TAR Venezia, sez. I, sentenza 2010-05-25, n. 201002172

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2010-05-25, n. 201002172
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201002172
Data del deposito : 25 maggio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00665/1999 REG.RIC.

N. 02172/2010 REG.SEN.

N. 00665/1999 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 665 del 1999, proposto da:
S A M, rappresentato e difeso dall’Avv. S B, dall’Avv. M G M e dall’Avv. S M, con domicilio eletto in Venezia presso lo studio dell’Avv. G P, San Polo, 3080/L;

contro

Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica , ora Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 2 del D.L.vo 31 luglio 1999 n. 300, come da ultimo sostituito dall’art. 1, comma 1, del D.L. 16 maggio 2008 n. 85 convertito con modificazioni in L. 14 luglio 2008 n. 121 (Rm);

nei confronti di

Vanni Salvatore;

per l’annullamento

del provvedimento Prot. n. 3769 – 4198/RT dd. 7 gennaio 1999, a firma del Dirigente preposto all’Ufficio V° - DIPAUS del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica e recante la dichiarazione della propria incompetenza a conoscere della domanda presentata dal ricorrente al fine del riconoscimento del proprio diploma di laurea in ingegneria civile anche ai fini dell’ammissione all’esercizio di attività professionale nel settore dell’architettura;
nonché di ogni altro atto presupposto e conseguente.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2010 il dott. F R e udito per il ricorrente l’Avv. M.G. Maggiora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. Il ricorrente, Ing. Alberto Maria S, espone di aver conseguito nell’anno 1973 il diploma di laurea in ingegneria civile presso l’Unversità degli Studi di Padova e di essere iscritto al n. 940 dell’Albo professionale degli Ingegneri di Verona.

Con istanza dd. 19 novembre 1998 indirizzata all’allora Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, il S, “premesso” di aver “conseguito il menzionato diploma di laurea in ingegneria civile edile a seguito di un ciclo di formazione rispondente ai requisiti stabiliti negli artt. 2 e 3 della direttiva comunitaria n. 85/384;
che la lettera g) dell’art. 11 della direttiva in esame equipara, ai fin i dell’accesso alle attività nel settore dell’architettura, il diploma di laurea in architettura ed il diploma di laurea in ingegneria civile edile;
che detta equiparazione (operata includendo tra i titoli che abilitano alla professione di architetto nei paesi dell’Unione Europea sia la laurea in architettura sia la laurea in ingegneria nel settore della costruzione civile) è frutto di espressa volontà della normativa vincolante anche in Italia”
;
di avere “in quanto cittadino italiano, … cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea e, dunque (al pari di qualsiasi altro cittadino di qualunque altro Stato membro dell’UE che sia in possesso di uno dei titoli di cui all’art. 11 della direttiva n. 85/394 CEE) … diritto di accedere, occorrendo previo riconoscimento del proprio titolo, alle attività nel settore dell’architettura, in quanto in mancanza si verificherebbe una non accettabile e discriminatoria disparità di trattamento che vedrebbe favoriti i cittadini non italiani” , ha chiesto “che il proprio titolo professionale venga riconosciuto nel territorio della Repubblica italiana ai fibni dell’ammissione all’esercizio delle attività nel settore dell’Architettura, a norma del D.L.vo 27 gennaio 1992 n. 129, ovvero , in alternativa, che venga espressamente dichiarato che il riconoscimento non occorre, in quanto il sottoscritto è titolare di un diploma che lo abilita senz’altro ad accedere a dette attività senza necessità di alcun riconoscimento” (cfr. doc. 2 di parte ricorrente).

Il S ha allegato a tale istanza “certificato di laurea in bollo, certificato di casellario giudiziale, certificato di residenza, certificato di cittadinanza, dichiarazione resa a norma della L. 4 gennaio 1968 n. 15 con la quale … attesta di non essere mai stato dichiarato fallito” (cfr. ibidem ).

Con nota Prot. n. 3769 e 4198/R.T. dd. 7 gennaio 1999 indirizzata al Ministero di Grazia e Giustizia (ora Ministero della Giustizia, a’ sensi dell’art. 2 del D.L.vo 30 luglio 1999 n. 300 e successive modifiche ) – Direzione Generale affari civili e libere professioni - Ufficio VII° e “per conoscenza” allo stesso S, nonché a tale dott. Z (sottoscrittore di altra analoga istanza), il Dirigente preposto al DIPAUS – Ufficio V° del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica ha trasmesso alla predetta Direzione Generale del Ministero di Grazia e Giustizia “le domande degli ingegneri S e Z tendenti all’iscrizione all’Albo degli Architetti, non essendo di questo Ministero la competenza relativa all’iscrizxione negli albi professionali. La Direttiva CE 85/384 invocata dagli stessi ingegneri è applicabile ad architetti della CE, non italiani, che vogliano lavorare in Italia. Allo scopo di risolvere l’equivoco creatosi si sollecita ancora una volta la nota Prot. 1765 del 5/6)8 (Verosimilmente “5/6/1998” per un errore di digitazione alla tastiera) con la quale si chiedevano ragguagli al fine di poter corrispondere alla domanda dell’Ing. Consiglio” (evidentemente, altro presentatore di analoga richiesta), “nota peraltro più volte sollecitata anche per le vie brevi” .

Con nota Prot n. 7/1003004F5/809/U dd. 17 febbraio 2009 il predetto Ufficio VII° della Direzione Generale degli Affari Civili e delle Libere Professioni del Ministero di Grazia e Giustizia ha dato riscontro alla testè riportata missiva del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, affermando a sua volta – e per quanto qui segnatamente interessa - “che l’applicazione – ed, a fortiori – l’interpretazione del contenuto precettivo della direttiva 85/384/CE richiamata dagli Ingegneri S e Z, rientra tra le attribuzioni funzionali di codesta Amministrazione. Quanto, poi, alla iscrizione negli albi professionali la stessa viene effettuata direttamente dagli Ordini professionali e non già dall’Amministrazione Centrale. … Ferma restando la necessità di un maggiore approfondimento … sembrerebbe che le richieste dell’Ing. Consiglio da una parte e degli Ingegneri S e Z dall’altra, non siano assimilabili dal punto di vista giuridico, giacchè mentre in un caso il riconoscimento del titolo accademico nazionale in ingegneria è richiesto – da quanto appreso – per l’esercizio all’estero della professione di architetto, nel secondo il medesimo titolo è invocato per l’iscrizione nell’Albo nazionale degli architetti. Sicchè, nel ritrasmettere la documentazione afferente le domande degli architetti (sic!) S e Z, non potendo questo Ufficio prendere in esame la domanda di iscrizione né, tanto meno, quella di equipollenza del titolo accademico avanzata dagli istanti in via subordinata, si richiede comunque l’invio della documentazione concernete la vicenda dell’Ingegnere Consiglio al fine di poter adeguatamente evadere la Vs. richiesta” (cfr. doc. 9 di parte ricorrente).

1.2. Ciò posto, con il ricorso in epigrafe il S chiede l’annullamento della surriportata nota Prot. n. 3769 – 4198/RT dd. 7 gennaio 1999, a firma del Dirigente preposto all’Ufficio V° - DIPAUS del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica e recante la dichiarazione della propria incompetenza a conoscere della domanda presentata dal ricorrente al fine del riconoscimento del proprio diploma di laurea in ingegneria civile anche ai fini dell’ammissione all’esercizio di attività professionale nel settore dell’architettura;
nonché di ogni altro atto presupposto e conseguente.

Il ricorrente preliminarmente afferma che egli sarebbe stato “costretto a presentare l’istanza di cui trattasi da sorprendenti decisioni della Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici di Verona, la quale, con atti illegittimi (già impugnati con ricorso giurisdizionale amministrativo, tuttora pendente dinanzi al TAR Lazio) aveva stabilito che, a partire dall’estate del 1998, l’esame dei progetti concernenti immobili di interesse artistico e storico sarebbe stato subordinato alla sottoscrizione del progetto stesso da parte di un architetto” (cfr. pag. 4 dell’atto introduttivo del presente giudizio).

Il S deduce quindi a fondamento del proprio ricorso eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti, violazione dell’art. 4 del D.L.vo 129 del 1992, violazione della direttiva 85/384/CE con contestuale vizio di eccesso di potere per carenza di motivazione e disparità di trattamento, nonché violazione del principio di eguaglianza affermato dall’art. 3 Cost.

2. Non si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica , medio tempore divenuto Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a’ sensi e per gli effetti dell’art. 2 del D.L.vo 31 luglio 1999 n. 300 come da ultimo sostituito dall’art. 1, comma 1, del D.L. 16 maggio 2008 n. 85 convertito con modificazioni in L. 14 luglio 2008 n. 121, nonché l’Arch. Salvatore Vanni, iscritto al relativo Ordine professionale di Verona e, in quanto tale, evocato dal ricorrente in giudizio quale controinteressato.

3. Con memoria dd. 2 febbraio 2010 il S ha insistito per l’accoglimento del ricorso, documentando peraltro che, dopo la proposizione del ricorso in epigrafe, con atto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a lui rilasciato, “visti gli atti in possesso di questo Ministero, si certifica che il Sig. Alberto S, nato a Verona il 25 giugno 1947, ha conseguito presso l’Università degli studi di Padova la laurea di dottore in Ingegneria civile edile il 23 settembre 1973 ed ha superato l’esame di Stato per l’esercizio della professione di ingegnere nella II^ sessione dell’anno 1993 ed è iscritto presso l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Verona con il n. 940. La posizione dell’interessato è pertanto conforme a quanto richiesto dagli artt. 3, 4, 10 e 11 della direttiva CEE 85/384. Si attesta altresì che, secondo l’ordinamento italiano, l’ “esperienza pratica” di cui all’art. 23, secondo comma, della direttiva 85/384/CEE, è compresa nel percorso formativo ed è necessaria per sostenere l’esame di Stato. Il presente certificato si rilascia a richiesta dell’interessato per l’esercizio della professione nei Paesi della CEE. Roma 22 gennaio 2002. Il Dirigente T C” (cfr. doc. 16 di parte ricorrente, secondo elenco).

Il S, nel rimettere comunque alla valutazione di questo giudice se il rilascio di tale atto determini – o meno – la cessazione della materia del contendere, rimarca comunque che la certificazione surriportata non avrebbe ad oggetto l’attestazione da lui giudizialmente richiesta, posto che dalla lettura della medesima non si ricaverebbe che la pur riconosciuta conformità alla direttiva comunitaria del titolo da lui posseduto lo abilita anche a svolgere attività professionale anche in Italia nel settore dell’architettura.

Lo stesso S, inoltre, documenta di aver pure nel frattempo ottenuto in data 3 luglio 2002 dal Ministerio de Educaciòn, Cultura y Deporte del Regno di Spagna, Secretaría General Técnica – Subdireccíon General de Títulos, Convalidaciones y Homologaciones, il riconoscimento dei propri titoli italiani di studio e di abilitazione professionale con l’espressa affermazione che gli stessi gli consentono di svolgere in Spagna la professione di architetto (cfr. ibidem , doc. 17), e riferisce – altresì – che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, da lui richiesto di riconoscere a sua volta che il titolo spagnolo di Arquitecto da lui così conseguito gli consentiva di svolgere in Italia attività professionale nel settore dell’architettura, ha respinto la richiesta stessa, con ciò – peraltro – riconoscendo in via implicita la propria competenza a provvedere nella materia di cui trattasi.

In ogni caso, il ricorrente evidenzia che dalla presentazione della domanda al rilascio della surriportata certificazione dd. 22 gennaio 2002 sono decorsi ben quattro anni e che da tale circostanza dovrebbe conseguire la condanna del Ministero intimato al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio.

4. Alla pubblica udienza del 18 febbraio 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.

5. Il Collegio, per parte propria, reputa che per il ricorso in epigrafe deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.

E’ ben noto che la decisione che dichiara la cessazione della materia del contendere non assume valenza meramente processuale, ma contiene l’accertamento relativo al rapporto amministrativo controverso e alla pretesa sostanziale vantata dall’interessato, e che il suo elemento caratterizzante è costituito dalla causa che determina l’effetto estintivo del giudizio: ossia, dalla circostanza che l’Amministrazione intimata, con le proprie determinazioni, ha dato piena soddisfazione alla pretesa sostanziale invocata dall’interessato in giudizio (così, ex plurimis e puntualmente, Cons. Stato, Sez. V, 12 dicembre 2009, n. 7800).

Opportunamente, e di recente, la giurisprudenza ha pure rimarcato che il necessario rispetto dei principi costituzionali di cui agli artt. 24, 111 e 113 Cost., i quali impongono al giudice di pronunciarsi sulla questione controversa salvo la rinunzia delle parti all’azione o il sopraggiunto venir meno delle ragioni del loro contendere, comporta che soltanto in via eccezionale il giudizio può concludersi con una declaratoria di cessata materia del contendere per inutilità della sentenza: inutilità che va, comunque, accertata con il massimo rigore onde non vanificare le sopradette garanzie costituzionali (cfr. Cons. Stato , Sez. V, 20 luglio 2009 n. 4541).

Nel caso di specie, l’assunto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca contenuto nella predetta certificazione dd. 20 gennaio 2002 e secondo il quale “il presente certificato si rilascia a richiesta dell’interessato per l’esercizio della professione nei Paesi della CEE” obiettivamente determina la piena soddisfazione alla pretesa del ricorrente: e ciò, anche – e soprattutto - in relazione a quanto poi espressamente affermato con nota Prot. 1436 dd. 31 maggio 2004 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Dipartimento per l’Università, l’alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca scientifica e tecnologica – Direzione Generale per l’Università – Ufficio X, sempre indirizzata all’Ing. S e nella quale si legge – tra l’altro, e per quanto qui segnatamente interessa – che “la S.V. è in possesso del titolo professionale di “Ingegnere civile” che, in ottemperanza alla relativa normativa italiana, Le consente di operare in Italia nell’ambito dell’Architettura” (cfr. ibidem , doc. 10).

Tale ultima precisazione corrisponde per certo al petitum che il ricorrente ha proposto nel presente giudizio.

5. Le spese e gli onorari del giudizio vanno peraltro opportunamente e integralmente compensati tra le parti, posto che sulla questione di fondo – ossia sulla sussistenza del nostro ordinamento di una piena equiparazione tra l’architetto e l’ingegnere civile laureatisi ed abilitatisi in Italia in ordine alla possibilità di esercizio di attività professionale in materia di architettura - la giurisprudenza non è a tutt’oggi pervenuta a conclusioni univoche, e ciò nonostante la predetta disciplina comunitaria di riferimento (cfr. ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 11 settembre 2006 n. 5239): disciplina che, attualmente – tra l’altro – risulta formalmente sostituita (ma, a ben vedere, con norme che per il caso di specie sono omologhe alle precedenti) dalla nuova direttiva 2005/36/CE (cfr., segnatamente, l’art. 47 e ss., nonchè l’allegato VI della stessa) e, nell’ambito dell’ordinamento interno italiano, dal conseguente D.L.vo 9 novembre 2007 (cfr., segnatamente, l’art. 52 e ss. del medesimo).

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