TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2011-04-11, n. 201103171

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2011-04-11, n. 201103171
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201103171
Data del deposito : 11 aprile 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07430/2010 REG.RIC.

N. 03171/2011 REG.PROV.COLL.

N. 07430/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7430 del 2010, proposto dalla:
società Yong Tai Import Export s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso dall'avv. L A, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, via della Scrofa n. 47;

contro

Comune di Roma, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. R R, con domicilio eletto presso gli uffici, in Roma, via Tempio di Giove n. 21;

per l'annullamento

- della determinazione dirigenziale del Comune di Roma-Municipio Roma Centro Storico n. 1331 del 13.07.2010, notificata in data 06.08.2010, avente ad oggetto la cessazione di attività;

- delle note dell’Ufficio tecnico del Comune di Roma di cui al prot. n. CA/5504 in data 16.07.2010 e prot. n. CA/32957 in data 28.04.2010;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2011 il cons. M C Q e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società ricorrente conduce in locazione l’immobile sito in Roma, alla via Rattazzi n. 61/A, nel quale svolge l’attività di vendita di beni del settore non alimentare in virtù della comunicazione di inizio attività di cui al prot. n. CA/77235 del 26.2.2002.

Il Comune di Roma, con la nota di cui al prot. n. CA/82468 del 3.11.2009 ha comunicato alla ricorrente, ai sensi dell’articolo 10 bis della L. 7 agosto 1990, n. 241, l’avvio del procedimento di cessazione dell’attività atteso che, a seguito della nota dell’Ufficio tecnico di cui al prot. n. CA/55047 del 16.7.2009, era stata accertata la variazione abusiva della destinazione di uso dei locali di cui trattasi da magazzino a commerciale;
la ricorrente vi ha dato riscontro con la nota di presentazione delle proprie osservazioni di cui al prot. n. CA/6877 del 28.1.2010;
tuttavia, con la successiva determinazione dirigenziale n. 1331 del 13.07.2010, notificata in data 06.08.2010, è stata disposta la cessazione dell’attività di cui trattasi.

Con il ricorso in trattazione la ricorrente ha impugnato la citata determinazione deducendone l’illegittimità con un unico complesso motivo di censura per violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, del D. Lgs. n. 114 del 1988, della L.R. Lazio n. 33 del 1999 e del D.P.R. n. 380 del 2001, nonché per eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti.

L’immobile di cui trattasi risulta accatastato con scheda n. 5781046 del 29.3.1940 foglio 496, part. 42, sub. 1, cat C/2, e, pertanto, circa 25 anni prima dell’adozione del P.R.G. di Roma;
dal certificato storico rilasciato dal S.U.A.P. del Municipio I in data 11.11.2008 emerge come nel locale in questione sia stata svolta, con decorrenza anteriore al 1951, l’attività di vendita al dettaglio di vino, liquori e bibite, in essere continuativamente sino all’apertura dell’esercizio di vicinato di cui trattasi.

Il locale avrebbe una destinazione idonea allo svolgimento del commercio al dettaglio ai sensi della nota del Dipartimento IX del Comune di Roma di cui al prot. n. 28337 del 9.6.1998, con la quale è stato disposto che le destinazioni di uso in essere alla data dell’1.9.1967 e non modificate successivamente, sono da considerarsi legittimate anche se in contrasto con le attuali N.T.A. del P.R.G. vigente;
né, contrariamente a quanto riportato nella nota dell’Ufficio tecnico comunale dell’1.7.2009 (secondo cui la variazione di destinazione di uso avrebbe interessato una superficie di mq. 34 circa con la realizzazione di servizi igienici), l’immobile di cui trattasi sarebbe mai stato oggetto di alcuna ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 33 del T.U. n. 380 del 2001- che costituisce un limite all’operatività della citata nota del dipartimento- essendo stati i locali interessati esclusivamente da opere di tinteggiatura delle pareti e di messa a norma dell’impianto elettrico, ossia minime opere di manutenzione ordinaria od al più di manutenzione straordinaria (considerato, altresì che il servizio igienico in contestazione non sarebbe stato realizzato ex novo nel corso dell’anno 2009, in quanto risulterebbe già “graficizzato” nella planimetria allegata al nulla osta tecnico-sanitario rilascio dall’U.S.L. in data 14.11.1994).

Peraltro il provvedimento impugnato ha disposto la cessazione dell’attività dopo oltre otto anni dalla comunicazione dell’avvio della stessa nel 2002 senza alcuna comparazione degli interessi coinvolti nella vicenda e soprattutto senza alcuna puntuale motivazione relativamente all’interesse di cui è portatrice la società ricorrente.

Con il decreto cautelare n. 3063/2010 dell’11.8.2010 è stata accolta l’istanza di sospensione.

Il Comune di Roma si è costituito in giudizio depositando documentazione in vista della camera di consiglio del 15.9.2010.

Con l’ordinanza n. 4051/2010 del 16.9.2010 è stata accolta l’istanza di sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato.

Il comune ha depositato agli atti, in data 1.12.2010, documentazione integrativa e, con la memoria del 16.12.2010, ha dedotto l’infondatezza nel merito del ricorso del quale ha chiesto la reiezione.

Con la memoria del 23.12.2010 la ricorrente ha ribadito le proprie censure, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Alla pubblica udienza del 2.2.2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da separato verbale di causa.

DIRITTO

Con l’impugnata determinazione il comune ha disposto la cessazione dell’attività di vendita al dettaglio di articoli di abbigliamento e di accessori in quanto ha ritenuto che vi sia stata una modificazione della destinazione di uso, da magazzino C2 a commerciale C1, di una parte dell’immobile nel quale detta attività viene svolta, con la realizzazione di un servizio igienico, effettuata ai sensi dell’articolo 33 del D.P.R.R 6.6.2001, n. 380.

L’articolo 7 del D.Lgs. 31.3.1998, n. 114, rubricato “Esercizi di vicinato .”, dispone che “… 2. Nella dichiarazione di inizio di attività di cui al comma 1 il soggetto interessato dichiara: … b) di avere rispettato i regolamenti locali di polizia urbana, annonaria e igienico-sanitaria, i regolamenti edilizi e le norme urbanistiche nonché quelle relative alle destinazioni d'uso;
”.

La richiamata norma, pertanto, indica tassativamente, tra l'altro, come requisito d'efficacia della denuncia di attività commerciale la conformità dello svolgimento della stessa alla destinazione d'uso impressa all'immobile, per cui, in assenza di tale requisito, la denuncia è priva di effetti.

L’articolo 33, invece, rubricato “Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità.”, dispone testualmente che “ 1. Gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 10, comma 1, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso, sono rimossi ovvero demoliti e gli edifici sono resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l'ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell'abuso. … ”;
a sua volta il richiamato articolo 10, rubricato “Interventi subordinati a permesso di costruire.”, dispone che “ 1. Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: … c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso. …. ”.

I mutamenti di destinazione di uso che siano stati posti in essere nelle zone omogenee A (come nel caso di specie), pertanto, per la sola detta circostanza, sono riconducibili alla nozione di ristrutturazione edilizia, indipendentemente dall’esecuzione di opere edilizie, dall’aumento delle superfici utili o dalla modificazione del volume, della sagoma, dei prospetti;
al di fuori delle dette zone, invece, la modificazione della destinazione di uso integra la fattispecie della ristrutturazione edilizia soltanto quando comporti un aumento della superficie od una modificazione del volume, della sagoma, dei prospetti.

Inoltre il cambio di destinazione d'uso di un immobile da magazzino ad esercizio commerciale interviene tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee e, quindi, integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico soggetta a regime concessorio oneroso indipendentemente dall'esecuzione di opere (T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 22 febbraio 2006, n. 571);
con la conseguenza che la detta modificazione effettuata senza il previo rilascio del titolo concessorio si presenta abusiva.

In effetti, il mutamento della destinazione d’uso da magazzino ad attività commerciale, comporta un indubbio aumento del carico urbanistico (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 10 ottobre 2006, n. 10237;
idem, 4 ottobre 2005, n. 7744).

Con la disposizione del Dipartimento IX del Comune di Roma di cui al prot. n. 28337 del 9.6.1998, con la quale è stato disposto che le destinazioni di uso in essere alla data dell’1.9.1967 e non modificate successivamente, sono da considerarsi legittimate anche se in contrasto con le attuali N.T.A. del P.R.G. vigente ad esclusione delle “destinazioni d’uso acquisite a seguito di interventi di ristrutturazione edilizia o che abbiano comportato un aumento di fatto delle superfici utili con aumento della densità abitativa”;
il comune, come emerge dal tenore della nota di cui al prot. n. 32957 del 28.4.2010, ha ritenuto di dovere interpretare la citata disposizione nel senso che, poiché la variazione di destinazione di uso da magazzino a commerciale (e l’aumento di superficie utile) costituiscono una ristrutturazione ed edilizia ai sensi dell’articolo 33 citato, la disposizione indicata non potrebbe trovare applicazione nel caso di specie.

La modificazione della destinazione di uso realizzata nelle zone omogenee A, di per se stessa, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, costituisce ristrutturazione edilizia;
ne consegue che se la disposizione richiamata dovesse effettivamente essere interpretata nel senso propugnato da parte dell’amministrazione, quanto ivi disposto non potrebbe mai trovare applicazione nelle dette zone (e, pertanto, su tutta la superficie del centro storico della città di Roma);
ed invece, non essendovi alcuno specifico riferimento alle zone omogenee A, appare più ragionevole ritenere che la disposizione in questione debba trovare applicazione in tutto il territorio comunale, tenuto conto che la stessa è stata adottata dal Dipartimento competente nella materia.

Ne consegue che la mera circostanza che si sia verificata una modificazione di destinazione di uso dell’immobile non appare sufficiente ad escludere l’applicabilità della disposizione comunale.

E’ necessario, invece, che la detta modificazione sia accompagnata da una diversa ristrutturazione edilizia, nei termini ulteriori indicati in senso all’articolo10, comma 1.

Dagli atti depositati in giudizio, ed in particolare dal certificato storico relativo al locale che interessa, emerge come, almeno a fare data dal 1951, all’interno vi si svolgesse attività commerciale di vendita di vino a corpo, di birra e liquori e di bibite in lattina e bottiglie e che la detta destinazione si è mantenuta in concreto costantemente fino al subentro del ricorrente nel 2001.

Né può ritenersi che l’applicabilità della richiamata disposizione debba essere esclusa in quanto il mutamento di destinazione di uso ha comportato in concreto un aumento del relativo carico urbanistico come già in precedenza rilevato;
ed infatti la stessa dispone testualmente l’esclusione dal suo ambito delle modificazioni “ … o che abbiano comportato un aumento di fatto delle superfici utili con aumento della densità abitativa”.

Ai fini dell’esclusione è, pertanto, necessaria la ricorrenza di entrambi i presupposti ivi indicati, ossia dell’aumento delle superfici utili nonché dell’aumento del carico urbanistico.

Nel caso di specie non si è assistito alla realizzazione di un nuovo vano esterno da destinare agli impianti igienico-sanitari, e, pertanto, la sola circostanza che una limitatissima metratura sia stata trasformata per destinarla a servizio igienico non può determinare, di per sé, un aumento della superficie utile, atteso che la relativa superficie era già sussistente in precedenza con una specifica destinazione. Manca, pertanto, uno dei due necessari presupposti ai fini dell’integrazione dell’esclusione in questione.

Quanto, poi, ai lavori che la ricorrente deduce di avere effettuato all’interno dei locali, indubbiamente sia la tinteggiatura delle pareti ( in quanto finalizzata al mantenimento dell’igiene e della pulizia dei locali), sia il rifacimento dell’impianto elettrico (in quanto rivolto principalmente al mantenimento in efficienza di un impianto), non sono riconducibili alla nozione di ristrutturazione edilizia, bensì alla diversa nozione della manutenzione ordinaria od al massimo in quella di manutenzione straordinaria ( nel caso di modificazione integrale degli impianti).

Nella detta ultima nozione rientra, altresì, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 380 del 2001, anche la realizzazione ex novo dei servizi igienico-sanitari, nel caso in cui non alterino i volumi e le superfici dell’unità immobiliare e non determinino la modificazione della destinazione di uso (Cassazione penale , sez. III, 13 aprile 2005, n. 18499;
Consiglio di Stato, sez. V, 8 aprile 1991, n. 460;
23 gennaio 1984, n. 64);
nel caso di specie non risulta, dall’esame degli atti a disposizione, come in precedenza ricordato, che la realizzazione di un servizio igienico sia stata accompagnata un aumento di superficie o di volume.

Ne consegue che può fondatamente sostenersi che il mutamento della destinazione di uso di cui trattasi non abbia integrato la ristrutturazione di cui al più volte richiamato articolo 10, comma 1.

Peraltro, dall’esame del certificato storico in atti, rilasciato dallo sportello unico per il commercio del Municipio I in data 11.11.2008, risulta che la indicata attività di vendita è stata svolta nei locali di cui trattasi sin dal 1951 ed ininterrottamente fino al 1981 (risultando che l’attività è stata chiusa d’ufficio in data 30.1.1981).

A decorrere dal 1981 non sembra sia stata esercitata alcuna attività nei locali in questione ma, per questa sola considerazione, non può dirsi che si sia verificato un successivo mutamento indicato dalla più volte richiamata disposizione in senso preclusivo alla sua operatività.

I locali non sono, infatti, stati destinati, successivamente all’indicata data, od almeno la detta circostanza non risulta acclarata in atti, ad una diversa attività, né sono stati utilizzati con un’ulteriore e differente destinazione urbanistica;
semplicemente sembra che non siano stati proprio utilizzati.

Pertanto la dichiarazione effettuata da parte della società ricorrente ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 114 del 1998, nella parte in cui è stata indicata la destinazione di uso dei locali in questione come C1, corrisponde a quello che doveva ritenersi essere l’effettivo stato delle cose alla luce della richiamata determinazione dirigenziale.

Per le assorbenti considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto siccome fondato nel merito.

Attesa la complessità delle questioni sottese, si ritiene opportuno disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti costituite.

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