TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2019-05-30, n. 201906807

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2019-05-30, n. 201906807
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201906807
Data del deposito : 30 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/05/2019

N. 06807/2019 REG.PROV.COLL.

N. 10262/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10262 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati E N e F P, domiciliato in via digitale come da indirizzo PEC dei difensori come risultante da pubblici registri, con domicilio fisico eletto presso lo studio in Roma, via Maresciallo Pilsudski, n.118;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in via digitale come da pubblici registri, con domicilio fisico in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento della Direzione Generale per il personale militare del Ministero della Difesa - II Reparto – prot. n. M_D

GMIL

0310396 del 29 maggio 2015 con cui è stata respinta l’istanza di riammissione nel ruolo di provenienza nonché dell’art. 2, comma 9, del Decreto Ministeriale 18 aprile 2002, nella parte in cui ha escluso la possibilità di riammissione in servizio del personale transitato nei ruoli civili;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2019 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’odierno ricorrente, già Sottotenente del ruolo speciale dell’Arma dei Carabinieri dal 2003 al 2008, è attualmente in servizio presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze, con la qualifica di Funzionario Amministrativo.

In particolare, in data 26 marzo 2008, il ricorrente veniva dichiarato permanentemente non idoneo al servizio militare incondizionato e transitava, a domanda, nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile del Ministero della Difesa, come previsto dall’art. 14, comma 5, della legge n. 266/1999, attuato dal D.M. 18 aprile 2002, n. 22680.

In data 24 aprile 2015, parte ricorrente, asserendo di aver completamente superato i problemi fisici che avevano determinato il predetto giudizio di inidoneità, presentava istanza di riammissione al servizio militare nel ruolo di provenienza dell’Arma dei Carabinieri, richiedendo di essere sottoposto a visita medica al fine dell’attestazione della riacquisita idoneità al servizio militare.

La Direzione Generale per il personale militare del Ministero della Difesa, con il provvedimento n. M_D

GMIL

0310396 del 29 maggio 2015, ha respinto la suddetta istanza motivando che, ai sensi dell’art. 2, comma 9 del D.M. 18 aprile 2002, n. 22680, “è esclusa la possibilità di riammissione in servizio del personale transitato nei ruoli civili”.

Parte ricorrente ha impugnato il predetto provvedimento deducendo la violazione di principi costituzionali (artt. 2, 3, 4, 35 e 97 Cost.), dell’art. 14, comma 5, legge 266/1999, dell’art. 2142 del D.Lgs. n. 66/2010, dell’art. 132 del D.P.R. n. 3/1957, nonché l’eccesso di potere per disparità di trattamento, illogicità e violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza dell'azione amministrativa.

Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio resistendo al ricorso.

All’udienza pubblica del 6 maggio 2019 il ricorso è passato in decisione.

DIRITTO

1) Il ricorso si palesa infondato.

2) Preliminarmente, è opportuno precisare che l’art. 1, comma 1, del Decreto Ministeriale 18 aprile 2002, n. 22680, stabilisce che “Il personale delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri giudicato non idoneo al servizio militare incondizionato per lesioni dipendenti o non da causa di servizio transita, a domanda, nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile del Ministero della difesa, secondo la corrispondenza definita nell'annessa tabella A, sempreché l'infermità accertata ne consenta l'ulteriore impiego”. Prosegue all’art. 2 illustrando la disciplina delle modalità di transito e, precisamente, al comma 9, dispone che “il militare trasferito nei ruoli del personale civile del Ministero della difesa non può essere riammesso nel ruolo di provenienza”.

Tale disciplina è stata adottata sulla base dell’art. 19, comma 5, della legge n. 266/1999 ed è sopravvissuta alla parziale abrogazione della norma primaria (con unica salvezza del personale della Guardia di finanza) disposta dal codice dell’Ordinamento Militare a partire dalla sua entrata in vigore (decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 106 dell’8 maggio 2010).

Nel caso di specie, parte ricorrente impugna, unitamente al provvedimento del Ministero della Difesa con il quale gli è stata negata la riammissione in servizio, la presupposta disposizione di cui all’art. 2, comma 9, del D.M. 18.4.2002 in quanto avrebbe violato i principi affermati in tema di riassunzione in servizio dalla Corte Costituzionale nelle pronunce del 26 gennaio 1994, n. 4 e 13 novembre 2009, n. 294, secondo i quali andrebbe ammessa la riammissione in servizio una volta intervenuta la guarigione. La medesima parte ricorrente deduce che gli affermati principi costituiscono criteri guida nell’esercizio della potestà regolamentare di cui all’art. 14, c. 5 della legge 28 luglio1999, n. 266 di riordino del personale militare che l’Amministrazione avrebbe immotivatamente disatteso.

In particolare, parte ricorrente, richiama il precedente giurisprudenziale favorevole di questa Sezione n. 9416/2012, indicando che i principi affermati dalla Corte Costituzionale sarebbero applicabili anche nell’ordinamento militare, e che risulta irragionevole una disciplina che priva l’Amministrazione della potestà di valutare, di volta in volta, la sussistenza in concreto dell’interesse pubblico ad avvalersi nuovamente della prestazione di lavoro del richiedente e, considerata la specificità dell’ordinamento militare, la possibilità di un reinserimento del lavoratore nel ruolo di provenienza sulla scorta di valutazioni ampiamente discrezionali dell’Amministrazione in ordine alle esigenze organizzative e di servizio.

Al riguardo, il Collegio rileva come il precedente di questa Sezione richiamato dalla parte ricorrente è stato riformato dalla sentenza di appello del Consiglio di Stato n. 2514 del 2018, che ha affermato dei principi in materia che il medesimo Collegio ritiene di dover far propri e, in particolare, ha rilevato che la disposizione regolamentare del D.M. 18.4.2002, posta a base dei provvedimenti amministrativi gravati e a sua volta impugnata in questa sede, non è in contrasto con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale, né rappresenta la manifestazione di un irragionevole esercizio della discrezionalità amministrativa.

La motivazione addotta dal Consiglio di Stato a sostegno della legittimità della previsione del D.M. 18.4.2002 - che non consente la riammissione in servizio del personale transitato nei ruoli civili - fatta propria da questo T.A.R., rinviene la propria ratio nel particolare status dell’ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate e, nel regolare la cessazione dal servizio permanente a domanda dell'interessato, ignora del tutto l'istituto della riammissione in servizio.

In tal senso, non è prevista un’autonoma disciplina né norme di rinvio a quella vigente per il personale civile dello Stato. In particolare, la disposizione primaria ex art. 14, comma 5, della legge n. 266/1999 che prevede il transito nei ruoli civili dei soggetti divenuti inidonei è una norma speciale attributiva di un vantaggio e non suscettibile di applicazioni estensive, non avendo ragion d’essere il passaggio inverso, anche considerando gli effetti potenzialmente dirompenti che potrebbe comportare un tale rientro nei ranghi.

L’art. 132 t.u., che parte ricorrente ritiene applicabile nel caso di specie, riguarda infatti i soli impiegati civili dello Stato e non è estensibile per analogia ad un rapporto di lavoro militare che è oggetto di una normativa speciale e organica, così come espressamente sancito dall’art. 19 della legge 4 novembre 2010, n. 19.

Ne consegue che l'ordinamento militare non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda possa esservi in seguito riammesso (C.G.A.R.S. 16 febbraio 2011, n. 135;
Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2015, n. 2225;
Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2017, n. 3330).

Non ravvede, dunque, il Collegio, motivi ostativi all’applicazione dei medesimi principi nell’ambito dell’organizzazione militare.

A tale riguardo non valgono in senso contrario gli articoli 961 e 935 bis del codice dell’Ordinamento Militare recanti norme palesemente eccezionali, come tali insuscettibili di interpretazione analogica;
neppure potrebbe essere valorizzato l'art. 795 in quanto si tratta di disposizione che si limita a dettare le modalità operative e concrete della "riammissione in ruolo" di militari in precedenza cessati e che, pertanto, non ha autonoma portata innovativa sulla ipotetica ammissibilità di tale "riammissione in ruolo" (fattispecie, oltretutto, non solo lessicalmente diversa dall'anelata "riammissione in servizio"). Inoltre, non può trovare applicazione l’art. 132 del t.u. n. 3/1957 che prevede la generale possibilità di riammissione in servizio per gli impiegati civili dello Stato, poiché le norme dell'ordinamento militare, in virtù del carattere tendenzialmente compiuto e autosufficiente dello stesso, “non solo derogano a quelle poste per la generalità degli impiegati dello Stato, ma si configurano come un sistema di rapporti sostanzialmente diverso e chiuso rispetto alle immissioni della disciplina comune”(C.G.A.R.S. n. 135/2011), differenziandosi, altresì, dal Corpo di Polizia penitenziaria (Corte cost. sent. n. 249/2009) che, pur nelle sua specificità, si muove tendenzialmente sul piano della disciplina comune del pubblico impiego.

Il Collegio, pertanto, ritiene che la restrizione della riammissione in servizio nei ruoli di provenienza del militare trasferito nei ruoli del personale civile è costituzionalmente legittima anche in considerazione dei pertinenti precedenti della Corte costituzionale, orientati a valorizzare la peculiarità di determinati status (ord. 30 gennaio 2002, n. 10, in tema di magistrati cessati a domanda dal servizio;
ord. 25 novembre 2005, n. 430, in tema di ufficiali cessati a domanda dal servizio permanente) e deve escludersi che la norma denunciata, nella parte in cui non prevede che l'Amministrazione della difesa possa riassumere in servizio l'ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente effettivo e transitato nei ruoli civili, sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

3) Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.

In considerazione dell’esistenza dell’indicato precedente in senso contrario di questa Sezione, il Collegio ritiene sussistano gravi ed eccezionali motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.

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