TAR Roma, sez. IV, sentenza 2024-01-23, n. 202401242

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. IV, sentenza 2024-01-23, n. 202401242
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202401242
Data del deposito : 23 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/01/2024

N. 01242/2024 REG.PROV.COLL.

N. 13762/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13762 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla
Soc Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato A C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. Mercalli, 13;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, alla Via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del provv. prot. svca-7785 del 28/07/2015, con il quale il Ministero concedente ha irrogato la sanzione pecuniaria di euro 325.000,00 per 13 interventi infragruppo al di fuori del limite di legge - risarcimento danni;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2024 il dott. Giuseppe Grauso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il presente ricorso Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A., quale Società concessionaria della gestione della rete autostradale, ha impugnato il provvedimento prot. SVCA-7785 del 28.7.2015, con il quale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, quale ente concedente, le ha irrogato una sanzione pari ad € 325.000,00, in ragione della inosservanza dell’art. 30.1 della Convenzione Unica all’epoca vigente, deducendo la violazione delle percentuali di affidamento infragruppo per il superamento della quota stabilita per gli affidamenti da Società controllate/collegate, nonché con successivi motivi aggiunti, il provvedimento del 10 dicembre 2015 del Capo del Dipartimento per le infrastrutture, i sistemi informativi e statistici – Direzione Generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (prot. 13549) con cui è stata respinta l’istanza di autotutela che la ricorrente aveva proposto avverso il provvedimento sanzionatorio impugnato con il ricorso introduttivo.

Il ricorso introduttivo e i successivi motivi aggiunti vengono affidati ai seguenti motivi di diritto:

I) Violazione e/o falsa applicazione di legge: art. 253, comma 25, D.lgs. n. 163/2006;
art. 3 l. n 241/1990.

Eccesso di potere per contraddittorietà rispetto all’atto regolatorio dell’11.5.2012 n. 67217-P, nonché per difetto di motivazione e di istruttoria, sviamento, perplessità della motivazione stessa, erronea valutazione dei fatti.

Violazione dei principi ordinamentali di buon andamento, imparzialità, proporzionalità e ragionevolezza (art. 97 Cost.).

Violazione dei principi costituzionali di libera iniziativa economica (art. 41 Cost.).

II) Violazione dei principi dell’affidamento e della buona fede.

Decadenza dal potere di elevare la contestazione.

Eccesso di potere per contraddittorietà e contrasto con la precedente approvazione dell’operato della concessionaria (cfr.. nota MIT - SVCA-0003503 DEL 15.4.2014)

III) Sulla legittimità costituzionale e sul contrasto con l’ordinamento europeo dell’art. 51, D.L. b. 1/2012 convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2012, come successivamente modificato dall’art. 4 d.l. n. 83.2012, convertito con modificazioni dalla l. 134/2012.

IV) Violazione di legge ed eccesso potere in relazione all’applicazione del disciplinare sanzionatorio.

Violazione dell’art. 1 l. n. 689/1981, dell’art. 2 co. 86 lett. d) d.l. n. 262/2006 conv. mod. l. 286/2006, dell’art. 25 della vigente Convenzione unica del 9.7.2007, degli artt. 1362 e ss. e dell’art. 1372 c.c.

Violazione del principio di affidamento

Eccesso di potere per difetto dei presupposti legittimanti l’esercizio del potere sanzionatorio.

2. Si è costituito in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con note del 17 settembre 2015 e del 4 aprile 2016, chiedendo l’integrale reiezione del ricorso e dei successivi motivi aggiunti.

3. All’udienza del 17 gennaio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova S.p.A. ha premesso di essere “ la Società concessionaria della gestione della rete autostradale costituita, tra l’altro, dalle seguenti tratte: Autostrada A4 (Brescia - Verona - Vicenza - Padova), Autostrada A31 (Trento - Valdastico - Vicenza - Riviera Berica - Rovigo), tangenziali di Verona sud, Vicenza sud, Padova nord e Lonato (Brescia) ” e di avere – relativamente alle predette tratte – stipulato con ANAS, in ossequio a quanto previsto dall’art. 2, co. 82 e ss., d.l. n. 262/2006, in data 9.7.2007 la nuova Convezione Unica, disciplinante “ integralmente ed unitariamente il rapporto tra il Concedente ed il Concessionario per la progettazione, la costruzione e l’esercizio di tutti gli interventi, già assentiti in concessione di costruzione ed esercizio della convenzione stipulata con l’ANAS in data 7.12.1999 ”.

Con nota protocollare del 6 febbraio 2015 (prot.1088) la Struttura di Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali contestava alla società ricorrente la violazione dell’art. 30.1 della Convenzione Unica vigente, avviando un procedimento sanzionatorio ai sensi dell’art. 2, comma 86, lett. d), d.l. n. 262/2006, conv. in l. n. 286/2006 nel quale veniva dedotto il mancato rispetto delle percentuali di affidamento infragruppo.

Nello specifico, la contestazione faceva riferimento al periodo regolatorio intercorrente dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2013, quinquennio nel quale si sarebbe registrato « il superamento da parte di codesta Concessionaria della quota del 60% stabilita per gli affidamenti a Società controllate/collegate ».

Nell’ambito del contraddittorio infra-procedimentale, la Concessionaria formulava apposite controdeduzioni e, a fronte di apposita richiesta dell’Ente concedente, presentava anche uno specifico piano di rientro, con l’indicazione dei singoli investimenti, in cui veniva prospettato un recupero della quota infragruppo asseritamente eccedente rispetto alle soglie definite dal Ministero entro il 2017, e cioè entro il quinquennio successivo.

Rigettate le controdeduzioni proposte da parte ricorrente, il Direttore Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali emetteva in data 28 luglio 2015 il provvedimento sanzionatorio in questa sede gravato in quanto: “ Le risultanze sopra esposte confermano il mancato rispetto della vigente normativa, nonché di quanto disposto dalla Convenzione, dal Disciplinare per l’applicazione di sanzioni e penali e dai provvedimenti del Concedente, sanzionabile ai sensi dell’art. 2 comma 86, lett. d, del D.L. 3 ottobre 2006, n.262, convertito dalla Legge 24 novembre 2006, n. 286 e s. m. i..

Alla luce di quanto sopra, visto, tra l’altro, l’art. 4 della Convenzione di Concessione, si dispone fin d’ora l’applicazione della sanzione per ogni violazione contestata con il provvedimento di questa Direzione n. 1088 del 06/02/2015. L’entità della sanzione, ottenuta moltiplicando l’importo previsto per singola violazione nel Disciplinare sanzioni e penali, di € 25.000, per i 13 interventi infragruppo al di fuori del limite di legge, risulta pari ad € 325.000,00 ”.

6. Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione con cui la società ricorrente ha prospettato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni su cui si basa il gravato provvedimento sanzionatorio, ritenendo – nelle ultime memorie difensive – applicabile per il caso che qui ci occupa quanto disposto della Sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 23 novembre 2021, laddove ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 177, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016.

Si rileva infatti che la predetta Sentenza si è limitata ad affermare che “ la previsione dell’obbligo a carico dei titolari di concessioni già in essere, non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure a evidenza pubblica, di affidare completamente all’esterno l’attività oggetto di concessione – mediante appalto a terzi dell’80 per cento dei contratti inerenti alla concessione stessa e mediante assegnazione a società in house o comunque controllate o collegate del restante 20 per cento – costituisca una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito, in quanto tale lesiva della libertà di iniziativa economica, con la conseguenza dell’illegittimità costituzionale dell’art. 177, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016 e dell’art. 1, comma 1, lettera iii), della legge n. 11 del 2016, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 41, primo comma, Cost. ”, sancendo pertanto “ l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera iii), della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) e dell’art. 177, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) ” e “ dell’art. 177, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50 del 2016 ”.

Tale disposizione tuttavia non viene a coincidere con la previsione sulla quale si basa il provvedimento sanzionatorio gravato, ossia l’art. 253, comma 25, del previgente Codice dei contratti (di cui al D.Lgs. n. 163/2006), “ che stabilisce la percentuale minima dei lavori da affidare a terzi sino al 31/12/2013 nella misura del 40% e la conseguente percentuale massima dei lavori da affidare infragruppo, pari al 60%;
dalla Legge n. 134/2012, che stabilisce;
a far data dal 01/01/2014, che le percentuali limite relative ai lavori risultano invertite rispetto alla normativa precedente e, precisamente, pari al 60% per gli affidamenti a terzi e al 40% per gli affidamenti infragruppo
”.

Siffatte ultime due previsioni stabiliscono infatti un obbligo di affidamento a terzi nella misura del 40 e del 60 per cento: inferiore a quella, più elevata, dell’80 per cento, indicata dall’art. 177, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, nella versione modificata dalla l. 205/2017 in vigore dal 1° gennaio 2018 e dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sopra citata Sentenza.

Infatti, secondo il condivisibile orientamento del Consiglio di Stato (Sez. V, n. 6814/2022) “ Nella sentenza n. 218 del 2021, la Corte costituzionale non ha ritenuto precluso al legislatore dalle disposizioni costituzionali stabilire un obbligo di esternalizzazione, che, invece, ha giudicato di per sé legittimo, poiché finalizzato ad assicurare la massima apertura possibile al mercato delle commesse pubbliche, specialmente laddove, a monte, le concessioni erano state assegnate con affidamento diretto, ma lo ha detto irragionevole nella dimensione prevista dal legislatore del 2016, per la seguente ragione: “L’impossibilità per l’imprenditore concessionario di conservare finanche un minimo di residua attività operativa trasforma la natura stessa della sua attività imprenditoriale, e lo tramuta da soggetto (più o meno direttamente) operativo in soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse, cioè, nella sostanza, in una stazione appaltante”.

Nello scrutinio del bilanciamento operato tra diritti di pari rilievo, poi, la Corte ha ritenuto che per la sua “incisività e ampiezza applicativa” la misura non fosse proporzionata, non avendo il legislatore tenuto in debita considerazione l’interesse dei concessionari, i quali, per quanto godessero di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta in passato, per aver sostenuto investimenti e fatto programmi, riponevano un affidamento nella stabilità del rapporto concessorio così come originariamente instaurato ”.

Non ricorrono, pertanto, ad avviso del Collegio, con riferimento alle ultime due norme citate, le medesime criticità che hanno portato alla Sentenza che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006.

Se è vero, infatti, che la soglia dell’80 per cento “ era eccessiva perché trasformava il concessionario in una vera e propria stazione appaltante, lo stesso non può dirsi di una soglia dimezzata, che lasciava, peraltro, al concessionario per il restante 60 per cento ampia facoltà di scelta, potendo decidere se effettuare i lavori direttamente ovvero affidarli infragruppo ” così come non può dirsi della soglia prevista dal regime intermedio che, imponendo un obbligo di affidamento a terzi del 60 per cento, consentiva comunque al concessionario per il restante 40 per cento una sufficiente facoltà di scelta, residuando comunque un’aliquota pari al doppio rispetto a quella prevista dalla norma dichiarata costituzionalmente illegittima.

Le suddette previsioni costituivano pertanto un sacrificio ragionevole della libertà di impresa del concessionario alla luce della finalità dell’obbligo di esternalizzazione, vale a dire quello di “ recuperare a valle la concorrenza compromessa a monte ” per essere basato il previgente sistema di assegnazione delle concessioni autostradali sulla regola dell’affidamento diretto.

Infatti ciò “ che la Corte ha inteso tutelare – l’affidamento del concessionario nella stabilità del rapporto concessorio così come instaurato per poter realizzare i programmi che aveva elaborato e gli investimenti che in base ad essi erano stati effettuati, oltre agli altri interessi coinvolti (del concedente, degli utenti del servizio e dei lavoratori occupati dal concessionario) – non era radicalmente compresso poiché la norma del 2006 non imponeva in alcun modo la dismissione totalitaria dei lavori dati in concessione, come di fatto comportava la corretta applicazione dell’art. 177 d.lgs. n. 50 del 2016;
non v’era, cioè, un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l’attività economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in base ad un titolo amministrativo legittimo sul piano interno, secondo le disposizioni di legge all’epoca vigenti
” (Cons. Stato, Sez. V, n. 6814/2022).

Risulta pertanto, ad avviso del Collegio, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla formulazione originaria dell’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006 e alla sua successiva modificazione, posto che l’obbligo di esternalizzazione nella misura del 40% e del 60% viene a configurarsi una misura che, pur implicando un sacrificio delle prerogative della concessionaria, non ne determina tuttavia una sua radicale compressione, idonea a pregiudicarne sostanzialmente la libertà di iniziativa economica.

7. Ciò premesso il ricorso appare fondato sotto il profilo assorbente dell’errata valutazione del periodo di riferimento ai fini del giudizio sulle aliquote di esternalizzazione.

Come correttamente sostenuto dalla società ricorrente, l’Ente concedente risulta, infatti, avere, in spregio al principio di ragionevolezza, inequivocabilmente ancorato la propria indagine sulla violazione dei parametri di cui all’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, al quinquennio regolatorio 2008-2013, anziché fare riferimento all’intera durata della concessione.

Invero, ritenere che, a seguito del monitoraggio, l’Autorità possa intervenire con un procedimento sanzionatorio, assumendo ad arco temporale di riferimento per il calcolo delle percentuali il quinquennio regolatorio, e non l’intera durata della concessione, appare ad avviso del collegio un’irragionevole interpretazione estensiva della normativa sanzionatoria di riferimento, priva di fondamento normativo.

Pertanto, stante la mancanza di alcun parametro normativo che consenta l’applicazione della predetta normativa per quinquenni regolatori, deve ritenersi violato da parte dell’Amministrazione il principio di ragionevolezza, considerato anche il prolungamento della concessione stessa sino al 2026, come previsto dall’art. 4 della Convenzione laddove dispone che “ in funzione della realizzazione della Valdastico Nord, la scadenza della concessione è fissata al 31.12.2026 ”.

Sul punto, ad avviso del Collegio, non appaiono determinanti le argomentazioni contenute nella delibera n. 202 del 16 luglio 2002 dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici per la quale il calcolo delle percentuali infragruppo/terzi “ non dev’essere riferito al periodo dell’intera concessione poiché ove intervenisse la revoca della concessione per cause contingenti l’eventuale iniziale superamento dell’aliquota massima non potrebbe essere recuperato” ed “è illegittimo il comportamento di un concessionario di lavori pubblici che non rispetti annualmente l’aliquota minima del 40% prevista dall’art. 2, co. 4, della Legge 11.09.1994 n. 109 e s. m ” e nella deliberazione n. 41 del 23.4.2009 per la quale il calcolo della percentuale di affidamento minima da affidare a terzi “ non deve essere riferito al periodo dell’intera concessione ma agli strumenti programmatori degli interventi ”.

Il suddetto quinquennio appare configurarsi, infatti, quale mero dato temporale utile al monitoraggio, non invece come l’arco temporale ultimo per definire lo stock di lavori sul quale calcolare l’avvenuto rispetto delle soglie percentuali, determinando l’irrogazione – come nel caso – di misure sanzionatorie: “ Se fosse così inteso, infatti, sarebbe palese la violazione dell’art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, che è privo di riferimento ad un preciso parametro temporale proprio in quanto impone di considerare ai fini dell’applicazione delle soglie percentuali lo stock dei lavori dell’intero periodo di durata della concessione.

In tal senso, del resto, era anche la circolare dell’A.n.a.s. del 11 maggio 2012 n. 67217, in cui ben si chiariva che il riferimento al quinquennio era finalizzato al solo monitoraggio dell’andamento dell’esecuzione dei lavori, senza che avesse rilievo sull’accertamento dell’inadempimento definitivo agli obblighi previsti dall’art.253 da cui dipendeva l’irrogazione la sanzione ” (Consiglio di Stato, sez. V, n. 6814/2022).

In conclusione, il provvedimento sanzionatorio va dichiarato illegittimo, come correttamente rilevato dalla società ricorrente, in quanto non è stata provata la definitiva e certa violazione delle aliquote di cui all’art. 252, comma 25, d.lgs. 163/2006, non essendo stato dimostrato che, in ragione del valore dei lavori in corso di affidamento o già affidati e da eseguire o, ancora, in corso di esecuzione, la concessionaria non potesse, al termine di durata della concessione, rispettare della soglia percentuale negli affidamenti a terzi.

Nel provvedimento gravato l’Amministrazione si è infatti limitata ad affermare, mediante un giudizio meramente prognostico “ l’impossibilità di un rientro al 2015 dell’esubero infragruppo ” senza in alcun modo tenere conto della effettiva scadenza del contratto fissata con il prolungamento della concessione al 2026.

Il ricorso deve essere pertanto accolto, rimanendo assorbiti gli ulteriori motivi.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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