TAR Roma, sez. III, sentenza 2016-08-02, n. 201608945
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Testo completo
Pubblicato il 02/08/2016
N. 08945/2016 REG.PROV.COLL.
N. 11867/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11867 del 2014, proposto da:
M S, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Pesce C.F. PSCGNN64R12B180E, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Bocca di Leone, 78, come da procura in atti;
contro
Universita' degli Studi di Roma 3 in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato presso cui è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
dei provvedimenti applicativi dell’art. 1, commi 458 e 459 della L. 147\2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Universita'degli Studi di Roma 3;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2016 il dott. Achille Sinatra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. - Con ricorso notificato il 30 settembre 2014 e depositato il successivo giorno 1 di ottobre, il prof. Salvatore Mazzamuto ha impugnato i provvedimenti del Rettore dell’Università di Roma Tre in epigrafe, recanti la determinazione del suo trattamento economico, a decorrere dal 1° febbraio 2014, in misura pari a quello dei colleghi di pari anzianità a seguito di rientro dal ruolo di componente del Consiglio Superiore della Magistratura, nonché il provvedimento con cui l’Ateneo ha disposto il recupero delle somme erogate in eccesso rispetto a tale trattamento.
2. - Gli atti impugnati sono stati assunti in applicazione dell’art. 1 commi 458 - 459 della legge n. 147 del 2013, per cui “L'articolo 202 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e l'articolo 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, sono abrogati. Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall'incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità” (comma 458) e “Le amministrazioni interessate adeguano i trattamenti giuridici ed economici, a partire dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, in attuazione di quanto disposto dal comma 458, secondo periodo, del presente articolo e dall'articolo 8, comma 5, della legge 19 ottobre 1999, n. 370, come modificato dall'articolo 5, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.”
Quest’ultima norma recita: “Al professore o ricercatore universitario rientrato nei ruoli e' corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità. In nessun caso il professore o ricercatore universitario rientrato nei ruoli delle università può conservare il trattamento economico complessivo goduto nel servizio o incarico svolto precedentemente, qualsiasi sia l'ente o istituzione in cui abbia svolto l'incarico. L'attribuzione di assegni ad personam in violazione delle disposizioni di cui al presente comma è illegittima ed è causa di responsabilità amministrativa nei confronti di chi delibera l'erogazione”.
In forza delle norme su riportate, quindi, il ricorrente è stato privato dell’assegno ad personam che egli percepiva nella misura pari alla differenza tra l’indennità di carica goduta quale componente laico dell’Organo di autogoverno e la retribuzione di docente universitario.
2. -Il ricorrente ha affidato il ricorso alle seguenti censure:
1) Violazione dell’art. 1 commi 458-459 della L. 147\2013 e dell’art. 3 L. 312\1971: le disposizioni che l’Ateneo ha inteso applicare non si riferirebbero ai cessati componenti di un organo elettivo, che percepiscono un assegno di natura indennitaria, bensì ai soli pubblici impiegati all’atto del passaggio da una carriera ad un’altra;mentre l’art. 3 di cui in rubrica, che disciplina l’assegno ad personam dei cessati membri del CSM, pur riferendosi all’abrogato art. 202 del T.U. n. 3\1957, opererebbe un mero rinvio materiale, ed atto solo a chiarire misura e regime dell’assegno personale spettante.
2) Eccesso di potere, violazione del principio dell’affidamento, illegittimità costituzionale dei commi 458 e 459 dell’art. 1 L. 147\2013 se interpretati nel senso propugnato dall’Università: come stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 83\2013, relativa all’applicabilità dell’art. 16 del d.lgs. n. 503\1992 ai soli docenti universitari, le esigenze di contenimento della finanza pubblica non avrebbero consistenza, se riferite ad un settore professionale numericamente ristretto, come è anche nel caso di specie;peraltro, le norme applicate dall’Ateneo sarebbero foriere di disparità di trattamento tra ex componenti laici del CSM professori universitari ed ex membri avvocati, la cui indennità di carica non subirebbe la decurtazione contestata;e disparità sussisterebbe anche nei confronti degli ex componenti laici professori, ma già pensionati, egualmente non toccati dalla riforma.
3) Ancora violazione dell’art. 1 comma 458 L. 147\2013: una precedente disposizione disciplinante il trattamento economico dei docenti universitari rientrati nei ruoli, ossia l’art. 5 comma 10 ter del D. L. n. 95\2012, nella comune interpretazione, non sarebbe stata ritenuta applicabile agli ex membri laici del CSM;così dovrebbe essere interpretata anche la disposizione in rubrica.
4) Falsa applicazione dell’art. 1 comma 458 L. 147\2013 in relazione all’art. 104 Cost. e agli articoli 1 e 22 L. 195\1958, in quanto l’Università non avrebbe tenuto conto del peculiare ruolo attribuito ai componenti laici del CSM.
5) Violazione dell’art. 7 L. 241 del 1990 (censura svolta in via subordinata), posto che al ricorrente non è stata data comunicazione di avvio del procedimento, nel corso del quale egli avrebbe potuto fornire all’Amministrazione utili elementi di interpretazione della normativa applicata.
6) Illegittimità derivata dell’atto con cui l’Ateneo ha disposto il recupero delle somme percepite in eccesso rispetto al trattamenti economico determinato come sopra.
3. - Sulla scorta di dette censure il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’atto impugnato, previa sospensione cautelare.
L’Università intimata si è costituita in giudizio, eccependo l’infondatezza del ricorso con memoria.
4. – Con ordinanza n. 5361 del 29 ottobre 2014 l’istanza cautelare proposta dal ricorrente è stata respinta.
5. - In vista della pubblica udienza di discussione del ricorso, il ricorrente ha depositato una breve memoria, che ha richiamato recente giurisprudenza a sé favorevole.
In occasione della pubblica udienza dell’8 giugno 2016 il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, e va accolto.
Il Collegio ritiene di potere esaminare congiuntamente, per comodità espositiva, il primo motivo, che attiene alla estensione soggettiva dell’abrogazione dell’art. 2010 del T.U. n. 3 del 1957 e degli assegni ad personam, ed il terzo, sotto lo specifico profilo di tutela dell’affidamento nel trattamento economico in godimento allegato dal ricorrente nella censura rubricata sub “B”, anche in relazione alla affermata illegittimità costituzionale dell’art. 1 comma 458 delle legge n. 147 del 2013.
Prendendo le mosse da quest’ultimo profilo, osserva il Collegio come sia possibile affermare una lettura costituzionalmente compatibile della norma richiamata.
2. - Come noto, l’art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale (“Preleggi”) recita, quanto all’efficacia della legge nel tempo, che “La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Quanto all’applicazione di tale principio ai rapporti di durata, la Corte Costituzionale (sent. n. 236 del 2009) ha affermato il principio per “ il legislatore, in materia di successione di leggi, dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l'oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo - in caso di norme retroattive - il limite imposto in materia penale dall'art. 25, secondo comma, Cost., e comunque a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti”;e che, inoltre, “è consolidato il principio del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto e non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori (ex plurimis, sentenze n. 24 del 2009;n. 11 del 2007;n. 409 del 2005;n. 446 del 2002;n. 416 del 1999 e n. 390 del 1995)”.
Il vaglio di ragionevolezza dello jus superveniens, secondo il giudice delle leggi, deve essere condotto alla luce del “principio di tutela dell'affidamento, quale parametro alla stregua del quale scrutinare la legittimità della norma medesima, con riguardo all'art. 3 Cost.”
Tale scrutinio dà esito favorevole al soggetto latore della posizione giuridica soggettiva incisa dalla nuova legge ove quest’ultimo possa vantare “una posizione giuridica consolidata, in quanto radicata non soltanto su un provvedimento amministrativo che l'ha disposta (…), ma anche sull'esercizio effettivo delle attribuzioni connesse a quella posizione”.
Inoltre, secondo la Corte, questa valutazione di ragionevolezza non investe il singolo obiettivo perseguito dal legislatore nel futuro, ma deve concretarsi in un bilanciamento di interessi che veda coinvolti soggetti nei quali è sorto un legittimo affidamento nella sicurezza giuridica nutrito sulla base della normativa previgente, in base alla quale taluni hanno conseguito una situazione sostanziale consolidata.
3. - La concreta ricaduta di questo principio è apprezzabile nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, per cui “il principio dell'irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso;lo stesso principio comporta, invece, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorchè conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore” (Cassazione civile sez. I, 03/07/2013 n. 16620).
4. - Si deve pertanto ritenere -in aderenza ai suesposti principi giurisprudenziali, condivisi dal Collegio- che, una volta che si sia verificato il fatto generatore della pretesa (sia esso una norma di legge, un contratto, oppure un provvedimento amministrativo per le categorie non contrattualizzate), ed in assenza di una norma che espressamente disponga la retroattività della norma sopravvenuta, il principio dell'irretroattività della legge previsto dall'art. 11 preleggi fa sì che la norma di abrogazione dell’art. 202 T.U. n. 3 del 1957 non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, neppure a quelli sorti anteriormente e ancora in vita ove, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso;mentre la medesima nuova disposizione potrà incidere sui rapporti successivamente instauratisi, o nei quali non vi sia collegamento con il fatto che li ha generati. (Cassazione civile sez. lav. 09/01/2014 n. 301).
5. – Inoltre, come acutamente e condivisibilmente osservato dalla specifica giurisprudenza formatasi in materia di assegno ad personam dovuta agli ex componenti degli Organi di autogoverno di Magistratura, richiamata dal ricorrente (TAR Sicilia, Palermo sezione III n. 744\2015 del 26 marzo 2015, confermata da C.G.A. n. 89\2016 del 14 aprile 2016), l’abrogazione del solo art. 202 del T.U. n. 3 del 1957 non è misura legislativa sufficiente ad eliminare dall’ordinamento anche gli effetti dell’art. 3 della L. n. 312\1971, in quanto il primo era dettato per evitare gli eventuali effetti negativi economici del passaggio di carriera degli impiegati, mentre il secondo riguarda la ben diversa situazione dei soggetti che, dopo la scadenza di un incarico onorario (e dunque non di un rapporto di impiego) rientrino nei ruoli della propria Amministrazione di appartenenza.
La differenza della fonte legislativa dell’assegno si spiega, pertanto, con la differenza delle due situazioni su descritte: ed è confermata proprio dal testo dell’art. 3 della legge n. 312\1971, che non estende tout court la portata applicativa dell’art. 202 del T.U. che regola il rapporto di impiego al caso del titolare di carica onoraria ritornato in ruolo, ma si limita a richiamarne i soli “effetti” e “limiti”.
Sicchè, per eliminare tali effetti, occorrerebbe una specifica disposizione di legge a contenuto abrogativo del citato art. 3;fermo restando che, anche in questa eventualità, occorrerebbe tenere conto del funzionamento del principio di irretroattività nei sensi delineati dalla giurisprudenza costituzionale e della Corte di cassazione di cui sopra si è dato atto.
6. – Conclusivamente sul punto, il provvedimento del Direttore generale dell’Ateneo che ha stabilito la cessazione dell’assegno ad personam in godimento al ricorrente è illegittimo, e va annullato, sotto i dirimenti profili su esposti.
7. – Di conseguenza, deve essere annullato anche il successivo provvedimento che ha disposto la refusione della somma ivi indicata da parte del ricorrente in favore dell’Università e le correlate trattenute stipendiali, la cui illegittimità derivata è denunziata nel sesto motivo.
8. – I profili di novità della questione inducono alla compensazione delle spese di lite, salvo il contributo unificato posto a carico dell’Ateneo resistente.