritti pubblicati in riviste periodiche o in importanti raccolte di consultazione (enciclopedie, etc.) si indicano rispettivamente: nel caso di riviste, la testata, l’annata (oppure il numero d’ordine del fascicolo) e la pagina;
nel caso di enciclopedie, la denominazione di quest’ultima, il volume, l’anno di pubblicazione e la pagina;
non rientra nell’uso indicare il luogo di pubblicazione né l’editore, ritenendosi sufficiente la notorietà della testata (se si tratta di rivista) o della denominazione (se si tratta di enciclopedia).

In ogni caso, quale che sia il criterio adottato, ciò che conta è che le indicazioni siano sufficienti al lettore per reperire facilmente la fonte citata e consultarla direttamente. Ogni settore scientifico, poi, ha le sue consuetudini in proposito, sicché sigle ed abbreviazioni che ad un profano risultano criptiche sono più che sufficienti per uno studioso della materia.

In questa luce, è facile comprendere che quando il bando chiede di indicare il “luogo” della pubblicazione, esso si riferisce essenzialmente ai libri (e anche in questo caso sarà ragionevole ritenere sufficiente l’indicazione dell’editore, specie se notorio, invece della città in cui notoriamente ha sede);
mentre ove si tratti di articoli pubblicati su riviste periodiche valgono le indicazioni consuete (testata, annata, fascicolo e simili).

Nel caso in esame, tutte le pubblicazioni di cui si discute risultano pubblicate su riviste periodiche, in genere a diffusione internazionale. E’ da presumere che le indicazioni date dai concorrenti si conformino alle consuetudini proprie del loro settore scientifico. In effetti tutti i commissari hanno mostrato di ritenerle esaustive e su questo punto, del resto, lo stesso ricorrente nulla contesta. Invero egli si limita a censurare l’aspetto meramente formale della omessa indicazione del luogo. Ma una censura così formulata non può essere accolta.

5. Conviene ora discostarsi dall’ordine di esposizione seguito dal ricorrente e passare all’esame della censura relativa all’asserita violazione delle regole concernenti l’anonimato delle prove scritte.

5.1. Va premesso che il bando prevedeva due prove scritte. Si applicava pertanto l’art. 14 del regolamento concernente la generalità dei concorsi pubblici (d.P.R. n. 487/1994) che contiene le minuziose prescrizioni intese a garantire l’anonimato degli elaborati. In caso di pluralità di prove scritte, tuttavia, è previsto che gli elaborati prodotti da ciascun singolo candidato siano riuniti in modo che la commissione possa valutarli nel loro insieme. Occorre cioè che per ciascun candidato sia formato un plico (anonimo) che riunisca le buste (anonime) ciascuna delle quali contiene a sua volta un elaborato e la busta piccola sigillata con il nominativo del candidato. A questo scopo il citato art. 14 prescrive che ciascuna delle buste destinate a contenere l’elaborato e la relativa busta piccola sia dotata di una linguetta staccabile. Il comma 3 dispone: «Al termine di ogni giorno di esame è assegnato alla busta contenente l'elaborato di ciascun concorrente lo stesso numero da apporsi sulla linguetta staccabile, in modo da poter riunire, esclusivamente attraverso la numerazione, le buste appartenenti allo stesso candidato». Il comma 4 dispone: «Successivamente alla conclusione dell'ultima prova di esame (....) si procede alla riunione delle buste aventi lo stesso numero in un unica busta, dopo aver staccata la relativa linguetta numerata (...)».

5.2. Nella fattispecie, come risulta dal verbale n. 4 (13 gennaio 2009) le operazioni di abbinamento degli elaborati e di chiusura delle buste abbinate in unico plico, previo distacco delle linguette numerate, sono state puntualmente eseguite: «Alle ore 12.30 (...) i commissari procedono alla riunione delle buste aventi lo stesso numero in un’unica busta grande, dopo aver staccato la relativa linguetta numerata;
sono presenti all’operazione i candidati (...)».

Sin qui, dunque, non emerge alcun vizio. Se il ricorrente ha inteso dolersi del fatto che le buste erano riconoscibili grazie ai numeri scritte sulle linguette, si deve replicare che lo scopo di quella numerazione era solo quello di consentire l’abbinamento, che subito dopo le linguette dovevano essere staccate e così è stato fatto.

5.3. Il ricorrente tuttavia denuncia un episodio singolare.

Di fatto era avvenuto che al termine della prima prova scritta (12 gennaio 2009) la commissione aveva apposto sulle buste chiuse consegnate dai singoli candidati non solo una firma e la data (come prescritto dal citato art. 14 del regolamento) ma anche l’ora di consegna. Poco dopo i commissari si sono avveduti che in questo modo le buste erano state rese riconoscibili (recentissime decisioni, anche di questo T.A.R., avevano chiarito che l’apposizione dell’ora di consegna, non prevista dal regolamento, rende invalida la procedura).

Come si legge nel verbale del giorno successivo (13 gennaio) la commissione ha inteso porre rimedio alla irregolarità verificatasi. Di conseguenza ha restituito a ciascun candidato la sua busta chiusa (identificata dal numero apposto sulla linguetta staccabile) chiedendogli di trasferirne il contenuto in una nuova busta, ugualmente munita della linguetta staccabile, ma senza altre scritturazioni vietate.

Tutto ciò risulta puntualmente verbalizzato e il Collegio è dell’avviso che così procedendo la commissione abbia opportunamente posto rimedio ad un vizio che avrebbe reso invalida la procedura, senza incorrere in alcun nuovo vizio. Infatti le modalità descritte risultano pienamente idonee allo scopo di garantire l’anonimato degli elaborati. In particolare, quando nel verbale si legge che le operazioni di riapertura e di nuova chiusura delle buste si sono svolte in modo «pubblico e segreto», tale espressione non è affatto oscura, come vorrebbe il ricorrente. Essa vuole attestare che il tutto si è svolto in seduta pubblica, ma che è stata rispettata la segretezza del contenuto delle buste;
esattamente le stesse modalità delle operazioni di chiusura del giorno precedente e di quelle di chiusura degli elaborati della seconda prova scritta, che si sarebbero svolte poco più tardi.

5.4. In conclusione, il motivo in esame va respinto.

6. A questo punto si deve prendere atto, come suggerisce la difesa del controinteressato, che non vi sono ulteriori censure di legittimità che investano le valutazioni espresse dalla commissione relativamente all’una e all’altra prova scritta nonché alla prova orale.

Rimane cioè acquisito definitivamente il giudizio di “ottimo” dato dalla commissione a ciascuna delle tre prove del controinteressato P;
e allo stesso modo rimangono acquisiti i giudizi di “buono” dato alla prima prova scritta ed alla prova orale del ricorrente F, nonché quello di “molto buono” dato alla sua seconda prova scritta. Giudizi, peraltro, articolatamente motivati anche mediante l’indicazione delle mende per cui le performances del candidato F non sono state ritenute ottimali, ma solo “buone” o “molto buone”.

Se questo è vero, peraltro, ne consegue che si raggiunge in tal modo la c.d. prova di resistenza e che perde ogni rilevanza la censura (della quale si era accantonato l’esame) concernente l’asserita sottovalutazione dei titoli del ricorrente. Infatti, anche volendo supporre che i suoi titoli meritassero il giudizio di “ottimo” anziché di “molto buono”, e che perciò sotto questo profilo egli si trovi alla pari con il vincitore P, resterebbe fermo il divario concernente le prove scritte e quella orale. Tale divario sarebbe più che sufficiente a giustificare la collocazione del P al primo posto e, comunque, in posizione poziore rispetto al F.

Il motivo in esame risulta dunque inammissibile per difetto d’interesse.

Non sarà inutile aggiungere, tuttavia, che la sua fondatezza appare quanto meno dubbia. Infatti esso è dedotto mediante il richiamo ai princìpi ed alla giurisprudenza elaborati con riferimento agli ordinari concorsi per il pubblico impiego e procedure analoghe per le quali in effetti vige la regola che tutti i titoli debbono essere distintamente esaminati e valutati (in genere mediante l’attribuzione di un punteggio). Invece nei concorsi per posti di docente universitario e di ricercatore si segue la regola per cui i giudizi sono sempre riferiti all’insieme delle pubblicazioni e degli altri titoli, salva la facoltà, per ciascuno dei commissari (che si esprimono individualmente) di citare espressamente questo o quello dei titoli prodotti, ritenendolo significativo. Pertanto il fatto che taluno dei commissari abbia menzionato qualche titolo non significa che abbia omesso di valutare gli altri.

7. In conclusione, il ricorso va respinto. Si ravvisano tuttavia giusti motivi per compensare le spese.

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