TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2021-10-21, n. 202106630

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2021-10-21, n. 202106630
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202106630
Data del deposito : 21 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/10/2021

N. 06630/2021 REG.PROV.COLL.

N. 01907/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1907 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato R C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

il Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e per l’effetto domiciliato in Napoli, via Diaz 11;

per l'annullamento

della determinazione di rigetto nr. -OMISSIS-del 20 marzo 2019, del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il personale Militare di rimborso delle spese di patrocinio legale, presentata il 27 agosto 2018 ai sensi dell'art. 18 del D.L. n. 67 del 25 marzo 1997 come convertito in Legge n. 135 del 23 maggio 1997.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2021 la dott.ssa A F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente, -OMISSIS-in servizio presso impugna la determinazione nr. -OMISSIS-del 20 marzo 2019 del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il personale Militare, con la quale è stata rigettata l’istanza di rimborso delle spese di patrocinio legale, presentata il 27 agosto 2018, per la difesa nel procedimento penale R.G.n.r. -OMISSIS-/2013 celebrato innanzi al Tribunale di Napoli e definito con sentenza del 03.01.2018 di assoluzione passata in giudicato il 20.04.2018

2. Rappresenta il ricorrente di essere stato interessato dal procedimento penale suindicato per i reati di -OMISSIS-di cui agli artt. -OMISSIS-c.p. per aver omesso di indicare la violazione dell’art.-OMISSIS-nell’ambito dell’ordine di servizio 36/3 in occasione di un controllo eseguito su strada in data 12.03.2010.

A seguito della sentenza di assoluzione, il ricorrente ha inoltrato all’amministrazione la istanza di rimborso delle spese legali sostenute per la propria difesa pari ad euro 30.492,62 allegando la parcella redatta dal difensore di fiducia.

3. Con una nota del 15.11.2018 venivano comunicati all’interessato, ai sensi dell’art. 10-bis della L. 241/1990, i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di rimborso, rilevandosi che la condotta posta in essere dall’interessato non rientrava tra quelle contemplate dall’art. 18 del D.L. 25 marzo 1997 n. 67, in quanto “il medesimo nel porre in essere il comportamento per il quale è stato sottoposto a giudizio, non ha agito nello svolgimento dei propri doveri istituzionali e quindi con un’azione attribuibile direttamente all’Amministrazione di appartenenza” ed in quanto “nel caso concreto l’assoluzione è intervenuta esclusivamente per inutilizzabilità delle intercettazioni disposte in altro procedimento, stante il divieto di cui all’art. 270 comma 1, cod. proc. pen. e l’Autorità Giudiziaria inquirente, nel dispositivo della sentenza, ha dimostrato la concorsualità nella commissione dei fatti oggetto di indagine e dichiarato la falsità dell’Allegato A, disponendone la confisca previa cancellazione”.

4. Rappresenta il ricorrente di aver depositato memorie difensive nelle quali ha esposto come l’imputazione di cui al procedimento penale che lo riguardava avesse ad oggetto fatti commessi nell’espletamento del servizio e che ai fini dell’applicazione dell’art. 18 citato, non sussiste alcuna discriminazione tra le diverse ipotesi di formule assolutorie prefigurate dall’art. 530 cod. proc. pen., non assegnando la norma all’Amministrazione un’area di discrezionalità che le consenta di sovrapporsi o sostituirsi a quella effettuata dal Giudice Penale.

5.Con il provvedimento impugnato l’amministrazione ha concluso il procedimento rigettando l’istanza di rimborso formulata.

6. Avverso tale atto il ricorrente ha proposto articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

In particolare, nel primo motivo di ricorso, egli ha dedotto la violazione degli articoli 10 bis e 3 della legge n. 241 del 1990 in quanto l’amministrazione non avrebbe tenuto in considerazione le argomentazioni spese dall’interessato nella sua memoria di replica e non le avrebbe esplicitate, confutandole, nel provvedimento finale.

Con ulteriori censure (secondo e terzo motivo di ricorso), egli ha dedotto la violazione dell’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997 in quanto l’amministrazione, ai fini della propria decisione, non avrebbe richiesto il necessario parere dell’Avvocatura dello Stato che, secondo la norma, sarebbe preliminare alla adozione del provvedimento con cui si determina la spettanza del rimborso.

Inoltre, sussisterebbe nel caso di specie, la stretta connessione tra la funzione svolta dal militare e l’imputazione dalla quale lo stesso ha dovuto difendersi.

Il procedimento penale R.G. n.r. -OMISSIS-/2013 ha, infatti, avuto ad oggetto una condotta tenuta in esecuzione di un tipico atto d’ufficio, ovvero nell’esercizio dei poteri di polizia correlati alla funzione di personale operativo di pattuglia, e nell’attività di redazione dell’Ordine di Servizio n. 36/3.

7. Così sintetizzate le censure prospettate dal ricorrente, ritiene il Collegio che esse non siano fondate.

7.1 Non è fondato il primo motivo di ricorso.

Il provvedimento impugnato, come peraltro evidenziato dallo stesso ricorrente, trae la sua motivazione dall’atto con cui è stato dato il preavviso di diniego.

In quella sede l’amministrazione ha adeguatamente rappresentato le specifiche ragioni per le quali non ritenesse sussistenti i presupposti scolpiti dall’art. 18 del d.l. 67 del 1997 con una approfondita analisi delle circostanze di fatto e dando rilevanza alla autonomia delle condotte contestate al militare che sarebbero in contrasto con i doveri propri dell’ufficio.

Peraltro, dalla lettura della memoria depositata dal ricorrente in sede procedimentale ai sensi dell’art. 10 bis , si evince come essa non abbia portato all’attenzione dell’amministrazione nuovi elementi di fatto, poi dalla stessa disattesi, ma ha svolto repliche sui criteri in base ai quali l’amministrazione aveva ritenuto la fattispecie dissonante con i principi che regolano l’applicazione dell’art. 18.

Si tratta, in effetti, di repliche che in ogni caso, sono state riportate nel ricorso in esame e, come si vedrà, esse in ogni caso non avrebbero potuto determinare un diverso esito procedimentale.

7.2 Non è fondato il secondo motivo di ricorso.

Per comodità di lettura, va riportato il contenuto dell’art. 18, comma 1, del decreto legge n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997.

“Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”.

La norma attribuisce all’amministrazione il potere di valutare l’ an ed il quantum del rimborso ed il parere dell’Avvocatura dello Stato è un parere di natura tecnico discrezionale con il quale essa deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861;
Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736;
Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266;
Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) e, dunque, la congruità della richiesta di liquidazione.

Dalla lettura della norma si evince che il parere dell’Avvocatura, dunque, è obbligatorio e vincolante in ordine al quantum ma non in ordine all’an del rimborso, valutazione quest’ultima che spetta pur sempre all’amministrazione.

In altre parole, solo ove l’amministrazione ritenga che ricorrano nel caso di specie i presupposti per procedere al rimborso delle spese sostenute dal dipendente, deve sottoporre l’importo di cui viene chiesta la liquidazione al parere di congruità della Avvocatura dello Stato.

Tale interpretazione è confermata anche dalla disposizione di interpretazione autentica recata dall’art. 10 bis , comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248 secondo cui il parere dell’Avvocatura generale riguarda solo la congruità dell’ammontare dell’importo da rifondere e non anche la fondatezza della pretesa fatta valere, diversamente da quanto avviene per le eventuali anticipazioni, per le quali il parere dell’Avvocatura investe anche l’ an .

Nel caso in esame, l’amministrazione ha ritenuto che la fattispecie non fosse sussumibile nel disposto normativo dell’art. 18 per mancanza in concreto dei presupposti richiesti dalla norma, e di conseguenza non ha dovuto chiedere il parere di congruità all’Avvocatura dello Stato.

7.3 Quanto alle censure espresse nel terzo motivo di ricorso, va rilevato quanto segue.

In ordine alla questione della spettanza del rimborso delle spese legali in favore del dipendente imputato in un procedimento penale e poi andato assolto, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che non sia sufficiente il mancato accertamento della responsabilità penale dell’imputato ma che occorre l’ulteriore requisito della connessione oggettiva della condotta contestata con l’espletamento di doveri d’ufficio.

È stato, infatti, precisato che tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali, deve esistere una connessione che si sostanzia nel fatto che il dipendente deve aver agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione (e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il ‘nesso di immedesimazione organica’).

Si deve trattare di condotte (estrinsecatesi in atti o comportamenti) che di per sé siano riferibili all’Amministrazione di appartenenza e che, di conseguenza, comportino a questa l’imputazione dei relativi effetti (Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427;
Sez. IV, 5 aprile 2017, n. 1568;
Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190): la condotta oggetto della contestazione deve essere espressione della volontà della Amministrazione di appartenenza e finalizzata all’adempimento dei suoi fini istituzionali.

L’art. 18 è norma “di stretta applicazione e si applica quando il dipendente sia stato coinvolto nel processo per l’aver svolto il proprio lavoro, e cioè quando si sia trattato dello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o del comportamento (e dunque quando l’assolvimento diligente dei compiti specificamente lo richiedeva), e non anche quando la condotta oggetto della contestazione sia stata posta in essere ‘in occasione’ dell’attività lavorativa (Cass., 3 gennaio 2008, n. 2;
Cons. Stato, Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1154;
Sez. III, 8 aprile 2016, n. 1406;
Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190;
Sez. IV, 14 aprile 2000, n. 2242) o quando sia di per sé meritevole di una sanzione disciplinare (Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190).

La stessa giurisprudenza ha escluso che si applichi la disciplina dell’art. 18 quando la contestazione in sede penale si sia riferita ad un atto o ad un comportamento, in ipotesi, che di per sé costituisca una violazione dei doveri d’ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427) ovvero che sia stato comunque posto in essere per ragioni personali, sia pure durante e ‘in occasione’ dello svolgimento del servizio, e dunque non sia riferibile all’Amministrazione (Cass. civ., Sez. I, 31 gennaio 2019, n. 3026;
Sez. lav., 6 luglio 2018, n. 17874;
Sez. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297;
Sez. lav., 30 novembre 2011, n. 25379;
Sez. lav., 10 marzo 2011, n. 5718;
Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1816;
Sez. III, 2013, n. 4849;
Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190).

Diversamente opinando, si finirebbe per ammettere indiscriminatamente il diritto al rimborso delle spese legali in ogni ipotesi di reato proprio, indipendentemente da qualsiasi collegamento del fatto addebitato con l’interesse dell’Amministrazione;
il che non può essere consentito, posto che lo scopo evidente della norma è quello di sollevare da un onere economico il dipendente che ne sia stato gravato in dipendenza dell’adempimento ai doveri del proprio ufficio.

Nel caso in esame, deve escludersi che la condotta tenuta dal dipendente ed in ragione della quale è scaturito il giudizio penale presenti i connotati di stretta connessione con l’esercizio della funzione in quanto ciò che è stato oggetto di contestazione è proprio la violazione delle norme a tutela della integrità della pubblica amministrazione e della sua funzione, come si evince dalla lettura dei capi di imputazione che riguardano reati di falso ed abuso d’ufficio.

8. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

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