TAR Venezia, sez. III, sentenza 2022-01-31, n. 202200194
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Testo completo
Pubblicato il 31/01/2022
N. 00194/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00014/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 14 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Venezia, via Torre Belfredo 55/A;
contro
Azienda -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato V Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F B, C D, C Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alfiero Farinea, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Venezia-Mestre, via Torre Belfredo n. 55/A;
per l'annullamento
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
1) della deliberazione del Direttore Generale della -OMISSIS- d.d. 30.09.2020 n. 1558 con la quale lo stesso adottava “la Procedura Operativa per la disciplina delle misure di contenzione nelle strutture sanitarie aziendali”, nonché la Procedura Operativa medesima nella parte in cui:
- indica, quale durata massima “che non dovrebbe superare 12-24 ore di contenzione ed inoltre prevede che la stessa potrà “ se necessario prolungare oltre le 12-24 ore se supervisionata dal medico responsabile del SPDC e/o il direttore dell'UOC” ,
- menziona e disciplina della Procedura operativa aziendale e delle linee di indirizzo regionali la sola “contenzione meccanica”, con l'esclusione delle altre due tipologie di contenzioni e cioè della “contenzione fisica” propriamente detta e “dell'isolamento”;
2) La delibera della Giunta Regionale del Veneto n. 1106 del 6 agosto. 2020 di adozione delle “linee di indirizzo per la riduzione e per il progressivo superamento della contenzione fisica del paziente nel servizio -OMISSIS-” e dell'allegato A) “linee di indirizzo” nella parte in cui:
- indicano, quale durata massima “che non si dovrebbe superare le 12-24 ore di contenzione” ed inoltre prevede che la stessa potrà “ se necessario prolungare oltre le 12-24 ore se “supervisionata dal medico responsabile del SPDC e/o il direttore dell'UOC” ,
- menziona e disciplina la sola “contenzione meccanica”, con l'esclusione delle altre due tipologie di contenzioni e cioè della “contenzione fisica” propriamente detta e “dell'isolamento”;
- infine, prevede che la contenzione troverebbe la sua disciplina anche nell'art. 33 della legge 833 del 1978 e quindi possa essere legittimata al di fuori dei presupposti di cui all'art 54 del codice penale;
Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 9/3/2021:
della “Procedura Operativa per la disciplina delle misure di contenzione fisica nelle strutture sanitarie aziendali” del 16.10.2017 nella parte in cui prescrive:
“ La durata dell'atto contenitivo non dovrebbe superare di norma le 12 ore consecutive , potendo prolungarsi fino ad un massimo di 24 ore nei casi che lo richiedono …Qualora sussistono le condizioni per la necessaria prosecuzione del trattamento la contenzione potrà essere prolungata oltre le 24 ore solo attraverso una nuova prescrizione del medico di reparto” .
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda -OMISSIS- e di Regione Veneto;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2021 la dott.ssa A F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente -OMISSIS-costituita da cittadini e prevalentemente da familiari di pazienti affetti da -OMISSIS-, opera sul territorio veneziano sin dal 1998 al fine di “…promuovere l’inserimento sociale dei sofferenti psichici, lo studio la clinica e la ricerca della riabilitazione in psichiatria ….;estendere la cultura della riabilitazione dei pazienti svantaggiati psichiatricamente… al fine di un loro quanto più possibile rapido reinserimento lavorativo e sociale ;promuovere attraverso il contatto con i famigliari la cultura della solidarietà e la riaffermazione del diritto degli ammalati psichici di essere trattati e assistiti con la qualità e quantità di risorse previste dalle leggi nazionali e regionali esistenti” (così come riportato in ricorso, per stralcio, dal proprio statuto).
Attenta alle dinamiche della cura delle -OMISSIS- ed alle metodologie di approccio con la peculiare condizione del malato affetto da tali patologie, così come per tutte le altre ipotesi in cui il particolare stato del paziente necessiti, nella stessa misura, di attenzioni specifiche, ’Associazione ha impugnato con il ricorso in esame i seguenti atti, nei termini indicati nell’atto introduttivo del giudizio:
- la deliberazione del Direttore Generale della -OMISSIS- d.d. 30.09.2020 n. 1558 con la quale è stata adottata “la Procedura Operativa per la disciplina delle misure di contenzione nelle strutture sanitarie aziendali”, identificata come Allegato A, in particolare nella parte in cui indica, quale durata massima “che non dovrebbe superare 12 - 24 ore di contenzione ed inoltre prevede che la stessa potrà “ se necessario prolungare oltre le 12-24 ore se supervisionata dal medico responsabile del SPDC e/o il direttore dell’UOC”, nonché nella parte in cui menziona e disciplina la sola “contenzione meccanica”, con l’esclusione delle altre due tipologie di contenzioni e cioè della “contenzione fisica” propriamente detta e “dell’isolamento”;
- la delibera della Giunta Regionale del Veneto n. 1106 del 6 agosto 2020 di adozione delle “linee di indirizzo per la riduzione e per il progressivo superamento della contenzione fisica del paziente nel servizio -OMISSIS-” e dell’allegato A) “linee di indirizzo” nella parte in cui indicano, quale durata massima “che non si dovrebbe superare le 12-24 ore di contenzione” ed inoltre prevede che la stessa potrà “ se necessario prolungare oltre le 12-24 ore se “supervisionata dal medico responsabile del SPDC e/o il direttore dell’UOC”;menziona e disciplina la sola “contenzione meccanica”, con l’esclusione delle altre due tipologie di contenzioni e cioè della “contenzione fisica” propriamente detta e “dell’isolamento” ;prevede che la contenzione troverebbe la sua disciplina anche nell’art. 33 della legge 833 del 1978 e quindi possa essere legittimata al di fuori dei presupposti di cui all’art 54 del codice penale.
Le doglianze esposte in ricorso, come di seguito riportate, sono sostanzialmente rivolte a contestare la legittimità delle determinazioni assunte in ambito regionale quale predisposizione di linee guida e quindi da parte della -OMISSIS-quale elaborazione delle procedure operative cui deve attenersi il personale sanitario nell’espletamento del servizio, sia esso rivolto specificamente ai pazienti affetti da -OMISSIS-, sia nei casi in cui, con riferimento alla natura della patologia o al particolare stato del paziente (anziano, disabile o affetto da dipendenza da sostanze stupefacenti, alcool, etc., che possano dare luogo a stati di agitazione), sia necessario ricorrere a tale tipologia di misura di contenzione.
Parte ricorrente denuncia quindi i seguenti vizi:
VIOLAZIONE DELL’ ARTT. 54 DEL CODICE PENALE - VIOLAZIONE DEGLI ART 605 CP , 610 e 582 DEL CODICE PENALE - VIOLAZIONE DELL’ART. 2045 DEL CODICE CIVILE E DELL’ART. 2043 CC;
ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETA’;
VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 33 e 35 DELLA LEGGE 833/1978.
Ricordata l’evoluzione normativa della disciplina della psichiatria moderna, nello specifico con riferimento all’introduzione della cd. Legge Basaglia – n. 108/1978, che ha abolito i manicomi, riaffermando anche in favore del paziente psichiatrico il diritto ad un trattamento sanitario rispettoso della dignità della persona umana, in osservanza del dettato costituzionale di cui all’art. 32 della Costituzione, parte istante denuncia l’illegittimità degli atti impugnati, con i quali solo apparentemente sarebbero stati perseguiti gli obiettivi di rispetto della persona umana e della conseguente limitazione al ricorso alle misure contenitive, con specifico riferimento alla cd. legatura - costituente una forma di contenzione particolarmente gravosa e umiliante per il paziente - essendo state previste modalità e tempistiche di utilizzo di tale misura in termini del tutto violativi dei principi invocati.
Premette parte istante che non esiste una previsione normativa che legittimi ex sé il ricorso a tali rimedi e che, dal punto di vista giuridico, la previsione di specifiche procedure operative è da ricondursi alla necessità di individuare i limiti entro i quali la contenzione del malato psichiatrico o assimilato può ricondursi alle ipotesi scriminanti di cui all’art. 54 c.p., onde non incorrere nella responsabilità penale o civile ex art. 2045 c.c.
Escluso che il ricorso alle misure di contenzione sia riconducibile ad un atto medico, potendosi più correttamente ricondurre a interventi di tipo cautelare, non terapeutico, né diagnostico, nella prospettiva di assicurare la tutela del paziente stesso da atti di autolesionismo e di consentire una tempestiva e adeguata somministrazione delle cure necessarie anche in concomitanza di episodi di alterazione, nonchè degli operatori sanitari nel momento in cui debbono approcciarsi a pazienti in tali particolari condizioni, parte istante evidenzia che difettano i presupposti stessi della previsione discriminante, in considerazione della mancanza dei presupposti della attualità e istantaneità del pericolo, uniche circostanze che realmente potrebbero giustificare il ricorso a tali misure.
Solo in presenza di una situazione in cui il pericolo si rappresenti come imminente e attuale, in misura tale per cui all’operatore non residui altra scelta che assumere comportamenti altrimenti riconducibili alle fattispecie penali del sequestro di persona o delle lesioni personali, può essere giustificata la scriminante dell’art. 54 c.p.
Orbene, la previsione contenuta negli atti impugnati, proprio nella parte in cui disciplina in termini di durata la prescrizione dell’utilizzo della misura di contenzione, stabilendo che essa può essere disposta per un limite temporale di 12-24 ore, con possibilità di prolungare detta condizione anche oltre tale limite, laddove necessario, previa valutazione del sanitario, finisce per porsi in palese contrasto con la previsione dell’art. 54 c.p. che necessariamente presuppone – come confermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 50497/2018) - che tale misura sia assunta nel momento in cui il pericolo sia attuale ed imminente e non altrimenti evitabile.
Consentire, quale linea operativa per i sanitari, la possibilità di ricorrere alla contenzione per un lasso temporale che può arrivare sino alle 24 ore, anche prorogabili secondo necessità, finisce quindi per snaturare lo stesso presupposto che consente di non ritenere perseguibile penalmente e ristorabile in sede civile l’assunzione di misure limitative della libertà personale del paziente: in buona sostanza, in assenza di tali condizioni, l’uso della contenzione diventa un reato penalmente perseguibile e può dare luogo alla responsabilità civile a carico dell’operatore sanitario.
Simile previsione, oltre a ingenerare nel sanitario la presunzione di poter assumere, seppure entro tali limiti temporali, le misure di contenzione quale pratica sanitaria, non tiene conto della stessa possibilità di ricorrere a misure alternative, potendo essere diversamente utilizzate partiche diverse, quali il ricorso alla terapia farmacologica, che può risolvere in tempi brevi lo stato di alterazione del paziente, o alla misura dell’isolamento, che consente di porre il paziente in ambiente protetto e quindi in condizione di non ledere per il tempo necessario alla cessazione dello stato di agitazione.
Né, da ultimo, appare corretta, ad avviso degli istanti, la considerazione espressa nelle linee guida circa la sostanziale riconducibilità dell’utilizzo della legatura alle ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio (TSO), disciplinate dagli artt. 33 e 35 della legge 833/78, trattandosi di ipotesi diverse, in quanto i trattamenti cui fa riferimento la normativa invocata riguardano espressamente solo “trattamenti e accertamenti medici”, così distinguendosi dall’utilizzo della contenzione, che, per le ragioni già esposte, non può essere ricondotta ad attività di tipo diagnostico o terapeutico.
Si sono costituite in giudizio -OMISSIS- e la Regione Veneto, le cui difese hanno concluso per l’inammissibilità, irricevibilità e comunque per l’infondatezza del ricorso.
In via preliminare le difese resistenti hanno eccepito il difetto di legittimazione in capo alla associazione ricorrente, in quanto, attese le finalità statuarie, non è dato desumere se l’interesse perseguito attraverso la proposizione del ricorso rientri effettivamente nel perimetro delle finalità dell’associazione, in quanto non rivolto a tutelare lo scopo istituzionale, ma la sola sommatoria di interessi individuali, interessi che, in taluni casi, potrebbero anche porsi in antitesi fra di loro.
La sola Regione Veneto ha poi eccepito la tardività del ricorso per quanto riguarda l’impugnazione della delibera assunta per l’elaborazione delle linee operative.
Entrando quindi nel merito delle contestazioni mosse in ricorso avverso gli atti impugnati, le resistenti hanno ulteriormente eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancanza di interesse, in considerazione del fatto che, proprio con riferimento alla natura cautelare delle misure disciplinate attraverso le linee guida e quindi il protocollo operativo, mediante la concreta individuazione di termini temporali di utilizzo di tali misure e la previsione di sequenze procedimentali da osservare da parte degli operatori sanitari in occasione dell’utilizzo delle stesse, costituisce una tutela ed una garanzia per gli stessi interessi perseguiti dalla associazione ricorrente.
Invero, l’eliminazione, come richiesto da parte istante, della previsione contenuta negli atti impugnati di una durata massima della contenzione, valutabile da parte del medico e quindi sotto stretta sorveglianza e controllo sugli effetti che detta misura di contenimento può provocare a carico del paziente, rappresentano una tutela dello stesso paziente – non solo degli interessi dei sanitari a che il ricorso a tali misure sia scriminato penalmente e civilmente – in quanto assicura una linea di condotta oggettiva e predeterminata proprio al fine di limitare entro confini definiti l’utilizzo di tali misure.
In realtà, osservano le resistenti, l’eventuale eliminazione del limite temporale contestato finirebbe per rendere indefinito sotto il profilo temporale l’utilizzo del mezzo di contenzione, così limitando proprio la funzione di garanzia di un corretto utilizzo di tale mezzo.
Peraltro, tali limitazioni risultano già presenti nelle Procedure Operative adottate dalla -OMISSIS- in data 6 ottobre 2017, con le quali è stato previsto che : “ l’utilizzo deve essere ben indicato e limitato nel tempo (la prescrizione deve essere effettuata a seguito di un episodio specifico e non prescritto per un futuro indeterminato): la prescrizione dovrà infatti esplicitare l’inizio (data e ora) dell’intervento contenitivo e il termine previsto (ovvero data e ora della rivalutazione clinica del perdurare della sua necessità). La durata dell’atto contenitivo non dovrebbe superare, di norma, le 12 ore consecutive, potendo prolungarsi fino ad un massimo di 24 nei casi che lo richiedono;fanno eccezione le spondine per le quali il medico deve comunque rinnovare periodicamente la prescrizione in relazione ad eventuali intervenute modificazioni nelle condizioni cliniche del paziente. In tutti i casi in cui siano da prevedere fasi ripetute di contenzione è necessario effettuare o richiedere una consulenza ematologica/internistica, al fine di valutare l’opportunità di una terapia di profilassi della trombosi venosa profonda e/o di altri provvedimenti terapeutici. Qualora sussistano le condizioni per la necessaria prosecuzione del trattamento, la contenzione potrà essere prolungata oltre le 24 ore solo attraverso una nuova prescrizione del medico di reparto ”.
Peraltro, in dette precedenti linee guida non risulta prevista la supervisione del responsabile di reparto, per cui l’eventuale applicazione delle stesse, a seguito dell’annullamento delle nuove linee guida, risulterebbe anche per tale profilo di minor garanzia per gli interessi del paziente.
Nel merito, le difese resistenti osservano altresì che le considerazioni svolte in ricorso avverso le linee operative finalizzate alla disciplina dell’utilizzo da parte del personale sanitario della misura di contenzione non possono essere condivise, in quanto se è vero che in molti casi l’utilizzo di mezzi diversi, quali la terapia farmacologia o l’isolamento, possono rivelarsi risolutivi nel breve periodo, è oggettivamente provato che dette soluzioni non siano sempre praticabili, in ragione di situazioni incompatibili, quali la contestuale assunzione di altri farmaci da parte del paziente, oppure la presenza di patologie pregresse che risultano ostative alla somministrazione di psicofarmaci, mentre l’impiego della pratica dell’isolamento non assicura la protezione del paziente da atti di autolesionismo.
In ordine alla durata temporale viene quindi ribadita la validità di una previsione di massima della durata della contenzione meccanica, assoggettata ad un costante monitoraggio della condizione del paziente, onde evitare fenomeni trombotici o similari, monitoraggio che risulta specificamente disciplinato, così da assicurare il massimo controllo sulla durata e persistenza delle condizioni di necessità che hanno determinato la scelta di utilizzare tale mezzo di contenzione in presenza di condizioni di pericolo per il paziente e per gli operatori, che non possono essere ricondotte al concetto di istantaneità, così come intesa da parte ricorrente, trattandosi di situazioni del tutto peculiari che possono richiedere anche tempi prolungati per la loro risoluzione.
Si è costituita in giudizio quale interveniente ad adiuvandum le ragioni di parte ricorrente l’Associazione -OMISSIS- -OMISSIS-, le cui difese si sono associate alle deduzioni esposte dall’associazione ricorrente.
Alla Camera di Consiglio del 27 gennaio 2021 il ricorso è stato chiamato per la trattazione dell’istanza cautelare, proposta contestualmente al deposito del ricorso: in tale occasione parte ricorrente ha rinunciato, come da verbale, alla richiesta cautelare, in ragione delle necessità di proporre motivi aggiunti, salva la presentazione di una istanza di prelievo al fine della sollecita fissazione del merito.
In data 9 marzo 2021 l’Associazione provvedeva quindi a depositare motivi aggiunti , con i quali ha chiesto l’annullamento della “Procedura Operativa per la disciplina delle misure di contenzione fisica nelle strutture sanitarie aziendali” del 16.10.2017 nella parte in cui prescrive: “ La durata dell’atto contenitivo non dovrebbe superare di norma le 12 ore consecutive , potendo prolungarsi fino ad un massimo di 24 ore nei casi che lo richiedono …Qualora sussistono le condizioni per la necessaria prosecuzione del trattamento la contenzione potrà essere prolungata oltre le 24 ore solo attraverso una nuova prescrizione del medico di reparto” .
Con tale mezzo parte ricorrente ha inteso censurare anche detti atti, nonostante la convinzione che l’accoglimento del ricorso principale e l’eliminazione della previsione contenuta negli atti impugnati relativa alla durata della contenzione meccanica non comporti la piena reviviscenza delle pregresse linee operative, che comunque risultano superate e sostituite dalle nuove disposizioni, essendo la richiesta di annullamento degli atti impugnati con il ricorso introduttivo limitata alla sola previsione relativa alla durata temporale dell’utilizzo della misura di contenzione.
Nel merito, con i motivi aggiunti, la difesa istante ha sostanzialmente ribadito l’impostazione difensiva espressa con il ricorso introduttivo.
A seguito di istanza di prelievo depositata in data 8 aprile 2021 e quindi reiterata in data 10 giugno 2021, il ricorso veniva fissato per la trattazione all’udienza pubblica del 15 dicembre 2021.
In previsione della udienza così fissata le parti hanno depositato memorie conclusive e di replica, con le quali hanno ribadito i rispettivi assunti.
Quindi, all’odierna udienza pubblica, a seguito della discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Gli atti impugnati con il ricorso in esame, integrato dalla proposizione di motivi aggiunti proposti avverso il precedente protocollo operativo del 2017, così come adottati rispettivamente dalla Regione Veneto e quindi dalla -OMISSIS- -OMISSIS- hanno inteso formulare le linee di indirizzo e quindi adottare il protocollo operativo cui gli operatori sanitari debbono attenersi nelle ipotesi in cui sia necessario fare ricorso alla misura di contenzione fisica (cd.legatura), caratterizzata - a differenza di altre modalità operative quali l’uso di farmaci in grado di risolvere in breve tempo lo stato di agitazione psico-motoria del paziente oppure l’isolamento, con il ricovero del paziente in un ambiente isolato e protetto - dalla limitazione fisica del movimento.
Con delibera n. 1106 del 6 agosto 2020 la Regione Veneto ha approvato le linee di indirizzo espressamente rivolte alla riduzione e al progressivo superamento dell’utilizzo della contenzione fisica da parte dei sanitari in presenza di particolari condizioni dei pazienti, con specifico riferimento al paziente affidato ai servizi psichiatrici di diagnosi e cura, ma applicabili anche a tutte le altre ipotesi in cui, in ragione del particolare stato di agitazione psico-motoria del paziente (in quanto anziano, disabile o comunque affetto da patologie o stati transitori di agitazione indotti, ad esempio, da sostanze eccitanti), sia necessario intervenire attraverso l’utilizzo di tali pratiche.
Il documento regionale è il frutto di un’analisi della peculiare natura della contenzione fisica, tenuto conto delle evidenti implicazioni che l’utilizzo di tale misura ha sulla libertà personale del paziente e in considerazione della assenza di una normativa che legittimi l’uso di tali pratiche.
Riguardo a tale ultimo profilo va sin d’ora osservato che l’uso di tale mezzo, proprio in quanto può comportare l’adozione di modalità operative astrattamente riconducibili ad ipotesi di reato, quali il sequestro di persona, le lesioni personali, maltrattamenti, abuso di mezzi di correzione, sino all’omicidio colposo, deve essere limitato a casi eccezionali e sempre nell’ambito di una situazione di emergenza e di necessità tali da giustificare un intervento immediato, così da poter essere scriminate ai sensi dell’art. art. 54 c.p., ossia essere ricondotte ai casi in cui l’azione posta in essere sia stata determinata dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.
Il documento così elaborato è frutto di una attenta analisi della particolare natura della contenzione fisica, sulla scorta dell’intento principale di contenere al massimo l’uso di tale mezzo, così da prevenirne l’eccessivo impiego, assicurando proprio attraverso l’adozione delle linee guida delle precise indicazioni che, per un verso, consentano di assicurare che il ricorso a tali misure sia circoscritto entro ambiti i più ristretti possibili e, per altro verso, garantiscano che, laddove sia necessario farne uso, ciò avvenga nel rispetto di protocolli di comportamento precisi che necessariamente presuppongono una adeguata preparazione e formazione degli operatori sanitari.
A tal fine è stato dato risalto al parere espresso dal Comitato Nazionale per la Bioetica (CBN) in data 23 aprile 2015 ove è stata ribadita la necessità di superare la contenzione, salvo precisare che “ il ricorso alle tecniche di contenzione meccanica deve rappresentare l’extrema ratio e si deve ritenere che – anche nell’ambito del Trattamento Sanitario Obbligatorio - possa avvenire solamente in situazioni di reale necessità e urgenza, in modo proporzionato alle esigenze concrete, utilizzando modalità meno invasive e solamente per il tempo necessario al superamento delle condizioni che abbiano i dotto a ricorrervi” .
Sulla scorta di tale parere, che ha invitato le Regioni ad assumere le necessarie iniziative al fine di monitorare attentamente il fenomeno, nell’ottica di un progressivo superamento della contenzione attraverso una maggiore preparazione e formazione del personale e un adeguato modello organizzativo nei vari contesti di cura, la Regione Veneto ha costituito un Gruppo tecnico di lavoro che ha approfondito le tematiche ed elaborato un documento, approvato dal Comitato Regionale di Bioetica, con il quale è stata ribadita la centralità della figura del paziente, cui deve essere sempre assicurata la sicurezza e la dignità nella sopportazione delle cure, salvaguardando anche la sicurezza del personale sanitario, ferma restando la natura eccezionale, quale extrema ratio, dell’utilizzo della contenzione fisica.
Le linee operative hanno quindi ampiamente descritto ed esaminato le problematiche che possono dare luogo alla contenzione fisica, quale insieme di pratiche e strumenti utilizzati al fine di limitare il movimento della persona, onde assicurare, nel caso in cui questa si trovi in una condizione di ingestibilità per alterazioni psico-motorie dovute a diverse origini (-OMISSIS-, patologie degenerative dell’anziano, stati di dipendenza da sostanze stupefacenti o alcoliche, situazioni di disabilità), il trattamento e l’esame clinico in sicurezza.
Lo studio ha quindi individuato le varie criticità che possono determinare il ricorso alla contenzione fisica e i profili giuridici derivanti dall’assenza di una normativa che disciplini espressamente l’intervento del sanitario mediante dette forme di contenzione e quindi alle condizioni in presenza delle quali tale pratica possa essere scriminata ai sensi dell’art. 54 c.p.
Escluso che la misura di contenzione possa essere qualificata come atto medico, non avendo finalità terapeutiche, viene tuttavia affermata la necessità che sia il medico a valutare in concreto la situazione, valutando l’adozione di misure alternative, escludendone la funzione preventiva, assicurandone la durata limitata nel tempo.
L’eventuale decisione di imporre la contenzione dovrà quindi essere giustificata dalla necessaria presenza di una serie di requisiti:
a) l’evidenza di un pericolo attuale, ossia che la possibilità che si verifichi l’evento temuto sia concreta;
b) il pericolo deve prevedere un danno alla vita o all’integrità della persona;
c) la gravità del possibile danno deve potersi stabilire su basi oggettive;
d) l’evidenza che solo con il mezzo coercitivo si può evitare il danno;
e) la coercizione deve essere proporzionale al pericolo da evitare.
Quanto alle modalità operative, al punto 3.6.3 dell’allegato alla delibera regionale viene ribadito che la prescrizione della contenzione è atto riservato alla competenza medica, solo eccezionalmente effettuabile dall’infermiere, con una prescrizione che deve essere motivata in relazione alle particolari circostanze che l’hanno determinata, deve contenere la descrizione del tipo e modo di contenzione utilizzata, deve indicarne la durata, specificando l’inizio e il termine previsto, i metodi e le attività di monitoraggio, i tempi di verifica.
In particolare quanto ai tempi di durata – essendo questo il punto di contestazione dedotto da parte ricorrente, come si vedrà in prosieguo – si precisa che: “ L’intervento di contenzione non dovrebbe superare le 12-24 ore. La prosecuzione della contenzione deve essere preceduta da una nuova prescrizione con le modalità sopra descritte.
Se è necessario prolungare la contenzione oltre le 12/24 ore, la prescrizione dovrà essere supervisionata dal medico Responsabile del SPDC e/o dal Direttore dell’UOC. E’ sempre necessario valutare l’indicazione della profilassi della TVP e/o altri intervento diagnostico-terapeutici” .
Tutte le indicazioni operative così elaborate dalla Regione sono state quindi trasfuse nel documento elaborato dalla -OMISSIS- costituente la Procedura Operativa per la disciplina delle misure di contenzione nelle strutture socio-sanitarie da applicare nell’ambito di competenza della suddetta Azienda sanitaria.
Ciò premesso, quanto ai provvedimenti impugnati, l’associazione ricorrente ha contestato per i motivi sopra esposti tali atti denunciandone l’illegittimità in parte qua e specificatamente con riferimento alla previsione della durata delle misure di contenzione fisica, ossia nella parte in cui è stato previsto che il ricorso a tali misure non debba durare più di 12/24 ore, eventualmente prorogabili di ulteriori 12/24 ore sulla base della decisione del medico responsabile, dolendosi altresì della sola considerazione della misura della contenzione fisica, così escludendo l’utilizzo degli altri rimedi a fronte di stati di agitazione del paziente psichiatrico o affetto da altre patologie scatenanti, quali la terapia farmacologica o l’isolamento.
Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità e di irricevibilità del ricorso opposte dalle difese resistenti.
Va respinta l’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione, in quanto non sono ravvisabili i profili dedotti dalle resistenti a sostegno dell’eccezione.
Invero, l’associazione istante è radicata sul territorio e cura gli interessi dei pazienti psichiatrici e dei loro familiari, agendo di conseguenza entro il perimetro statuario in relazione alla cura di interessi che appaiono toccati dalle previsioni censurate.
Come noto la legittimazione ad agire afferisce ad una posizione sostanziale, individuando un interesse sufficientemente differenziato e qualificato, di tensione verso un bene della vita, abbia essa la consistenza di diritto soggettivo ovvero di interesse legittimo, e presuppone la titolarità di tale qualificata posizione sostanziale.
Il potere esercitato e confliggente con l’interesse di cui si rappresenta titolare l’associazione deve afferire alle finalità istituzionali dell’ente collettivo e incidere sul suddetto interesse omogeneo di "categoria", comune indistintamente alla platea dei membri di essa categoria, sì da escludersi già in nuce ed in astratto qualsivoglia conflitto di interesse "endogeno".
In ossequio ai principi foggiati dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (decisione n. 9 del 2 novembre 2015) la legittimazione ad agire richiede l’attinenza della questione dibattuta al perimetro delle finalità statutarie dell'associazione;ciò che avviene allorquando la produzione degli effetti del provvedimento controverso "interessa" lo scopo istituzionale dell'ente collettivo, "e non la mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati";dalla comunanza dell'interesse azionato (di cui si invoca tutela) a tutti gli associati, sì da escludere che "vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi" e, in definitiva, la configurabilità di conflitti interni all'associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati), che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio.
Orbene, le finalità che si propone di perseguire l’associazione ricorrente possono legittimare la proposizione del presente giudizio, proprio in quanto rientranti nell’ambito del perimetro statutario, volto alla tutela e alla cura degli interessi dei disabili psichici e di tutte le altre forme di disabilità, non si pongono in contrasto con interessi interni alla medesima associazione, che risulta riconosciuta nell’ambito della realtà territoriale nella quale opera, come sufficientemente documentato agli atti.
Ne consegue che la posizione azionata dall’associazione è chiaramente funzionale a consentire il pieno espletamento delle proprie finalità statutarie, volte alla tutela in ambito amministrativo e quindi anche giurisdizionale degli interessi rappresentati
Parimenti infondata è l’eccezione di tardività opposta dalla sola difesa della Regione con riferimento all’impugnazione della delibera regionale, atteso che appare evidente che l’effettiva lesione degli interessi rappresentati dall’associazione è insorta in concreto solo a seguito dell’adozione del protocollo operativo da parte della -OMISSIS-, in osservanza delle linee guida regionali.
A diversa conclusione si deve tuttavia giungere con riferimento all’ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso, dedotto da entrambe le resistenti e involgente l’effettiva lesività delle prescrizioni contestate, lesività che nella sostanza difetterebbe, così traducendosi in una sostanziale carenza di interesse all’annullamento, in parte qua, degli atti impugnati.
L’eccezione, investendo i profili di merito delle censure dedotte, è rilevante e fondata e impinge anche sulla stessa fondatezza delle censure dedotte.
Come ampiamente ricordato in precedenza, gli atti assunti dalla Regione e quindi -OMISSIS- sono il risultato di una approfondita analisi delle pratiche operative da impiegare in presenza di condizioni di particolare vulnerabilità dei pazienti affetti da -OMISSIS- laddove si trovino in condizioni di agitazione psico-motoria e più in generale nell’approccio con pazienti che per patologie pregresse o per l’attuale stato di dipendenza da sostanze eccitanti non consentano una adeguata e tempestiva assistenza medica.
In buona sostanza, i presupposti per intervenire con la peculiare modalità della contenzione sono ricondotti alle situazioni, meglio descritte negli atti impugnati e sopra riportate, che possono indurre il medico (o in casi eccezionali anche l’infermiere) ad assumere questo tipo specifico di contenzione.
Necessariamente va fatta una prima osservazione, che investe un profilo denunciato in ricorso in termini generali, relativamente alla ritenuta previsione della sola contenzione fisica quale approccio utilizzabile nelle situazioni di emergenza e di pericolo attuale del paziente.
La lettura delle determinazioni assunte a livello regionale consente di escludere l’assunto difensivo di parte ricorrente, essendo stato adeguatamente rappresentato, anche attraverso i richiami al parere del Comitato Bioetico nazionale e ai risultati del lavoro svolto dal Gruppo di studio, nonché del parere reso a tale riguardo dal Comitato Bioetico regionale, che il ricorso alla contenzione fisica non costituisce l’unico rimedio e soprattutto deve rappresentare l’extrema ratio a fronte di situazioni di pregiudizio.
Lo stesso protocollo operativo individua le diverse forme di contenzione, dando tuttavia atto, come già aveva sottolineato la Regione, che il ricorso al solo contatto fisico, al rimedio farmacologico o all’isolamento non sempre costituisce la soluzione possibile a fronte di situazioni di emergenza.
Detta valutazione, che è pacificamente rimessa alla valutazione medica, che deve trovare riscontro nella cartella clinica e che deve essere costantemente monitorata nel suo evolversi, non sempre infatti può essere risolta, come sostiene parte istante, mediante tali diversi rimedi.
Si pensi alle sole ipotesi in cui l’utilizzo di farmaci per dare luogo ad una breve sedazione del paziente si possa porre in contrasto con altri farmaci da questi assunti per curare altre patologie (si veda il caso dell’anziano con patologie degenerative) oppure la stessa incompatibilità della somministrazione di sedativi in soggetti già alterati da sostanze psicotrope.
Se questa è la situazione che può venirsi a determinare, la previsione specifica della disciplina della contenzione fisica non appare censurabile per non aver previsto misure alternative, essendo questo un profilo che non può essere determinato a priori, non potendosi stabilire ex ante che le altre misure sarebbero comunque da preferire nel caso concreto.
Al contrario – e sotto questo punto di vista emerge il profilo di inammissibilità del ricorso che permea tutta l’impostazione difensiva dell’associazione istante – ciò che emerge dagli atti impugnati è l’espressa volontà di limitare il più possibile e circoscrivere, anche entro limiti temporali, le modalità di ricorso alla misura della contenzione fisica, ribadendone l’eccezionalità e l’obiettivo di ridurne progressivamente l’impiego.
Ma se questo è oggettivamente quanto emerge dagli atti assunti dalla Regione prima e -OMISSIS- poi, ne consegue che gli interessi facenti capo alla ricorrente risultano maggiormente tutelati proprio attraverso l’introduzione di linee operative e quindi di protocolli che consentano una gestione corretta, anche in termini di durata, delle modalità di impiego di tali misure.
Va a questo riguardo ricordata l’impostazione interpretativa dettata dalla stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 50497/2018), richiamata anche dalla difesa istante, che ha preliminarmente ribadito la non assumibilità della misura di contenzione agli atti medici, che soli godono di copertura costituzionale, in quanto aventi finalità terapeutiche o diagnostiche rivolte “alla cura ed alla guarigione del paziente”, destinati “ad alleviare le sofferenze del malato terminale, in quanto comunque diretto a migliorarne le condizioni complessive (c.d. trattamento del dolore)”.
E’ stato quindi sottolineato che “L'uso della contenzione meccanica non rientra in nessuna delle categorie sopra indicate, trattandosi di un presidio restrittivo della libertà personale che non ha nè una finalità curativa nè produce materialmente l'effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente - anzi, secondo la letteratura scientifica, può concretamente provocare, se non utilizzato con le dovute cautele, lesioni anche gravi all'organismo, determinate non solo dalla pressione esterna del dispositivo contenitivo, quali abrasioni, lacerazioni, strangolamento, ma anche dalla posizione di immobilità forzata cui è costretto il paziente - svolgendo, come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, una mera funzione di tipo "cautelare", essendo diretto a salvaguardare l'integrità fisica del paziente, o di coloro che vengono a contatto con quest'ultimo, allorquando ricorra una situazione di concreto pericolo per l'incolumità dei medesimi”.
La conclusione cui è giunta la Corte nella pronuncia ricordata è stata quindi nel senso che la massima privazione della libertà che deriva dall'uso della contenzione "può" e "deve" essere disposta dal sanitario (il quale, più degli altri, è per le proprie competenze tecnico-scientifiche a conoscenza dei gravi pregiudizi che l'uso del mezzo contenitivo può provocare alla salute del paziente) solo in situazioni straordinarie e per il tempo strettamente necessario dopo aver esercitato la massima sorveglianza sul paziente.
In questo contesto è stata anche chiarita la portata dell’inevitabilità del pericolo che può portare alla decisione da parte del sanitario di assumere le misure di contenzione meccanica.
“La "inevitabilità altrimenti del pericolo" sussiste allorquando non vi sia la possibilità di salvaguardare la salute del paziente con strumenti alternativi, la cui valutazione di inidoneità è rimessa al prudente apprezzamento del medico”.
Tali valutazioni, adeguatamente riportate nella cartella clinica, assicurano un controllo dell’operato dei sanitari e proprio la predisposizione di linee guida e protocolli operativi consente di assicurare modalità di approccio adeguate e valide in termini generali per tutti coloro che, in ragione delle diverse evenienze riconducibili allo stato patologico dei pazienti, possono trovarsi nelle condizioni di dover adottare tali misure precauzionali.
In questo senso la richiamata pronuncia ha sottolineato l’importanza della elaborazione delle linee guida, in quanto finalizzate a circoscrivere il più possibile l’utilizzo di tali misure a casi effettivamente eccezionali: proprio la previsione di imporre la trascrizione in cartella clinica delle misure adottate e l’obbligo di motivazione circa la durata e le modalità di applicazione, che presuppone una adeguata formazione del personale chiamato ad utilizzarle in caso di necessità, rappresenta quindi un corretto approccio a tali misure, “rispondendo, data la evidenziata natura cautelare di tale presidio, ad una elementare esigenza di un suo uso rigorosamente controllato e non indiscriminato (in relazione alle sue caratteristiche invasive), al fine di renderla seriamente l'extrema ratio cui ricorrere nella prospettiva della tutela dell'integrità psico-fisica del paziente”.
Proprio in considerazione del fatto che non si tratta di attività riconducibili agli atti medici e che non trovano attualmente alcun supporto normativo, appare evidente che la mancanza di un protocollo operativo costituirebbe un vulnus per gli interessi degli associati, potendosi diversamente verificare diversi approcci da parte dei medici nelle varie situazioni, non sempre rispettosi delle esigenze dei pazienti, pur nella specificità delle misure così intraprese.
In altre parole, lasciare che la valutazione dei presupposti e delle modalità con le quali si può, o meglio, si deve ricorrere in taluni casi alla misura di contenzione fisica, piuttosto che alle altre forme di contenzione meno invasive per il paziente, sia demandata esclusivamente al caso di volta in volta verificatosi, ponendo di conseguenza le ben note difficoltà di far rientrare dette situazioni nell’alveo della scriminante di cui all’art. 54 c.p., assicura certamente una minore garanzia per gli stessi pazienti.
Diversamente, pur riconoscendo, come peraltro viene affermato anche negli atti impugnati, l’eccezionalità del ricorso a tali misure e la necessità di assumerle solo in casi specifici laddove non sia possibile utilizzare altri rimedi, ossia quale extrema ratio, con le previsioni contestate – a maggior ragione nei limiti in cui vengono censurate in ricorso – viene assicurata una maggiore garanzia per i pazienti psichiatrici e assimilabili per condizioni temporanee, i cui interessi si ritengono pregiudicati, garanzia che deriva proprio dalla oggettivizzazione delle condizioni e delle modalità operative da seguire da parte del medico.
Solo apparentemente, quindi, l’introduzione del contestato limite temporale costituisce un vuluns della dignità del paziente, in quanto proprio la individuazione di detti limiti temporali (che non debbono essere intesi, naturalmente, quali indicazioni di durata minima e predeterminata della contenzione) assicura un punto di riferimento certo per gli operatori sanitari, che debbono tenerne conto e adeguatamente relazionare all’interno della cartella clinica l’insorgere e l’evoluzione della situazione di emergenza che ha determinato la scelta di disporre le misure di contenzione fisica.
Un’ultima osservazione necessita l’ulteriore contestazione che viene dedotta in ricorso con riferimento alla illegittima assumibilità delle misure di contenzione fisica nell’ambito della disciplina del TSO.
Anche in questo caso la censura difetta di interesse ed è in ogni caso destituita di fondamento, atteso che chiaramente gli atti impugnati hanno distinto le ipotesi di TSO, che godono di una specifica normativa dettata dagli artt. 33 e 35 della legge n. 833/78, da quelle oggetto delle linee di indirizzo regionali, che mirano, come ampiamente argomentato, solo ad orientare, in assenza di un parametro normativo di riferimento, le azioni dei responsabili sanitari a fronte di situazioni di emergenza nella gestione del paziente affetto da eccessi psico-motori.
Ancora una volta, quindi, la diversità dei presupposti, rispetto all’adozione del TSO, evidenzia il difetto di interesse e comunque l’infondatezza delle censure dedotte, laddove gli indirizzi operativi indicati negli atti censurati non comprimono, ma al contrario assicurano una maggiore tutela agli interessi rappresentati dall’associazione ricorrente proprio in ragione dell’assenza di una previsione normativa al riguardo, non potendo essere applicata la disciplina dettata per il TSO.
In conclusione, attesa l’inammissibilità ed in ogni caso l’infondatezza delle censure dedotte, per tutte le considerazioni sin qui svolte il ricorso ed i motivi aggiunti successivamente depositati debbono essere respinti.
Attesa l’indubbia peculiarità e delicatezza delle questioni trattate, appare equo disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.