TAR Venezia, sez. I, sentenza 2018-02-09, n. 201800143

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2018-02-09, n. 201800143
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201800143
Data del deposito : 9 febbraio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/02/2018

N. 00143/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00008/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8 del 2013, proposto da:
Societa' Agostini &
Partners S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato G A D M, con domicilio ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del T.A.R.;

contro

Universita' degli Studi di Padova, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Venezia, San Marco, 63;

Accertamento della responsabilità contrattuale dell'Università degli Studi di Padova e risarcimento del danno.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’ Universita' degli Studi di Padova;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2018 il dott. Nicola Fenicia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto di citazione ritualmente notificato la Agostini &
Partners s.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Padova, l'Università di Padova, deducendo: di essere risultata aggiudicataria di un contratto di appalto per l'esecuzione di servizi di trasporto, movimentazioni e facchinaggio;
che il contratto era stato stipulato in data 5 gennaio 2000 per la prevista durata di quattordici mesi, con decorrenza 1 febbraio 2000, prorogabili per ulteriori mesi dodici;
che la proroga era stata disposta per soli due mesi, e pertanto il rapporto si era risolto in data 30 aprile 2001;
che nel periodo di vigenza del predetto contratto di appalto l'Università di Padova aveva assegnato a ditte terze l’esecuzione dei servizi di trasporto e facchinaggio, per importi ingenti, così frustrando le legittime aspettative dell'attrice a divenire affidataria anche di tali ulteriori servizi e violando i doveri di buona fede e correttezza, nonché le norme del D.lgs. n. 163/2006 che disciplinano la conclusione degli appalti pubblici. Sulla base di tali premesse, l'attrice chiedeva la condanna dell'Università convenuta al risarcimento del danno subito, consistente nella perdita di chance , da quantificarsi in misura pari al 10% dell’importo dei mandati di pagamento emessi a favore delle ditte aggiudicatarie delle gare di appalto nel periodo di vigenza del contratto concluso tra le parti.

Con sentenza del 30 luglio 2012 il Tribunale di Padova respingeva le domande risarcitorie connesse con l’asserito inadempimento contrattuale, ritenuto dal giudice insussistente, e declinava la giurisdizione in ordine alla valutazione degli altri profili di illiceità del comportamento dell'Università, connessi alla conclusione di altri contratti di trasporto e facchinaggio con ditte terze in asserita violazione delle norme in tema di evidenza pubblica, stante sul punto la giurisdizione esclusiva del G.A. .

Riassunto il giudizio dinanzi a questo T.A.R. la società Agostini &
Partners ha ribadito l’illegittimità del comportamento dell’Università per aver utilizzato la trattativa privata invece della gara pubblica, in violazione delle norme allora vigenti in materia di limiti di spesa per la trattativa privata, con conseguente perdita di chance da parte della medesima ricorrente.

Si è costituita l’Università di Padova eccependo preliminarmente la nullità della comparsa in riassunzione per incertezza assoluta dell’oggetto della domanda, nonché la prescrizione della pretesa azionata avente titolo extracontrattuale, ed argomentando nel merito in ordine all’infondatezza della pretesa anche in ragione della mancata tempestiva attivazione dei rimedi impugnatori.

In vista dell’udienza di discussione la ricorrente ha depositato una memoria conclusiva precisando e ribadendo le proprie conclusioni e contestando le deduzioni della difesa erariale.

All’udienza del 24 gennaio 2018, all’esito della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Si può prescindere dall’esame delle eccezioni preliminari formulate dalla difesa dell’Università essendo il ricorso palesemente infondato per le seguenti ragioni.

Il codice del processo amministrativo, entrato in vigore il 16 settembre 2010, dunque successivamente all’instaurazione della presente causa, superando definitivamente la questione della pregiudizialità dell’azione di annullamento rispetto all’azione risarcitoria, ha accolto la tesi della proponibilità in via autonoma dell’azione di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, prevedendo tuttavia, all’art. 30, comma 3: da un lato, un breve termine di decadenza pari a 120 giorni decorrenti dal verificarsi del fatto ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da esso;
dall’altro, in ossequio ai principi sanciti dall’art. 1227, c.c., che in caso di azione risarcitoria autonoma va escluso il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare con l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.

La ricorrente, senza proporre azione di annullamento dinanzi al giudice amministrativo dei provvedimenti dell’Università con i quali sono stati affidati gli ulteriori servizi mediante esperimento della trattativa privata, ha proposto domanda di risarcimento del danno in via autonoma.

Tale domanda non può essere accolta, in virtù del principio ricavabile dall’art. 30 comma 3 del c.p.a. .

Si deve infatti innanzitutto rammentare che l’art. 30, comma 3, secondo periodo, c.p.a. - nel prevedere che “ nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti ” - chiarisce che anche nel processo amministrativo deve trovare applicazione la regola generale di cui all’art. 1227, comma 2, cod. civ., secondo il quale “ il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza ”.

Inoltre giova ricordare che - con particolare riferimento alle domande risarcitorie pure finalizzate ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati dall’adozione di provvedimenti illegittimi - l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 3/2011 ha chiarito come “la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo possa essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell’ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno”. In particolare in tale pronuncia è stato evidenziato quanto segue: “il ricorso per annullamento finalizzato a rimuovere la fonte del danno, pur non essendo più l’unica tutela esperibile, è il mezzo di cui l’ordinamento giuridico processuale dota i soggetti lesi da un provvedimento illegittimo proprio per evitare che quest’ultimo produca conseguenze dannose. Ne deriva che l’utilizzo del rimedio appropriato coniato dal legislatore proprio al fine di raggiungere gli obiettivi della tutela specifica delle posizioni incise e della prevenzione del danno possibile, costituisce, in linea di principio, condotta esigibile alla luce del dovere di solidale cooperazione di cui alla norma civilistica in esame. Nella specie assume un ruolo decisivo la considerazione, di tipo comparativo, che la tecnica di tutela non praticata, quella di annullamento, se si eccettua il profilo del termine decadenziale, non implica costi ed impegno superiori a quelli richiesti per la tecnica di tutela risarcitoria, ed anzi si presenta più semplice e meno aleatoria nella misura in cui richiede il solo riscontro della presenza di un vizio di legittimità invalidante senza postulare la dimostrazione degli altri elementi invece necessari a fini risarcitori, quali l’elemento soggettivo, il duplice nesso eziologico nonché l’esistenza e la consistenza del danno risarcibile in base ai parametri di cui agli artt. 1223 e seguenti del codice civile. Si deve allora reputare che la scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile. Detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall’art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile. A diversa conclusione si deve invece pervenire laddove la decisione di non fare leva sullo strumento impugnatorio sia frutto di un’opzione discrezionale ragionevole e non sindacabile in quanto l’interesse all’annullamento oggettivamente non esista, sia venuto meno e, in generale, non sia adeguatamente suscettibile di soddisfazione. Si consideri, a titolo esemplificativo, l’ipotesi in cui il provvedimento sia stato immediatamente eseguito producendo una modificazione di fatto irreversibile;
o quella in cui i tempi tecnici del processo non consentano, ragionevolmente, di praticare, in modo efficiente, il rimedio della tutela ripristinatoria;
o, ancora, le situazioni in cui, per effetto di specifica previsione di legge (cfr. l’art. 246, comma 4, del codice dei contratti pubblici, da ultimo confluito nell’art. 125, comma 3, del codice del processo amministrativo), il mezzo dell’annullamento non possa soddisfare, in termini reali, l’aspirazione al conseguimento del bene della vita desiderato”.

Poste tali premesse - e considerato che la società ricorrente non ha adito il giudice amministrativo per far accertare l’illegittimità dei disposti affidamenti a ditte terze dei servizi di trasporto e facchinaggio - risulta decisivo verificare se la disciplina posta dall’art. 30, comma 3, secondo periodo, c.p.a. sia applicabile alla fattispecie in esame, posto che l’azione è stata esperita prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo.

A ben vedere, su tali questioni ha già preso posizione l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella già citata sentenza n. 3/2011. Infatti in tale pronuncia l’Adunanza Plenaria - dopo aver posto in rilievo che “il legislatore, se da un lato non ha recepito il modello della pregiudizialità processuale della domanda di annullamento rispetto a quella risarcitoria, dall’altro ha mostrato di apprezzare la rilevanza causale dell’omessa impugnazione tempestiva che abbia consentito la consolidazione dell’atto e dei suoi effetti dannosi. In tal modo il codice ha suggellato un punto di equilibrio capace di superare i contrasti ermeneutici registratisi in subiecta materia tra le due giurisdizioni e, in parte, anche in seno ad ognuna di esse. Il legislatore, in definitiva, ha mostrato di non condividere la tesi della pregiudizialità pura di stampo processuale al pari di quella della totale autonomia dei due rimedi, approdando ad una soluzione che, non considerando l’omessa impugnazione quale sbarramento di rito, aprioristico ed astratto, valuta detta condotta come fatto concreto da apprezzare, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, per escludere il risarcimento dei danni evitabili per effetto del ricorso per l’annullamento” - ha rilevato come, ferma restando l’inapplicabilità delle norme del codice alle fattispecie risalenti ad epoca anteriore alla data della sua entrata in vigore (16 settembre 2010), tuttavia la disciplina posta dal primo e dal terzo comma secondo periodo, dell’art. 30 “pervenga ad una soluzione convincente delle divergenze interpretative, estensibile a situazioni anteriori in quanto ricognitiva di principi evincibili dal sistema normativo antecedente all’entrata in vigore del codice. Reputa, infatti, questo Consiglio che entrambi i principi affermati dal d.lgs. n. 104 del 2010 - quello dell’assenza di una stretta pregiudiziale processuale e quello dell’operatività di una connessione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria - fossero ricavabili anche dal quadro normativo vigente prima dell’entrata in vigore del codice”.

In altri termini, secondo la condivisibile prospettazione dell’Adunanza Plenaria, mentre i termini decadenziali previsti dall’art. 30 c.p.a. per l’azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria non sono applicabili alle fattispecie risalenti ad epoca anteriore all’entrata in vigore del codice, di converso sia la regola dell’autonomia di tale azione risarcitoria (sancita dal primo comma dell’art. 30), sia la regola del concorso colposo del danneggiato (sancita dal terzo comma, secondo periodo, dell’art. 30) sono applicabili alle fattispecie risalenti ad epoca anteriore all’entrata in vigore del codice in quanto ricognitive di principi evincibili dal sistema normativo preesistente.

Pertanto non v’è dubbio che, sotto il profilo temporale, la disposizione dell’art. 30, comma 3, secondo periodo, c.p.a., sia applicabile anche alla fattispecie sottoposta all’esame del Collegio.

Inoltre, la circostanza che il legislatore, nell’introdurre tale disposizione abbia mostrato di apprezzare la rilevanza causale dell’omessa impugnazione tempestiva che abbia consentito la consolidazione dell’atto e dei suoi effetti dannosi, e la circostanza che tale disposizione sia rivolta direttamente al giudice amministrativo, chiamato a valutare “tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti” e ad escludere il risarcimento dei “danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”, inducono a ritenere che spetti al danneggiato dimostrare in giudizio che la decisione di non esperire l’azione di annullamento sia frutto di un’opzione discrezionale ragionevole, perché l’interesse non è adeguatamente suscettibile di soddisfazione in forma specifica (cfr. in termini T.A.R. Lazio, II sez., n. 05284/2014).

Tale dimostrazione nel caso di specie non è stata fornita dalla ricorrente, con la conseguenza che la mancata attivazione delle misure di tutela (cautelari e in forma specifica) predisposte anche dal sistema previgente all’entrata in vigore del c.p.a. deve ritenersi ingiustificata;
e ciò ancor più se si considera che nella peculiare materia di appalti, la tutela per equivalente si pone in rapporto di succedaneità rispetto alla tutela in forma specifica, secondo il principio ora espresso nell’art. 124 c.p.a. ma già immanente al sistema previgente.

Per tali assorbenti ragioni la domanda di risarcimento avanzata con il presente ricorso deve essere respinta.

Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

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