TAR Salerno, sez. I, sentenza 2014-06-10, n. 201401089

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. I, sentenza 2014-06-10, n. 201401089
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201401089
Data del deposito : 10 giugno 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01715/2013 REG.RIC.

N. 01089/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01715/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1715 del 2013, proposto da:
M P, rappresentato e difeso dall'avv. A S, presso lo studio del quale elegge domicilio, in Salerno, via Velia, n. 96;

contro

- Guardia di Finanza, in persona del Comandante Generale pro tempore;
- Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del ministro pro tempore,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Salerno, corso Vittorio Emanuele, n.58;

per l'annullamento,

della determina del Comandante generale della Guardia di Finanza del 25 giugno 2013 con cui è stata irrogata al ricorrente la sanzione della rimozione del grado con modifica della causa di cessazione dal servizio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2014 il dott. Gianmario Palliggiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- M P, ex brigadiere ora in congedo della Guardia di Finanza, è stato imputato nell’ambito del procedimento penale n. 5873/02 R.G.N.R. instaurato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Salerno – Direzione Distrettuale Antimafia – per i reati di cui agli artt. 110, 476 (commi 1 e 2), 479 e 61 n. 2 cod. pen. (concorso in falsità materiale ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici), 314 cod. pen. (peculato), 479 (commi 1 e 2) cod. pen. (concorso in falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici).

Il ricorrente, all’epoca dei fatti in servizio presso la sede di Salerno, è stato accusato insieme ad altro ufficiale del Corpo:

- di avere sottoscritto un verbale con falsa attestazione della distruzione di un ingente quantitativo di materiale pirotecnico sottoposto a sequestro, al fine di appropriarsene per poi trarne profitto mediante la vendita a terzi;

- di avere occultato un verbale di sequestro concernenti tre videopoker, con omissione nell’inoltro all’autorità giudiziaria competente.

Con sentenza divenuta irrevocabile il 29 gennaio 2011, il Tribunale di Salerno ha assolto entrambi i militari per intervenuta prescrizione dei reati addebitati.

In esito al giudicato penale, il Comandante generale della Guardia di Finanza ha ordinato, in data 10 gennaio 2013, un’inchiesta disciplinare a carico dei militari coinvolti, avviata il 14 gennaio 2013, con la contestazione degli addebiti.

Sulla base del rapporto finale dell’inchiesta formale redatto dall’Ufficiale inquirente, P è stato deferito al giudizio della Commissione di disciplina la quale, riunitasi in data 3 giugno 2013, ho ha ritenuto “non meritevole di conservare il grado”.

Con determinazione del 25 giugno 2013, notificata all’interessato il successivo 4 luglio, il Comando generale, ravvisata la fondatezza del predetto giudizio, ha irrogato al militare la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione.

2.- Con l’odierno ricorso, notificato il 3 ottobre 2013 e depositato l’11 successivo, M P ha impugnato il predetto provvedimento. Lamenta molteplici motivi di censura che di seguito si esporranno più nel dettaglio.

Ha chiesto l’annullamento degli atti impugnati, previa sospensione cautelare dell’esecuzione degli stessi.

Si è costituita in giudizio, per conto delle Amministrazioni intimate, l’Avvocatura distrettuale dello Stato che, con memoria, ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

Alla pubblica udienza del 23 gennaio 2013, la causa è stata trattenuta per la decisione.

3.- Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e l’errata applicazione di legge, con riferimento agli artt. 861, 865, 867 e 923 d. lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (codice ordinamento militare, di seguito c.o.m.), in relazione all’art. 2136 del medesimo decreto;
l’eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, l’erroneità della motivazione e la carenza d’istruttoria;
la violazione del giusto procedimento.

3.1.- Ad avviso del ricorrente, con riguardo al personale della Guardia di Finanza, l’art. 2136 c.o.m. chiarisce quali siano le disposizioni del libro IV applicabili anche al suddetto personale;
tra queste non rientrano quelle di cui si è avvalsa l’amministrazione per irrogare all’ex dipendente la sanzione disciplinare. Ebbene, anche qualora, per il caso controverso, si ritenga doversi fare riferimento all’art. 923 c.o.m., all’epoca del transito in quiescenza era pendente il solo procedimento penale, conclusosi con una sentenza diversa da quelle individuate dall’art. 866 c.o.m., quale causa di perdita del grado. Di conseguenza, la nuova e sopravvenuta causa di cessazione dal servizio non sarebbe direttamente ascrivibile a sentenza penale;
anche l’altra ipotesi, relativa alla pendenza del procedimento disciplinare al momento della cessazione dal servizio, non può essere invocata, posto che l’interessato si trovava già in quiescenza al momento dell’avvio del procedimento disciplinare.

3.2.- Il motivo è fondato.

L’art. 2135 c.o.m. precisa che “Per il Corpo della Guardia di finanza restano ferme le competenze del Comandante generale in materia di adozione degli atti e provvedimenti di gestione del personale, in applicazione del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.”.

L’art. 2136 c.o.m. indica quali norme del codice sono applicabili, in quanto compatibili, anche alla Guardia di Finanza.

3.2.1.- Il ricorrente interpreta la disposizione nel senso che il legislatore avrebbe chiarito che solo le norme indicate nel richiamato art. 2136 c.o.m. si estenderebbero ai militari della Guardia di finanza, sempreché siano compatibili. Di conseguenza, tutte le altre disposizioni del c.o.m., non riportate dal menzionato art. 2136, non sono applicabili, tra le quali, quelle relative al provvedimento disciplinare.

3.2.2.- La difesa erariale (che si riconduce alle sentenze del Tar Emilia Romagna, sez. Parma, n. 3342 e 3354 del 2013) propone un’interpretazione diversa che perviene a conclusioni opposte: anche per la Guardia di finanza trovano applicazione tutte le norme del codice, salvo quelle richiamate dall’art. 2136, commi 1 e 2, adottabili solo con il filtro della compatibilità.

La difesa erariale supporta questa tesi sottolineando che il codice (art 2268, comma 1, n. 400, c.o.m.) ha disposto l’abrogazione espressa, tra le altre, della legge n. 599/1954, concernente lo “Stato dei sottufficiali dell’Esercito della Marina e dell’Aeronautica”.

Tale abrogazione avrebbe comportato, per implicito, la soppressione anche della L. 17 aprile 1957, n. 260, la quale, nel disciplinare lo Stato del corpo della guardia di Finanza, fa rinvio proprio all’ormai abrogata L. n. 599/1954. In particolare, l’art. 6 della menzionata L. n. 260/1957 stabilisce che “L'inchiesta formale e la formazione della Commissione di disciplina sono disposte dal comandante generale o dal comandante della zona od equiparato dal quale il sottufficiale dipende per ragioni di impiego.”.

3.2.3.- Replica sul punto il ricorrente, rimarcando che la L. 260/1957 non amplia affatto in via generale l’ambito soggettivo di applicazione della L. 599/1954, ma semplicemente estende il contenuto di talune disposizioni concernenti lo “stato” dei Sottufficiali dell'Esercito (Arma dei Carabinieri), alla Guardia di finanza.

Di conseguenza, la legge 260/1957 rimane pienamente in vigore, anche per quanto riguarda i rinvii alla L. 599/1954, benché abrogata.

3.2.4.- Va quindi risolto questo dubbio interpretativo che risulta decisivo ai fini della controversia in esame: occorre in altri termini appurare se l’abrogazione della legge 599/1954, espressamente sancita dall’art. 2268 c.o.m., abbia portata espansiva anche ai fini della caducazione della L. n. 260/1957.

3.2.5.- Il Collegio ritiene che non vi siano i presupposti per sposare la tesi della difesa erariale circa l’abrogazione implicita della L. n. 260/1957;
vi sono anzi fondate ragioni di ordine esegetico per considerare non plausibile l’effetto abrogativo “a cascata”.

Sul punto, gli articoli 2268 e 2269 c.o.m. elencano in via analitica, rispettivamente, le norme primarie e secondarie da abrogare per effetto dell’entrata in vigore del codice.

L’art. 2270 elenca le norme primarie e secondarie che, al contrario, restano in vigore.

La L. n. 260/1957 non è presente in alcuno degli elenchi.

Per le ricadute formali, risulta certamente più significativa la circostanza che la L. n. 260/1957 non sia richiamata tra le norme abrogate, per la semplice considerazione che una disposizione abrogatrice ha carattere innovativo per l’ordinamento, posto che sopprime una norma o un sistema di norme prima in vigore, salvo casi particolari – che non ricorrono nell’ipotesi in esame - per i quali il legislatore interviene al deliberato fine di sciogliere un dubbio ermeneutico in merito al permanere della vigenza di una pregressa normativa.

Al contrario, una disposizione che sancisca il permanere in vigore di pregresse normative, assume carattere squisitamente ricognitivo, destinato cioè non ad innovare l’ordinamento bensì a rimuovere eventuali dubbi interpretativi circa il possibile effetto abrogativo implicito di una nuova normativa su altra pregressa, avente rispetto alla prima contenuto incompatibile.

In altri termini, il mancato richiamo di una specifica normativa tra quelle che rimangono in vigore è in definitiva non risolutivo sul permanere della stessa, la quale, pur priva di un comodo dato esegetico approntato dal legislatore, continua ad essere operante nel sistema per “forza d’inerzia”, in quanto, una volta promulgata, vige in via permanente nell’ordinamento, salvo i casi di termini di durata o del sopravvenire di normative palesemente incompatibili, di pari forza e grado.

3.2.6.- Pertanto, esclusa l’abrogazione espressa della L. n. 260/1957, devono individuarsi elementi sistematici che conducano al contrario verso una abrogazione implicita della stessa.

Il Collegio ritiene che sia proprio il codice militare ad eliminare ogni dubbio circa la mancanza delle condizioni per ritenere sussistente l’abrogazione implicita, nel punto in cui, sin da subito, all’art. 1, comma 2, chiarisce che “Nulla è innovato dal presente codice per quanto concerne le disposizioni vigenti proprie del Corpo della guardia di finanza”.

Questa previsione appare determinante in quanto il legislatore, sebbene animato dall’intento di dettare una disciplina organica ed omogenea, valevole in via generale per tutto il personale delle Forze armate, non ha potuto fare a meno di considerare le peculiarità di ordinamento, struttura ed organizzazione che ancora oggi contraddistinguono il corpo della Guardia di finanza, tali da renderlo non assimilabile del tutto alle altre Forze armate e, pertanto, a queste non uniformabile.

In questo senso, il richiamo che la legge 260/1957 opera nei confronti della L. 599/1954, va esattamente inteso quale rinvio recettizio, non mobile. Era dunque a quest’ultima normativa che, per effetto del rinvio, il Comandante Generale della Guardia di Finanza avrebbe dovuto fare riferimento per individuare le regole del procedimento disciplinare e le conseguenti sanzioni da irrogare.

4.- In ogni caso, anche a volere comunque ritenere applicabile al Corpo della Guardia di Finanza le disposizioni del c.o.m., il rilievo mosso dal ricorrente - teso a dimostrare che, nella specie, non poteva operare la modifica della causa di cessazione dal sevizio, fissata dall'art. 923 c.o.m. - è fondato.

Invero, la difesa erariale ritiene che dalla data di decorrenza della perdita del grado discenda l'automatica modifica delle cause di cessazione dal servizio.

4.1.- Anche questa tesi non è condivisibile.

Le cause di perdita del grado sono individuate dall'art. 861, che fa riferimento anche alla rimozione, disciplinata dall'art. 865, all'esito del procedimento disciplinare e alla condanna penale, regolamentata dall'art. 866.

In merito alla decorrenza della perdita del grado, l’art. 867 distingue:

- nel caso di sentenza penale, questa coincide col passaggio in giudicato della decisione;

- negli altri casi , tra i quali anche la rimozione per motivi disciplinari, con la data di cessazione dal servizio, salvo il caso di applicazione della sospensione precauzionale, ipotesi che non ricorre nella specie.

L’ipotesi di modifica della causa di cessazione dal servizio è disciplinata dall'art. 923, ultimo comma, secondo cui – in applicazione del principio generale – la cessazione dal servizio si ha nel momento in cui si verifica la relativa causa;
il comma 5 fa salva l’ipotesi in cui il militare all'atto della cessazione sia già sottoposto a procedimento penale o disciplinare.

Laddove quindi il procedimento penale ovvero disciplinare si concluda con un provvedimento di perdita del grado, la cessazione dal servizio si considera avvenuta per tale causa.

4.2.- Le citate disposizioni rendono chiaro che non vi è automatismo tra perdita del grado e modifica della causa di cessazione dal servizio. Simile coincidenza può verificarsi nell’ipotesi in cui sia pendente, al momento del transito in quiescenza, un procedimento penale o disciplinare conclusosi sfavorevolmente per l'interessato.

In altri termini, deve esservi la materiale conoscenza da parte dell’interessato di una condizione sfavorevole che – ove si realizzi - non gli consentirà il mantenimento della causa per cui è cessato dal servizio. In assenza di siffatta condizione, non è possibile applicare la disposizione prevista dall'art. 923, ultimo comma, c.o.m.

4.3.- Ed è proprio la concorrenza della condizione (pendenza del procedimento penale o disciplinare) che esalta la ratio della norma invocata: evitare che gli esiti sfavorevoli del giudizio penale o del procedimento disciplinare, i quali devono già preesistere, possano essere vanificati ricorrendo all’espediente della cessazione dal servizio per altra causa.

Sul punto, la sentenza del Consiglio di Stato n. 7734/2010, richiamata dalla difesa erariale, non smentisce questo assunto, posto che si riferisce ad un caso nel quale un militare della Guardia di Finanza era stato condannato con sentenza definitiva.

4.4.- Nella fattispecie in esame, al contrario, la condizione richiesta dall'art. 923 non si è verificata in senso sfavorevole al ricorrente, posto che il procedimento penale a suo carico non si è concluso tecnicamente con sentenza di condanna;
pertanto, la perdita del grado non può avvenire in applicazione dell’art. 866 c.o.m..

Ne consegue che, nella fattispecie in esame, la perdita del grado decorre dalla data di cessazione dal servizio - ai sensi dell’art. 867, comma 5 – ma senza possibilità di modificarne la causa, ai sensi dell’art. 923, comma 5. Infatti, da un lato, il procedimento penale non si è concluso con condanna definitiva e, dall’altro, il procedimento disciplinare non era stato ancora avviato al momento della cessazione dal servizio.

Non contrasta con questa conclusione la previsione di cui all’art. 1393 c.o.m., secondo cui il

procedimento disciplinare non può essere avviato, e se avviato deve essere sospeso, in pendenza del procedimento penale. Tale previsione non avrebbe impedito all'Amministrazione di avviare comunque il procedimento disciplinare prima di quello penale;
di sospenderlo in costanza del procedimento penale e, quindi, di riattivarlo una volta che detto procedimento penale si sia concluso, per disporre eventualmente la rimozione per motivi disciplinari, ai sensi dell’art. 865.

Non è invece ammissibile la modifica della causa di cessazione dal servizio mancando i presupposti richiesti dall'art. 923 c.o.m.

5.- In conclusione, il comando generale avrebbe dovuto dare corso alla sospensione disciplinare dalle attribuzioni del grado, prevista dall’art. 48 L. 599/1954, tipica sanzione applicabile ai sottufficiali in congedo, ipotesi non contemplata dal codice.

Il rilievo ha carattere assorbente, stante il suo carattere viziante sull’intera procedura e sui relativi atti. Il ricorso, pertanto, merita accoglimento.

6.- Deve comunque affrontarsi il settimo motivo di censura, con il quale il ricorrente si duole della sopravvenuta revoca del trattamento di quiescenza.

Nello specifico il ricorrente fa presente che, a seguito della modificazione della causa di cessazione dal servizio, non avendo maturato, alla data del 10 maggio 2005, l’anzianità di servizio per il transito in congedo ordinario, l’amministrazione gli ha comunicato, con nota del 24 luglio 2013, la revoca del trattamento di quiescenza e la ripetizione di quanto percepito, a tale titolo, a partire dal 10 maggio 2005.

Sul punto il Collegio rileva che, in disparte l’effetto di invalidità derivata prodotto dall’illegittimità degli atti impugnati, la materia esula dalla cognizione del giudice amministrativo per rientrare in quello, in via esclusiva, della Corte dei conti. Pertanto, su questo specifico aspetto della controversia, in linea con pacifico orientamento della giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. III, 28 novembre 2006, n. 3328;
T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 23 luglio 2009, n. 624), deve dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in favore della giurisdizione della Corte dei Conti.

7.- Le spese in considerazione delle oggettive incertezze interpretative sulla normativa da applicare alla questione controversa, possono essere integralmente compensate tra le parti in causa.

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