TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2018-07-05, n. 201807478

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2018-07-05, n. 201807478
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201807478
Data del deposito : 5 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/07/2018

N. 07478/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01560/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1560 del 2018, proposto da:
Biopower Green Energy sh.p.k. unitamente ad Albanian Green Energy, Essegei s.p.a., Etea Rinnovabili s.r.l. unitamente a Emmequattro società semplice e Silvio Allamandi, Hydro Power Plant of Korca sh.p.k., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t. , rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. I Lrotta e C S, elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Roma, via Lovanio, 16 sc. B;

contro

Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dello sviluppo economico e Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t. , rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, sono domiciliati;

per la declaratoria

dell’illegittimità del silenzio serbato dalle amministrazioni resistenti sull’atto di significazione, invito e diffida del 4.8.2017 notificato in pari data alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;

e per la conseguente condanna

delle amministrazione resistenti a provvedere ove occorra nel caso di ulteriore inerzia anche a mezzo nomina di commissario ad acta .


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 30 maggio 2018 il cons. M.A. di Nezza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Rilevato :

- che con ricorso notificato a mezzo pec il 2.2.2018 (dep. il 9.2) i ricorrenti in epigrafe, nel premettere:

-- che con accordo tra Italia e Albania del 10.5.2006 – tuttora vigente (perché di volta in volta prorogato sino al 31.12.2018 in forza di clausola di rinnovo tacito triennale) – le competenti amministrazioni italiane (Ministero delle attività produttive e Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio) e albanesi (Ministero dell’economia, del commercio e dell’energia) disciplinavano le procedure di verifica del possesso dei requisiti necessari per l’importazione e l’esportazione di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili da e verso l’Italia e l’Albania nonché le modalità di rilascio dei “certificati verdi” o di “equipollenti forme di incentivazione”;

-- che con successivo accordo intergovernativo del 10.3.2009 le parti affermavano l’applicabilità del sistema di valorizzazione dell’elettricità da fonti rinnovabili prodotta in Albania e importata in Italia anche con riferimento alle modifiche del sistema dei certificati verdi nel frattempo intervenute;

-- che con la legge 7/2017 venivano introdotte in Albania disposizioni per la promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili tali da evidenziare una situazione di “reciprocità sostanziale” con l’Italia;

-- di essere titolari in Albania di impianti qualificabili e qualificati ai sensi degli artt. 4 e 5 dell’accordo del 2006, realizzati (con ingenti investimenti) sul presupposto della possibilità di importare in Italia l’energia elettrica da essi prodotta;

-- di avere in tale veste notificato alle amministrazioni intimate in data 4.8.2017 una formale diffida ad attuare il ridetto accordo “prevedendo l’ammontare dell’incentivo”, “di pari durata e di entità inferiore” rispetto a quello riconosciuto in Italia “alle fonti e alle tipologie impiantistiche da cui l’elettricità è prodotta in Albania”;

tanto premesso, hanno impugnato il silenzio mantenuto su detta istanza, deducendo Violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990 e in particolare dell’art. 2;
violazione degli accordi del 2006 e del 2009;
violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 28/2011, in particolare dell’art. 36, co. 1;
violazione de principi di buona fede e buon andamento della p.a.;
violazione dell’art. 97 Cost.;
eccesso di potere per ingiustizia manifesta, sviamento, travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta
: l’Italia, non avendo dato applicazione all’accordo del 2006 (“immediatamente efficace” e non necessitante di ratifiche), sarebbe inadempiente nei confronti tanto del Governo albanese quanto delle stesse ricorrenti, che avrebbero maturato un legittimo affidamento in ordine all’esecuzione della convenzione intergovernativa (anche tenuto conto dell’art. 36 d.lgs. n. 28/2011);
ma anche nell’ipotesi di ritenuta impossibilità di darvi attuazione, il Governo italiano sarebbe comunque tenuto a ricercare con la controparte albanese una soluzione di “equipollente profilo”, se del caso arrivando a modificarne le clausole per salvaguardarne l’applicazione (ciò anche in forma di scambio di note, coerentemente con la natura di “trattato semplificato” dell’accordo);
l’inadempimento della parte italiana sarebbe ancor più evidente alla luce del parere reso il 4.4.2013 dall’Avvocatura generale dello Stato su richiesta del Ministero dello sviluppo economico (in data 22.2.2013) circa la perdurante vigenza dell’intesa del 2006;

- che le amministrazioni intimate, costituitesi in resistenza, hanno eccepito il difetto assoluto di giurisdizione del giudice amministrativo: a) per essere competente a conoscere della controversia il Collegio arbitrale presso la Camera di commercio internazionale di Parigi (in forza della clausola compromissoria di cui all’art. 9 dell’accordo); b) in considerazione della natura politica delle determinazioni governative sull’attuazione del trattato (l’esecuzione di un accordo bilaterale avrebbe “valore di atto politico”, come tale sottratto al sindacato giurisdizionale “in quanto espressione della funzione di direzione politica dell’ordinamento”);
esse hanno altresì dedotto l’infondatezza del ricorso in quanto non vi sarebbe alcun obbligo di provvedere sull’istanza;

- che all’odierna camera di consiglio, in vista della quale gli istanti hanno depositato note di replica (18.5.2018), il giudizio è stato trattenuto in decisione;

Considerato :

- che l’eccezione di compromesso per arbitrato estero è infondata, avuto riguardo alle deduzioni di parte ricorrente sull’inapplicabilità della clausola alla controversia in esame per ragioni oggettive e soggettive (v. mem. 18.5.2018;
per la natura di tale eccezione cfr. Cass. civ., sez. un., 13 giugno 2017, n. 14649);

- che infatti ai sensi dell’art. 9 (“Arbitrato”) del ridetto accordo del 2006 “Le controversie comunque relative al presente Accordo per le quali non si dovesse raggiungere un accordo diretto tra le Parti sono deferite, entro sessanta giorni dalla richiesta a trattare avanzata da una delle Parti, ad un collegio arbitrale presso la Camera di commercio internazionale di Parigi, composto da uno o più arbitri nominati conformemente al regolamento della Camera medesima” (co. 1);

- che la disposizione individua chiaramente uno strumento di risoluzione delle controversie insorte tra le “parti”, siccome definite nel paragrafo di apertura del trattato (i competenti Ministeri e dunque gli Stati italiano e albanese), e alle stesse riservato;

Considerato :

- che è invece condivisibile l’eccezione di difetto assoluto di giurisdizione;

- che come si evince dalle premesse dell’accordo le modalità di incentivazione dell’energia importata da Paesi terzi sono state fissate dapprima con il d.m. 11.11.1999, sulla possibilità di adempiere all’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale una quota di energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili (c.d. quota d’obbligo ex art. l1 d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79) pure “attraverso l’importazione di energia elettrica da Paesi terzi, anche non comunitari, a condizione che tali Paesi adottassero strumenti di promozione ed incentivazione delle fonti rinnovabili analoghi a quelli adottati in Italia” (cfr. art. 4 d.m. cit., recante previsione delle modalità di presentazione della relativa domanda e della necessità per i Paesi non UE, tra l’altro, di una “convenzione tra il gestore della rete di trasmissione nazionale ed analoga autorità locale che determini le modalità per le necessarie verifiche”);

- che, sempre con riferimento alle importazioni, il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (di attuazione della dir. 2001/77/CE), ha stabilito all’art. 20, co. 4, che “i certificati verdi possono essere rilasciati esclusivamente alla produzione di elettricità da impianti ubicati sul territorio nazionale, ovvero alle importazioni di elettricità da fonti rinnovabili esclusivamente provenienti da Paesi che adottino strumenti di promozione ed incentivazione delle fonti rinnovabili analoghi a quelli vigenti in Italia e riconoscano la stessa possibilità ad impianti ubicati sul territorio italiano, sulla base di accordi stipulati tra il Ministero delle attività produttive e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e i competenti Ministeri del Paese estero da cui l’elettricità da fonti rinnovabili viene importata ” (enf. agg.);

- che la possibilità di incentivare con i certificati verdi anche l’elettricità importata risulta dunque subordinata alla duplice condizione: i) della reciprocità dell’assetto regolatorio, dovendo essere previsti sistemi incentivanti “analoghi a quelli vigenti in Italia” e corrispondenti disposizioni di favore per le importazioni dall’Italia (nel senso che va garantita l’ammissione dell’energia prodotta da “impianti ubicati sul territorio italiano” all’analogo regime di sostegno del Paese straniero); ii) della conclusione di un’apposita intesa bilaterale internazionale;

- che l’accordo del 2006 è stato stipulato in attuazione della previsione appena riportata;

- che il sistema degli incentivi alla produzione di energia elettrica mediante fonti rinnovabili è stato però completamente rivisto dal d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, e dal d.m. 6.7.2012, con cui è stata sancita la cessazione del meccanismo dei certificati verdi (a partire dall’anno 2016) e la sua sostituzione con altre modalità di incentivazione (ciò anche per impianti già entrati in esercizio e ammessi a fruire dei certificati in questione;
v. in particolare gli artt. 24, co. 5, e 25 d.lgs. cit. nonché l’art. 19 d.m. 6.7.2012, “Conversione del diritto ai certificati verdi in incentivo”, che per la produzione di impianti “entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012 e da impianti di cui all’articolo 30, che ha maturato il diritto a fruire dei certificati verdi” ha disposto il riconoscimento, “per il residuo periodo di diritto, successivo al 2015”, di un incentivo sulla “produzione netta”;
cfr. anche art. 30 d.m. cit., sulla “Transizione dal vecchio al nuovo meccanismo di incentivazione”, recante norme di tutela degli “investimenti in via di completamento, garantendo una progressiva transizione dal vecchio al nuovo meccanismo, per gli impianti che entrano in esercizio entro il 30 aprile 2013 […]”);

- che il nuovo assetto divisato dal d.lgs. n. 28/2011 preclude l’attuazione in Italia del ridetto accordo del 2006, avuto riguardo alla scelta, con esso operata, di incentivare l’energia importata proprio mediante il soppresso meccanismo (art. 6, “emissione dei certificati verdi”);

- che non consente di addivenire a diverse conclusioni l’art. 36 d.lgs. n. 28/2011 (in materia di rapporti con i Paesi terzi), che ha abrogato l’art. 20, co. 4, d.lgs. n. 387/03 cit. (v. co. 3) sancendo al contempo: “Ai fini del conseguimento degli obiettivi nazionali in materia di energie rinnovabili, è incentivata l’importazione di elettricità da fonti rinnovabili proveniente da Stati non appartenenti all’Unione europea ed effettuata su iniziativa di soggetti operanti nel settore energetico, sulla base di accordi internazionali all’uopo stipulati con lo Stato da cui l’elettricità da fonti rinnovabili è importata. Tali accordi si conformano ai seguenti criteri: a) il sostegno è effettuato mediante il riconoscimento, sull’energia immessa nel sistema elettrico nazionale, di un incentivo che, rispetto a quello riconosciuto in Italia alle fonti e alle tipologie impiantistiche da cui l’elettricità è prodotta nel Paese terzo, è di pari durata e di entità inferiore, in misura fissata negli accordi di cui al presente articolo, tenendo conto della maggiore producibilità ed efficienza degli impianti nei Paesi terzi e del valore medio dell’incentivazione delle fonti rinnovabili in Italia;
[…]” (co. 1);
“Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri […] può essere stabilito, salvaguardando gli accordi già stipulati, un valore dell’incentivo diverso da quello di cui alla lettera a) del comma 1, contemperando gli oneri economici conseguenti al riconoscimento dell’incentivo stesso e gli effetti economici del mancato raggiungimento degli obiettivi” (co. 2);

- che infatti la nuova disposizione, pur confermando la possibilità di incentivare l’energia importata, si inserisce tuttavia in un contesto del tutto diverso, come attestato (tra l’altro) dalla previsione della necessaria fissazione a opera delle parti, nello stesso accordo, della misura degli incentivi (il co. 2 si limita a prevedere, per detti accordi ex art. 36 cit., la possibilità di intervenire sull’entità degli incentivi, stabiliti secondo quanto innanzi precisato, modulandoli anche al rialzo in ragione dei possibili effetti negativi del “mancato raggiungimento degli obiettivi” di produzione di energia da fonte rinnovabile assegnati all’Italia);

- che gli stessi ricorrenti mostrano di essere consapevoli degli effetti delle modifiche sopravvenute, avendo ipotizzato (come si è detto) l’esistenza di un obbligo del Governo italiano di ricercare con la controparte albanese una soluzione di “equipollente profilo”, se del caso arrivando a modificare le clausole dell’accordo del 2006 per salvaguardarne l’applicazione;

- che l’essenzialità di adeguamenti concordati tra le parti contraenti si desume anche dalla successiva intesa del 2009 (nelle cui premesse si dà atto della “necessità, alla luce delle norme in materia di fonti rinnovabili emanate sia in Italia che a livello comunitario successivamente all’Accordo del 10 maggio 2006, di apportare talune modificazioni al suddetto Accordo per consentire il mantenimento della vigenza dell’Accordo stesso e dei principi ivi contenuti”;
cfr. all. 3 ric.;
v. anche l’art. 5, co. 1: “Le Parti concordano sulla necessità di un aggiornamento dell’Accordo del 10 maggio 2006 in materia di certificati verdi, con lo scopo di consentire il mantenimento delle condizioni per la vigenza dell’Accordo stesso e per la valorizzazione dell’elettricità da fonti rinnovabili prodotta in Albania e importata in Italia”;
è poi introdotto il criterio secondo cui “il sistema di valorizzazione dell’elettricità da fonti rinnovabili prodotta in Albania e importata in Italia si applica in riferimento al sistema di certificati verdi, così come modificato dalle disposizioni normative intervenute in Italia successivamente all’accordo del 10 maggio 2006, allegate al presente accordo”;
co. 2, lett. a );

- che in questa prospettiva non possono rilevare le (pur perspicue) deduzioni di parte ricorrente sulla natura self-executing delle norme pattizie e sul livello meramente amministrativo delle disposizioni di attuazione dell’accordo del 2006 (“codici iafr, procedure tecniche di accertamento quali-quantitative dell’energia prodotta, assegnazione formale della tariffa incentivante”), stanti le citate radicali modifiche del quadro regolatorio;

- che l’eventuale “obbligo” del Governo italiano di adeguare l’accordo del 2006 al nuovo assetto non è ascrivibile al generale obbligo di concludere il procedimento ex art. 2 l. n. 241/90, non ravvisandosi un procedimento amministrativo avente la menzionata finalità (né, men che meno, un termine entro il quale concludere un iter di tal genere), rientrando piuttosto nelle prerogative governative – di natura eminentemente politica – in materia di esecuzione di trattati internazionali (cfr. art. 7, co. 1, ult. per., c.p.a. “Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”;
v. sugli atti politici, di questo Tribunale, la sent. 31 dicembre 2008, n. 12359, espressiva di un orientamento confermato all’esito di un lungo iter processuale da C. cost. 10 marzo 2016, n. 52, su ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato in una fattispecie concernente il diniego di avvio di trattative finalizzate alla conclusione di un’intesa ex art. 8, 3° co., Cost., secondo cui non è configurabile una pretesa giustiziabile all’avvio delle inerenti trattative, non risultando conseguentemente sindacabile l’eventuale diniego opposto in tal senso dal Governo);

- che nel caso oggi in esame – e mutuando l’orientamento di C. cost. n. 52/2016 cit. – non è ravvisabile una “pretesa soggettiva alla conclusione positiva” di un negoziato con la controparte estera finalizzato all’adeguamento dell’accordo del 2006;

- che nemmeno sussiste, di conseguenza, la correlata (e logicamente antecedente) pretesa alla conclusione con provvedimento espresso del “procedimento” che parte ricorrente avrebbe inteso avviare con la propria diffida;

Considerato in conclusione:

- che va dichiarata l’inammissibilità del ricorso;

- che le spese di giudizio possono essere compensate in ragione della novità della questione;

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