TAR Trieste, sez. I, sentenza 2013-05-13, n. 201300287

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trieste, sez. I, sentenza 2013-05-13, n. 201300287
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trieste
Numero : 201300287
Data del deposito : 13 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00181/2006 REG.RIC.

N. 00287/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00181/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 181 del 2006, proposto da:
F A, rappresentato e difeso dall'avv. C P, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Trieste, via Carducci 10;

contro

Comune di Trieste, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;

per l'annullamento

quanto al ricorso introduttivo:

-della determina del dirigente dell'Area Pianificazione Territoriale del Comune di Trieste prot. n. 2119511119 prot. corr. UPC-C 4000432/ dd. 16 gennaio 2006, con la quale è stato negato al ricorrente l'accoglimento della domanda di sanatoria presentata ai sensi dell'art. 31 e segg. della legge n. 47/1985, intesa ad ottenere il rilascio della concessione edilizia in sanatoria relativamente a opere edilizie di manutenzione straordinaria dettata dall'usura del tempo sull'immobile sito in Trieste, località Opicina, Via dei Salici, n. 7/1 e consistenti in modifiche ai fori dell'edificio e della recinzione, la costruzione di una tettoia e l'ampliamento inferiore al 20% di parte dell'edificio di cui il ricorrente ne è il possessore;

-della nota del 12 marzo 2006 del Dirigente del Servizio dell'Area Pianificazione Territoriale -Servizio Concessioni edilizie;

quanto ai motivi aggiunti depositati in data 25.10.2006:

-della determina n. 2006 del dirigente dell'Area Pianificazione Territoriale con cui il ricorrente è stato informato che l’Amministrazione comunale avrebbe provveduto alla rimozione d’ufficio delle opere abusive presenti sul fondo pp.cc. 1653/1 e 1674/6 del C.C. di Opicina;

-del verbale di sopralluogo del 6 settembre 2004;

-del verbale di sopralluogo del 24 marzo 2006;

-del verbale di sopralluogo del 6 maggio 2006;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2013 la dott.ssa M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato il 4 aprile 2006 e depositato il successivo 12 aprile 2006, il signor Aldo F insorgeva innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale avverso il provvedimento in data 16 gennaio 2006, con cui il dirigente dell’Unità di Progetto Condono dell’Area Pianificazione Territoriale del Comune di Trieste aveva rigettato la sua istanza di condono edilizio ai sensi dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della L. 24 novembre 2003, n. 326, e dell’art. 6 della l.r. 26 del 2004 per le “opere di manutenzione straordinaria per modifiche ai fori dell’edificio e della recinzione”, per la “costruzione di una tettoia” e per lo “ampliamento inferiore al 20% di parte dell’edificio” di proprietà, sito a Trieste, in località Opicina, via dei Salici n. 7/1, interventi tutti realizzati in assenza del prescritto titolo edilizio.

Il condono era stato denegato, in quanto l’interessato, seppur ritualmente sollecitato, non aveva provveduto a corredare l’istanza di tutta la documentazione necessaria per legge e, in particolare, dell’elaborato grafico contenente lo stato di fatto precedente degli immobili oggetto degli interventi in sanatoria, come espressamente prescritto dall’art. 5 della l.r. 29 ottobre 2004, n. 26.

L’Amministrazione aveva, in ogni caso, evidenziato che l’immobile risultava ubicato in zona paesaggisticamente vincolata e che tra le opere era stato genericamente denunciato un “ampliamento inferiore al 20% di parte dell’edificio”, lasciando, conseguentemente, trapelare anche dei dubbi in ordine alla sanabilità di tale specifico intervento a causa della sussistenza del vincolo.

Successivamente, il signor F, con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 18 ottobre 2006 e depositato il successivo 25 ottobre 2006, gravava anche il provvedimento del dirigente del Servizio Concessioni Edilizie e Servizio Amministrativo dell’Urbanistica – Ufficio Tecnico dell’Edilizia Privata dell’Area Pianificazione Territoriale del Comune di Trieste in data 14 giugno 2006, prot. n. 2006-0105181 – prot. corr. 11/380 – 220/1994 (e atti presupposti, tra cui, in particolare, i verbali di sopralluogo del 6 settembre 2004, 24 marzo 2006 e 6 maggio 2006), con il quale era stato informato che, essendo stata accertata l’inottemperanza all’ordine di demolizione delle opere dianzi indicate intimatogli in data 17 maggio 2004, il Comune vi avrebbe provveduto d’ufficio secondo le modalità di legge.

A sostegno delle impugnazioni proposte il ricorrente denunciava la violazione di diverse disposizioni di legge e l’eccesso di potere sotto plurimi profili.

Il Comune di Trieste, seppur ritualmente evocato, non si costituiva in giudizio.


La causa veniva chiamata alla pubblica udienza dell’8 maggio 2013 e, quindi, trattenuta per la decisione.

Il ricorso introduttivo è infondato.

Ai fini che qui rilevano, devesi, invero, osservare che la l.r. 29 ottobre 2004, n. 26, che disciplina “le condizioni, le modalità e le procedure per il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria” nell’ambito della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, stabilisce, all’art. 5, che la domanda di sanatoria è corredata – tra l’altro – “della documentazione prevista dall'articolo 32, comma 35, lettera a), del decreto-legge n. 269/2003” (ovvero anche della “dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell'articolo 47, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con allegata documentazione fotografica, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo abilitativo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo”) e degli “elaborati grafici attinenti alle opere per le quali si richiede il titolo in sanatoria e allo stato di fatto precedente degli immobili oggetto degli interventi edilizi abusivi”.

Il successivo art. 6 stabilisce, poi, espressamente che “la mancata presentazione dei documenti previsti dall'articolo 32 del decreto-legge n. 269/2003 e dall'articolo 5 (della l.r.), entro il termine di tre mesi dalla data della richiesta di integrazione o di chiarimento notificata dal responsabile del procedimento (…) comporta il conseguente diniego del titolo abilitativo in sanatoria” (comma 5), coerentemente, del resto, con la previsione di cui al successivo comma 7, che subordina il rilascio del titolo in sanatoria alla verifica riguardante anche “la completezza della documentazione presentata”.

Nel caso di specie, costituisce, tuttavia, circostanza pacifica che l’interessato non abbia né allegato all’originaria istanza, né presentato in corso d’istruttoria la documentazione idonea a rendere evidente lo “stato di fatto precedente” degli immobili oggetto degli interventi edilizi abusivi, documentazione che era stato, peraltro, espressamente invitato dal Comune a produrre con nota in data 18 maggio 2005, prot. n. C 4000432/3.

Prova ne è che nemmeno nella presente sede giurisdizionale sono stati esibiti i richiesti elaborati progettuali, precludendo così a questo giudice di apprezzare la sanabilità o meno delle opere realizzate in assenza dei prescritti titoli edilizi e, ancor prima, l’essenza e l’entità stesse degli abusi commessi.

Di nessuna utilità s’appalesa, infatti, né la documentazione fotografica prodotta, dato che dà unicamente contezza dello stato attuale delle opere, ma non consente assolutamente di cogliere quale potesse essere la situazione fattuale prima della loro realizzazione, né le generiche affermazioni di parte ricorrente, secondo le quali l’intervento edilizio consisterebbe “in un mero intervento di manutenzione straordinaria dettata dall’usura del tempo su un immobile esistente in loco già prima del 1939” ed avrebbe riguardato “opere che dal punto di vista edilizio e dell’impatto ambientale non hanno alterato la situazione dei luoghi, limitandosi ad assicurare un’adeguata riparazione delle parti ammalorate e nel contempo assicurare una migliore fruizione dell’edificio e degli ambienti ad essi connessi”.

Tale carenza documentale avvalora, peraltro, ulteriormente i dubbi che l’Amministrazione ha fatto trapelare anche in ordine alla sanabilità dell’intervento di ampliamento a causa della sussistenza del vincolo paesaggistico, non avendo assolutamente consentito all’Ufficio procedente di valutare, nel caso specifico, la valenza ostativa o meno del vincolo stesso ai sensi dell’art. 3, comma 1, della l.r. n. 26 del 2004 e del richiamato art. 32, comma 27, del d.l. 269/2003.

In giurisprudenza è stato, infatti, condivisibilmente affermato - ancorché con riferimento al condono di cui alla legge n. 724 del 1994 - che “qualora l'Amministrazione, a fronte di una domanda di condono edilizio incompleta, richieda all'interessato l'integrazione della predetta documentazione, assegnandogli un termine per provvedere, quest'ultimo deve ritenersi (salvi i casi di impossibilità non imputabile) tassativo, sicché l'inottemperanza a tale richiesta determina la chiusura della pratica e costituisce legittimo motivo di diniego della concessione edilizia in sanatoria” (C.d.S., I, 29 novembre 2010, n. 10665;
IV, 23 luglio 2009, n. 4671;
nello stesso senso C.d.S, IV n. 4525 del 7 agosto 2012;
T.A.R. Sardegna, 29.8.2003, n. 1043).

E’ ovvio infatti che la incompletezza della domanda non consente neppure lo svolgimento dell’istruttoria.

Il chiaro disposto di legge e le eloquenti circostanze fattuali dianzi indicate, portano, dunque, il Collegio a ritenere che il provvedimento impugnato non avrebbe potuto avere contenuto dispositivo diverso e, conseguentemente, a giudicare non invalidanti, ai sensi dell’art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo introdotto dall’art. 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, le illegittimità di carattere procedimentale/formale denunciate con il I motivo di gravame (“Violazione degli artt. 5, 8 e 10 della legge 241/1990. Falsa applicazione dell’art. 10-bis della medesima legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge 47/85. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità manifesta e sviamento di potere”) del ricorso introduttivo, che s’appuntano sull’asserita mancata comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento, dell’unità organizzativa e del nominativo del responsabile del procedimento, nonché sul mancato avvio del sub-procedimento di acquisizione del parere dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985.

A tale ultimo riguardo e con particolare riferimento all’eccesso di potere lamentato, osserva, peraltro, il Collegio che l’eventuale ottenimento dell’accertamento della compatibilità paesaggistico/ambientale dell’intervento non fa venire meno il vincolo esistente, ma attesta, unicamente, la compatibilità del primo con il secondo.

Non incide, dunque, né sulla qualificazione dell’intervento medesimo, né sulle tipologie di interventi che la legge ammette a sanatoria in tale aree. Ne deriva che la verifica della sussumibilità dell’opera realizzata tra quelle ammesse a sanatoria deve, necessariamente, precedere ogni ulteriore valutazione, inclusa quella della sua compatibilità con gli eventuali vincoli da cui è gravata l’area, dato che la sua riconducibilità all’astratta previsione normativa costituisce pre-requisito fondamentale del condono.

Risulta, conseguentemente, rispettoso delle norme di riferimento, nonché logico e coerente con i principi di buon andamento ed imparzialità dell’attività amministrativa che il competente Ufficio comunale, a fronte di una domanda carente di documentazione rivestente carattere essenziale, abbia tralasciato di indagare ulteriormente in ordine all’incidenza del vincolo in questione sull’ampliamento per cui è stato invocato il condono e non abbia dato corso al sub-procedimento di cui all’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, dato che tali attività si sarebbero tradotte in un inutile aggravio istruttorio-procedimentale.

Il motivo in esame va, in definitiva, respinto.

Ad analoga sorte è destinato il II motivo di gravame (“Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, per travisamento dei fatti, illogicità manifesta;
violazione dell’art. 2 della legge 241/1990;
violazione del principio di buon andamento;
del principio della doppia conformità urbanistica di cui alla legge n. 47/1985. Eccesso di potere per carenza di motivazione;
motivazione insufficiente”), con cui il ricorrente lamenta che sono stati disattesi i termini di conclusione del procedimento, nonché il difetto di motivazione anche con riguardo alle esigenze della tutela paesaggistica.

Risulta, infatti, provato per tabulas che l’Amministrazione abbia adottato il provvedimento conclusivo del procedimento entro il termine di 36 mesi stabilito per la sua definizione dall’art. 6, comma 3, della l.r. n. 26 del 2004.

La dedotta violazione del termine di 90 gg. stabilito, in via generale, dall’art. 2 della legge n. 241/1990 vigente ratione temporis non può, dunque, assumere alcun rilievo nella fattispecie portata all’attenzione di questo giudice, dato che, contrariamente a quanto ritenuto da parte ricorrente, esso non costituisce, nel caso specifico, parametro di legittimità dell’attività amministrativa.

Va del pari respinta la censura con cui parte ricorrente denuncia il difetto di motivazione, dato che, come facilmente constatabile dalla lettura del provvedimento impugnato (all. 5), lo stesso, oltre a soffermarsi sulle disposizioni che assume ostative al rilascio del titolo, reca in maniera chiara ed intellegibile le ragioni del diniego, consentendo all’interessato di comprendere in base a quali dati specifici sia stata operata la scelta della pubblica amministrazione, nonché di verificarne il percorso logico seguito nell'applicare i criteri generali nel caso concreto.

La possibilità - per il signor F - di confutare in giudizio, in maniera pienamente consapevole ed esaustiva, la legittimità del provvedimento impugnato non è dunque sicuramente dipesa dalle asserite ed indimostrate carenze del corredo motivazionale del diniego impugnato.

Nessun rilevo possono, infine, assumere le ulteriori e generiche doglianze sollevate all’operato dell’Amministrazione, inclusa quella di mancato bilanciamento degli interessi in causa, dato che, oltre a risultare generiche e prive di elementi di riscontro o comunque ad appuntarsi su aspetti che non trapelano dalle ragioni del diniego, si riferiscono, all’evidenza, a valutazioni che l’Amministrazione non è stata nemmeno messa nelle condizioni di svolgere, atteso che il riscontrato deficit documentale l’ha legittimamente indotta ad arrestare il procedimento in una fase ancora precedente a quella di concreta valutazione della compatibilità degli interventi eseguiti con quelli normativamente suscettibili di condono e con il vincolo di tutela paesaggistica esistente.

In definitiva, la constatata infondatezza dei vizi tutti dedotti dal ricorrente avverso il diniego di condono edilizio non può che comportare il rigetto del ricorso introduttivo dal medesimo proposto, nonché di quello per motivi aggiunti, nella parte in cui il ricorrente medesimo lamenta, in via derivata, l’illegittimità dell’atto in data 14 giugno 2006, con cui il Comune l’ha informato che, a causa della sua inottemperanza all’ordine di demolizione, vi avrebbe provveduto d’ufficio il Comune stesso.

E’ nota, infatti, la natura urgentemente e strettamente vincolata dei collegati atti di repressione (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 29 maggio 2006 n.3270), con la conseguenza che, venuta meno la possibilità di condono, la riscontrata (e dichiarata) abusività delle opere realizzate e/o, come nel caso di specie, il loro perdurante mantenimento in essere costituisce presupposto sufficiente per intimarne o, comunque, per dare seguito d’ufficio alla procedura demolitoria.

Quanto ai vizi propri, che – secondo l’assunto di parte ricorrente – inficerebbero, in ogni caso, la legittimità di tale atto, il Collegio osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla medesima, all’atto in data 12 marzo 2006 (all. 6), non impugnato, con cui il Comune ha disposto la ripresa della procedura sanzionatoria rimasta temporaneamente sospesa, pare potersi riconoscere natura provvedimentale ed attitudine a riattivare il procedimento repressivo a seguito della mera constatazione dell’esito negativo del procedimento di condono edilizio.

Ne deriva che il riferimento alle risultanze fattuali dei sopralluoghi eseguiti dai Vigili Urbani in data 24 marzo e 6 maggio 2006, contenuta nel provvedimento in data 14 giugno 2006, costituisce motivazione adeguata e sufficiente a sorreggerlo, atteso che, essendo "in re ipsa" l'interesse pubblico alla rimozione dell’abuso, siffatto provvedimento non necessita di motivazione ulteriore rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto.

Alla luce delle considerazioni svolte, il Collegio ritiene, quindi, di respingere anche tali doglianze.

La mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata esime, infine, il Collegio dal disporre in merito alle spese di lite.

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