TAR Bari, sez. III, sentenza 2014-07-01, n. 201400839

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. III, sentenza 2014-07-01, n. 201400839
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201400839
Data del deposito : 1 luglio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01739/2010 REG.RIC.

N. 00839/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01739/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1739 del 2010, proposto da:
M S, rappresentata e difesa dall'avv. G Giampalmo, con domicilio eletto presso Nicola Roberto Toscano in Bari, via P. Amedeo, n. 198;

contro

Comune di Bitonto;

per l'annullamento

del provvedimento inibitorio di cui alla nota prot. 18406 del Comune di Bitonto – Settore Territorio, Servizio Urbanistica, datata 1 luglio 2010, notificata al ricorrente l’8 luglio 2010, avente ad oggetto: “D.I.A. 250/2010 per la realizzazione di recinzione in Bitonto alla via Alcide De Gasperi”, che rigetta la denuncia di inizio di attività con la seguente espressa motivazione: “l’area da recintare, giusta denuncia di inizio di attività sopra richiamata, è ormai da tempo assoggettata ad uso pubblico…ed in tal senso deve rimanere sgombra da ogni ostacolo che ne impediscono tale uso”;

- ove occorrente, di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, anche se non ancora acquisito, con ogni diritto consequenziale e di risarcimento dei danni subiti e subendi per effetto dell’illegittimo provvedimento impugnato,

nonché per l’accertamento

- in sede di giurisdizione esclusiva, del diritto di piena proprietà della ricorrente sull’intera area riportata in catasto di Bitonto al foglio 40, particella 290/4/5, graffata alla particella 82/3/4, costituita da fabbricato con annesso cortile catastalmente graffato alle particelle in questione,

con condanna

- del Comune di Bitonto ad astenersi da qualunque atto o attività di disturbo o limitazione della proprietà e dell’uso, da parte della proprietaria, con riferimento all’area del cortile annesso e catastalmente graffato alle indicate particelle, trattandosi di area di esclusiva proprietà della ricorrente.”

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2014 la dott.ssa Cesira Casalanguida e uditi per le parti i difensori G Giampalmo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

L’odierna ricorrente impugna il provvedimento prot. 18406 dell’01.07.2010, n. 734 cron R.M. del Comune di Bitonto, notificato l’08.07.2010, avente ad oggetto l’inibitoria ad eseguire i lavori di realizzazione di recinzione di un’area, ritenuta di proprietà della Sig.ra S Maria, di cui alla denuncia di inizio attività 250/2010..

La DIA , più precisamente, sarebbe relativa alla recinzione di un cortile sito in via a. De Gasperi ed annesso ad unità immobiliari di proprietà della sig.ra S.

Il diniego opposto dal Comune si basa sull’assoggettamento dell’area ad uso pubblico e sulla impossibilità di realizzare ostacoli che possano impedire tale uso.

I motivi di ricorso opposti al provvedimento del Comune sono i seguenti:

violazione di legge per rigetto della denuncia di inizio di attività fondato su presupposti inesistenti e travisati, stante l’esclusiva proprietà del ricorrente sull’intera area in questione (art. 23, DPR 380/2001) e l’assenza di qualsivoglia servitù di uso pubblico del Comune sul cortile annesso e catastalmente graffato alla medesima area;
– eccesso di potere per irragionevolezza;
- manifesta ingiustizia;
- contraddittorietà manifesta;
- travisamento dei fatti.

La ricorrente sostiene che le particelle 290/4/5, 82/3/4, foglio 40, Comune di Bitonto, e l’annesso cortile collegato alle stesse particelle catastali con segno di graffa, per questo da ritenersi parte integrante di esse, sono di sua proprietà esclusiva.

A dimostrazione di tale dato, evidenzia che non è mai intervenuto alcun atto che abbia trasferito la proprietà del cortile de quo al Comune di Bitonto, né che ella mai abbia messo quell’area a disposizione della collettività dei cittadini.

A sostegno di quanto sostenuto, la ricorrente allega gli stralci delle planimetrie catastali ed aerofotogrammetriche nelle quali il cortile in questione è collegato alle particelle 290 ed 82 (proprietà S) dal segno di graffa. Tale segno, a livello tecnico, esprimerebbe il concetto che il cortile è parte integrante di quelle particelle, esistendo, su di esse, identico diritto di proprietà della sig.ra S.

La ricorrente lamenta, altresì, che il Comune non avrebbe fornito alcuna prova o allegazione in grado di sostenere l’acquisizione definitiva del presunto diritto di uso pubblico da parte della collettività bitontina.

Aggiunge che il transito occasionale sull’area non costituisce elemento a favore dell’esistenza della servitù di uso pubblico, dovendosi ritenere atto frutto di mera tolleranza.

Inoltre, ribadisce che non è mai intervenuto alcun atto di cessione del cortile in questione, né il medesimo è mai stato messo a disposizione della collettività per soddisfare un’utilità comune.

Il Comune, regolarmente intimato, non si è costituito in giudizio.

Con ordinanza n. 1178 del 24 luglio 2013 sono stati disposti adempimenti istruttori nei riguardi del Comune, a cui è stato dato riscontro con nota del 5 settembre 2013, prot. n. 27826.

Nella relazione esplicativa del 16 dicembre 2010, prot. n. 34147, allegata unitamente alla documentazione inviata dal Comune di Bitonto, si riferisce di “ un atto d’impegno unilaterale di cessione gratuita, in favore del Comune, delle aree scoperte ” graffate all’immobile oggetto di un intervento di restauro. Di tale nota, datata 23 giugno 2000, a firma dell’avv. Roberto Toscano, precedente proprietario dell’area, è stata prodotta copia.

E’ stata, altresì, depositata copia di un atto di donazione datato 20.01.2008 rep. n. 15349 nel quale, con riferimento all’immobile oggetto di restauro, si legge che “ è da ritenersi di spettanza esclusiva l’annesso cortile (soggetto a richiesta da parte dell’ufficio urbanistico di cessione gratuita in favore del Comune, peraltro contestato) ”.

Nella relazione esplicativa si ribadisce la presenza di un impegno alla cessione gratuita dell’area, il fatto che essa comunque sarebbe ormai da tempo soggetta ad uso pubblico, come emergerebbe anche da un rilievo areofotogrammetrico del 1968.

Da ultimo, si allega una proposta transattiva pervenuta al Comune in data 26 aprile 2012 da parte della sig.ra S, con la quale la ricorrente si dimostra disponibile a cedere una porzione dell’area nella quale è presente un palo d’illuminazione, trattenendo in proprietà esclusiva la restante parte, proposta di accordo bonario rimasto privo di esito.

All’udienza pubblica del 4 giugno 2014, sentita la difesa della parte ricorrente, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è fondato, in quanto non risulta fornita idonea prova volta a dimostrare l’assoggettamento dell’area in questione ad uso pubblico.

La documentazione versata in atti, compresa quella inviata dal Comune di Bitonto in adempimento dell’ordinanza istruttoria n. 1178/2013, depone, piuttosto, a favore del riconoscimento del diritto di proprietà dell’area di cui la ricorrente chiede la recinzione con la D.I.A. 250/2010, rigettata dal Comune. Essa, infatti, risulta dalla visura catastale graffata all’immobile di proprietà della ricorrente, costituendo così il complesso dei beni oggetto di unica particella.

Emerge, inoltre, dalla documentazione che, a fronte di un impegno risalente al 2000 alla cessione volontaria dell’area, non sia poi seguita alcuna effettiva cessione, anzi la medesima risulta contestata negli anni successivi.

Con riferimento poi alla destinazione ad uso pubblico dell’area, il Comune non fornisce alcuna prova idonea a fondarne la sussistenza.

La giurisprudenza ha avuto modo di precisare come l’adibizione ad uso pubblico di una strada o di un’area è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone (Cons. Stato Sez. V 7 dicembre 2010 n.8624), per soddisfare un pubblico e generale interesse, oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam , l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (Cass. Civile Sez. II 21 maggio 2001 n.6924).

Nel caso in esame gli elementi ritenuti fondanti la destinazione ad uso pubblico di un’area non sono rinvenibili: non si tratta di una strada, né l’area, come si desume dalle planimetrie catastali e fotogrammetriche, assume finalità di collegamento, né tantomeno si rinviene nell’uso della medesima, un interesse pubblico e generale connesso. L’apposizione del palo dell’illuminazione che risulta dai rilievi fotografici non è da sola idonea a fondare la pretesa del Comune, potendo essa essere frutto di mera tolleranza, come, peraltro, sostenuto dalla difesa della proprietaria.

In giurisprudenza si è puntualizzato che “ un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l’utilizzo avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse, e non uti singuli ” (Cons. Stato sez. V 14.02.2012 n. 728).

In mancanza di prove contrarie, è da ritenersi che l’eventuale sosta sull’area da parte di terzi sia da considerarsi avvenuto “ uti singuli ”, proprio in quanto, essendo la medesima priva di recinzione, può facilmente essere oggetto di uso incontrollato (come riconosciuto dalla medesima proprietaria nella proposta di accordo bonario con il comune rimasto privo di esito), ma non per questo tale uso può essere ricondotto ad un pubblico interesse.

Il Comune avrebbe dovuto fornire il titolo idoneo ad affermare il diritto di uso pubblico, che deve, infatti, essere rigorosamente provato. Manca, in altri termini, la prova specifica di un effettivo e pacifico uso dell’area da parte della generalità dei cittadini e dell’acquiescenza del proprietario, non essendo sufficiente che le singole utilizzazioni dedotte a prova dell’esistenza della servitù si risolvano in sporadici episodi svoltisi in maniera discontinua ovvero per mera tolleranza dei legittimi proprietari (Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 4844 del 30.09.2013).

Ne deriva che il provvedimento di rigetto della denuncia di inizio attività avente ad oggetto la recinzione dell’area adottato dal Comune in data 01 luglio 2010, per come motivato, è illegittimo e deve, pertanto, essere annullato.

Sulla domanda di accertamento del diritto di piena proprietà, il Collegio ritiene di soffermarsi richiamando alcuni principi sanciti in materia.

E’ stato sostenuto, infatti, come il giudice amministrativo possa e debba “risolvere la questione del carattere pubblico ovvero privato di una strada, nonché la sussistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada privata – eventualmente costituita anche mediante dicatio ad patriam - allorquando sia richiesto di risolverla non già come questione principale, sulla quale pronunciarsi con efficacia di giudicato, ma come questione preliminare ad altra, ovvero alla questione, dedotta in via principale - e all’evidenza rientrante nella sua giurisdizione - concernente la legittimità di un provvedimento del tipo di quello qui impugnato” (così, Cons. Stato, Sez, IV, sent. n. 4844 dell’8 marzo 2013;
Cons. Stato, Sez. IV, 7 settembre 2006 n. 5209).

Con riferimento più specifico all’azione di accertamento, inoltre, giova richiamare quanto osservato dal Consiglio di Stato nell’A.P. n. 15 del 29 luglio 2011 stabilendo, per la distinta ipotesi di DIA a cui non sia seguita l’adozione di un provvedimento espresso da parte dell’amministrazione, principi ritenuti rilevanti anche nel caso in esame. In particolare, si è affermato che la controversia “si appunta su un rapporto amministrativo che ha come fulcro il corretto e tempestivo esercizio del potere amministrativo di controllo circa la conformità dell'attività dichiarata al paradigma normativo, con conseguente adozione delle misura inibitoria in caso di esito negativo del riscontro. Il contenzioso ha quindi come oggetto l'esercizio di un potere pubblicistico finalizzato alla tutela di interessi pubblici, in coerenza con il disposto dell'art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo, che assegna alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione delle controversie concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo”

Con riferimento all'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo nella medesima pronuncia essa è stata ipotizzata in “ tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente”.

Ne deriva, di contro, che, solo ove “le altre azioni tipizzate non soddisfino in modo efficiente il bisogno di tutela, l'azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all'art. 44 della legge n. 69/2009”.

Dall’applicazione di tali principi al caso in esame deriva che, avendo la parte proposto ricorso avverso il provvedimento inibitorio dell’attività di recinzione di cui alla D.I.A. 250/2010, la tutela della ricorrente risulta soddisfatta dall’accoglimento della domanda di annullamento e, pertanto, deve dichiararsi improcedibilie quella autonoma di accertamento, ritenendosi soddisfatto il bisogno di tutela manifestato dalla ricorrente mediante l’azione di annullamento.

Deve, altresì, essere respinta la domanda di risarcimento dei danni subiti e subendi , non essendosi fornito alcun elemento valido per sostenere la fondatezza della pretesa risarcitoria.

Parimenti, deve essere respinta la domanda di condanna del comune di Bitonto ad astenersi da qualunque atto o attività di disturbo o limitazione della proprietà o dell’uso dell’area per cui è causa. Trattasi, infatti, di domanda del tutto atipica ed estranea all’ambito delle azioni ammesse nel giudizio amministrativo e, in quanto tale, inammissibile.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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