TAR Salerno, sez. II, sentenza 2012-06-11, n. 201201153

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2012-06-11, n. 201201153
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201201153
Data del deposito : 11 giugno 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01694/2010 REG.RIC.

N. 01153/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01694/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1694 del 2010 proposto da F E J R, rappresentata e difesa dall'avv. E F e P C con domicilio eletto presso il primo a Salerno in via Sichelmanno n. 8;

contro

Ministero dell'Interno e Prefettura di Salerno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e presso la stessa domiciliati per legge a Salerno in Corso Vittorio Emanuele n.58;

per l'annullamento, previa sospensione: 1) del provvedimento n. K10C/263636/10 del 18 giugno 2010, col quale la Prefettura di Salerno ha dichiarato inammissibile la domanda del 1° ottobre 2008 della ricorrente, peruviana, volta ad ottenere la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 5 della legge 5/2/1992 n. 91;
2) della Circolare n. K.60.1 del 7/10/2009 del Ministero dell’Interno;
3) della nota n. 0040701 del 18/10/2010, di comunicazione del provvedimento menzionato sub “1”;
4) delle Circolari ministeriali del 6 agosto e del 3 settembre 2009 richiamate nella Circolare del 7/10/2009.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2012 il dott. Ferdinando Minichini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I) La signora F E J R, di nazionalità peruviana, sposata in data 7 dicembre 2004 col cittadino italiano Rosario Rinaldi deceduto il 25 novembre 2006 lasciando una figlia di cinque mesi nata dalla loro unione matrimoniale (pure cittadina italiana), ha chiesto nel 2008 la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 5 della legge 5/2/1992 n. 91.

Ella col ricorso in esame, notificato in data 8 ottobre 2010 e depositato il 6 novembre successivo, ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe col quale la Prefettura di Salerno ha dichiarato l’inammissibilità della sua domanda di concessione della cittadinanza italiana.

Il provvedimento impugnato è stato adottato col richiamo della ragione ostativa indicata nello scioglimento del matrimonio verificatosi, a norma dell’art. 149 c.c., col decesso del coniuge dell’istante.

La ricorrente deduce la violazione dell’art. 5 della legge n. 91/1992, dell’art. 149 c.c., degli artt. 3 e 10 bis della legge n. 241/1990, degli artt. 3, 29, 30 e 97 Cost., della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e l’eccesso di potere, prospettando che la ragione posta a fondamento dell’atto impugnato non è coerente con la ratio sottesa alla legislazione in materia, e lamentando la mancata comunicazione del preavviso di rigetto della sua domanda.

Il Ministero intimato, costituitosi in data 8 novembre 2010, ha depositato documenti il 15 e 17 novembre 2010.

Nella Camera di Consiglio del 18 novembre 2010 è stata accolta la domanda cautelare.

L’Amministrazione resistente ha controdedotto chiedendo il rigetto del ricorso con la memoria depositata il 30 novembre 2011;
e la ricorrente ha insistito per l’accoglimento dell’impugnativa con la memoria depositata il 10 dicembre 2011.

Nell’odierna udienza il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

II) Preliminarmente, non appare al Tribunale del tutto fuori luogo affermare la sussistenza della propria giurisdizione ancorchè alcuna eccezione è stata sollevata al riguardo da parte resistente.

In proposito, diversamente da quanto si afferma da una parte della giurisprudenza, il Tribunale reputa che, pur se l’art. 5 della legge 91/1992 prevede puntualmente le condizioni per la concessione della cittadinanza, l’esercizio del relativo potere, comportando comunque una valutazione della situazione giuridica dell’istante in relazione al suo effettivo e stabile inserimento nella comunità nazionale del quale il detto art. 5 indica le condizioni, attinge anche l’interesse pubblico e non solo quello (esclusivo) del privato, conseguendone che esso presenta ambiti latamente discrezionali e, quindi, sussiste la giurisdizione del G.A. (Cfr., in termini, TAR Lombardia – MI – Sez. III – 19/9/2008 n. 4085;
id. Piemonte – Sez. I – 7/4/2008 n. 546). Ed in proposito è conferente richiamare la decisione n. 6526 del 18/12/2007 della Sezione VI del Consiglio di Stato che, in un caso del tutto analogo a quello in esame, proprio sulla valutazione dell’assenza delle condizioni di accesso alla cittadinanza italiana, ha avuto modo di affermare che le condizioni medesime devono concretarsi non solo nel dato formale della celebrazione di un matrimonio tra lo straniero e il cittadino italiano, ma anche nella conseguente instaurazione effettiva di un rapporto coniugale, tale da dimostrare l’integrazione dello straniero nel tessuto sociale e civile italiano.

D’altra parte il più volte richiamato art. 5, diversamente dalla previsione normativa anteriore alla sua sostituzione operata dal comma 11 dell’art. 1 della legge n. 94/2009, indica che lo straniero “può” acquistare la cittadinanza italiana (s’intende nella sussistenza delle condizioni dal medesimo art. 5 previste), escludendo pertanto che l’attività amministrativa in materia manchi di ogni valutazione discrezionale in ordine all’interesse generale della collettività.

III) Nel merito, il ricorso è fondato.

L’art. 5 della legge n. 91/1992, come sostituito dal comma 11 dell’art. 1 della legge n. 94/2009, dispone che il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può accedere alla cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero, “qualora al momento dell’adozione del decreto (di concessione) non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi”.

Ed il previgente art. 5 dispone che il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente almeno da 6 mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale.

Orbene, come si evince dalle disposizioni legislative appena richiamate, la novella portata dalla legge del 2009 ha allungato il termine di residenza in Italia (da mesi 6 a 2 anni) ed ha richiesto la persistenza delle condizioni di accesso alla cittadinanza italiana anche al momento dell’adozione del provvedimento concessivo.

Col richiamo della previgente e novellata disciplina legislativa questo Tribunale vuole porre in rilievo che la disciplina novellata pone un più intenso ed essenziale accento sulla valutazione dell’effettività delle condizioni per la concessione dello status di cittadino italiano e della correlata serietà della relativa domanda con riferimento al determinante elemento della concreta e stabile integrazione del richiedente nel tessuto sociale e civile della comunità italiana e, pertanto, sulla base di siffatta indicazione normativa vanno intese le condizioni per l’accesso alla cittadinanza.

Nel caso in esame, come innanzi si è esposto, l’Amministrazione ha dichiarato l’inammissibilità della domanda della ricorrente in ragione del decesso del coniuge della stessa valorizzando l’art. 149 c.c. per il quale “il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi”.

Senonchè, a giudizio del Tribunale, l’analisi ermeneutica va portata in via essenziale e determinante sull’art. 5 della legge n. 91/1992 che tiene conto della “serietà” della domanda richiedendo l’esistenza del vincolo matrimoniale per tre anni ovvero la residenza biennale in Italia e la stabilità delle connesse situazioni giuridiche, nonché della ratio sottesa al detto art. 5 che è quella di concedere la cittadinanza ai veri integrati nella comunità nazionale e, certamente, non quella di escludere dal beneficio coloro che, ancorchè stabilmente integrati, abbiano perduto solo in senso materiale la persistenza del vincolo matrimoniale col coniuge cittadino a causa di eventi da essi non voluti come la morte.

Nei sensi indicati va, quindi, intesa la norma di cui sull’art. 5 della legge n. 91/1992, e ciò considerandosi anche che, nei casi di non persistenza del vincolo matrimoniale per morte di uno dei coniugi, quello che viene principaliter a mancare è l’unione materiale permanendone, invece, i riflessi giuridici consequenziali come quelli ereditari, previdenziali e di uso dell’abitazione familiare.(Cfr. anche TAR Liguria – Sez. II – 4/3/2011 n. 378)

Alla stregua, dunque, del descritto contesto fattuale, normativo ed esegetico, è fondata la censura di violazione dell’art. 5 della legge n. 91/1992 dedotta da parte ricorrente.

IV) In conclusione, il ricorso, per la censura ritenuta fondata, va accolto restando assorbite i residui motivi di gravame e conseguendone l’annullamento dell’atto impugnato.

V) Le spese di giudizio, per la peculiarità delle questioni, vanno compensate tra le parti.

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