TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2020-01-21, n. 202000809

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2020-01-21, n. 202000809
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202000809
Data del deposito : 21 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/01/2020

N. 00809/2020 REG.PROV.COLL.

N. 05462/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5462 del 2007, proposto da
Italcave S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati G S ed E S D, con domicilio eletto presso lo Studio BDL in Roma, via Bocca di Leone, 78;

contro

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero dello Sviluppo Economico,
Ministero della Salute,
Regione Puglia,
Provincia di Taranto

per l'annullamento

del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 14.05.07 contenente il provvedimento di adozione ex art. 14 ter l 241/90 delle determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria sul sito di bonifica di Taranto del 2.3.07


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2019 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La Italcave s.p.a ha impugnato dinanzi al Tribunale, previa sospensione dell’efficacia, anche in via provvisoria, il decreto del Direttore della Direzione Generale per la qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare prot. n. 3614/QdV/DI/B del 14.05.2007 contenente il provvedimento finale di adozione ex art. 14 ter legge 241/1990 delle determinazioni conclusive della Conferenza di servizi decisoria relativa al sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto del 2.03.2007, unitamente alla relativa nota di trasmissione prot. n. 11803/QdV/DI/IX del 14.05.2007, il verbale della conferenza stessa del 2.03.2007, unitamente alle note ministeriali di convocazione ed ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale e, in particolare, il verbale della Conferenza di servizi istruttoria relativa al sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto del 1.02.2007, la nota ministeriale di sua convocazione a tale conferenza istruttoria, i pareri resi dall’ICRAM - Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare con note prot. n. 10387/06 del 30.11.2006 e prot. n. 2176/07 del 1.03.2007 e la nota prot. n. 45895 del 10.10.2006 trasmessa dalla Provincia di Taranto al Ministero dell’Ambiente, unitamente agli atti ed ai documenti allegati.

Avverso gli atti impugnati, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: violazione, erronea e falsa interpretazione ed applicazione degli artt. da 240 a 250 del d.lgs. n. 152/2006, violazione del principio di imparzialità dell’azione amministrativa, eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di istruttoria, difetto di motivazione, travisamento dei fatti, illogicità, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta dell’azione amministrativa, violazione del principio “chi inquina paga”.

Con decreto n. 2893/2007 il Presidente della Sezione Seconda bis ha rigettato la richiesta di sospensione in via provvisoria dei provvedimenti impugnati.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con ordinanza n. 3318/2008 del 6.07.2007 il Tribunale ha accolto, però, l’istanza cautelare ai fini del riesame.

All’udienza pubblica del 2.12.2019 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

DIRITTO

La ricorrente, che esercita dal 1998 attività di impresa portuale per conto terzi per il carico, lo scarico, il trasbordo il deposito e la movimentazione in genere delle merci e di ogni altro materiale in un’area del Porto di Taranto, ha dedotto di aver ricevuto dall’Amministrazione con il provvedimento impugnato - poiché dalle analisi effettuate dal CNR sui campioni di acqua di mare e di sedimento prelevati a poca distanza dalla banchina che essa aveva in concessione per la sua attività era stata riscontrata un’oggettiva situazione di inquinamento da metalli pesanti ed IPA (idrocarburi policiclici aromatici) - l’ordine di provvedere entro 30 giorni alla messa in sicurezza di emergenza dei sedimenti nell’area utilizzata per le sue attività, “effettuando eventualmente indagini speditive al fine di valutare al meglio i volumi di sedimento da sottoporre ad interventi di messa in sicurezza mediante rimozione”.

Ritenendo di non essere il soggetto responsabile del predetto inquinamento, la ricorrente ha lamentato la omessa dimostrazione da parte del Ministero, dell’ICRAM e della Conferenza di Servizi, in sede sia istruttoria che decisoria, del fatto che la rilevata presenza di IPA e di metalli nei fondali delle acque marine vicine alla sua banchina fosse “addebitabile eziologicamente con certezza all’attività di movimentazione di pet-coke (da essa) effettuata… nell’area portuale di propria pertinenza, piuttosto che agli effetti di altre attività industriali svolte (e non da ora) da soggetti diversi…”

Tutte le Amministrazioni coinvolte non avrebbero, a suo dire, in alcun modo svolto accertamenti istruttori o indagini idonee a dimostrare la causazione da parte sua della situazione di inquinamento, essendosi limitate, in realtà, a ritenere in sede di conferenza di servizi di poterle ordinare di effettuare a sue spese gli interventi di messa in sicurezza, in quanto gestore del sito più vicino all’area in cui la contaminazione era stata riscontrata;
tutto ciò in palese violazione del d.lgs. n. 152/2006 e del principio “chi inquina paga”.

Tanto più che lo stato di inquinamento dei fondali marini riscontrato nelle acque ad ovest di Punta Rondinella rinveniva verosimilmente la sua origine nelle “pregresse attività inquinanti addebitabili ai numerosi complessi industriali che da anni sversa(va)no nelle acque del Porto di Taranto i propri scarichi, tra i quali l’ILVA (i cui scarichi in mare sarebbero stati collocati proprio di fronte alla sua banchina) le raffinerie petrolifere ENI e le industrie cementiere, senza dimenticare altre attività”.

A sostegno della sua tesi, la ricorrente ha evidenziato che tutta l’area portuale di Taranto e, all’interno di essa, anche quella identificata dall’ICRAM come “situata a ovest di Punta Rondinella” in cui era ricompreso lo specchio acque prospiciente la sua banchina era “stata da tempo dichiarata sito di interesse nazionale ai fini della bonifica con

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