TAR Perugia, sez. I, sentenza 2010-03-26, n. 201000219

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Perugia, sez. I, sentenza 2010-03-26, n. 201000219
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Perugia
Numero : 201000219
Data del deposito : 26 marzo 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00028/2009 REG.RIC.

N. 00219/2010 REG.SEN.

N. 00028/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 28 del 2009, proposto da:
G A, rappresentata e difesa dagli avv.ti L C e F M S, presso il primo dei quali è elettivamente domiciliata in Perugia, corso Cavour, 33;

contro

Comune di Spoleto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. M M, presso il quale è elettivamente domiciliato in Perugia, via Bartolo n. 10;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

dell'ordinanza di demolizione 035/08 emessa in data 6 novembre 2008 e notificata in data 13 novembre 2008.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Spoleto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2009 il Cons. S F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente impugna l’ordinanza di demolizione n. 35 del 6 novembre 2008 del dirigente della Direzione Pianificazione Urbanistica del Comune di Spoleto, concernente le opere abusive eseguite sulla di lei proprietà, in frazione San Venanzo, Località Pontebari n. 16, ricadente in zona E agricola, e sottoposta a vincolo paesaggistico. Le opere abusive consistono essenzialmente in una struttura in muratura composta da due corpi di fabbrica comunicanti, il primo comprendente ingresso, cucina e camera, ed il secondo il bagno, per una superficie complessiva di mq. 49,46, nonchè in un portico in legno in adiacenza ad una parete esterna.

Espone di avere rappresentato, nel corso dell’ispezione avvenuta il 30 settembre 2008, all’agente accertatore che l’opera edile insisteva su quel fondo da epoca remota, e di avere soltanto provveduto a commissionarne la ristrutturazione intorno al 2000.

A sostegno del ricorso deduce i seguenti motivi di diritto :

1) Violazione degli artt. 31 e 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 per vizi afferenti l’ordinanza di demolizione, nella considerazione che la medesima non contiene alcun riferimento alle conseguenze giuridiche dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, e neppure alla facoltà, riconosciuta al proprietario attuale dell’immobile, di presentare istanza di rilascio del permesso in sanatoria. Il provvedimento non indica neppure i possibili rimedi giurisdizionali ed amministrativi previsti dall’ordinamento.

2) Eccesso di potere sotto il profilo della omessa ponderazione di un presupposto di fatto erroneamente ritenuto insussistente, nell’assunto che l’Amministrazione non ha tenuto conto della dichiarazione resa dalla ricorrente, proprietaria dell’immobile e presunto trasgressore, in ordine al fatto che il manufatto oggetto del contestato abuso fosse esistente da tempo immemorabile, e che lei si era limitata alla sostituzione del materiale strutturale dell’edificio, senza incidere sulle caratteristiche dimensionali e volumetriche.

3) Eccesso di potere sotto il profilo del vizio motivazionale, per non avere il provvedimento impugnato tenuto in considerazione il notevole lasso temporale intercorso dal momento di esecuzione dell’abuso.

Si è costituito in giudizio il Comune di Spoleto concludendo per la reiezione del ricorso.

All’udienza del 2 dicembre 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. - Con il primo motivo viene dunque dedotta l’illegittimità dell’impugnata ordinanza di demolizione, in quanto non contiene l’indicazione delle conseguenze derivanti dal mancato ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, come pure della possibilità di ottenere il permesso in sanatoria, ricorrendone i presupposti, e neppure l’indicazione dei rimedi esperibili avverso la stessa.

La censura non appare meritevole di positiva valutazione, e deve pertanto essere disattesa.

Ed invero il provvedimento impugnato reca l’ordine di demolizione delle opere abusive, precedentemente descritte, entro il termine perentorio di 90 giorni dalla data di notifica, con ripristino integrale dello stato dei luoghi, e senza pregiudizio delle sanzioni penali e pecuniarie, precisando che, in caso di inadempimento, si provvederà alla demolizione d’ufficio, a spese dei responsabili dell’abuso.

Manca dunque soltanto l’indicazione che il bene e l’area di sedime verrà acquisita di diritto gratuitamente al patrimonio disponibile del Comune nel caso in cui il responsabile dell’abuso non provveda alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, come invece richiesto dall’art. 6 della l.r. Umbria 3 novembre 2004, n. 21, applicabile, in quanto norma di dettaglio, ai sensi dell’art. 2 della stessa legge, in luogo delle invocate (e comunque sostanzialmente analoghe) disposizioni degli artt. 31 e 36 del d.P.R.6 giugno 2001, n. 380 (t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia).

Tale omissione non inficia peraltro l’ordine demolitorio, che enuncia correttamente i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche ad esso sottese, ed anche il suo specifico contenuto ed effetto sanzionatorio.

La successiva (ed eventuale) acquisizione dell’immobile al patrimonio del Comune è un effetto legale dell’inadempimento, e si verifica (dandosene i presupposti) «di diritto», come dispone la norma citata. Nondimeno ci si può chiedere se detto effetto si verifichi ugualmente anche quando non ne sia fatta esplicita menzione nell’atto, o se al contrario perché esso si produca occorra un nuovo atto che integri il precedente, anche al fine di individuare esattamente l’area da acquisire. Non è però questa la sede per rispondere a tale quesito;
esso sarà rilevante a di interesse attuale solo nell’ipotesi che, sacduto inutilmente il termine per la demolizione, il Comune voglia procedere all’acquisizione dell’immobile.

Allo stato è sufficiente osservare che l’omessa menzione della futura acquisizione dell’area nulla toglie alla legittimità dell’ordine di demolizione.

Per quanto concerne poi la mancata indicazione, nel provvedimento, dell’Autorità cui è possibile ricorrere e del relativo termine, pure censurate con il motivo oggetto di scrutinio, occorre ricordare come, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, la violazione dell’art. 3, comma 4, della legge generale sul procedimento amministrativo non determina l’illegittimità dell’atto, bensì la possibilità, a certe condizioni, della remissione in termini per errore scusabile (tra le tante, T.A.R. Toscana, Sez. II, 6 aprile 2009, n. 565;
T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 4 maggio 2009, n. 387;
T.A.R. Lazio, Sez. III, 18 ottobre 2006, n. 10462;
Cons. Stato, Sez. VI, 16 maggio 2006, n. 2763).

2. - La seconda e la terza censura sono imperniate sull’eccesso di potere, principalmente sotto il profilo del vizio della motivazione, dell’ordinanza di demolizione, che non terrebbe conto di quanto dichiarato dalla ricorrente nel corso dell’ispezione avvenuta il 30 settembre 2008, circa l’esistenza “ab immemorabili” del manufatto abusivo, e la non ascrivibilità alla medesima dell’edificazione in assenza di titolo edilizio.

Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, in quanto tra loro complementari, vanno disattese.

Ed invero, quanto all’assunto secondo cui la ricorrente si sarebbe solamente limitata a ristrutturare, all’incirca nel 2000, un manufatto preesistente, è sufficiente richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato, e non sull’Amministrazione, che, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo edilizio che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, quindi, il provvedimento di demolizione (tra le tante, T.A.R. Piemonte, Sez. I, 4 settembre 2009, n. 2247;
T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 26 ottobre 2005, n. 4099;
T.A.R. Umbria, 10 luglio 2003, n. 589);
e nel caso di specie prova sufficiente della riconducibilità del manufatto abusivo ad epoca risalente a non meno di trentacinque anni orsono non possono certamente ritenersi le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà versate in atti.

Peraltro l’emanazione di un provvedimento che ordini la demolizione di un’opera edilizia abusiva non deve essere preceduta dall’accertamento e dimostrazione ad opera dell’Amministrazione comunale che all’epoca della realizzazione l’opera fosse abusiva, essendo sufficiente l’accertamento della permanenza dell’opera abusiva nel momento in cui il provvedimento è adottato (Cons. Stato, Sez. II, 30 gennaio 1991, n. 772).

Inoltre l’irrogazione della sanzione della demolizione di opere abusive non incontra limiti di prescrizione e dunque, una volta accertatane l’esistenza, l’adozione del provvedimento di demolizione non richiede una specifica motivazione sul punto della presumibile realizzazione dell’abuso stesso in epoca risalente e della ampiezza del tempo trascorso (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 18 febbraio 2003, n. 116).

Ciò specie se, come è nel caso di specie, l’opera abusiva insiste su di un territorio sottoposto, nella sua interezza, a vincolo paesaggistico, ipotesi nella quale la sanzione demolitoria costituisce l’ordinaria e legittima reazione ordinamentale dell’accertata abusività (ex multis T.A.R. Abruzzo, Pescara, 4 giugno 2008, n. 558).

3. - Alla stregua di quanto precede, il ricorso deve essere respinto per l’infondatezza dei motivi dedotti.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

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