TAR Trento, sez. I, sentenza 2018-12-21, n. 201800286

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trento, sez. I, sentenza 2018-12-21, n. 201800286
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trento
Numero : 201800286
Data del deposito : 21 dicembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/12/2018

N. 00286/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00169/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 169 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato F L P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, via San Francesco d’Assisi n. 10, presso lo studio del predetto avvocato;

contro

il Ministero dell’Interno - Questura di Trento, in persona del Ministro pro tempore , per legge rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con la quale è domiciliato in Trento, largo Porta Nuova n. 9;

per l’annullamento

del decreto n. R138/A11/2018/Imm. in data 14 marzo 2018, notificato in data 28 marzo 2018, con il quale il Questore della Provincia di Trento ha rigettato l’istanza, presentata dal ricorrente, di rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2018 il dott. C P e uditi l’avvocato F L P, per la parte ricorrente, e l’avvocato dello Stato Dario Bellisario per l’Amministrazione intimata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il ricorrente - cittadino marocchino - in punto di fatto riferisce di essersi trasferito in Italia, all’età di quattordici anni, con regolare permesso di soggiorno;
di aver sempre svolto un’attività lavorativa, ben integrandosi nella comunità di -OMISSIS-;
di essersi ricongiunto nel 2016 con la propria famiglia, formata dalla moglie e dal figlio di tre anni.

In data 23 marzo 2017 egli ha presentato domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per “ attesa occupazione ” e, a seguito del preavviso di rigetto, in data 18 gennaio 2018 ha presentato osservazioni in merito alle vicende che hanno lo portato a delinquere. Nonostante tali osservazioni e l’ulteriore documentazione trasmessa in data 26 febbraio 2018, gli è stato notificato in data 28 marzo 2018 l’impugnato provvedimento di rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno.

2. Avverso il provvedimento impugnato il ricorrente deduce le seguenti censure: violazione dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998;
eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà, travisamento dei fatti e dei presupposti, mancata considerazione di circostanze essenziali, disparità di trattamento, illogicità nella valutazione delle prove e difetto di istruttoria
.

Premesso che, ai sensi dell’art. 5 comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998 l’Amministrazione, nel valutare la sussistenza dei presupposti per l’adozione di un provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che abbia esercitato (come nel suo caso) il diritto al ricongiungimento familiare, deve tener conto non solo della gravità dei reati commessi dall’interessato, ma anche “ della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale ”, il ricorrente lamenta innanzi tutto che il Questore non abbia considerato che egli, per effetto del provvedimento impugnato, sarebbe costretto o fare ritorno nel paese d’origine e ad abbandonare il proprio nucleo familiare.

Quanto ai reati dai quali è stata desunta la pericolosità sociale, il Questore non ha tenuto conto del lasso temporale che intercorre tra i diversi reati, né del fatto che la commissione di tali reati è dipesa dal suo stato di alcool-dipendenza, ad oggi superato, ma che rende comunque indispensabile la frequenza del Centro di Alcologia di -OMISSIS-. Come già evidenziato nelle osservazioni presentate all’Amministrazione, i precedenti penali più risalenti si riferiscono a reati non particolarmente gravi (al punto che per uno è stato applicato il condono), commessi a distanza di ben dieci anni l’uno dall’altro, sanzionati con due decreti penali di condanna, mentre le sentenze pronunciate nell’anno 2017 - da considerarsi congiuntamente, essendo pendente il giudizio di esecuzione per il riconoscimento della continuazione e della sospensione condizionale della pena oggetto di cumulo - vanno lette tenendo conto del peculiare momento in cui i reati sono stati commessi e, in particolare, dei problemi legati alle sue condizioni economiche e familiari. In particolare egli, dopo anni passati in solitudine, nel novembre 2016 si è ricongiunto con la moglie e il figlio, per i quali rappresenta l’unico punto di riferimento e la sola fonte di sostentamento, ma essendo disoccupato ha sentito la pressione dovuta all’incapacità di mantenere la famiglia;
nel contempo egli ha appreso che suo fratello sarebbe stato espulso dall’Italia. Tali circostanze sono state fonte di gran turbamento, al punto da indurlo a sviluppare un’assuefazione all’alcool, che ha molto influito sulle sue capacità di giudizio;
pertanto le condotte delittuose più recenti andrebbero intese come « un grido d’aiuto, tipico di chi crede di non aver altro modo per far fronte ai propri disagi . Lo stesso CTU nominato dal Tribunale di Trento nel procedimento penale per i reati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale e porto d’armi, che hanno portato al suo arresto nel 2017, ha affermato che le condotte del ricorrente sono dipese « dalla condotta alcologica acuta » e « dall’importante abuso alcolico prolungato ».

In ogni caso il ricorrente intende lasciarsi alle spalle questi episodi, come dimostra la frequentazione del Centro di salute mentale di tionee del Club alcologico di -OMISSIS-, che si è rivelata molto positiva, come riconosciuto dalla responsabile del Servizio di Alcologia di -OMISSIS-, che ha certificato la puntuale frequentazione degli incontri del Club alcologico e le visite di controllo presso il Centro di salute mentale. Pertanto il ricorrente può dirsi oggi positivamente inserito nella comunità, così come la moglie e il figlio, che frequenta la locale scuola materna, e può dirsi definitivamente risolto il problema legato alla dipendenza dall’alcool, che ha causato la commissione dei suddetti reati.

Del resto la prognosi di non commissione di ulteriori reati trova conferma nella documentazione trasmessa alla Questura di Trento in data 26 febbraio 2018 e, in particolare, nell’ordinanza del Tribunale di Trento depositata in data 5 febbraio 2018, con la quale - con riferimento alle sentenze n. 470/17 in data 9 novembre 2017 e n. 321/2017 in data 21 aprile 2017 - in sede di incidente di esecuzione è stata ridetermina la pena finale a carico del ricorrente in anni 1 e mesi 10 di reclusione, con applicazione della sospensione condizionale della pena cumulata: difatti, posto che tra i presupposti richiesti dalla legge per la concessione di tale beneficio vi è anche l’accertamento della non pericolosità del reo, vi è motivo di ritenere che il Giudice dell’esecuzione, avendo accordato il beneficio, abbia accertato anche la non pericolosità sociale del ricorrente.

3. L’Amministrazione intimata, nel costituirsi in giudizio, con memoria depositata in data 2 luglio 2018 ha insistito per il rigetto del ricorso rappresentando, in particolare, che la situazione personale del ricorrente « è stata ampiamente ponderata, andando ben oltre la mera considerazione delle condanne penali, come già evidenziato sul decreto, ed esaminata in tutti i suoi aspetti, che per ovvi motivi sono stati espressi sul decreto di rigetto (e non omessi) in maniera sintetica, ma ugualmente articolata ». Il ricorrente « risulta essere una persona schiva, un solitario, per nulla inserito nel contesto sociale in cui vive. Lavora poco, senza mai raggiungere nemmeno il reddito minimo ». La moglie e il figlio del ricorrente « passano le loro giornate al centro assistenziale, per avere un po’ di aiuto e per non restare a casa con lui. Dunque una famiglia sfaldata sul nascere, non una famiglia unita e con un capo famiglia che provveda a loro, bensì una donna e il suo bambino che cercano di arrangiarsi, di sopravvivere e andare avanti, nonostante il capofamiglia sia spesso in stato di ebbrezza o perso nei suoi deliri jihadisti ». L’interesse del ricorrente per la jihad , « nato parecchi anni fa e consolidatosi nel tempo, ha portato a varie indagini sul suo conto, con risultati allarmanti ». Secondo quanto emerge dal rapporto dei Carabinieri del ROS di Trento prot. n. 76/78-10-2016, il ricorrente, « all’atto dell’arresto, non si è limitato a minacciare genericamente con riferimenti di natura islamico-radicale, ma ha espresso la volontà di tagliare la gola a loro e alle loro famiglie. ... Il ricorrente risulta intestatario di alcune utenze cellulari, tra le quali una è associata al profilo -OMISSIS-, non accessibile pubblicamente, e al profilo -OMISSIS-(appartenente al ricorrente o al fratello in corso di espulsione), sul quale sono rinvenibili contenuti pro jihad, tra cui una vignetta satirica nella quale viene condivisa l’idea che gli attacchi terroristici in Francia siano legittimi ». Durante la perquisizione domiciliare eseguita in data 27 novembre 2016 presso l’abitazione del ricorrente, « sono stati trovati un libro del Corano, con all’interno evidenziati da segnalibro alcuni versetti inneggianti alla guerra ai traditori dell’Islam, e una rivista di innegabile fattezza jihadista, con vari articoli inneggianti alla guerra all’occidente da parte dei “lupi solitari”, ovvero cellule formate da singoli individui che agiscono staccati dal corpo terroristico centrale, procurando allarme sociale con attentati circoscritti ma ugualmente pericolosi. Nella sopra menzionata rivista si riscontrava, oltre a un articolo su come sia giusto e legittimo attentare sulla popolazione inerme, anche una dettagliata spiegazione corredata di foto, su come costruire “in casa” una bomba ». In definitiva, questi ritrovamenti, unitamente alla condotta del ricorrente, « rimandano a un soggetto potenzialmente pericolo piuttosto che a un innocuo cittadino con un problema di alcool in corso di risoluzione, come descritto in sede di ricorso » e, quindi, giustificano il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, come affermato, con riferimento ad un caso analogo, dal T.A.R. del Lazio nella sentenza n. 1356 del 1° febbraio 2016, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto avverso il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno adottato nei confronti di un soggetto che aveva inneggiato allo stato islamico e aveva fatto propaganda su Facebook .

4. Questo Tribunale con l’ordinanza 5 luglio 2018, n. 29, ha respinto sia la domanda cautelare sia l’istanza istanza presentata dal ricorrente ai sensi dell’art. 126, comma 3, del T.U. n. 115/2002.

5. Il ricorrente con memoria depositata in data 13 novembre 2018 ha insistito per l’accoglimento del ricorso, osservando che nell’impugnato decreto è erroneamente riportata una condanna per il reato di incendio (art. 423 cod. pen.), derubricato nella sentenza di patteggiamento nel più lieve reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 cod. pen.), che non rientra tra le fattispecie ostative al rinnovo del permesso di soggiorno. Non è provato che durante la perquisizione eseguita in data 27 novembre 2016 siano stati rinvenuti un libro del Corano e una rivista di innegabile fattezza jihadista , perché il verbale di perquisizione indica un esito negativo. Analoghe considerazioni valgono per i presunti contenuti pro jihad che sarebbero stati rinvenuti sul profilo Facebook di -OMISSIS-, non prodotti in giudizio e dei quali viene comunque disconosciuta la paternità.

6. Alla pubblica udienza odierna il difensore del ricorrente, con riferimento all’istanza presentata dal suo assistito ai sensi dell’art. 126, comma 3, del T.U. n. 115/2002, ha prospettato una questionedi legittimità costituzionale dell’art. 74, comma 2, del T.U. n. 115/2002, in relazione agli articoli 3 e 27 della Costituzione, per illogicità e disparità di trattamento con quanto previsto dal primo comma dello stesso art. 74. Quindi il ricorso è stato chiamato e trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. Ritiene il Collegio che il Questore di Trento abbia correttamente esercitato il potere discrezionale attribuitogli dal combinato disposto degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998, alla luce delle seguenti considerazioni.

2. Nella motivazione del provvedimento impugnato viene innanzi tutto dato atto dei plurimi precedenti penali del ricorrente (risultanti dal certificato del casellario giudiziale e dal certificato dei carichi pendenti) e, in particolare, del decreto penale del GIP Tribunale di Trento in data 4 maggio 2005 (esecutivo il 6 giugno 2005), con cui il ricorrente è stato condannato per il reato di furto (art. 624 cod. pen.), commesso in data 26 gennaio 2005;
del decreto penale del GIP Tribunale di Trento in data 15 aprile 2015 (esecutivo il 27 luglio 2015), con cui il ricorrente è stato condannato per il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui (art. 639, comma 2, cod. pen.), commesso nel 2015;
della sentenza in data 21 aprile 2017, con cui il ricorrente è stato condannato (all’esito di giudizio abbreviato) per i reati di violenza aggravata e resistenza a pubblico ufficiale (artt. 336, 337 e 339 cod. pen.), danneggiamento (art. 635, comma 2, cod. pen.), porto d’armi (art. 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110) e incendio (art. 423 cod. pen.), commessi il 27 novembre 2016;
della sentenza in data 9 novembre 2017, con cui il ricorrente è stato condannato per il reato di incendio (art. 423 cod. pen.), commesso il 25 novembre 2016;
della sentenza in data 21 aprile 2017, con cui il ricorrente è stato condannato per il reato di evasione (art. 385 cod. pen.), commesso 18 gennaio 2017.

Quindi il Questore osserva che, « a seguito dei fatti intervenuti in data 27.11.2016, che hanno portato alla segnalazione, in stato di arresto, da parte dei Carabinieri ROS di Trento, e per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato ai sensi dell’art. 4, comma 3, T.U. Immigrazione, nonché minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave per i diritti fondamentali della persona e per la pubblica incolumità ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. o) », che « la condotta antigiuridica dell’istante denota ... una personalità incurante e irrispettosa dell’Autorità e delle leggi dello stato, e denota altresì l’incapacità dello stesso di adattarsi alle normali regole della convivenza civile », e che « le condanne e i numerosi procedimenti penali pendenti costituiscono una dimostrazione oggettiva del fatto che il cittadino marocchino, nonostante viva in Italia dal 2000, non sia risuscito ad avviare un percorso di integrazione sociale e non abbia mai dimostrato alcuna intenzione di modificare la propria condotta di vita ».

Inoltre il Questore - nel dare atto della presenza, sul territorio dello Stato, anche della moglie e del figlio del ricorrente - afferma che, secondo la giurisprudenza, « il diritto al mantenimento della comunità familiare non prevale su altri valori costituzionali quali la tutela dell’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato con carattere di assolutezza » e che, « nel bilanciamento degli interessi, le ragioni di sicurezza e di ordine pubblico e la necessità di prevenire i reati di cui l’interessato potrebbe in futuro rendersi responsabile sono prevalenti rispetto al diritto del cittadino straniero a mantenere l’unità del proprio nucleo familiare, in considerazione della gravità, del numero di condanne riportate e della complessiva condotta tenuta dal ricorrente ».

3. L’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 286/1998 dispone, per quanto interessa in questa sede, che non è ammesso in Italia lo straniero « che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone ». L’art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998 stabilisce, sempre per quanto qui interessa, che il rinnovo del permesso di soggiorno è rifiutato « quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili », fermo restando che, nel valutare la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, l’Amministrazione deve tener conto « anche ... della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale ».

4. Alla luce delle disposizioni innanzi richiamate l’Amministrazione, secondo una consolidata e condivisibile giurisprudenza ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. III, 11 maggio 2018, n. 2830;
id., 29 dicembre 2017, n. 6186), in sede di rinnovo del permesso di soggiorno è tenuta a valutare anche la condizione familiare dello straniero, in quanto l’interesse alla tutela della sicurezza pubblica deve essere bilanciato con l’interesse alla vita familiare dell’interessato e dei suoi congiunti. Pertanto il provvedimento di diniego non può essere motivato facendo riferimento solo alla presenza di motivi ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno, senza far luogo alla valutazione comparativa (da esplicitare in motivazione) di profili quali: la natura e la gravità del reato commesso dall’interessato;
la durata del soggiorno dell’interessato;
il lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato e la condotta del ricorrente durante tale periodo;
la nazionalità delle diverse persone interessate;
la situazione familiare dell’interessato e, segnatamente, all’occorrenza, la durata del suo matrimonio;
altri fattori che testimonino l’effettività di una vita familiare in seno alla coppia;
la circostanza che il coniuge fosse a conoscenza del reato all’epoca della creazione della relazione familiare;
il fatto che dal matrimonio siano nati dei figli e la loro età;
le difficoltà che il coniuge o i figli rischiano di trovarsi ad affrontare in caso di espulsione, l’interesse e il benessere dei figli, la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il paese ospite.

5. Secondo il ricorrente il Questore non avrebbe correttamente esercitato il suo potere discrezionale sotto due distinti profili. Innanzi tutto - con riferimento a quanto previsto dall’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 286/1998 - non avrebbe considerato che l’interessato non può essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, sia perché la commissione dei reati risultanti dal certificato del casellario giudiziale e dal certificato dei carichi pendenti non è dipesa da una sua attitudine a delinquere, ma da una situazione personale contingente, sia perché egli è sottoposto ad una proficua terapia, volta a superare la dipendenza dall’alcool, sia perché la sua non pericolosità è confermata dell’ordinanza del Tribunale di Trento depositata in data 5 febbraio 2018, con la quale gli è stato riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena comminata in relazione a tutti i reati commessi nel 2017. Inoltre - con riferimento a quanto previsto dall’art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998 - il Questore non avrebbe considerato né che egli è perfettamente integrato nella comunità di -OMISSIS-, non ha più legami con il paese di origine, perché la sua famiglia (con un figlio di tre anni) risiede con lui in Italia, ha svolto attività lavorative ed è titolare di un alloggio in affitto, né che, per effetto del suo allontanamento, verrebbe meno l’unità familiare e la sua famiglia verrebbe a trovarsi senza mezzi di sostentamento.

6. Tenuto conto delle considerazioni sin qui esposte, il Collegio ritiene innanzi tutto che nessun rilievo possano assume in questa sede le circostanze di fatto evidenziate dall’Amministrazione resistente per dimostrare l’interesse del ricorrente per la jihad . Difatti - premesso che laddove sia chiesto l’annullamento di un provvedimento discrezionale (come l’impugnato decreto) il processo amministrativo mantiene inalterata la sua struttura di giudizio sull’atto, e non sul rapporto - nessuna di tali circostanze di fatto (rinvenimento, in sede di perquisizione, di una copia del Corano e di una rivista « di innegabile fattezza jihadista », nonché, sul profilo Facebook del fratello del ricorrente, di presunti contenuti pro jihad ) è stata valorizzata nella motivazione dell’impugnato decreto, che si limita a richiamare le risultanze del certificato del casellario giudiziale e del certificato dei carichi pendenti del ricorrente, nonché la circostanza che i reati dallo stesso commessi in data 27 novembre 2016 hanno comportato il suo arresto in flagranza da parte dei Carabinieri del ROS di Trento.

7. Sempre in punto di fatto, coglie nel segno il ricorrente quando osserva che nell’impugnato decreto è erroneamente riportata una condanna per il reato di incendio (art. 423 cod. pen.): dall’esame della sentenza di patteggiamento in data n. 470/17 in data 9 novembre 2017 effettivamente si evince che, su accordo delle parti, il reato contestato è stato derubricato dal Giudice nel più lieve reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 cod. pen.) perché « la volontà dell’imputato non era quella - connotata da dolo specifico - di cagionare un incendio ... quanto piuttosto quella - connotata da dolo generico - di danneggiare, senza la previsione che ne potesse derivare un incendio ».

8. Nonostante quanto precede, il Collegio ritiene che - come già osservato nella suddetta ordinanza cautelare n. 29 del 2018 - tenuto conto dei limiti al sindacato giurisdizionale sulle valutazioni discrezionali dell’Autorità di pubblica sicurezza e dell’autonomia del giudizio di questo Tribunale, rispetto alle valutazioni espresse dal Giudice penale, il primo ordine di censure non possa essere accolto.

8.1. Innanzi tutto non giova al ricorrente invocare l’ordinanza del Tribunale di Trento, depositata in data 5 febbraio 2018, con la quale gli è stato riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena comminata in relazione a tutti i reati commessi nel 2017.

8.2. È ben vero che in sede di incidente di esecuzione - con riferimento alle sentenze in data 9 novembre 2017 (relativa al reato di danneggiamento seguito da incendio, commesso il 25 novembre 2016), in data 21 aprile 2017 (relativa ai reati di violenza aggravata e resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento e porto d’armi, commessi il 27 novembre 2016) e in data 21 aprile 2017 (relativa al reato di evasione commesso 18 gennaio 2017) - la pena finale è stata ridetermina in anni 1 e mesi 10 di reclusione ai sensi dell’art. 81 cod. pen., perché il Giudice ha ritenuto i reati uniti dal vincolo della continuazione in quanto « posti in essere in ambito cronologico relativamente ristretto e per motivazioni comuni di vivace intolleranza all’Autorità », ed è stata disposta la sospensione condizionale della pena cumulata « in quanto l’istante ha dato un concreto segno di resipiscenza versando una somma in favore di Anffas Trentino Onlus di -OMISSIS-, con soddisfazione della p.o. ».

È pure vero che, come dedotto dal ricorrente, ai sensi dell’art. 164, comma 1, cod. pen., la sospensione condizionale della pena può essere concessa “ soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’articolo 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati ”.

8.3. Tuttavia dall’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 286/1998 si desume che il Questore, nel valutare se lo straniero costituisca o meno « una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato », è tenuto a formulare un giudizio prognostico di pericolosità sociale che è svincolato ed autonomo rispetto a quello che compete al Giudice penale ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena.

Del resto il primo è un giudizio precauzionale volto a proteggere la collettività dalla presenza di stranieri che possano, sia pure sulla scorta di meri indizi, considerarsi una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, mentre il secondo è un giudizio che tiene conto delle molteplici circostanze indicate nell’art. 133 cod. pen., ossia della natura, della specie, dei mezzi, dell’oggetto, del tempo, del luogo e di ogni altra modalità dell’azione, della gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, dell’intensità del dolo o dal grado della colpa, nonché della capacità a delinquere del colpevole, desunta dai motivi a delinquere e dal carattere del reo, dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato, dalla condotta contemporanea o susseguente al reato e dalle sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale.

8.4. Corre poi l’obbligo di evidenziare che - mentre nella suddetta ordinanza del Tribunale di Trento in data 5 febbraio 2018 il giudizio favorevole alla concessione della sospensione condizionale è laconicamente motivato, facendo riferimento soltanto ad una condotta susseguente alla commissione dei reati (qual è il versamento di una somma di denaro in favore della persona offesa) - invece la prognosi sfavorevole del Questore è ampiamente motivata, evidenziando sia la gravità ed il numero delle condanne riportate dal ricorrente, sia il fatto che questi, a seguito dei fatti intervenuti in data 27 novembre 2016, è stato tratto in arresto dai Carabinieri ROS di Trento. Anche per tale ragione si deve escludere che il Questore, a fronte della documentazione integrativa trasmessa dal ricorrente in data 26 febbraio 2018, fosse tenuto a conformare il proprio giudizio a quello del Giudice dell’esecuzione penale.

8.5. In ogni caso il giudizio di pericolosità sociale formulato dal Questore resiste agevolmente a tutte le suesposte censure. Infatti il ricorrente negli anni si è reso responsabile di ben otto reati - di cui tre delitti contro il patrimonio (furto, deturpamento e imbrattamento di cose altrui e danneggiamento), due delitti contro la pubblica amministrazione (violenza aggravata e resistenza a pubblico ufficiale), un reato in materia di armi (porto di armi senza autorizzazione), un delitto contro l’incolumità pubblica (danneggiamento seguito da incendio) e un delitto contro l’amministrazione della giustizia (evasione) - e da ultimo, per i reati commessi tra il 25 novembre 2016 ed il 18 gennaio 2017 gli è stata comminata la pena, certo non lieve, di anni 1 e mesi 10 di reclusione. Inoltre lo stesso Giudice dell’esecuzione in relazione a questi ultimi reati afferma che sono stati posti in essere « per motivazioni comuni di vivace intolleranza all’Autorità », sicché non può negarsi l’attitudine del ricorrente a delinquere.

Né vale ad escludere la pericolosità del ricorrente la CTU del Tribunale di Trento, ove si afferma che le condotte delittuose poste in essere dal ricorrente in 27 novembre 2016 sono dipese « dalla condotta alcologica acuta» e «dall’importante abuso alcolico prolungato », perché ai sensi dell’art. 94 cod. pen. l’ubriachezza abituale costituisce semmai una circostanza aggravante del reato, mentre per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool l’art. 95 cod. pen. rende applicabili le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89 cod. pen. (in materia di vizio totale o parziale di mente), che escludono o riducono la capacità d’intendere o di volere, ma non escludono certo la pericolosità dell’agente (come si desume dagli articoli 219 e 221 cod. pen., in materia di applicazione di misure di sicurezza).

Anche la circostanza che il ricorrente sia tuttora sottoposto a cure mediche per superare la sua dipendenza dall’alcool non vale certo a sminuirne la pericolosità, ma semmai la conferma, perché l’abuso di alcolici, anche se occasionale, riduce la capacità di intendere e di volere, senza che ciò valga ad escludere o diminuire l’imputabilità dell’agente (stante la previsione dell’art. 92, comma 1, cod. pen.).

Da ultimo la gravità delle condotte poste in essere in data 27 novembre 2016 è ulteriormente confermata dal fatto che - pur configurando tali condotte reati per i quali l’arresto in flagranza è facoltativo - il ricorrente è stato tratto in arresto da parte dei Carabinieri ROS di Trento, che hanno evidentemente ritenuto la misura restrittiva della libertà personale “ giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto ”, come è richiesto dall’art. 381, comma 4, cod. proc. pen..

9. Né miglior sorte meritano le restanti censure, incentrate sulla violazione dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo n. 286/1998, in quanto dalla motivazione del provvedimento impugnato si evince che il Questore ha tenuto conto della situazione familiare del ricorrente ed ha esplicitato le ragioni per cui ha ritenuto la minaccia per l’ordine pubblico, connessa alla perdurante presenza nello Stato del ricorrente, prevalente sugli interessi connessi alla sua lunga permanenza sul territorio italiano, alla supposta integrazione con la comunità del Comune di -OMISSIS-, alla presenza della famiglia sul territorio italiano e alle difficoltà che la moglie ed il figlio dovranno affrontare per effetto del suo allontanamento.

9.1. A tal riguardo giova rammentare che, secondo una consolidata e condivisibile giurisprudenza ( ex multis , Consiglio di Stato, Sez. III, 4 maggio 2018, n. 2654;
T.A.R. Veneto, Sez. III, 23 luglio 2018, n. 793), la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, esistendo una soglia di gravità, oggettivamente percepibile secondo l’ id quod plerumque accidit , oltre la quale il comportamento criminale dello straniero diviene intollerabile per lo Stato che offre ospitalità.

9.2. Ciò premesso, è sufficiente ribadire che il Questore - nell’esercizio della sua discrezionalità, che notoriamente sfugge ad un sindacato di merito in sede giurisdizionale, a meno di macroscopiche incongruenze - ha ragionevolmente desunto dall’elevato numero delle condanne riportate e dalla gravità dei reati commessi elementi idonei a far ritenere che il ricorrente, attualmente disoccupato, « nonostante viva in Italia dal 2000, non sia risuscito ad avviare un percorso di integrazione sociale e non abbia mai dimostrato alcuna intenzione di modificare la propria condotta di vita » e che « le ragioni di sicurezza e di ordine pubblico e la necessità di prevenire i reati di cui l’interessato potrebbe in futuro rendersi responsabile sono prevalenti rispetto al diritto del cittadino straniero a mantenere l’unità del proprio nucleo familiare ».

10. In definitiva - considerato che l’applicazione della normativa in materia di permesso di soggiorno è rimessa all’Autorità di pubblica sicurezza, cui compete ex lege un’autonomia valutativa finalizzata alla tutela dell’ordine pubblico e connotata da elevati margini di discrezionalità, non vincolata (quantomeno nel caso in esame) alle decisioni assunte dal Giudice penale - il ricorso deve essere respinto perché infondato.

11. La questionedi legittimità costituzionale dell’art. 74, comma 2, del T.U. n. 115/2002 nella parte in cui dispone che nel processo amministrativo è assicurato il patrocinio per la difesa del cittadino non abbiente “ quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate ” - questioneprospettata dal difensore del ricorrente solo alla pubblica udienza del 13 dicembre 2018 - risulta non rilevante in questa sede, perché questo Tribunale con la suddetta ordinanza n. 29 del 2018 ha già provveduto, respingendola, sull’istanza istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata dal ricorrente ai sensi dell’art. 126, comma 3, del T.U. n. 115/2002.

Fermo restando quanto precede, la questione- prospettata in relazione agli articoli 3 e 27 della Costituzione, per illogicità e disparità di trattamento con quanto previsto dal comma 1 dello stesso art. 74 (il quale dispone che “ è assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria ”) - risulta anche manifestamente infondata. Difatti, considerata la diversa struttura e le diverse finalità del processo amministrativo e del processo penale, la scelta del legislatore di prevedere solo nel primo un filtro di ammissibilità per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato appare congrua e razionale.

12. Le spese di lite, quantificate nella misura indicata nel dispositivo, devono essere poste a carico della parte soccombente.

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